“IKI – bellezza ispiratrice”, come si comprende dal titolo, è ispirato alla bellezza della musica ed ai suoi legami tra i generi e gli artisti. E’ un album col quale Cavestri procede nel suo percorso alla scoperta del jazz nella sua forma più libera e aperta che trae ispirazione da fonti musicali diverse e a sua volta contribuisce alla nascita e allo sviluppo di nuove musiche e stili, in un rapporto di continuo scambio e confronto con le innovazioni sonore della contemporaneità. Mentre nel primo album Cavestri analizzava i profondi rapporti che sussistono tra due generi così apparentemente diversi come jazz e hip hop, nel nuovo progetto, “IKI – bellezza ispiratrice”, la ricerca è stata maggiormente improntata ai legami tra jazz e musica elettronica, mantenendo sempre la centralità del pianoforte nella quasi totalità delle tracce.
Grazie, Francesco, per essere qui con noi oggi. Cominciamo con la tua ispirazione dietro il nuovo album “IKI – bellezza ispiratrice”. Come hai sviluppato l’idea di esplorare i legami tra il jazz e la musica elettronica, mantenendo il pianoforte al centro della tua espressione musicale?
L’idea in realtà è un proseguimento del percorso che ho intrapreso fin dal mio primo album, Early 17, in cui esploravo i rapporti tra due generi solo apparentemente distanti come il jazz e l’hip hop. Il principio di base è quello di legare il jazz alle forme musicali della contemporaneità, per rinnovare ancora una volta la tesi secondo cui il jazz è il genere del futuro, in quanto raccoglie quelle che sono le forme musicali del momento, ispirandole e a sua volta venendone ispirato. Secondo questo principio, era naturale che la ricerca del mio secondo album fosse volta ad analizzare i rapporti tra jazz e musica elettronica. A questo si aggiunge il fatto che nell’ultimo periodo ho subito tantissime influenze derivanti dal mondo della musica elettronica (da artisti ad esempio come Floating Points, Four Tet, Kaytranada) e quindi mi è venuto naturale trasferirle nella mia produzione musicale.
Parliamo del titolo del tuo album, “IKI – bellezza ispiratrice”. Puoi spiegare il significato dietro questa scelta e come la filosofia dell’IKI si riflette nella tua musica?
L’IKI è uno dei termini cardini del pensiero giapponese e indica una ricerca estetica appassionata e costante, che stimola e ispira l’uomo a non fermarsi alla superficie, a scavare sempre più nel profondo studiando sé stesso e ciò che lo circonda, con l’ambizione di raggiungere e toccare un faro che indichi la strada, che mantenga retta la via e il percorso. Portato all’interno della musica, questo pensiero si traduce in una ricerca volta ad analizzare i rapporti tra il jazz, il mio genere di formazione da cui parto e verso cui ritorno sempre, e generi ad esso estremamente legati come la musica elettronica o l’hip hop. È l’idea di un genere musicale in movimento, mai fossilizzato ma sempre alla scoperta di nuovi linguaggi, sonorità, stili. Infatti mi piace definire “IKI – Bellezza Ispiratrice” come un album che, in sole sei tracce, condensa quattro-cinque sottogeneri musicali differenti, proprio per dare l’idea della libertà espressiva che ne ha caratterizzato la produzione; libertà, ovviamente, sempre mediata dal linguaggio jazzistico, ammesso, e non concesso, che con esso si intenda qualcosa di specifico e precostituito.
La traccia di apertura del tuo album utilizza un monologo di Steiner tratto da “La Dolce Vita” di Federico Fellini. Puoi spiegarci come questa scelta si inserisce nel contesto dell’IKI e quale ruolo gioca nel tuo concept album?
Il legame tra “IKI”, ovvero il concept ispirato alla filosofia giapponese che ho scelto per l’album, e la prima traccia “Distaccati (da “La Dolce Vita”)” è fortissimo, ed è stato un incontro tanto fortunato quanto casuale: il brano “Distaccati” è stato, tra quelli presenti nel nuovo album, il primo brano (proprio in ordine cronologico) che ho scritto. Mentre ultimavo le tracce successive mi sono imbattuto nella lettura di un libro splendido di Kuki Shuzo, dal titolo “La Struttura dell’IKI”. Dopo aver letto e assorbito questo libro, ho scelto l’IKI come concept e fulcro filosofico del mio album, oltre che ovviamente come titolo. E qui arriva la parte più interessante: l’IKI è formato da tre momenti, al cui apice in ordine di importanza vi è il momento del “distacco” (inteso come facoltà di distaccarsi nella realtà per osservarla nella sua interezza e agire più consapevolmente). Il tema del distacco, centrale nell’IKI, riprendeva senza volerlo il brano che avevo scritto campionando il monologo tratto da “La Dolce Vita”, monologo che si chiude con la ripetizione della parola “Distaccati”. È stato un incontro magico, che ha dato una perfetta circolarità all’album. “Distaccati” ha per me un significato molto speciale, oltre che per la bellezza struggente e catartica del monologo, anche perché rappresenta l’incontro tra epoche, stili e generazioni diverse: il monologo di Steiner, che tra l’altro ho mantenuto nella sua versione originale con il doppiaggio di Romolo Valli, rimanda alla fine degli anni ’50, agli anni della Dolce Vita che hanno ispirato il capolavoro di Fellini, a un’Italia passata che ha segnato un ideale estetico e sociale; la musica che ho scelto di legare al monologo è invece testimone della contemporaneità: è una musica elettronica, un mantra ripetitivo quasi psichedelico costituito da sintetizzatori, campionamenti vocali e batterie elettroniche. La forza del brano è proprio questo interscambio temporale tra il monologo tratto da “La Dolce Vita”, caposaldo culturale del ‘900 italiano, e la scelta di un suono iper-contemporaneo.
