Le Groupies? Muse folli e rivoluzionarie. La loro storia

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Muse folli e rivoluzionarie: la storia delle Groupies

Chi sono le groupies? Nell’immaginario di oggi corrispondono a fan accanite disposte a qualunque follia pur di intrufolarsi nel backstage o nella stanza d’hotel del loro idolo. Nulla di più.
Non potrebbe esistere descrizione più limitante. Nonostante sesso, droga e rock’n roll fosse il loro mantra, le groupies – o ragazze elettriche, come le definiva Frank Zappa – sono state muse moderne, modelli di libertà sessuale e icone di moda durante tutta la golden age della musica rock.
Fra scandali sessuali, canzoni d’amore (e non) e copertine di magazine, facciamo qualche passo indietro per scoprire la loro storia.

Gli anni ’60, la culla del cambiamento. I movimenti pacifisti, i capelli lunghi, i blue jeans, le droghe psichedeliche. I Beatles facevano da sottofondo allo scontro aperto fra le nuove e le vecchie generazioni. Non rimasero soli a lungo: ad affiancarli arrivarono i Rolling Stones, tallonati da Janis Joplin, Doors, Jimi Hendrix e molti altri. Negli ambienti giovanili si respiravano un fermento e un’eccitazione mai visti prima. Era l’esplosione della controcultura e della beat generation.
È questo lo scenario in cui le groupies fanno il loro trionfale ingresso, armate di scollature oltraggiose e di quella spavalderia che alle donne era sempre stata negata. Fino a quel momento. 

Come nasce il termine Groupies?

A voler essere onesti, agli inizi degli anni ’60 il termine “groupies” non era ancora in uso. Fu per primo Baron Wolman, direttore della fotografia del Rolling Stone, ad intuire il potenziale di queste ragazze. Bazzicando i camerini e gli studi di registrazione per realizzare i suoi scatti non poté fare a meno di notarle. Ovunque andasse la musica, c’erano anche loro. Capì che rappresentavano qualcosa di più di fans in cerca di contatto sessuale: erano parte integrante del movimento culturale che si stava realizzando nell’industria della musica. Nel ’69 Wolman realizzò un servizio per Rolling Stone. Il titolo dell’articolo, Groupies and Other Girls, stampò sulle ragazze del backstage un’etichetta che non si scollarono mai più di dosso.

«Noi non assistiamo allo show: lo show siamo noi»

Groupies and Other Girls -Rolling Stone, 1969
Groupies and Other Girls – Rolling Stone, 1969

Quando Baron Wolman invitò alcune di loro per realizzare lo shooting ne rimase impressionato: tutte si presentarono vestite come modelle haute couture, per nulla intimorite dall’obiettivo fotografico.

«La prima cosa che mi colpì di queste donne fu che avevano passato un sacco di tempo ad agghindarsi in maniera tanto creativa da non poterci credere» dichiarò. «Avevano mischiato i loro outifit quotidiani con capi e oggetti da negozio d’antiquariato, creando qualcosa di assolutamente unico. Non apparivano mezze nude per sollevare l’attenzione maschile. Erano vestite per dare spettacolo.»

Nomi d’arte accompagnati da lustrini, boa di piume, valanghe di gioielli vistosi, accostamenti stravaganti. Da spettatrici passive del panorama rock si erano trasformate in protagoniste. Erano lì per inscenare la rottura totale con le regole perbeniste che soggiogavano l’immagine femminile, usando come arma la libertà sessuale, l’auto-celebrazione e l’eccesso portato all’estremo, nella vita e nel guardaroba. Da quel momento in poi le groupies cavalcarono gli anni ’70 come modelli e icone di stile, sia in termini di moda che di attitudine. Non solo ispirarono gli outfit da palcoscenico degli artisti stessi, ma riversarono la loro influenza sui grandi stilisti nei decenni successivi.

