A lezione di “Rondò” con Stefanelli

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Stefanelli, e a riguardo c’è ben poco altro da dire, scrive bene.

Lo metto in corsivo, quel bene, perché nel 2020 è tesoretto da custodire, proteggere e tutelare dall’orda barbarica e distruttiva della livella emotiva, dell’autocensura dei sentimenti (come direbbe Dutch Nazari) e del packaging musicale: di fronte alla semplicità di sole quattro lettere in italic (bene, bene, bene), la distopica babele di releases del venerdì musicale crolla ai piedi di chi sta nelle stesse scarpe da sempre, viaggiando però da una parte all’altra dell’universo senza perdere il contatto con sé stesso.

Sì, perché Stefanelli è questo: l’odore di casa che impregna i panni del viandante, ricordandogli che se è vero che la partenza e la meta coincidono, di certo non si può (e non si deve!) dire lo stesso dell’uomo che parte e dell’uomo che arriverà.

Insomma, non si scende mai nello stesso fiume due volte, e oggi, alla seconda pubblicazione di Stefanelli da solista, sembra ancora più evidente che il cantautore campano abbia deciso di farsi corrente ineffabile e libera, ma sopratutto lontana dallo stagnamento paludoso del mainstream contemporaneo, impegnato ad auto-tutelarsi dalla novità divorando i suoi figli più ribelli (come Stefanelli certamente è) come un bulimico Crono, terrorizzato dall’idea che un nuovo signore degli Dei possa ergersi trionfante su un Olimpo nuovo, che torni ad essere “controcorrente” come piace a Luca (e come certamente piaceva anche ai padri del nuovo mainstream, ora ridotti ad icone e santini di una nuova tradizione che ha già tutto l’aspetto del giogo creativo).

“Rondò” riprende concretamente il discorso lasciato sospeso da “Controcorrente”, il primo singolo di Stefanelli per Dischi Rurali e denuncia programmatica a tutto un sistema musicale in cui vittime ed aguzzini coincidono nella riproposizione seriale di idee e dolori altrui, cucibili addosso a chiunque attraverso gli artifici di ritornelli da hit calibrate e glaciali; contro l’abuso dell’abusato, Stefanelli mette in campo tutta la sua bassa qualità ragionata, godendosi la detonazione delle aspettative di chiunque si affacci ad ascoltare, per la prima volta, la musica della penna napoletana: nessun punto di riferimento, se non il fischiettio quasi attonito e allucinato di un sintetizzatore impegnato a far da confine e limite, per tutto il brano, alla scrittura onirica di Luca (stavolta ancora più intimista e a tratti quasi romantica) che sembra elevarsi sempre più verso l’alto, leggera come elio.

Ecco, in questo senso diviene impossibile approcciare la musica di Stefanelli come si farebbe con il primo singolo da discount, fresco fresco di vetrina del venerdì: “Rondò” non si lascia consumare perché ad ogni morso che l’ascoltatore prova a dare al brano (giusto per conferirgli quella materialità che è necessaria a non sentirci mancare la terra da sotto i piedi) si trova in bocca solo aria e pulviscoli di galassie lontane, sospese, forse irreali.

Ed è così che, per la seconda volta in pochi mesi, Stefanelli riesce a lasciar digiuni tutti noi, affamandoci e riabituandoci al desiderio (ormai dimenticato) di voler mettere davvero sotto i denti qualcosa di concreto che non può esistere nello spazio di un singolo, ma che necessita del respiro ampio di un album capace di non spaventarsi di fronte all’impigrimento del pubblico di merda (per dirla, stavolta, alla Freak Antoni) che siamo diventati.

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