Sergio Casabianca racconta “De Visu”

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Abbiamo avuto il piacere di intervistare Sergio Casabianca, il virtuoso chitarrista catanese di fama internazionale, in occasione dell’uscita del suo nuovo album, “De Visu”. Questo disco jazz presenta una serie di brani inediti eseguiti in un suggestivo guitar trio, un’esperienza musicale che cattura l’anima dell’ascoltatore. Accanto a Sergio, abbiamo Riccardo Grosso al contrabbasso e Peppe Tringali alla batteria, creando un’armonia eccezionale tra gli strumenti.

Ciao Sergio, benvenuto su Indie Life. Puoi raccontarci come hai iniziato la tua carriera musicale e cosa ti ha spinto a diventare chitarrista e compositore?

Ciao e grazie per l’invito su Indie Life. Sicuramente la spinta per imbracciare una chitarra è stata data da un’infanzia ricca di ascolti di ogni genere. Sin da piccolo ero piacevolmente esposto alla grande musica rock e pop mondiale degli ’50,’60 e ’70. Il mio principale imprinting, infatti, è proprio quello legato alla musica beat, rock ed alla grande musica leggera, in buona parte anche italiana. Più avanti, tra le energie adolescenziali e l’apprezzamento per hard rock e metal, si è concretizzata la passione che mi ha portato alla pratica chitarristica. Ho deciso di intraprendere la carriera professionale, però, solo a 20 anni! Da lì mi sono formato attraverso pop, fusion e poi jazz. Chiaramente ho dato un senso al mio studio anche attraverso percorsi accademici istituzionali.

In realtà la composizione, più o meno ragionata ed elaborata, anche in generi diversi, mi ha accompagnato sin dai miei 16 anni. Probabilmente il jazz e la chitarra moderna si sono poi incontrati nel modo giusto per poter soddisfare anche il mio costante bisogno di comporre musica.

Hai avuto l’opportunità di collaborare con diversi musicisti e progetti noti. Puoi condividere alcune delle tue esperienze in queste collaborazioni?

Sono sempre molto contento di collaborare con musicisti che hanno più esperienza di me ed approfittare della vibrazione della musica e di preziosi consigli diretti o indiretti.

Ho avuto il piacere di suonare la musica di Giuseppe Urso, in un interessante progetto in cui si puntava l’attenzione sulla musica rinascimentale di Dufay, Desprez e Di Lasso, e la grande potenzialità di riarrangiamento in chiave jazz. In ambito orchestrale ho suonato per big band dirette da Paolo Sorge, con repertori raffinati e complessi su musiche di Monk, Brown, Russell e Wheeler. In altri casi ho collaborato con la big band HJO, con cui ho pure registrato un disco su Glenn Miller. Ho suonato anche la musica di Francesco Cusa, Carlo Cattano e Rosa Brunello, raccogliendo sfumature compositive e di interplay molto interessanti. Recentemente sto collaborando col giovane Federico Saccà, promettente batterista e compositore messinese.

Anche in ambito pop faccio tesoro di alcune collaborazioni che mi sono rimaste nel cuore e nelle orecchie come l’anno trascorso insieme agli Archinuè, tra concerti e registrazioni.

Oltre alla tua carriera musicale, scrivi anche per Guitar Prof, uno dei principali blog di chitarra italiani. Qual è il ruolo dell’insegnamento e della divulgazione nella tua vita musicale?

Scrivere per Guitarprof.it è un grande piacere oltre che un grande privilegio per me. La didattica dello strumento fa parte della mia vita da più di 10 anni ormai. Mi occupo fondamentalmente di chitarra moderna, senza troppi confini, e di chitarra jazz. Guitarprof.it mi ha dato la possibilità di condividere il mio sapere (sempre da rinnovare e controllare) ed anche vibrazioni ed impressioni che stanno dietro alle ore di lezione e di insegnamento, oltre che – quando possibile – di studio. Sono ormai presenti più di 20 articoli su argomenti più disparati: tecnica, improvvisazione, trascrizione, storia della chitarra jazz, armonia applicata.

