Scopriamo AMEVOX, il nuovo EP di Scaramuzza

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Il 30 maggio 2025, l’artista veneziano Scaramuzza ha pubblicato il suo nuovo EP, AMEVOX, un lavoro che segna un ulteriore passo nella sua evoluzione musicale. Con una fusione di suoni acustici ed elettronici, l’EP si distingue per la sua capacità di esplorare la vulnerabilità umana attraverso una voce sussurrata, lontana dai riflettori, ma ricca di emotività. Quattro brani che invitano l’ascoltatore a riflettere sulle proprie fragilità e sulla bellezza nascosta nelle imperfezioni.


Scaramuzza, nome d’arte di Marco Scaramuzza, è un cantautore che trova vita a Venezia, in una casa a Cannareggio. Nelle sue canzoni c’è un’attenta ricerca testuale, in grado di creare immagini evocative e rappresentative. L’artista si propone di muoversi trasversalmente tra diversi generi musicali. Con una fusione di suoni acustici ed elettronici, la voce diventa il filo conduttore che unisce il tutto. Per l’occasione, abbiamo deciso di intervistarlo per scoprire di più su il suo ultimo viaggio emotivo e musicale.

Intervista a Scaramuzza su “AMEVOX”

Nei tuoi brani si ha la sensazione che ogni suono, anche il più piccolo respiro o rumore ambientale, sia lì per una ragione precisa. Hai mai pensato alla tua musica come a un sistema vivente, in cui ogni elemento – anche il silenzio – partecipa alla narrazione?

Assolutamente sì. Per me la musica è un organismo vivo, dove ogni suono, respiro o silenzio ha un ruolo preciso. Questi dettagli creano un dialogo continuo tra emozioni e sensazioni, rendendo l’ascolto un’esperienza immersiva. L’assenza di suono diventa uno spazio di respiro, fondamentale quanto le note. Così la narrazione si fa più profonda e autentica.

In “VIPERA” si percepisce un senso di tensione fisica, quasi tattile. Hai mai pensato di lavorare su una trasposizione coreografica di questo brano? Come immagini che il corpo possa raccontare quello che racconta la tua voce?

È un’idea che mi affascina molto. “VIPERA” ha una tensione viscerale che il corpo può tradurre in movimenti intensi e quasi primitivi. Immagino una danza fatta di contrasti, tra rigidità e fluidità, che racconti l’ansia e la lotta interiore. Il corpo diventa un’estensione della voce, un modo per far sentire anche senza parole ciò che il brano esprime. Sarebbe una nuova dimensione da esplorare.

L’EP si muove su confini molto delicati: tra forza e fragilità, tra stasi e movimento, tra parola e suono. C’è un momento in cui hai sentito di stare per perdere l’equilibrio? Hai mai scartato una canzone perché era “troppo”?

Sì, ci sono stati momenti in cui l’equilibrio sembrava sfuggirmi, soprattutto quando la fragilità diventava troppo esposta. Ho scartato qualche brano che rischiava di essere eccessivo o poco autentico. Per me è fondamentale mantenere quella sottile linea tra forza e vulnerabilità, senza cadere né nell’eccesso né nella retorica. “AMEVOX” nasce proprio da questa ricerca di equilibrio.

Sei partito dal teatro e approdato alla musica. AMEVOX sembra un lavoro di scrittura drammaturgica più che discografica. C’è una scena, una battuta, un personaggio teatrale che senti affine al mondo che hai costruito in questo EP?

Sì, AMEVOX nasce proprio da quella sensibilità drammaturgica. Mi sento vicino a personaggi teatrali fragili ma determinati, che affrontano la propria crisi con introspezione e coraggio. La musica diventa una scena dove ogni brano è una battuta che racconta un pezzo di storia interiore. Questo legame con il teatro mi aiuta a dare profondità e tensione narrativa a ogni canzone.

In che modo vivere a Venezia – città sospesa, fragile e labirintica – ha influenzato la scrittura di questo EP? C’è una traccia invisibile della città tra le pieghe dei
brani?

Vivere a Venezia, con la sua atmosfera sospesa e fragile, ha influenzato profondamente la scrittura di AMEVOX. La città è come un labirinto emotivo che si riflette nelle mie canzoni, tra luci e ombre. C’è una traccia invisibile che permea i brani, fatta di silenzi, riflessi e un senso di bellezza effimera. Venezia è un personaggio silenzioso che accompagna tutto il progetto.

Nei tuoi testi non c’è mai giudizio, nemmeno nei momenti di scontro o separazione. È una scelta consapevole? Qual è il tuo rapporto con il perdono – di sé stessi, dell’altro – nella scrittura?

Sì, è una scelta consapevole evitare il giudizio nei testi. Preferisco raccontare con empatia e accoglienza, anche nei momenti difficili. Il perdono, soprattutto di sé stessi, è un tema centrale nel mio percorso e nella scrittura. Credo che liberarsi dal peso del rancore apra spazio alla crescita e alla comprensione. La musica diventa così uno strumento di cura e accettazione.

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