Take it slow è il disco d’esordio degli Artica
Puro rock’n’roll: non si può descrivere altrimenti Take it slow, prima fatica discografica degli Artica uscita per Volcano Record. Dieci tracce di batteria, basso, chitarra e voce; un quartetto che, a rievocarlo, sembra di ricordare il Brasile di Pelé o il Grande Torino, storie dimenticate ma leggendarie.
Gli Artica sono usciti con un ottimo disco che, senza troppi fronzoli, trasmette grinta e passione, che è tanta roba.

Dieci tracce di rock
Psycho Soul mette subito le cose in chiaro, con il “Come on” urlato nel ritornello ed un riff di chitarra che trascina subito in medias res, dritti sotto il palco (per ora virtuale) a ballare sotto cassa.
Dopo una transizione soft con All we need, la chitarra torna protagonista con I don’t know why, mentre le atmosfere si fanno R&B in Call the police.
Superato il giro di boa, c’è un’incursione negli anni ’90 con una traccia di synth in Fired Up, caratterizzata da una doppia line vocale che ricorda il punk rock a cavallo tra il XX ed il XXI secolo ed un bridge spettacolare suonato da pianoforte sintetizzato, cassa in quarti e chitarra.
Dopo Drive my way e Lost my soul, due canzoni orecchiabili e molto piacevoli, si torna a sfiorare l’hard rock con Knife’s dance, dove la ritmica la spadroneggia nel rendere possente la sonorità della strofa, che però si scioglie nel ritornello reso melodico dal controcanto che è, evidentemente, una delle armi migliori del gruppo.
Arrivati al decimo brano di Take it slow, gli Artica offrono Shuld not be, che si apre con un arpeggio di chitarra che sembra congedare l’ascoltatore, ma in realtà si sviluppa in un brano carichissimo che conclude il disco su una nota tenace che è specchio delle nove tracce precedenti.
Molti riferimenti per un disco utile
Nel genere che propongono gli Artica inventare è difficile ed è pericoloso.
Take it slow è un ottimo album, difficile non volerlo riascoltare ed è difficile non apprezzarlo.
Ci sono moltissimi riferimenti al rock che è stato, dalle incursioni punk in stile Anti-Flag e Green Day alla vena à la Oasis che emerge in diversi punti, dai riff al cantato.
I brani migliori sono sicuramente quelli che si spingono di più agli estremi, ma in generale, quest’album ha il pregio di risultare quasi innovativo in una scena musicale che il rock è sempre meno abituata a sentirla. Dunque, Take it slow è un disco che fa piacere trovare e sentire.