Quanto è difficile credere ai propri sogni: KiKi ci racconta “José”

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Il 15 novembre segna il ritorno di KiKi con il suo nuovo EP, José, disponibile su tutte le piattaforme digitali. Questo progetto, composto da quattro tracce, è un viaggio tra sogni e incertezze, un racconto musicale che esplora i desideri più profondi, le paure che ci tormentano e i limiti che fatichiamo ad accettare. Tra storie di giovani protagonisti in corsa verso sogni sfuggenti e flussi di coscienza che svelano una dimensione universale e personale, KiKi alterna sonorità rap, pop e cantautorali, offrendo un lavoro variegato e intenso.

Intervista a KiKi su “José”

Ciao KiKi! Benvenuto 🙂 “José” parla di chi ha il coraggio di mollare tutto per inseguire i propri sogni, anche quando è difficile. Quanto di questo viaggio è roba tua? C’è una storia dietro?

Ciao! E grazie dell’opportunità. “José” è una storia che si ispira al brano “I marinai tornano tardi” di Murubutu. Mi sono immaginato il sequel: José è il figlio di questo marinaio di cui parla Murubutu, che un giorno non ritorna a casa. Anche lui vuole partire e realizzare il suo sogno che coincide con il seguire le orme del padre, spinto dal trovarsi male e dall’essere preso in giro dai suoi amici e coetanei. Questa partenza genera paura e sconforto da parte della madre.

Nel tuo EP parli di sogni che ci tormentano e ci fanno dubitare. Qual è stata la sfida più grande per te nel mettere nero su bianco questi sentimenti?

I mio processo creativo è impulsivo, scrivo di getto, e tante volte non vado a ritoccare la stesura del brano. Quindi non ho trovato particolari difficoltà. L’EP è stato scritto naturalmente anche perché parla di me indirettamente, perché io stesso sono a metà tra il dedicarmi a tempo pieno al mio sogno che è quello di fare musica e la paura di potermi perdermi in questo.

In “Lacrime al coperto” racconti di una ragazza che fa fatica a credere nel suo sogno. Cosa diresti a chi si sente così?

Non è facile e penso che oggi più che mai noi giovani siamo sfiancati dai social e da una società che ci illude di poter realizzare tutto e subito, sulla scia dell’appagamento immediato, e che allo stesso tempo ci faccia dubitare molto di noi stessi, sulla nostra identità e sulla strada da percorrere. Il consiglio è quello di ascoltarsi sempre e di fare sempre quello che ci si sente, a patto di uscire da una comfort zone e dall’assumere alcuni rischi, che sono necessari se si vuole raggiungere un qualsiasi obiettivo.

L’ultimo pezzo, “Quattro minuti”, sembra più leggero, quasi un respiro in mezzo a tutta la tensione dei sogni non realizzati. Era una scelta per chiudere l’EP in modo positivo?

La chiusura dell’EP è ambivalente. Può essere visto sia come un perdere l’attenzione sul proprio sogno e perdersi in un flusso di pensieri e in una storia amorosa che ci allontana dalla realizzazione del nostro obiettivo (modo negativo), sia come alleggerire i pensieri che ci tormentano relativi al nostro rapporto conflittuale con i sogni e quindi goderci la nostra giovane età senza pensarci per un attimo (modo positivo). In ogni caso è un invito a smarrirsi e ad essere più superficiali senza farci schiacciare dal peso delle paranoie.

Hai messo insieme rap, pop e un po’ di cantautorato in “José”. Cosa ti ha spinto a mischiare questi stili? Senti che rispecchiano meglio le emozioni e le storie che volevi raccontare?

Credo che il rap si sposi bene con i ritornelli pop. Personalmente le strofe rappate mi permettono di esprimere al meglio una storia e il ritornello pop a porre a tema il centro della medesima storia.

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