Grace Lyell: la danza di Aterballetto in quarantena

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La danza di Aterballetto continua anche in quarantena: noi di Indielife abbiamo intervistato Grace Lyell, giovane danzatrice, per scoprire come ha vissuto la realizzazione di questi progetti.

Grace ci parla dei progetti sviluppati dalla compagnia di danza Aterballetto durante la quarantena: questi raccontano di quanto il periodo da cui stiamo lentamente uscendo ci abbia costretti a limitare la nostra libertà di movimento, di contatto, di condivisione. Ciò ha colpito in un modo non più significativo ma certamente più impattante chi di questi valori ne fa il proprio mestiere.

Abbiamo cercato di capire, dal punto di vista dei ballerini, cosa ha significato per loro questo periodo e cosa hanno voluto trasmettere al pubblico attraverso i tre progetti che hanno realizzato in digitale. Ill primo, formato da brevi video creati in casa dagli artisti, è stato un messaggio di solidarietà principalmente rivolto ai ballerini di tutto il mondo, a loro volta costretti a rinunciare al proprio lavoro. Il secondo, “One meter closer”, diretto dal coreografo Diego Tortelli e dalla videomaker Valeria Civardi, trasmesso su Rai5 il 29 Aprile, ha voluto raccontare di come la luce della creazione artistica trovi la forza di scaturire anche in spazi angusti e limitanti come possono diventare le pareti di casa in un periodo di chiusura forzata. Il terzo, “The Other Side”, unione di danza, musica e arte pittorica , ha debuttato il 25 Giugno sempre su Rai5.

Ciao! Sono curiosa di scoprire come una ballerina abbia vissuto il periodo di limitazione della possibilità di movimento che abbiamo passato. Per te ha rappresentato più un limite o è stata anche un’ occasione per scoprire qualcosa di nuovo?

Ciao! Forse la sensazione più piacevole che ho avuto è stata il fatto di poter riposare il corpo, di sentirmi umana. Ciò che mi è mancato di più è stato potermi muovere in libertà nello spazio, correre da una parte all’altra dello studio, banalmente il fatto di non dover sbattere contro mobili e finestre mentre mi riscaldo alla sbarra, come è successo ripetutamente a casa. Ho sentito anche la mancanza del momento della condivisione con i colleghi, del creare, dell’ andare in scena, del girare per teatri. Non amo muovermi per il puro gusto di farlo, ma fintanto che questo ha uno scopo e un significato per me.

In questo periodo di quarantena la danza di Aterballetto non si è fermata. Ci puoi parlare dei vostri progetti?

Certo! Il primo è stato realizzato principalmente per mostrare la nostra solidarietà alle altre compagnie di danza nel mondo, ferme a causa del coronavirus. Abbiamo mostrato alcuni semplici movimenti filmati con l’utilizzo del cellulare. “One meter closer”, diretto dal coreografo Diego Tortelli e dalla videomaker Valeria Civardi, e “The other side”, coreografato dal danzatore della Compagnia Saul Daniele Ardillo e che ha visto la collaborazione di quattro musicisti della Filarmonica Arturo Toscanini di Parma, sono stati progetti più strutturati, andati in onda su Rai5.

Come sono stati realizzati concretamente questi ultimi due video, non essendoci la possibilità di vedersi dal vivo?

Per “One meter closer” abbiamo utilizzato una videocamera che ci siamo passati di casa in casa noi ballerini, senza la possibilità di vederci direttamente dal vivo. Ognuno di noi ha trascorso un giorno a casa in videochiamata con il coreografo, per la scelta dei movimenti, del mood, dei vestiti. Per “The other Side” ci è stato permesso di recarci in sede, uno alla volta, con permessi e mascherine, per alcune riprese.

Cosa avete voluto trasmettere principalmente con questi progetti e cosa sperate che sia arrivato al pubblico?

Abbiamo voluto trasmettere al pubblico la sensazione di sentirsi separati da muri fisici, come evocato dai titoli dei progetti. Lo scopo era di arrivare nelle case delle persone anche in un periodo di chiusura forzata dei teatri, attraverso canali in un certo senso nuovi, come la creazione di video.

I progetti sono infatti andati in onda in tv, su Rai5, non essendoci la possibilità di aprire i teatri. Cosa ne pensi della televisione come mezzo per trasmettere spettacoli?

Non penso che la tv sia un male per la danza. Soprattutto in situazioni come questa, permette di far arrivare l’arte a casa delle persone. Tuttavia, come interprete, mi toglie la parte che più amo, del “tutto è possibile”, del creare contatto con il pubblico, che per me sono la magia della performance live.

Grazie !

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