Il TAO riuscito degli Hoka Hey

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Qualche settimana fa, ha visto la luce Aria, il nuovo singolo di Hoka Hey: un brano particolare, che possiede un proprio respiro e che pare essere fatto della stessa consistenza delle particelle, appunto, d’aria; ovviamente, non potevo perdermi l’occasione (come sempre mi accade, ogni volta che qualcosa colpisce il mio ascolto) per fare qualche domanda ai ragazzi sul progetto, sulla loro idea di “respirabilità” musicale e su cosa significhi, nel 2022, fare musica in Italia.

Ciao ragazzi, ci raccontate dell’etimologia del vostro nome Hoka Hey? 

Ciao a tutti e grazie per il vostro interessamento. Il nostro nome è il grido simbolico emesso ritualmente dai partecipanti nella “capanna sudatoria”, un’antichissima pratica purificatoria e di riconnessione alla Terra, appartenente alla tradizione Lakota. Si urla “Hoka Hey” ogni volta che si esce dal grembo protettivo di Madre Terra attraversando una porta per ricontattare la forza primigenia della nostra venuta al mondo. In realtà questo era il grido di Guerra di Cavallo Pazzo, la cui traduzione corrisponde a “Oggi è un buon giorno per morire!”. Per noi, è simbolo della forza vitale di cui dispone chi può coerentemente definirsi “essere umano”: la capacità di morire dignitosamente al vecchio per assicurare, non tanto a sé stessi quanto più al “Tutto”, evolutive e continue rinascite, onorando con coraggio la Vita.   

Perché il vostro ep si chiama “SHELTE” e non “Scelte”? 

Bella domanda, grazie! Abbiamo voluto distinguere fra le coraggiose “scelte coerenti alla verità interiore” di cui ogni individuo è custode, che richiedono sempre grande coraggio per essere compiute, e quelle molto più comuni, che rappresentano, invece, l’espressione di un “rifugio” in cui ci si può riparare, disonorando però (giusto per mantenerci in linea con la consapevolezza di Cavallo Pazzo) l’energia vitale del “vero uomo”. “Shelte”, infatti, deriva, appunto, da “Shelter” che in inglese significa “riparo”. In realtà, l’ispirazione ci è giunta, non a coso, dallo splendido brano “Shelter from the storm” del grande Bob Dylan.

Il nuovo singolo ARIA è uscito di recente per StageOne: “Aria come ho bisogno d’aria?”, che significato ha per voi questo brano? 

Sì, per certi versi è proprio così! Quando sentiamo di “aver bisogno d’aria” è perché abbiamo la sensazione di non riuscire a “respirare”, manca il fiato, ovvero, manca il necessario per vivere. Gli ascoltatori più attenti, noteranno che la nostra produzione segue un filo logico importante che mette “a servizio” la mente razionale solo per dar voce alla mente superiore. 

E il messaggio di questo brano, in fondo, è proprio questo: l’umanità, è evidente, ha davvero “fame d’Aria”, ma ciò di cui necessita, in realtà, è il contatto con i piani superiori dell’esistenza, il mondo delle intuizioni, l’Iperuranio platonico. 

Solo così potrà, finalmente, alleggerirsi dalla rigida dittatura del mentale inferiore, sempre più inquinato da paranoie e psicosi, di cui, oggi, è ancora tristemente schiava.

La tendenza che avete a raccontarvi che ho visto in precedenti interviste come anche in quella con Red Ronnie è sempre di separazione, Emidio fa una cosa Marcos un’altra, in cosa invece vi unite? 

Interessante considerazione che ci stimola a sottolineare l’importanza fondamentale delle “differenze” che, da sempre, ci caratterizzano. Di fatto abbiamo alcuni denominatori comuni essenziali: l’amore per le nostre creazioni e per l’arte musicale, sempre fortemente sostenuto dal focoso e inesauribile desiderio di trasferire contenuti evolutivi al pubblico. Il nostro è un lavoro di integrazione dove ognuno cerca sempre di dare il meglio di sé, sia in termini di professionalità e competenza artistica, che in quelli più sottili di ispirazione e di creatività.  Non si tratta di separazione ma di integrazione di diversità: la nostra più grande ricchezza!

Questa separazione di ruoli è anche in parte dovuta a qualcos’altro?  Magari per un vostro equilibrio interno? 

Ogni relazione umana, di qualsiasi natura, dovrebbe basarsi principalmente sul “rispetto” dell’alterità e delle differenze che caratterizzano le parti in causa. A nostro parere si tratta di un atteggiamento che garantisce scambi interpersonali arricchenti e soddisfacenti.  Rispettarsi significa lavorare entrambi, con serietà e responsabilità, per l’equilibrio di un sistema tanto forte quanto delicato che è quello del gruppo musicale che ha una sua personalissima dignità egoica, frutto dell’unione di due parti differenti. Insomma, occorre tener sempre presente che non ci sono solo Emidio e Marcos, ma anche gli Hoka Hey, ognuno con la propria dimensione realtà.

É evidente che ci siano differenze individuali che vanno rispettate! Non si può pretendere che l’altro si comporti diversamente da com’è, riguardo il suo modo di pensare, di esprimersi e di “sentire”. Per noi “rispettare” significa rendersi conto che tutti hanno il diritto di scegliere (appunto!) come vivere, nella massima consapevolezza del proprio valore e della propria dignità. Ci sentiamo come le due parti del Tao, che lavorano per creare armonia e bellezza, evitando possibilmente di generare conflitti: questa è la nostra “via della Pace”. Seguiamo ed onoriamo con gioia, i talenti e le peculiarità naturali di ognuno: Maku nella produzione musicale ed Emidio per i messaggi da trasferire agli ascoltatori, basando tutto il nostro lavoro, sul sostegno e il rispetto vicendevole, affinché il risultato finale sia il più possibile armonico ed efficace.

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