Con un sound energico e una scrittura consapevole, Campi torna con “Tutto a Posto”, un singolo che segna l’inizio di una nuova fase artistica e personale. Il brano parte da una domanda semplice solo in apparenza – “come stai?” – per addentrarsi nelle contraddizioni e nelle fragilità dell’epoca contemporanea, in cui l’apparente normalità spesso nasconde un profondo disagio collettivo.
Il ritmo incalzante, quasi da pista da ballo, accompagna parole che parlano di giudizi violenti, crisi ambientale, rapporti sempre più liquidi e di un’umanità alla ricerca di senso e solidarietà. Un contrasto voluto e cercato: Campi sceglie di accendere i riflettori sulle ombre con una luce vivace, mettendo in discussione l’automatismo del “tutto a posto” che spesso usiamo per non affrontare le domande scomode.
Tra ironia e urgenza, energia e consapevolezza, “Tutto a Posto” invita a non assuefarsi all’indifferenza, ma a restare vigili, presenti e – perché no – anche a danzare, se serve, per sentirci meno soli nel caos.
“Tutto a Posto” si presenta con un ritmo energico e un tono leggero, ma nasconde un’urgenza profonda. Come sei arrivato a questa combinazione di forma e contenuto?
È un brano nato inizialmente come una ballad, apparentemente la chiave più naturale per accompagnare un testo così riflessivo. Successivamente, giocando un po’, ho trovato una ritmica più coinvolgente e ballabile e ho pensato che fosse la strada migliore per trainare il messaggio che volevo trasmettere. Ho sempre amato molto gli artisti che riescono a fare divertire e riflettere allo stesso tempo. Spero in qualche modo di essere riuscito a trovare la formula giusta.
Il brano parte da una domanda tanto semplice quanto universale: “come stai?”. In che modo questo interrogativo ha guidato la scrittura del pezzo, sia sul piano personale che collettivo?
È proprio la domanda che mi sono posto prima di iniziare a scrivere e che mi ha dato spunto per comporre la canzone. Ogni volta che ci viene chiesto distrattamente, rispondiamo “tutto a posto”. Ho provato a pormela davvero: come sto? Come stiamo? Oggi più che mai il contesto sociale influenza il mio stato emotivo, quindi naturalmente il mio sguardo si è allargato subito sul momento storico che stiamo vivendo. Siamo di fronte a un periodo di incertezza senza precedenti, in cui sia a livello umano che fra paesi distanti fra loro sembra che i rapporti siano liquidi, mutevoli e che i tentativi di ricomposizione dei conflitti siano molto fragili. È questo il tema di fondo che ho cercato di approfondire in questo brano, che è appunto carico di domande.
In un verso canti “scomparire in silenzio o gridare sul serio?”: qual è, per te, oggi, il valore del prendersi parola e spazio in un mondo sovraffollato di rumore?
È un periodo di grande smarrimento e di grande complessità che ci spinge da un lato a lasciarci trascinare dalle cose e cercare di spegnere i troppi punti interrogativi e dall’altro invece a chiedersi cosa va salvaguardato e come. Come possiamo reinventarci mantenendoci umani? È proprio questa la domanda su cui si costruisce il senso di questa canzone. Non ci sono risposte chiare, ma sicuramente in primo piano emerge un forte bisogno di solidarietà e impegno collettivo.
Il tuo percorso artistico è iniziato presto, ma con “Tutto a Posto” dici di aprire un nuovo capitolo. Cosa cambia rispetto ai lavori precedenti?
Rispetto ai lavori precedenti è cambiato sicuramente il mondo che mi circonda e il mio sguardo sulle cose. Da un punto di vista musicale, avendo lavorato anche molto come autore con molti artisti e musicisti, ho avuto modo di sperimentare mondi e linguaggi diversi. Quindi ci saranno dei cambiamenti sia a livello di sound che di contenuto e temi trattati. Non vedo l’ora di farvi sentire i nuovi brani a cui sto lavorando!
Hai studiato l’onomatopea nei testi delle canzoni: quanto contano per te i suoni delle parole nella costruzione di una canzone come questa?
Nel mio percorso scolastico e lavorativo si sono sempre mescolate la passione per la scrittura e quella per la musica. Ho infatti studiato lettere moderne e pubblicato un libro in cui ricostruisco la storia d’Italia attraverso l’uso dell’onomatopea all’interno dei testi delle canzoni. Non mi accorgo mai di quanto questi due mondi si influenzino quando vado a scrivere una canzone. Essendo abituato a stare sempre in contatto con le parole, credo che forse mi capiti in modo naturale di cercare di porre una particolare attenzione al suono fonetico all’interno dei testi. Come dice Jannacci, però, “ci vuole orecchio”: è sempre quello da cui cerco di farmi guidare senza pensarci troppo!
Il brano invita a danzare e riflettere allo stesso tempo. Cosa speri rimanga all’ascoltatore dopo averlo sentito per la prima volta?
Spero che oltre al coinvolgimento emotivo dato dall’impulso ritmico resti la domanda: è veramente tutto a posto? In modo da restare vigili e non abituarsi a ciò che non va e potremmo o dovremmo cambiare, proteggendo ciò che riteniamo importante.