Intervista a PROTTO (anche se non è ricco)

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PROTTO è un mattacchione di quelli veri: piglio da dinoccolata “mosca da bar” (spero non ce ne abbia, il cantautore, per la nostra citazione bukowskiana), ironia affilatissima per riaprire con cura – dietro la maschera del sorriso – le piaghe dell’anima, lessico democratico (nella sua ricercata accessibilità) di chi sa che il linguaggio rende liberi e allo stesso tempo schiavi della responsabilità che dalle parole deriva. Insomma, un cocktail dall’anarchica alchimia che va gustato a fondo solo dopo aver imparato a sorseggiarlo (e maneggiarlo) con cura; per tutti i folli someliér di buona musica, qui di seguito le indicazioni generali per capire con che sbronza musicale potreste avere a che fare, dopo aver provato PROTTO.

Ciao PROTTO, raccontaci un po’ la storia dietro “Fossi Ricco” .

Ho scritto “Fossi ricco” un giorno in cui l’amministratore delegato dell’azienda per cui lavoravo è venuto ad illustrare in una mega riunione l’andamento trimestrale e il posizionamento di mercato. Tra un grafico a torta, una percentuale e un indice di cashflow il mio pensiero è volato fuori dalla finestra. In un primo momento mi sono domandato cosa avrei fatto se fossi diventato ricco: la risposta immediata è stata che sarei morto nei festeggiamenti, ma poi ho pensato a come i binomi avere/essere o prezzo/valore vengano spesso confusi tra l’oro o identificati nel medesimo concetto. E a perderci è solo la ricchezza d’animo, a discapito di una più superficiale e largamente condivisa.

Quali sono i tuoi riferimenti, musicali e non, che ti accompagnano nella costruzione di un brano o del tuo progetto?

Il mio progetto ha una forte vena ironica, a volte si sconfina nella satira, ma l’idea è quella di buttar sul ridere alcuni fenomeni di costume sotto gli occhi di tutti. Altri brani sono più riflessivi, più emotivi, per la teoria secondo cui nessun solido sta in piedi con una faccia sola. Musicalmente potrei citare i DEVO, Lou Reed, Eminem e Bjork, ma così farei un torto ad altre decine di autori che mi influiscono più o meno indirettamente. Grande passione per i testi di Caparezza, i Monty Pythons, per le vignette di Vauro e l’enigmistica.

Ti definiresti più come un critico allegorico o retroilluminato?

Critico allegorico è una definizione calzante, penso di riciclarla a mia volta! Il retroilluminismo è un fenomeno che invece mi spaventa molto: lasciarsi retroilluminare dal web è in parte impossibile da evitare oggi giorno, ma come sempre è solo questione di trovare il giusto equilibrio tra il proprio pensiero e quello degli altri (oltre a una buona dose di anticorpi ogni tanto)

Tasti bianchi o tasti neri?

Neri, tonalità più calde e sono “emergenti” come me.

Progetti per il futuro?

Parecchi! Intanto un EP a dicembre di quest’anno e poi si continua a scrivere, arrangiare e suonare… Vedremo!

Chiudi scrivendo qualsisi cosa, da grandi poteri derivano grandi responsabilità.

Abbiamo tutti bisogno di categorie per semplificare il nostro vivere quotidiano, in modo da far rientrare dentro uno stesso contenitore più contenuti simili tra loro. Lo facciamo per risparmiare al nostro cervello sempre più pigro preziosi byte di memoria, e anche con la musica il pubblico ne ha bisogno. Io, invece, a volte provo a sottrarmi a questi canoni, non sentendomi pienamente rappresentato da nessuno, e così appaio “obliquo” in un mondo di cassetti ordinati, eludendo ogni definizione. Ma è solo un’arma a doppio taglio: da un lato riesco ad essere sempre me stesso al 100% in ogni cosa che scrivo, dall’altro rischio di proporre un’offerta talmente “originiale” e di nicchia da non corrispondere a nessuna domanda di mercato.

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