Mi piace molto Beca, per motivi diversi da quelli che uno potrebbe pensare di trovare riportati su una rivista specializzata in musica indipendente. O meglio, forse per i motivi “reali”, giusti, per i quali un artista dovrebbe finire su una rivista specializzata, ma tant’è, oggi si fa un po’ confusione tra industria e cultura e allora mi trovo qui a dire che Beca mi piace perché non vuole a tutti i costi piacere, e questa mi pare già una buona idea di rivoluzione, ai tempi della prestazione contemporanea.
Dopo qualche singolo di “prova”, la collaborazione con Nicola Baronti ha fatto prendere il volo ad una penna che oscilla tra parti apparentemente lontane mai così necessitate di riavvicinarsi, per resistere all’inverno poetico di questi anni di glaciazione: c’è la melodia anni sessanta, in “Aurora”, che si lega così romanticamente con una piccola poesia viareggina (perché Beca è di Viareggio, perché Viareggio sembra far da sfondo all’amore cantato e soprattutto perché Viareggio è patria di poeti e marinai) che racconta qualcosa che sta bene sulla pelle di tutti.
Un arrangiamento fine, senza farsi mai esile, che tiene in piedi la concretezza eterea di una ballata quotidiana che ricorda un momento speciale, senza fronzoli né sensazionalismi di sorta: un lavoro giusto, che mi ha fatto venir voglia di conoscere meglio il talento della Versilia.
Ciao Beca, benvenuto su Indielife. Parliamo un po’ di te, conosciamoci: chi è Beca, e da dove viene la scelta di questo nome d’arte?
All’anagrafe il mio nome è Edoardo Becattini, quindi è piuttosto semplice intuire da dove venga il mio nome d’arte. D’altronde Beca è l’appellativo con cui mi hanno sempre chiamato i miei amici e conoscenti, e la scelta di mantenerlo anche nella musica è un modo per rappresentare quanto la persona che scrive le canzoni sia la stessa che puoi trovare il sabato sera al bar a bere una birra.
Due singoli all’attivo per un percorso che mescola insieme canzone d’autore e pop di ultima generazione, nella ricerca di un equilibrio sottile, ma virtuoso. Quali sono gli artisti con i quali sei cresciuto, e che hanno guidato la tua crescita artistica?
Ho sempre avuto difficoltà nel trovare questo equilibrio. Mi piace ascoltare e attingere da numerosi artisti e generi musicali. Direi che se dovessi delineare gli artisti che mi hanno guidato maggiormente nella mia crescita farei sicuramente riferimento al cantautorato italiano. In particolare ritengo la coppia Battisti-Mogol la mia più grande fonte d’ispirazione.
Quando hai cominciato a pensare di fare il musicista? C’è stato, secondo te, un momento in cui hai capito che questa fosse la tua strada?
È iniziato tutto quando ho imbracciato la chitarra per la prima volta a 11 anni, ma per un lungo periodo questa non è stata altro che una passione. Quando ho incontrato delle persone che credevano nel mio lavoro e nelle mie potenzialità la situazione si è fatta più seria. Il momento in cui ho capito che la musica sarebbe stata la mia strada è tutte le volte in cui si prospetta una giornata pesante, in cui magari si devono passare 10-11 ore in studio e mi sveglio col sorriso, perché sono innamorato di quello che faccio anche quando bisogna fare dei sacrifici.
Parliamo un po’ di “Aurora”: c’è il mare, ci sono le prime luci dell’alba e c’è un profumo di salsedine e amore che ricorda i lidi estivi della tua Viareggio… come nasce la canzone?
La canzone è prettamente autobiografica e racconta un momento di riflessione con se stessi. Non è un momento qualsiasi della giornata, mentre stava sorgendo l’alba stavo tornando a casa, dopo essere stato fuori tutta la notte, e ho deciso di andare in spiaggia per parlare un po’ con me stesso. È una cosa che mi succede spesso, dopo essere stato a divertirmi con gli amici e aver passato una serata insieme mi sale sempre la malinconia, e parlarne con il mare lo ritengo terapeutico.
Hai mescolato, in “Aurora”, una molteplicità di stimoli diversi: il brano si apre con un mood che richiama a mondi lontani, alle balere, e poi si evolve col piglio della hit… Ci racconti con quale idea avete lavorato alla produzione del singolo?
L’idea era quella di fare immedesimare l’ascoltatore in uno scenario marittimo delle prime luci dell’alba, che è un contesto molto affascinante, quasi onirico. Per ricreare quest’atmosfera è stata utilizzata una diamonica, che è sembrata opportuna per il nostro scopo. Con lo svilupparsi del pezzo abbiamo deciso di optare anche per la presenza di un pianoforte, che entra in punta di piedi ma si fa sempre più deciso man mano dando un senso quasi di orchestralità al finale.
Due brani fuori, e oramai si comincia ad avvertire il profumo del disco… è così? Che succederà, adesso?
Si assolutamente il disco è pronto, e non vedo l’ora di farvelo ascoltare anche live, sul quale stiamo concentrando molte energie in questo momento per riuscire a suonarlo quest’estate. Però non bisogna essere frettolosi perché ci saranno altre sorprese prima di allora.