La musica facile di Marco Scaramuzza

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Non è sempre così facile parlare di musica, anzi. Il più delle volte, per quanto vogliamo raccontare a noi stessi la bugia che “da noi la musica non è così male”, “oh, spacca il nuovo singolo di questo nuovo nome nuovo della nuova scena nuovissima”, “ma dai, che è un bene che ci siano così tanti emergenti da scoprire/ascoltare/dimenticare ogni venerdì”, ecco, per quanto insomma siamo bravissimi – noi critici amatori soprattutto – a vedere fiori e primavera laddove regnano solo piante sintetiche e aridità desertica, negli ultimi tempi parlare di musica sta diventando sempre più complesso: canzoni simili ad altre canzoni simili per recensioni che spesso superano per qualità il materiale proposto.

Ecco perché, quando poi ci si ritrova a che fare con qualcuno che sfugge alle regole della catalogazione e agli schemi usurati del mainstream, diventa paradossalmente più facile scriverne: l’urgenza, la sincerità e la voglia genuina di esprimersi (per comunicare qualcosa che c’è, e non il solito surrogato di emozioni inflazionate utili solo a giocare al ribasso sul mercato di svendita delle idee) non hanno bisogno di troppe parole, se non di quelle che, di volta in volta, riescono a trovare artisti ispirati come Marco Scaramuzza, che dopo “Rosa” – secondo singolo del cantautore veneziano dopo l’esordio con “Cuore di plastica” – ha trovato in noi di Indielife una redazione attenta all’evolversi della sua proposta.

Per una canzone d’autore che torni a battersi con qualità contro il muro di rumorosissimo silenzio erto da una società dell’industria intenzionata a coprire i fiori con il cemento, e a tecnicizzare la poesia. Buona lettura!

Marco Scaramuzza, partiamo con le domande semplici: tre aggettivi per dirci chi sei, e uno che proprio non ti definisce – anzi, dice il contrario.

Ciao ragazzi! Partiamo dicendo che faccio molta fatica a decidere ma ci provo. Mi identifico sicuramente in sognatore, ipocondriaco (solo un pochino dai) e versatile. Non sono per niente una persona ordinata. 

La tua storia con la musica, è una storia di incontri e di convergenze casuali quanto rivelatrici. Ci racconti come ti sei avvicinato alla scrittura di canzoni?

Diciamo che da quando sono piccolo sono sempre stato attratto dall’arte e ricordo che disegnavo moltissimo, durante l’adolescenza mi sono avvicinato al teatro che per me è stato fondamentale nella mia ricerca artistica musicale. Alla scrittura di canzoni però mi sono avvicinato nel 2017 durante una vacanza in barca a vela che mi era stata regalata, assieme ad altri giovani ragazzi, da Aldo Revello, famoso Skipper Spezzino che ricordo con tanto affetto, con il semplice obbiettivo di far capire la bellezza del mare. Durante l’attraversata notturna ero a prua che osservavo la magia del cielo e del mare, ho preso in mano una chitarra senza saperla suonare per creare dei suoni che potessero accompagnare quel mio momento e mi è venuto spontaneo cantare delle parole, il suono delle sole corde non mi bastava. Così è nata la mia prima canzone che si intitola “La Luna” e uscirà nel mio prossimo progetto musicale.

Un mese fa, “Cuore di plastica”; oggi, “Rosa”. Insomma, il sentimento sembra essere sempre al centro della tua poetica, seppur vestito in modo diverso. Esiste un filo rosso capace di collegare fra loro le due canzoni?

Penso che il filo rosso che collega questi due brani e gli altri due che usciranno a settembre si possa identificare nella ricerca della libertà intesa come libera espressione di sé stessi. Penso essa possa esprimersi lavorando sulla propria consapevolezza, nell’accettazione e placamento del giudizio.

Poi mi piace pensare che ogni persona possa trovare il proprio filo rosse nei miei brani, voglio lasciar scrivere ad ognuno la propria storia.

“Rosa” assomiglia più ad una narrazione, ad una storia cantata da un menestrello, che ad una canzone da hit parade. Oggi, ormai, tutti escono con brani che sembrano in qualche modo “settati”su determinati parametri, “coi dosaggi giusti degli esperti” come direbbe Bertoli. Tu, invece, sperimenti una canzone d’autore che in qualche modo segna un ritorno alle origini, guardando al futuro. Che cosa significa per te “libertà”? In “Rosa”, ce lo spieghi in allegoria…

La libertà per me è vedere un girasole al posto del sole, mangiare l’insalata sentendo il gusto delle patate fritte, uscire di casa con l’ombrello nero perché mi infastidisce il sole, piangere davanti ad un tramonto anche se sono circondato da amici, ordinare la pizza ai frutti di mare a Cortina, rispondere con sincerità: “male” quando mi chiedono: come stai?”, ammettere quando un amore o un’amicizia finisce. Tantissime altre cose in realtà…

Dando una letta alle tue informazioni stampa, emerge anche che a breve è prevista l’uscita di un EP. Ti va di darci qualche “spoiler” sul tuo lavoro?

Sì, in realtà l’EP è composto da quattro brani, i due che sono già usciti e gli altri due che usciranno a settembre. Dico solo che gli altri due brani sono abbastanza fuori dagli schemi, trattano tematiche molto importanti in maniera diversa da “Rosa” e “Cuore Di Plastica”, penso faranno anche divertire! Mi piace a volte utilizzare l’ironia come strumento per raccontare temi molto sensibili.

Il filo rosso continuerà, questo è certo.

Consigliaci un cocktail da gustare mentre ascoltiamo “Rosa”.

Niente cocktail. Vino rosso corposo sorseggiato lentamente.

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