Un té con Cardo

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Di Cardo, abbiamo già avuto modo di parlare altrove. Ora, in pieno tea-time, è il momento di parlare con Cardo del suo nuovo singolo per Dischi Rurali, “Presto lo vedrai”:

Cardo, subito una domanda a caldo utile a capire come stai: un pensiero sul mondo della musica e della cultura, all’alba di quello che sembra poter essere l’inizio di un nuovo incubo da DPCM. 

Vedo una pianura arida, non uno scenario da deserto del Sahara ma uno scenario più da Savana dove ogni tanto spunta qualche arbusto nel bel mezzo di una prateria stepposa. Non mi aspetto niente in ogni caso. Sicuramente non è un momento facile e credo che prima della prossima estate suonare sarà molto difficile.

Ti avevamo lasciato quest’estate con il provocatorio “Se insisti te lo do”; oggi, invece, sembri tornare a casa recuperando un sound più vicino ad “Unità”, il tuo secondo singolo con Dischi Rurali. Se dovessi tracciare un fil rouge a collegare le tue ultime quattro pubblicazioni, quale sarebbe? Qual’è il punto comune che collega le varie sfere del cielo di Cardo?

Abbiamo irriverenza e romanticismo. Il fil rouge è il mio stile cult-pop che accomuna il sound, le immagini e l’anima dei brani. Le stesse copertine dei singoli sono pensate in funzione di questa suggestione. L’immaginario e il sound dei brani  evoca uno stile cult che si origina dagli anni 70 e sfocia anche nei ’90, anni che hanno attinto molto dai precedenti Settanta.

“Presto lo vedrai”, come spesso accade nella tua produzione, parla d’amore. Sei d’accordo con Brunori, che sostiene che solo d’amore si può cantare, perché “di che altro vuoi parlare”?

Abbastanza d’accordo, più che altro direi che si può parlare quasi esclusivamente di emozioni. L’amore può trasfigurare anche in rabbia, menefreghismo e irriverenza come nel caso di “Presto lo vedrai”. Credo che comunque in generale parliamo essenzialmente di emozioni che possono essere di ogni tipo.

Ci racconti qualche anneddoto legato al brano? Come nasce, “Presto lo vedrai”? Ti ricordi il momento in cui hai cominciato a scrivere i primi versi?

Il brano si lega ad una storia d’amore, a fatti risalenti a due anni fa. Una storia d’amore che vedevo un po’ come un film horror, di quelli in cui il cattivo sembra morto ma poi nella scena finale ci lascia il dubbio che possa ritornare per un prossimo episodio. I cult dell’horror come “Nightmare”, “Venerdì 13” per esempio.  L’ho scritto verso la fine dell’estate scorsa quando vivevo a Bologna. Ricordo che faceva molto caldo, bevevo molti amari e avevo la mia chitarra acustica.

Tral l’altro, un particolare (importantissimo) del tuo modo di fare musica sta nel ricerca un sound che sia vero, suonat. Possiamo dire che la tua è una sorta di battaglia etica, in un certo senso, contro la logica delle produzioni di plastica, dei sample di Logic? 

Sì, per questo disco volevo un effetto molto reale di tutto, volevo sentire l’anima delle cose e quindi l’anima dei suoni. Per questo  insieme a Federico Carillo con il quale ho curato la produzione abbiamo deciso di seguire questa linea reale e per certi versi intimista e introspettiva.

Intanto, insieme a te sta crescendo anche Dischi Rurali, etichetta indipendente e quasi “neonata” che nell’ultimo anno ha aggiunto al suo roster progetti sempre più convincenti. La parola “rurale”, in un certo senso, è quella che mi colpisce di più: in che modo ti senti “rurale”?

Io mi sento rurale nel senso di vero, reale come intenzione e senza troppi artifici. Ricerco la realtà e cerco di restituirla filtrata dal mio punto di vista. La ruralità oggi è una grande qualità e in un mondo di finzione e di prodotti artificiali le mie canzoni hanno la genuinità, sono biologiche, “paesane”.

Hai dato un nome ben preciso, al tuo genere: Cult Pop. Ma cosa significa e come si fa ad essere cult pop, oggi?

Sì è una poetica di cui senza presunzione posso dire di aver creato e dato vita a quello che è il genere cult-pop (almeno in Italia). Mi ispiro a tutto ciò che può essere accostato a qualcosa di cult sia nella forma che nella sostanza, quindi anche molto a serie tv, film cult e alle musiche che hanno accompagnato questi film. Ma in genere anche un oggetto o una semplice immagine può evocare e darci la sensazione di trovarci di fronte a qualcosa che è stato culto. Le mie canzoni restituiscono questa sensazione. Il cult è una suggestione, una sfumatura anche difficile da cogliere nella musica. Il disco che uscirà all’inizio del prossimo anno sarà il “manifesto” di questo genere che ho definito cult pop.

Lasciaci consigliandoci un film da vedere stasera e un disco da ascoltare domani mattina, per inaugurare la giornata. 

Per stasera “They live (essi vivono)” di John Carpenter, regista che è mia fonte di ispirazione. Per iniziare la giornata invece “1999” di Prince.

Intanto, noi di Indielife, come film da guardare ora, vi lasciamo “Presto lo vedrai”, il nuovo video musicale di Cardo:

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