10 domande a Tiler, “il piastrellista” genovese

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Piastrelle d’arte per abbellire le città

Di Chiara Barbagallo

Tiler è il nome d’arte con cui un misterioso uomo genovese firma le opere che lascia in giro per le città.
Chi vive nel capoluogo ligure ne avrà sicuramente vista almeno una ma si possono trovare anche in altre parti d’Italia e in Francia. Nello specifico, si tratta di immagini surreali o pop applicate su piastrelle e collocate sui muri più grigi e degradati delle città. In inglese, infatti, il termine tiler significa proprio piastrellista. Tiler, però, è molto più di un posatore di piastrelle, è un artista che ha scelto “la strada come galleria personale“.

La sua identità rimane ignota e, per preservarla, questa intervista è stata svolta come un carteggio digitale.
Ecco il risultato:

1- Tiler, ti definisci Street artist o artista in senso generico?
Sui social mi definisco in entrambi i modi ma sono solo parole. Nel mio laboratorio do vita ai miei sogni ma è in strada che raggiungo il passante.

2- Come ti è venuto in mente di attaccare piastrelle sui muri delle città? Non era più facile dipingerli?
La pittura sporca, nella ricerca del supporto ho valutato anche quell’aspetto. In più un murale va realizzato sul posto con tutti i rischi che ne conseguono. Io preparo i miei lavori con calma in studio e attaccarli per strada è semplice, le persone non mi notano, neanche quando lo faccio in pieno giorno.

3- Usi solo piastrelle per trasmettere artisticamente i tuoi pensieri?
La ceramica è arrivata dopo tanti anni di studio e analisi del mondo dell’arte. Cercavo un supporto che mi permettesse di realizzare ciò che creavo in maniera unica e pulita. Ma lo studio non finisce mai: il mio bisogno di esprimermi mi spinge a ricercare e lavorare su tutti i materiali che scopro; quasi sempre si tratta di materiali che mi ritrovo ad usare nella vita di ogni giorno, che noto subito per la loro possibile utilità in campo artistico, come il catrame e la schiuma. Il catrame è qualcosa di speciale, mi aiuta a creare figure tridimensionali donando loro un effetto particolare; per adesso esiste un solo quadro realizzato con quella tecnica. La schiuma è un altro esempio di studio che ho effettuato; anche in questo caso, esiste una sola creazione, un omone 1:1 che non ho ancora terminato.
Nel mio percorso artistico ho voluto anche trovare un metodo per creare figure tridimensionali pur non allontanandomi troppo dal mio lavoro. Tempo fa avevo creato una testa per una statua presente ai parchi di Nervi (a Genova), con un risultato molto coinvolgente.
Si trattava di un cubo di piastrelle raffigurante il muso di una scimmia ed era stato posto su una statua classicheggiante creando un forte contrasto visivo purtroppo non apprezzato da tutti. Perciò il lavoro è stato rimosso il giorno seguente [N.d.R.]

4- Da un punto di vista pratico, come realizzi le tue opere?
Il mio lavoro può richiedere svariate ore in studio ed è diviso in tre fasi: scatti, computer e infine ceramica.
La parte più importante è quella della preparazione del soggetto da apporre alle piastrelle. Non sono semplici elaborazioni al computer ma veri collage di fotografie. Quando si guarda un mio lavoro si vede un mondo che in realtà è composto da svariati scatti fotografici uniti ad arte per sembrare tutt’altro. Un quadro può derivare anche da 50 fotografie diverse.
Finita la parte progettuale si porta il tutto su ceramica sfruttando le alte temperature e la capacità dei colori acrilici di attirarsi tra loro.

