Umberto Eco. Il romanzo e le strategie della comunicazione.

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A tre anni dalla sua scomparsa, il 19 febbraio 2016, ricordiamo una delle più grandi personalità della cultura italiana contemporanea: Umberto Eco. Grande maestro della nostra letteratura, semiologo, filosofo, critico e saggista, oltre che esperto di comunicazione tanto da ricevere, tra i tanti premi e onorificenze, la laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei Media” dall’Università di Torino.
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Eco è stato uno studioso poliedrico, i campi da lui indagati sono molteplici e naturalmente occorre fare una selezione. È considerato uno degli autori più noti della nostra letteratura contemporanea ma è anche uno dei più incompresi. La sua seconda opera, Il pendolo di Focault, fu uno dei libri più venduti ma meno letti, acquistato in massa dopo il grande successo de Il nome della rosa, ma a causa della sua complessità dimenticato dai lettori delusi tra gli scaffali delle loro librerie.

Tutti i romanzi di Eco offrono più di una chiave di lettura e, in ogni caso, la prima risulta essere la più superficiale e non aderente al pensiero dell’autore. E così Il nome della rosa non è il romanzo giallo che la maggior parte dei suoi lettori crede, il caos che domina Il pendolo di Focault è l’emblema del labirinto in cui viviamo e Il cimitero di Praga non è un romanzo storico, al contrario ci mette in guardia da ciò che il cambiamento della nostra società ha prodotto.

Quest’ultimo romanzo risale al 2010 e ci mostra quanto sia assurdo credere di possedere tutta la conoscenza esistente con un solo click. Accedere a milioni di informazioni con semplicità e in pochi secondi non significa essere in possesso di tale conoscenza, per la quale è indispensabile la capacità di elaborare criticamente i dati ricevuti.

La critica alla logica della comunicazione

La realtà può essere alterata, cambiata e addirittura creata dalle parole. Ce lo dimostra il protagonista del romanzo ma anche un caso storico, citato nel testo, come I Protocolli dei Savi di Sion. Si tratta di un falso diffuso in tutta Europa, sfruttato da Hitler e giunto persino tra le credenze di uomini illuminati come Henry Ford.

Eco ci mostra il processo che è alla base delle cosiddette fake news, o bufale, un vero e proprio problema per la nostra società. Queste appaiono sempre più presenti sul web e sempre più difficilmente riconoscibili, dalle più innocue a quelle più pericolose.

Il romanzo narra di un falsario, Simone Simonini, che offre le proprie capacità a poliziotti, servizi segreti e persino a uomini di stato. Simone plasma la storia a suo piacimento, trasformandola con i suoi documenti fittizi nati, spesso, dalla decontestualizzazione di documenti già esistenti e, dunque, prendendo avvio da fatti reali. È il principio della verosimiglianza a rendere queste notizie plausibili.

Il romanzo è stato spesso definito storico ma in questo modo si rischia di cadere in un grandissimo errore: l’obiettivo di Eco era quello di smascherare la macchina della comunicazione che sottopone la conoscenza al servizio della mistificazione, del resto Eco conosceva bene le strategie comunicative avendo lavorato per anni per la Rai.

Con lungimiranza Eco è riuscito ad indagare i problemi che sarebbero potuti nascere dalla cultura di massa e dal nuovo modello di comunicazione sorto con l’evolversi della tecnologia. Molti sono stati gli interventi dello scrittore sulla questione e sarebbe impossibile ricordarli tutti. Unendo alla produzione letteraria quella saggistica, Eco ci ha avvertito in tempo sulla potenza della lingua, sulle strategie di comunicazione e sui pericoli che queste comportano. Ora sta a noi riprendere e soprattutto comprendere la sua lezione.



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