Per me insegnare è molto importante poichè credo davvero nella funzione accrescitiva della musica dal punto di vista sociale, intellettivo ed emotivo. Capire qualcosa di musica ci dà la possibilità di codificare in modo personale e più profondo la realtà. Ovviamente deve essere un’esperienza che ci fa star bene, senza stress, ansia e fastidio. Spesso la gente resta lontana dalla musica per paura di non essere all’altezza o per poca fiducia ed autostima. Dal punto di vista del docente, infatti, l’esperienza può risultare estremamente interessante e gratificante, quando riesci a dare una buona e sana formazione, strappare dei sorrisi, far nascere sogni, progetti e persino future carriere.

Come hai affrontato la sfida di combinare il jazz tradizionale con elementi più moderni ed effetti sonori nel tuo nuovo disco “De Visu”? C’è un brano che rappresenti particolarmente questa fusione?

L’ho affrontata sia in modo naturale che personale, per motivi che sono intrecciati fra loro. Nel primo caso, non avrei potuto fare altrimenti, avendo il background musicale decisamente ibrido; nel secondo caso, ovvero con una sfumatura volutamente personale, cercando di far diventare questa naturalezza una caratteristica quasi stilistica del lavoro. De Visu è un brano che contiene stilemi più legati alla tradizione, come l’inizio in swing feel (quasi con intro da big band), che elementi più moderni, come il cambio di mood e di tempo centrale e la zona di improvvisazione che precede il solo. Milo Crew presenta un finale che trasforma lo swing in una sorta di groove quasi hip-hop, con tanto di octaver sulla chitarra. Molto simile l’alternanza tra swing e funk in Desk of Love. Raining in my house, ultima traccia del disco, presenta un mood semplicemente swing ma reso più contemporaneo dalla progressione armonica sinistra ed oscura e l’incedere broken, ovvero rotto e spezzato, della sezione ritmica.

Cosa ti piacerebbe comunicare agli aspiranti chitarristi e compositori che stanno cercando di intraprendere una carriera nel mondo della musica?

Non credo che per me sia ancora il caso di avere la pretesa di comunicare qualcosa a colleghi più giovani.  Dal punto di vista didattico posso dare le giuste indicazioni a chi sta iniziando e perfezionando un percorso ancora in atto, ma quando si tratta di comporre musica il mio unico obbiettivo è assecondare le mie necessità di dar sfogo alla mia vena creativa, ovviamente dopo studio e riflessione. Probabilmente è questo ciò che si può dire: cercare di essere sempre sinceri ed intellettualmente onesti. La sincerità musicale, per me, è la prima cosa che arriva dall’ascolto di un musicista. Per il resto, è bene chiarire che quasi mai le note vengono regalate, sia che si tratti di improvvisazione, semplice tecnica, o composizione: c’è molto da faticare e da avere pazienza, e non avere paura di farlo per tutta la vita!

Infine, puoi condividere un messaggio diretto con i tuoi fan e gli ascoltatori che stanno scoprendo “De Visu” per la prima volta? Cosa vorresti che ricordassero dopo aver ascoltato il tuo album?

Non ho pretese, ma spero ovviamente di poter toccare l’interesse e magari le corde dell’anima di qualche ascoltatore o collega. Come gran parte dei dischi, credo, De Visu nasce per esigenze umane di comunicazione attraverso la musica: narrare, esporsi, raccontare se stessi ed anche pazientemente riascoltarsi. De Visu è un viaggio musicale che descrive le sensazioni, le esperienze e le voglie che mi hanno portato fino a qui. Ovviamente la raccolta di feedback sarà utilissima per me, in maniera manifesta o meno, per disegnare progetti e percorsi musicali futuri.

Ricordare qualcosa dall’ascolto? Magari, se dovesse avvenire, una buona sensazione durante l’ascolto! Credo che, in fondo, sia la cosa più bella.

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