Ad “Halloween” travéstiti da Dena Barrett

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Ci sono poche cose per le quali ha ancora senso seguire la scena indipendente nazionale, diciamocela tutta; o almeno: per quanto mi riguarda, sta diventando sempre più difficile riuscirmi a sentire “nel posto giusto” quando ascolto un nuovo brano figlio del weekend, nella speranza spesso delusa di potermi aggrappare a qualcosa, a qualunque cosa che sia capace di farmi credere che esistano ancora “elementi anarchici” nelle sfilate del fine settimana.

La musica italiana (cit. indie) è in effetti diventata, per certi aspetti, una festa in maschera in cui, chi la maschera non la porta, finisce con il sentirsi fuori posto; la verità, è che metterci la faccia, nuda e cruda, in una carnevalata in cui tutti sono mascherati allo stesso modo significa, forse, essere davvero gli unici capaci di far festa. Concetto un po’ contorto (come me, che non mi spiego nemmeno a me stesso), ma insomma: credo ne abbiate capito il senso.

Per questo, fra qualche giorno, per “Halloween”, ho deciso di travestirmi da Dena Barrett, perché il loro esordio mette a nudo la necessità che ho di “svincolarmi dalle pose e dalle posizioni” (altra cit. ma stavolta original indie) e di sentirmi, per una volta, rilassato nell’essere fuori posto. E quindi, in realtà, esattamente nel posto in cui dovrei essere.

Dena Barrett, il vostro è un esordio che sembra all’altezza dei migliori dinamitardi: climax ascendente dal retrogusto post-rock, impegno autorale che ricorda le penne affilate del panorama nazionale. Chi sono, al netto di tutto questo, i Dena Barrett?

Siamo prima di tutto un gruppo di 4 amici – Tommaso (voce), Elia (chitarra), Marco (basso) e Michel (batteria) – tutti provenienti da Viareggio che spinti dall’esigenza di voler dire qualcosa, di far sentire la propria voce, hanno creato questo progetto. Tutto nasce in effetti proprio con questa funzione, prima di ogni altra, è un po’ il nostro “baule”dove possiamo riporre le nostre idee, senza cazzi, dove possiamo esprimerci liberamente

Raccontateci un po’ di voi: da dove venite, e come nasce il vostro progetto?

Tommaso: Veniamo da Viareggio e il progetto è nato a fine 2019 quando ho scritto a Elia, che già conoscevo da tempo, di ascoltare alcune canzoni che avevo abbozzato chiedendogli se avesse voglia di lavorarci insieme. Da lì abbiamo contattato Michel e Marco e abbiamo deciso di creare un progetto nel quale venisse fuori sì la vena cantautorale ma anche le chitarre distorte e i bassoni scuri. 

Siete originari di Viareggio, città che negli ultimi anni sta “sfornando” diversi progetti che provano a farsi strada nel mondo della discografia. Che tipo di provincia è, la vostra? Esiste oggi una “scena viareggina”?

Elia: Non so se si può parlare di scena Viareggina, diciamo che sicuramente negli ultimi anni la presenza di locali come il Ganz of Bicchio, ma anche le varie iniziative di proporre sempre più musica inedita da parte di altri locali della nostra zona (Cro e Corsaro Rosso), hanno permesso di attirare l’attenzione anche delle province circostanti (Pisa, Livorno, Massa) che magari rispetto a noi hanno sempre vantato una storia Underground più solida. Ad oggi però non vedo abbastanza band da poterci definire scena.

Parliamo di “Halloween”: il testo sembra raccontare di un disagio profondo che in fondo tutti abbiamo provato, quello di sentirci fuori posto. Quali sono le cose che vi fanno maggiormente sentire in questo modo?

Tommaso: Credo che avere trent’anni oggi significhi fare i conti in maniera concreta con la precarietà, specialmente quella che riguarda il lavoro. Quando ho scritto il testo di Halloween avevo un lavoro precario come insegnante, adesso sono un operaio con un contratto a tempo determinato. Questo equilbirio fragile sul quale cresciamo ci fa sentire spesso e volentieri fuori posto, ma allo stesso tempo, se vogliamo essere più ottimisti di quello che in realtà siamo, ci lascia sempre aperti verso ciò che ci riserva il futuro.

Il brano sembra nascondere una genesi particolare. C’è qualche aneddoto, legato alla scrittura di “Halloween”?

Sì, il testo è stato scritto di getto, un flusso di coscienza che prende spunto da una festa di Halloween e un dialogo con un amico, che a proposito della festa disse “Mi sono sentito l’elemento anarchico: l’unico che beveva, che ballava, l’unico e il solo a sembrare molto probabilmente un idiota” . Poi il brano l’abbiamo portato in studio da Andrea Pachetti e insieme a lui gli abbiamo messo il vestito finale.

Dietro la scrittura del brano, c’è un’estetica che richiama a sonorità dal piglio a tratti quasi “hardcore” ma rimanendo legati ad una produzione che rimane fortemente influenzata dal rock nazionale. Quali sono i riferimenti più forti della vostra visione musicale?

Dal punto di vista delle influenze musicali c’è sicuramente una bel “pentolone di roba”. L’ attitudine generale sicuramente è anni90, in quanto, essi rappresentano il decennio delle band sia a livello internazionale che nazionale. È un’epoca che ci ha ispirato e continua a farlo. Sicuramente essendo una band con una forte vena cantautorale, l’attenzione verso tutto il “nuovo” cantautorato è molto viva. Citando solo alcuni artisti di riferimento a livello nazionale non possiamo non nominare Pierpaolo Capovilla, Vasco Brondi, Zen Circus e Giovanni Truppi.

Avete lavorato in studio con uno dei nomi più importanti della discografia nazionale. Com’è stato lavorare con Andrea Pachetti (Emma Nolde, Zen Circus, Bobo Rondelli…)?

Un’esperienza di crescita bellissima. Andrea è molto preparato, ha esperienza e ci ha fatti sentire subito a nostro agio, anche perché condividiamo la stessa idea di intendere la musica e in più,come noi, è cresciuto e vive in una città di mare. Ci siamo intesi subito. 

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