5- Come mai nei mondi che crei sono presenti tanti esseri ibridi uomo-animale?
Ciò che creo è ciò che sogno, una capacità che ho da sempre è quella di visitare mondi e conoscere creature. Negli anni ho dovuto solo trovare un modo per portare nella realtà quello che incontravo nella fantasia. Ho sempre cercato un modo diverso dalla parola o dalla penna per mostrare ciò che vedevo. Credo inoltre che gli ibridi siano il mio modo di far notare alle persone quanto in ognuno di noi si nasconda la natura che ci circonda, siamo parte del pianeta ed esso è parte dell’universo che lo ospita, il nostro corpo è stato altre cose o altri esseri e noi portiamo nascosto dentro questo remoto ricordo.

6- In molte tue opere questi esseri sono inespressivi, quasi apatici, invece in altre sono mostrati volti che urlano. Come mai questa dualità agli antipodi? 
La fantasia può esprimersi in diverse forme e può esprimere diverse emozioni. Quello che si vede nei miei lavori è differente a seconda di chi li sta guardando. Ognuno di noi ha un’esperienza di vita diversa, ognuno di noi davanti ad un’immagine proverà sensazioni dettate dal proprio cervello e dai propri ricordi. Volti, corpi, paesaggi, tutto viene creato per far nascere un pensiero. Quello che per alcuni è un volto che urla, per altri è un volto che canta, mi piace giocare con chi osserva per vedere come descriverà il mio lavoro.

7- Spesso utilizzi colori fluorescenti o associabili al veleno come le tonalità di viola e verde. Con questa tua scelta vuoi alludere ad atmosfere ‘malate’, oniriche in senso allucinatorio, post-apocalittiche, post-atomiche…?
E’ vero, spesso le ambientazioni in cui vivono i miei personaggi possono sembrare malsane, eppure sono solo diverse da ciò che siamo abituati a vedere. Per noi gli alberi hanno chiome verdi, il cielo è azzurro e il mare è blu; eppure questa è solo la nostra realtà, quello che noi siamo abituati a percepire. Siamo sicuri che questi colori siano i medesimi in ogni universo

8- Per la scelta dei colori più pop ti ispiri ad Andy Warhol?
Lui è stato un vero maestro, unico nel suo essere riuscito ad arrivare alle persone. Questo mi ispira, la sua voglia di fare un’arte che parli alla gente. Quando entro ad una sua mostra mi sento rapito da tutto quel colore, dalle sue immagini così semplici eppure così dirette. Lui per me è unico ma non è l’unico, mi perdonerai il gioco di parole ma quello che intendo dire è che per essere un creativo devi studiare tutto il mondo dell’arte, devi conoscere le tecniche migliori e capire tutti i personaggi, non per copiarli ma per ispirarti e soprattutto per essere sicuro di non essere la copia di nessuno.

9- Come scegli il muro e la relativa immagine da apporvi?
Da quando ho iniziato il lavoro per strada ho sempre cercato di scegliere muri che, una volta utilizzati, non creassero rabbia in nessuno. Cerco di evitare i muri tenuti bene e se possibile quelli di abitazioni private. Non ho mai voluto farmi odiare, per questo scelgo principalmente zone degradate, cerco di migliorare una situazione in modo da stimolare il passante e rallegrarlo, distrarlo dalla vita che scorre sempre uguale. Il mondo comunque è pieno di muri meravigliosi e di persone a cui ispirarsi. 

10- La maschera con cui nascondi la tua identità è quella di una scimmia. Come mai hai scelto proprio questo animale?
Ho scelto la scimmia perché in fondo è quello che siamo: ci vestiamo bene, parliamo, creiamo, ma i nostri istinti restano quelli del nostro antenato e non dobbiamo stupirci troppo quando mostriamo questo lato.
La società che abbiamo creato ha le sue regole ma non dobbiamo scordarci di essere nati senza leggi o divieti. Quando gli istinti prendono il sopravvento, possono portare ad una crescita, altre volte però, portano disgrazia. 

Link utili: tilerart.com
instagram.com/tilerart/?hl=it

English version: indielife.it/2021/04/08/10-questions-to-tiler-the-tiles-artist-from-genoa/

Photo courtesy dell’artista

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