Quando il gioco si fa estremo: calchi di attributi e scandali sessuali

Cynthia Plaster Caster
Cynthia Plaster Caster in compagnia di un pezzo della sua simpatica collezione

Sarebbe comunque ipocrita sostenere che rotolare tra le lenzuola del divo di turno non fosse tra i loro obiettivi principali e, diciamocelo, la concorrenza era tanta. Qualcuna aveva anche messo in piedi escamotage particolarmente originali per riuscirci. Avete mai sentito parlare di Cynthia Plaster Caster? Quella che si intrufolò nella stanza d’hotel di Jimi Hendrix e lo convinse a prendere un calco in gesso del suo pene. Dopo il suo ne collezionò molti altri, tanto che organizzò diverse mostre delle sue opere e i Kiss le dedicarono anche una canzone, l’omonima ‘Plaster Caster‘. L’idea di ottenere riproduzioni in gesso dagli attributi delle rockstar le venne parlando con Frank Zappa, che la trovò estremamente divertente. 

Conosciamo bene la sregolatezza che caratterizzava gli artisti di quegli anni e non sorprende scoprire che molte groupies si siano rese protagoniste di situazioni a dir poco folli. È il caso della misteriosa groupie dai capelli rossi coinvolta nell’incidente del Mud Shark secondo il quale, complice una dose massiccia di stupefacenti, i Led Zeppelin fecero uso improprio di uno squaletto appena pescato dalla finestra dell’hotel in cui alloggiavano, proponendolo alla ragazza come improbabile sex toy. Anche questo episodio fu considerato – contro l’opinione generale – esilarante da Frank Zappa, il quale vi si ispirò per la scrittura del pezzo che porta il titolo di “Mudshark“, appunto.

Fonti d’ispirazione e angeli custodi

Anche senza bisogno di attingere a situazioni stravaganti ed eventi scandalosi, l’influenza delle groupies stuzzicò la fantasia compositiva di molti Dei del rock e del pop. Sono infatti dedicate a loro alcune delle canzoni più famose del periodo: ‘Hot Dog‘ dei Led Zeppelin, ‘Ruby Tuesday‘ dei Rolling Stones, ‘Rocket Queen‘ dei Guns’n Roses, ‘Fat Bottomed Girls‘ dei Queen. E l’elenco è ancora lungo.
Fat bottomed girls,
you make the rockin’ world go ‘round
Questi brani nascevano da un sincero sentimento di affezione. Gli artisti si sentivano compresi e confortati dalla presenza delle groupies che li seguivano con un ardore simile a quello del fanatismo religioso, partecipando ad ogni fase della loro vita artistica e privata: confezionavano per loro abiti di scena, vestivano i panni di amorevoli mogli e madri surrogate durante i mesi passati lontano da casa, fungendo da distrazione e ispirazione.

Groupies: 50 anni dopo

Cosa rimane alle superstiti di questa sfavillante sottocultura? Una marea di fotografie, un lungo elenco di articoli e libri, diversi film – come Almost Famous di Cameron Crowe. E la consapevolezza di aver preso parte a un movimento senza precedenti.
Tante oggi si dedicano alla famiglia, sono diventate imprenditrici o hanno continuato a lavorare nella musica, pur rimanendo saldamente attaccate ai ricordi agrodolci della golden age.

Pamela Des Barres, una delle ragazze di “Groupies and Other Girls” immortalate da Wolman, ha compiuto 72 anni. Definita da molti la madre di tutte le Groupies, ne ha certo il merito: vanta tra le sue conquiste personaggi del calibro di Jim Morrison, Mick Jagger, Jimmy Page e Keith Moon. Nel corso della sua vita ha pubblicato ben cinque libri in cui svela le sue avventure scandalose nei backstage. Come le altre ha assistito allo scorrere del tempo che ha tramutato le persone alle quali ha scelto di consacrare anima e corpo in leggende.
In qualità di ex groupie ha dovuto affrontare tutte le controversie del caso: accuse a posteriori di anti-femminismo, polemiche circa la mercificazione del proprio corpo. Ma Pamela sorride di fronte a tante parole. «Eravamo tutte lì solo per la musica: io sono stata considerata una puttanella sottomessa agli uomini, ma in realtà sono una donna che ha fatto esattamente quello che voleva nella vita» racconta alle pagine del Rolling Stone cinquant’anni dopo l’articolo che avrebbe fatto la storia. «La gente mi domanda, “Perché hai voluto incontrare questi ragazzi?”. Perché no? Perché non voler partecipare a qualcosa di così importante?» 

Pamela Des Barres, la regina delle Groupies: oggi è una scrittrice affermata.

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