Il primo film di Nube potrebbe diventare il vostro preferito

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A me nube piace parecchio, ho avuto la fortuna di lavorare a stretto contatto con lui e di veder nascere un disco che, oggi, trova finalmente la sua luce irrorando, a mio parere, un weekend decisamente avaro di bellezza; un farmaco balsamico per l’anima, “occhi cinepresa”, che serve al duplice scopo di confermare quanto di buono fatto fin qui dal cantautore piemontese (che di risultati ne ha già raggiunti eccome) e allo stesso tempo aggiungere altro “pepe” sulla salita irresistibile, sana ed efficace di un talento da tenere d’occhio, o meglio, d’orecchio.

Nube è uno di quelli che nasce tra le quattro mura di una cameretta e che, nel corso del tempo, è riuscito a rendere quello spazio angusto un castello da favola, anche grazie all’opera di rifinitura e “color correction” (per utilizzare un linguaggio filmico tanto caro all’artista) di Altrove (Marco Barbieri), produttore che negli ultimi anni sta comparendo in sempre più lavori di qualità, da cmqmartina a svegliaginevra: c’è nel tocco di nube un qualcosa che esplode proprio a contatto con la patina ultra-pop stesa su tutto il disco da Marco, capace di portare ad un nuovo livello d’espressione la scrittura vincente e il timbro giusto del cantautore scuola Revubs.

Ne è il simbolo, su tutti, “Specchi”, la hit cantata da nube con Den che sta sbanca da primavera scorsa tutti gli stores digitali e che rappresenta l’incontro riuscito fra una scrittura onirica e romantica, quasi decadente a tratti, e lo slancio mainstream di un gusto musicale che nel progetto nube trova il giusto equilibrio fra esigenze di mercato e necessità d’espressione; ma dopotutto, “occhi cinepresa”, il disco di debutto di nube per Revubs Dischi, aveva già messo le cose in chiaro sin dai primi passi con “come un film di wes”, forse uno dei brani più interessanti dell’album. 

L’ascolto finisce con lo scorrere via sin dal primo play: “grandine” diventa l’introduzione giusta ad un lavoro esplosivo, che trova le sue punte di diamante nei singoli pubblicati e, a mio parere, in “1998” (cavalcata pop dal retrogusto quasi riflessivo, quasi generazionale) e “guerra fredda”; c’è l’amore sì, ma anche il disagio di una generazione persa a cercarsi sotto la grandine o nei riflessi di specchi che sembrano non saperci più restituire alcuna immagine precisa.

Insomma, un bel lavoro che restituisce fiducia non solo al sottoscritto, ma anche a chi, in fondo, non ha smesso di credere nell’emergenza che vale, e che merita di emergere. 

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