Hai citato influenze e riferimenti precisi nella tua musica, come la fusione di “Naima” di John Coltrane con “Everything In Its Right Place” dei Radiohead. Come scegli i brani da citare e come integri tali influenze nella tua composizione?
I brani da citare sono scelti in base all’importanza che hanno avuto nello sviluppo del mio percorso musicale e artistico. Naima è il brano di John Coltrane che amo di più, e questo perché ha una melodia tanto bella e poetica quanto semplice, il che permette di poterla avvolgere con arrangiamenti interessanti e anche citazioni apparentemente distanti, come il caso di Everything In Its Right Place, ovvero il brano che mi ha fatto appassionare ai Radiohead. Riguardo la domanda sulla composizione, credo che (e questa è un’opinione che potrebbe trovare dei detrattori, soprattutto in ambito accademico) le migliori influenze/ispirazioni in ambito competitivo siano quelle passive, ovvero quelle che il musicista-compositore assorbe esclusivamente dall’ascolto reiterato e appassionato di uno o più artisti e di uno o più generi musicali. Cerco sempre di ascoltare e lasciarmi ispirare da generi musicali e artisti anche molto diversi tra loro in modo che la musica che creo abbia un qualcosa ogni volta di originale, di inedito, di imprevisto.
La collaborazione con Paolo Fresu è sicuramente un punto culminante dell’album. Puoi condividere l’esperienza di lavorare con un artista così eccezionale e come la vostra collaborazione ha influenzato il brano che dà il nome all’album?
Intanto sono d’accordo con la tua asserzione sul punto culminante dell’album, ecco perché ho scelto quel brano come traccia conclusiva e come titolo per l’album. Paolo è, ancora prima che un grande artista, una persona speciale e un vero Mentore. Con lui, ancora prima di realizzare questo brano insieme, sono andato in diverse scuole di Bologna e dintorni, in collaborazione con l’associazione Il Jazz Va a Scuola, per raccontare la bellezza e la straordinarietà di questa musica ai bambini e ai ragazzi. Mi ha inoltre invitato per due anni di fila nel suo splendido festival in Sardegna, il Time in Jazz, a cui ho partecipato sia con delle lezioni-concerto da me ideate che con il concerto insieme al mio trio. Andare in studio con lui per registrare questo brano è stata un’esperienza estremamente importante e formativa, così come presentarlo dal vivo insieme al termine del mio concerto all’interno del suo festival. Per quanto riguarda l’influenza sul brano, credo che Paolo abbia colto perfettamente le varie atmosfere presenti al suo interno: dalla dolcezza meditativa e leggermente malinconica del tema, passando per la parte più elettronica, introdotta dal campionamento di una frase di Miles Davis, su cui si sviluppa il dialogo improvvisato tra il mio pianoforte e la sua tromba, fino ad arrivare al finale, minimale e lirico, quasi a fungere da anello di congiunzione con il melodismo del tema iniziale.
Il breve estratto di un’intervista di Miles Davis nell’ultima traccia è un tributo significativo. Come hai scelto questo omaggio e quale messaggio vuoi comunicare attraverso questa citazione?
Miles Davis è, almeno per me, il musicista jazz più influente e innovativo del ‘900. Ha spinto in territori inesplorati il jazz in più direzioni: dal punto di vista musicale è stato un esploratore instancabile, proiettando un genere come il jazz nel confronto con altre realtà come la musica elettronica (con In a Silent Way e, soprattutto, con Bitches Brew) e l’hip hop (con il suo ultimo album, uscito postumo, dal titolo “Doo-Bop”); ha portato però nuova vita al jazz anche dal punto di vista dello stile, creando per sé stesso un personaggio noto anche per il suo stile cool e sempre all’avanguardia, condizione che rispecchiava perfettamente il suo pensiero musicale; in ultimo, ha sempre tentato, spesso con successo, di attualizzare il jazz per renderlo sempre accessibile alla massa, quindi popolare: non a caso è stato l’unico jazzista della storia a esibirsi a un festival come quello tenutosi nel 1970 all’Isola di Wight (evento musicale paragonabile a Woodstock), davanti a 700.000 persone. Per queste ragioni ho scelto di tributarlo nel brano conclusivo dell’album; quel brano che presenta la collaborazione di Paolo Fresu, su cui Miles ha avuto una notevole influenza, che infatti emerge chiaramente nel suono di Paolo.
Infine, guardando al futuro, cosa possiamo aspettarci dal tuo percorso musicale? Hai già nuovi progetti o collaborazioni in cantiere che puoi condividere con i nostri lettori?
Venerdì 16 febbraio (quindi a brevissimo) è in uscita un album contenente una colonna sonora che ho registrato per un Podcast della Rai, dal titolo “Una Morte da Mediano”, ideato e diretto dal giornalista e regista, vincitore del David di Donatello, Filippo Vendemmiati. Essendo io un grande appassionato di cinema, oltre che ovviamente di alcuni tra i più importanti compositori di colonne sonore (come ad esempio Ryuichi Sakamoto ed Ennio Morricone), è stato un grande onore aver avuto l’opportunità di registrare il mio primo commento musicale. Dopo la pubblicazione di questo progetto, partirà il tour di presentazione di “IKI – Bellezza Ispiratrice”, che condurrò al fianco di giovani fantastici musicisti, toccando alcuni luoghi in cui sono molto orgoglioso di poter suonare. Presto comunicherò tutte le date sui miei canali social e sul mio sito, seguitemi per restare aggiornati! 😉