Nel DNA di Stefano Nottoli, l’intervista

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Stefano Nottoli, oggi esploriamo il tuo DNA a fondo per capire davvero cosa abbiamo davanti a noi. Ti senti di metterci in guardia, in qualche modo, da questa discesa negli abissi?

Nessuna premessa, sarò felice di mettermi nudo di fronte ai lettori, manie di egocentrismo.

Da dove nasce la tua passione per la musica e per il cantautorato? Qual’è il tuo primo ricordo legato ad uno strumento musicale?

La passione per la musica è uscita dall’utero di mia madre insieme a me, è la mia gemella. Da che ho memoria sono sempre rimasto affascinato da tutto ciò che è musica, ricordo i primi videoclip che passavano su Video Music, poi diventata MTV, e io bambino che facevo finta di suonare le tastiere insieme alle band che passavano in TV. Ho davanti agli occhi il video di Born in the USA del Boss, ricordo che iniziavo a correre per casa come un pazzo. Poi i giochi in giardino da solo in cui giravo dei videoclip meravigliosi, senza dimenticare i concerti che facevo in corridoio dove lo zerbino era il palco e il corridoio conteneva una platea immensa, che concerti!

E invece, la prima canzone che hai scritto te la ricordi? Di cosa parlava, e a chi era dedicata?

Se non ricordo male la prima canzone l’ho scritta nell’estate tra la prima e la seconda media e si intitolava Francesca, potete immaginare perché; purtroppo l’alluvione del 2009 ha portato via con se molti testi che avevo scritto in quel periodo. Ricordo una canzone dedicata a Leopardi dopo che la prof. di italiano aveva spiegato in classe la sua poesia A Silvia, stavo già male al tempo…

Alle tue spalle, oggi, un repertorio di canzoni davvero vasto, tutte caratterizzate da una ricerca testuale di qualità e di impegno. Ma da dove nasce una canzone, per Stefano Nottoli? E quali devono essere i requisiti che, a tuo parere, una canzone dovrebbe avere, per definirsi tale?

Mi piace pensare che le canzoni provengano da dimensioni parallele, poi ci sono persone che hanno la fortuna di poterle sentire e riportare qua da noi, spinti dalla forte necessità di farlo, come un bisogno primario. Sinceramente non ho idea quali siano i requisiti che deve avere una canzone, almeno dal punto di vista tecnico, se fa stare bene chi la scrive e chi la ascolta, direi che abbiamo una canzone. 

E poi, si arriva a “DNA”: un linguaggio musicale, fresco, a far da volano ad un testo scritto in modo semplice quanto impegnativo, per la natura delle sue immagini e la portata delle sue riflessioni. Cosa ne pensi della scena musicale contemporanea?

La scena musicale è vasta, un oceano di musica e di parole, alcune musiche e alcune parole mi piacciono molto, mi affascinano fino a trarne ispirazione, di altre potrei farne anche a meno, ma sono gusti. Lo so, è una risposta democratica, ma è il mio pensiero.

E invece, a livello di scrittura, ci racconti com’è nata “DNA”? Analisi mediche specifiche o congetture filosofiche estreme?

La canzone nasce durante una passeggiata che stavo facendo vicino casa, mi piace andare a camminare e ho scoperto essere ottimo per scrivere canzoni. Insomma, stavo pensando al giorno della memoria, a come gli eventi stanno diventando ogni anno sempre più distanti per le nuove generazioni, e come dentro di noi portiamo la memoria sia storica ma anche biologica del nostro passato, un passato che viene da molto lontano. Poi ho iniziato a canticchiare tra me e sono venuti fuori testo e melodia, poi la camminata è diventata corsa per non perdere il momento e, tutto sudato, mi sono messo al pianoforte, ho preso il primo foglio di carta, una penna e ho scritto DNA.

Sei uno che ha sempre fatto le cose (o almeno, così pare a prima vista) a modo proprio, prendendosi i giusti tempi e spazi di meditazione e riflessione. Qualche mese fa, il CEO di Spotify ha sottolineato che, per essere considerati dei “musicisti attivi”, sia necessario pubblicare ogni mese qualcosa, rendendo evidente l’ingerenza del principale sistema di fruizione online negli schemi di produzione ideali dell’arte, arrivando addirittura a ridisegnare una nuova visione di artista sempre più indirizzato verso la produzione massiva piuttosto che di qualità. Vorrei un tuo pensiero in merito.

Il mio pensiero è molto semplice, se ho da dire qualcosa con una canzone lo faccio, altrimenti no, non è un obbligo, non me lo ha ordinato nessuno. Detto questo, se un artista ha una rosa di canzoni pronte e le vuole pubblicare, farle uscire a cadenza mensile può essere una delle molteplici strategie che si possono seguire,considerando questo periodo storico in cui tutto è fluido e passa velocemente. Mi piacerebbe ci fosse un po’ più di resistenza artistica, in cui l’artista impone le regole, ma è solo utopia, non lo è mai stato. 

C’è qualcosa che ti senti di anticipare sul tuo futuro? Nessuna promessa, solo un sentimento (possiamo dire così?) che senti inciso nel DNA, e che quindi sai che ti apparterrà per sempre, in un modo o nell’altro.

In questo periodo sto lavorando alla pre-produzione di nuove canzoni insieme al mio bassista Pepi e posso anticipare, come scritto nel mio DNA, che non avranno il suond di ciò che ho pubblicato fino ad oggi.

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