Con il singolo “Quando c’era il Liga”, Mac Parak riporta l’ascoltatore negli anni ’90, tra chitarre ruvide, emozioni a cuore aperto e quella sincerità sonora che ha segnato una generazione. Il brano, omaggio dichiarato al rock italiano di Ligabue, Litfiba, Timoria, Vasco Rossi e Rats, è molto più di un esercizio di stile nostalgico: è un viaggio personale nel tempo, un ponte tra passato e presente, tra adolescenza e consapevolezza adulta.
Scritto come una vera e propria “poesia rock”, il brano nasce dal desiderio di riscoprire la forza autentica di un linguaggio musicale diretto, imperfetto e viscerale. In “Quando c’era il Liga”, Mac Parak intreccia la malinconia dei ricordi con la potenza del suono analogico, restituendo l’energia genuina di un’epoca che sapeva raccontare la vita senza filtri.
Dopo un periodo di pausa, Mac Parak torna sulla scena con una ritrovata urgenza creativa e una visione chiara: fare musica sincera, senza compromessi, capace di parlare a chi c’era e a chi oggi vuole riscoprire la verità emotiva di quegli anni.
“Quando c’era il Liga” è un chiaro omaggio agli anni ‘90 e alla musica italiana di quel periodo. Cosa ti ha spinto a rivisitare quel sound e quell’atmosfera nel tuo nuovo singolo?
Quando ho iniziato a scrivere questo pezzo, l’intento non era solo nostalgico, ma un desiderio autentico di riscoprire la verità di quel periodo. Gli anni ’90, soprattutto in Italia, avevano un rock che parlava in modo diretto, senza troppi filtri, e che sapeva essere sia epico che intimo. C’era un’urgenza, una semplicità analogica, che sento mancare un po’ oggi. Quell’atmosfera, quel “sound” crudo e sentito, è il tappeto sonoro della mia adolescenza e volevo rendergli omaggio, ma soprattutto usarlo come veicolo per raccontare le mie storie attuali con la stessa schiettezza di allora. È un ponte tra il mio passato e il mio presente artistico.
Hai menzionato di aver scritto “Quando c’era il Liga” quasi come una poesia rock. Quali sentimenti e esperienze personali hai voluto esprimere attraverso questo brano, e come hai trasformato quei sentimenti in musica?
La definizione di “poesia rock” nasce dal modo in cui le parole mi sono venute. Non è solo un brano narrativo in senso stretto, ma anche una raccolta di sensazioni, di lampi emotivi. Volevo esprimere quella malinconia agrodolce, tipica di quando guardi indietro: le prime volte, i sogni di provincia, il senso di onnipotenza giovanile che si scontra poi con le complessità della vita adulta. Le chitarre hanno un ruolo fondamentale, ma le parole rappresentano l’abbraccio che tiene insieme tutte quelle memorie frammentate. È un brano molto onesto sul confronto tra “chi ero” e “chi sono diventato”.
Il video di “Quando c’era il Liga” è stato girato interamente a Novara, città legata alla tua adolescenza. Come ha influenzato il tuo legame con questa città la creazione del singolo e del video?
Novara non è solo uno sfondo, è un personaggio silenzioso del brano e del video. È la mia città, la cornice delle prime uscite in motorino, delle prime serate e delle prime delusioni. Nel singolo, il richiamo a “quel tempo” è indissolubilmente legato a quei luoghi. Per il video, tornare a girare davanti alla mia scuola, sotto il palazzo dove vivevo, le periferie dove facevo scorribande, be’, è stato fondamentale ed emozionante! Novara era il punto di partenza e i luoghi fisici hanno amplificato la risonanza emotiva del pezzo, rendendo il racconto ancora più vero e radicato.
Parliamo del processo creativo di “Quando c’era il Liga”. Come è stato il lavoro di registrazione e come hai cercato di catturare quell’atmosfera analogica che caratterizzava la musica degli anni ’90?
La sfida più stimolante è stata quella di non “simulare” quel suono, ma di ricrearlo con rispetto. Ho dato enfasi ai suoni “vivi”: la batteria potente e non troppo compressa, il suono graffiante e diretto del basso, e chitarre che avessero corpo e carattere. Volevo che l’ascoltatore si sentisse letteralmente nei primi anni ’90, proprio quando c’era il Liga che spopolava alla grande.
Con “Quando c’era il Liga” hai ritrovato il tuo posto sulla scena musicale dopo un periodo di pausa. Come ti senti riguardo al ritorno e quali sono le tue aspettative per il futuro della tua musica?
Questo ritorno, per me, è stato quasi catartico. Dopo un periodo di pausa di sei anni, tornare a scrivere e a produrre con questa urgenza è stata una riconferma della mia identità. Mi sento rigenerato, con la consapevolezza e la maturità di oggi, ma con la stessa fame degli inizi. Le mie aspettative non sono legate alle classifiche, ma all’onestà artistica: voglio continuare a scrivere canzoni che parlino in modo diretto, senza compromessi, a tutti quelli della mia generazione. Voglio poterli emozionare, così come mi sono emozionato io nello scrivere i brani. L’obiettivo è incontrare chi ascolta la mia musica e mantenere accesa quella scintilla che mi ha riportato alla mia musica.

