Jacopo Bettarello: “LA VOCE DEL GUERRIERO”,il mio progetto per raccontarvi il nostro tempo

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In uscita con il nuovo singolo “Quello che non sono”Jacopo Bettarello si racconta sulle nostre pagine per parlarci della sua evoluzione come cantautore. Dalle esperienze come solista con lo pseudonimo di Jack Cantina, fino al progetto de “La voce del Guerriero”


– Ciao Jacopo, sei in uscita con un nuovo singolo ed un nuovo progetto musicale. Vuoi parlarcene?

Son qui per questo! Parto dal progetto musicale, dal nome “La voce del Guerriero”.

È un’idea che avevo da tempo ma che ha trovato la sua strada solo in quest’anno appena concluso: Cercare un racconto onesto sul nostro tempo. Stringersi intorno all’umanità che ci resta e imparare da quella. Esprimere in un sussurro quello che oggi sembra solo esprimibile con la violenza, la rabbia e il pregiudizio. È un’urgenza umana ancor prima che musicale. La musica entra in gioco perché è per me l’unica lingua abbastanza ermetica ed al contempo uno spazio così vasto e infinito, l’unica forma materiale che può condensare pensieri, emozioni e una goccia di spirito in un unico gesto, fatto di parole che ho atteso più che inventato e di suoni che ho cercato più che pensato.

Il nuovo singolo vuole essere per me una finestra aperta sul mondo in entrambi i sensi: un affaccio per me che non riesco ad osservare bene senza sotto un giro di accordi e al tempo stesso una breccia sul muro, un invito a vedere cosa c’è di bello qua dentro, sperando che qualcuno possa riconoscere l’arredo, la disposizione degli oggetti, il colore delle pareti.


– “QUELLO CHE NON SONO”, perché questo titolo? Riguarda un conflitto con la tua identità? O la ricerca di un tuo nuovo modo di essere?

È una bella domanda e con una pistola puntata alla tempia risponderei la seconda.

In realtà di conflitto identitario ne ho diversi armadi pieni. Sono però arrivato a pensare che sia un bene, che avere delle contraddizioni esprime più umanità che avere delle verità in tasca.

In generale credo che il “modo di essere” dovrebbe essere ridefinito come “il modo attraverso cui sono arrivato qui (che non è detto che vada bene per andare dove devo andare adesso)” ma mi rendo conto che è una definizione troppo lunga per l’uso comune.

Comunque si, parla di entrambe le cose, è un tentativo di sviare l’attenzione da questo estremo bisogno di definirsi, di raccontarsi, di identificarsi. Cercare fin dal titolo di suscitare una domanda: se tolgo tutto quello che io e gli altri pensano di me, cosa resta?


– Approfondiamo l’aspetto puramente musicale. Come definiresti il tuo genere: Rock, Rock Folk? O c’è dell’altro?

Ah! La diatriba del genere!!! È una cosa che mi domando spesso ma a cui fatico a rispondere… Tecnicamente questo singolo lo trovo molto folk, abbastanza rock con un desiderio inespresso di essere punk. Lo spirito con cui però mi approccio alle canzoni che arrivano è di totale disponibilità: io mi metto al servizio loro e sono loro che mi dicono man mano di cosa hanno bisogno. A lavoro finito poi si può discutere sul genere in maniera quasi oggettiva. Ad esempio il prossimo singolo in programma avrà dei suoni elettronici che di folk rock hanno ben poco, ma credo che la natura sia comune a tutte quelle che ho scritto prima.


– Hai dei punti di riferimento, o qualche artista da cui trai ispirazione?

Ho avuto delle fasi di ascolti morbosi che sicuramente hanno forgiato la mia esperienza musicale, da “i veri cantautori sono solo de André e de Gregori” a “non posso vivere senza Battisti e Dalla” a “come ho fatto fino a ieri senza Tenco e Jannacci!” (mi fermo ma potrei citarli tutti o quasi).

Con Silvestri ho un legame emotivo particolare perché sono andato a vederlo per caso a 15 anni senza mai aver sentito nulla e mi sono riconosciuto con così tanta precisione nel suo racconto che ne è rimasta una traccia indelebile nel mio modo di scrivere.

