“Di tutte le cose che abbiamo perso e perderemo”: un album per chi viaggia in metro.

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Copertina del disco "Di tutte le cose che abbiamo perso e perderemo" dei Quercia. Foto di Andrea Fenu.

Ebbene sì: ho iniziato ad ascoltare il nuovo album dei sardi Quercia dentro la stazione buia di una metro, mentre aspettavo il treno che da lì a poco mi avrebbe condotto nel luogo dove lavoravo.

Abituato al sound del primo disco, molto più melodico, con un’incisione vocale netta e chiara, è stato difficile cedere al primo ascolto ad un suono molto più aggressivo e cupo, caratterizzato dalle linee vocali più disperate, messe in secondo piano rispetto alle distorsioni dal missaggio eseguito da Riccardo “Paso” Pasini, che in passato ha curato gli album piuttosto “pestati” degli Storm{O} e degli Raein. Dunque, a questo secondo turno il pop viene distrutto, stracciato pezzo per pezzo; complice forse la voglia di distanziarsi il più possibile da una scena indie che non rappresenta affatto l’approccio emotivo che la band ha adoperato durante il percorso che ha portato la maturazione dei propri album e che invece si è impossessata del gruppo iglesiente facendola passare, specie per quanto riguarda Non è vero che non ho più l’età, quasi come una indiepop band qualunque, volta solamente allo scopo di far gridare qualche ragazzina dall’ormone sballato.

C’è da dire che con questo nuovo lavoro le spensieratezze – rappresentate in passato dal videoclip di Mida, dove un’eccentrica e meravigliosa Chiara Marcis balla, suona e s’incupisce in maniera del tutto disinibita, impersonando magistralmente il pezzo – e la parte più indie della band sono state eliminate del tutto. L’album risulta essere, non dico di nicchia, ma per pochi intenditori; il pubblico a cui si rivolge il lavoro è più attento a certe dinamiche sociali – più che sociali, esistenziali -, quali la depressione, la solitudine e le difficoltà nel vivere giorno per giorno affianco alle incertezze che la nostra frenetica generazione è tenuta a sopportare: un lavoro precario e che non risulta essere inerente a ciò che vorremmo, delle relazioni instabili e quasi sempre fallaci, delle amicizie che si interrompono per cause maggiori, quali una partenza o un decesso, o quelle che semplicemente si spengono col passare degli anni; l’inspiegabilità della vita e tutti gli errori che ci ostiniamo ripetutamente a commettere. Il videoclip di Altalene/Pozzanghere che vede protagonisti tre attori, tra cui fa da protagonista Massimiliano Sassi (Che possiamo riconoscere anche nel videoclip della canzone Mary dei Gemelli Diversi, ma anche nei film A Deadly Compromise e La Vita Continua), riassume tutte queste violente turbolenze esistenziali – e non più adolescenziali! – attraverso una fotografia quasi sempre dai colori freddi, ad eccezione di un albero natalizio che sembra riflettere solo il colore blu e di una porta che si apre e riporta la luce calda, luce soppressa poco dopo dal pianto del protagonista e dai muri blu della stanza.

Frame del videoclip Altalene/Pozzanghere. Regia di Marco Berton Scapinello

Ed è stata la coincidenza di ritrovarmi in una delle tante fasi down della mia vita, con un lavoro precario e non adatto, lontano dagli amici di sempre e dalla famiglia, in una città che ti chiede sempre di stare allegro, pimpante ed estroverso che ho iniziato, lentamente (lo ammetto!), ad apprezzare Di tutte le cose che abbiamo perso e perderemo sotto i bassifondi di Barcellona. Ed è stato nel lasso di tempo in cui attraversavo il sottosuolo di Eixample che ho colto il significato di Buio; mentre cercavo il mio treno all’interno della labirintica Diagonal che hanno acquisito importanza “le occasioni mancate al momento del bivio”. Non so quanto in superficie il disco avrebbe potuto parlarmi: Barcellona è davvero una città fin troppo allegra e spensierata per questo genere di cose e la superficialità regna sovrana in ogni angolo della città. Ma là sotto, nel sottosuolo, quel disco ha iniziato a prendere forma, a dare senso a quella parte vuota di me stesso che aveva bisogno di essere confortata, o forse cullata; aveva bisogno di sentirsi dire “tranquilla, là sopra è tutto gioia e colori, ma io ci sono ancora!”.

Ed è forse questo il senso del nuovo disco dei Quercia: non si tratta di scavare a fondo, perché i pezzi sono già scavati da sé e più a fondo di così non potrebbero penetrare; si tratta invece di una discesa lenta verso la parte più nera di noi stessi, anche se il nero non è il colore con cui definirei questo lavoro, bensì grigio. Perché di fatto non c’è una visione del tutto pessimistica del mondo, – In copertina, l’automobile non è completamente ribaltata, bensì capovolta per metà! – bensì solo un’opacizzazione di questo, dove il bianco è dato dalla speranza che è ben nascosta tra i testi della giovane band. Insomma, per farla breve, non è un mondo completamente nero quello dei Quercia, dove si parla di morte e distruzione, bensì è un mondo difficile, drammatico, pesante, dove c’è una possibilità remota per uscire dagli affanni della vita ma questa possibilità “la vedo grigia”.

PROSSIMI LIVE DEI QUERCIA:
https://www.facebook.com/events/691160107968695/

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