Poi, musicalmente chiunque si approcci al folk, al rock ma più in generale alla musica popolare occidentale deve fare i conti con la musica americana e inglese, a un certo punto vieni travolto da un suono che è così intenso da fartene fregare del significato del testo. A me è successo coi Led Zeppelin e con Bob Marley (per citare quelli che mi hanno più influenzato).


– E che tipo di musica ascolti, generalmente?

Attualmente cerco di trovare buona musica italiana nuova. Non m’importa il genere, basta che sia ben scritta e che chi canta sia credibile rispetto a ciò che dice. Al contempo ho riscoperto diversi cantautori meno riconosciuti dei miei ascolti adolescenziali ma altrettanto immensi: Fossati, Testa, Graziani.

Quando ho voglia di sentire una voce che mi apra in due metto su Paolo Nutini. Quando ho voglia di saltare i Queens of the Stone Age.


– Un tuo pensiero sull’attuale panorama musicale italiano. Cosa ne pensi?

Penso che ci sia un potenziale immenso. Nonostante l’analfabetismo funzionale dilagante noi continuiamo ad avere il vantaggio della lingua più bella del mondo, non facile da mettere in metrica come l’inglese, ma è ricca e palpitante… E come ho detto sono sempre a caccia di nuove uscite che mi facciano battere il cuore.

In generale la scena italiana secondo me ha dei talenti immensi che ancora non si sono espressi al meglio, penso ad Anastasio che mi ha spettinato col suo ultimo disco, gIANMARIA che mi ha commosso con le sue canzoni e ora non vedo l’ora che trovi una sua strada, ma anche artisti di una generazione prima, Brunori e Dimartino, Motta, Colapesce e Calcutta hanno già fatto scuola e sono fonte d’ispirazione per molti ragazzi che ci stanno provando con la musica.


-… e come fa un artista indipendente come te a trovare il suo spazio e a spiccare il volo in questo panorama così denso di proposte emergenti?

Io ho dovuto raccattare un po’ di cose per provarci.

Innanzitutto la pazienza, le cose non accadono così, ciò che succede, anche quando sembra casuale, è frutto di un lungo e sotterraneo percorso per far congiungere tutti i puntini e farti trovare nel posto giusto al momento giusto.

Poi la consapevolezza di ciò che puoi controllare e quindi migliorare, e ciò per cui non puoi farci nulla e quindi su cui non perderci la testa. Questa mi ci è voluto molto per acquisirla.

Poi ci vuole un gusto proprio, un’identità, ciò che dici deve aderire a ciò che sei e anche per questa rimando al punto uno perché è una di quelle cose che io ci ho messo anni a sentirmi addosso.

Poi ci vuole un po’ di coraggio basta un pizzico e… manca ancora qualcosina… ah, serve un budget. Anche minimo. Se non ce l’hai te lo procuri con un lavoro “normale”.

Ah, parlo di fare l’artista indipendente per vocazione, un percorso che prima di darti qualcosa cerca di toglierti tutto -e aggiungo giustamente, bisogna essere sicuri che la vocazione sia autentica, se molli al primo o al penultimo ostacolo hai comunque mollato-

Dimenticavo l’ultimo ma forse il più importante: buttarsi senza aspettarsi un risultato e darsi l’occasione di sbagliare, perché non ci sono scuole che insegnino bene come i propri errori.


– “QUELLO CHE NON SONO” è parte di una trilogia, vuoi anticiparci qualcosa sulle prossime release?

Ho già accennato a qualcosa ma voglio aggiungere che il prossimo brano, il secondo di questa Trilogia dell’Oscurità, è il manifesto della poetica dei guerrieri di questo millennio. Parlerà del senso di appartenenza, del bisogno di appartenere a qualcosa e di come questo forgi l’identità che ci siamo costruiti. Sarà una canzone folk ma con un pesante ingresso di suoni elettronici che si mischieranno alle chitarre e ai beat. Se “quello che non sono” può definirsi una cavalcata la prossima sarà una ballata, anche se per niente dolce.

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