“Due” è il nuovo brano degli Astenia

Si intitola “Due” il nuovo brano degli Astenia, band romana composta da Gianluca Gabrieli (voce e chitarra), Alessio Cecili (chitarra), Riccardo Acanfora (batteria) e Gianmarco Santesarti (basso).

Il nome della band deriva da un termine medico a cui viene cambiato l’accento per sottolineare come ogni sfumatura, anche la più piccola, sia in grado di cambiare prospettive e punti di vista.

“Due”, il nuovo brano degli Astenia, è una ballad che racconta l’intimità di una storia d’amore nelle sue fragilità. Il singolo è stato rilasciato lo scorso 25 ottobre e da ormai due settimane si è guadagnato una posizione nella playlist “Scuola Indie” di Spotify.

Potete ascoltare il singolo “Due” direttamente da qui:

“Due è una storia d’amore consumata in segreto: incontri, passione e litigi nel cuore della notte”. Così parla Gianluca Gabrieli, cantante della band. “Allontanamenti, attimi di tenerezza improvvisa e di intimità estrema seguiti da domande senza risposte e silenzi. Gli unici momenti di serenità avvengono in una camera d’albergo, una stanza spoglia che improvvisamente si veste delle loro fragilità e racchiude l’essenziale delle loro vite mentre il rumore della città rimane deliberatamente fuori. Il brano è la fotografia di ogni singola coppia che firma il proprio armistizio in camera da letto, dove lontano non si riesce a stare e vicino, invece, molto spesso ci si brucia”.

Ma “Due” non è il primo lavoro degli Astenia. La band ha infatti all’attivo due ep, Fà che sia tutto diverso e Quello che non ho, editi da Cosecomuni/Believe Digital e co-prodotti dai Velvet. La band si avvale anche della collaborazione di Davide Rossi (Coldplay, The Verve, Moby, Trentemøller) nel brano Milano.

“Due” anticipa l’uscita del nuovo album Amarcord, che vede invece la collaborazione di Alessandro Forte (Aiello, Galeffi, Mameli, Scrima), coinvolto nella produzione artistica. Rivoluzione Dischi è l’etichetta discografica.

Non ci resta dunque che aspettare per poter godere del nuovo lavoro della band, la cui uscita è prevista per l’inverno 2020.

Nel frattempo, non dimenticate di leggere il nostro articolo dedicato ai dieci artisti indie del momento.

Il Post Punk secondo Gazzelle: recensione del nuovo album del cantautore romano.

Neppure il tempo di abituarsi alle sonorità di “Punk” (uscito il 30/11/2018) e al successo incontrollato di Gazzelle che l’artista sorprende il suo pubblico con un nuovo lavoro.
Il fatto che abbia continuato a pubblicare singoli e inediti, anche subito dopo l’uscita dell’album, ha destato il sospetto che qualcosa di nuovo bollisse in pentola, ma nessuno si sarebbe mai aspettato l’uscita di un nuovo album a meno di un anno dal precedente. E infatti proprio nuovo non è.
“Post Punk” (25/10/2019) non è altro che una riedizione di “Punk” con l’aggiunta di quattro inediti: “Polynesia”, “Settembre”, “Vita paranoia”, “Una canzone che non so”.

“Punk”, Maciste Dischi, 2018.

Non è la prima volta che Gazzelle fa questo scherzetto (sarà che è uscito nei dintorni di Halloween). Anche il suo primo album “Superbattito” (a sua volta uscito poco più di un anno prima del secondo) è stato riedito poco dopo (con il titolo “Megasuperbattito”) con una versione arricchita di due singoli. In quel caso non è stato presentato come nuovo album, ma come la versione deluxe del precedente. Fatto sta che, in una versione o in un’altra, Gazzelle è riuscito a pubblicare quattro album (due album con doppia uscita) in tre anni.
A questo punto è lecito domandarsi se si tratti davvero di un autore molto attivo e prolifico che ha bisogno di lavorare sempre a qualcosa di nuovo e di mantenere vivo il rapporto con il proprio pubblico (motivo per cui il suo pubblico effettivamente lo ama profondamente) o piuttosto di un artista con un’ottima produzione alle spalle, la quale sa bene come rilanciare il valore e il successo dei propri artisti, anche attraverso trovate molto più commerciali che artistiche.
Al di là di ogni ragionevole dubbio, c’è però da riconoscere che il giovane Flavio Bruno Pardini, alias Gazzelle, classe 1989, si è guadagnato, in poco tempo, il successo di pubblico e critica, la stima di colleghi vecchi e nuovi (con i quali spesso collabora o omaggia, come nel caso della sua “Sally” di De Andrè, per il progetto “Faber Nostrum”) e un consenso sempre più crescente, soprattutto tra i giovanissimi.
Con quel suo stile melodico, ma un po’ ruvido; vivace, ma un po’ cupo; ironico, ma un po’ amaro; malinconico, ma un po’arrabbiato, incerto, ma un po’ rassicurante, Gazzelle ha fatto breccia nei cuori di molti. Non solo giovanissimi, in verità, perché forse è la generazione dei più grandi che si riconosce nella fragilità di chi è sopravvissuto agli anni novanta e da questi trae l’andatura un po’ sbilenca, il modo di parlare biascicato e dilatato, l’aspetto malconcio, i giubottini abbottonati fino al collo, abbinati a degli improbabili occhiali da sole e un’inconfondibile tenerezza al sapore di rimpianto.
E allora non importa se Gazzelle ha tutta l’aria di un ragazzino annoiato e viziato di Roma Nord, con l’atteggiamento spocchioso di un adolescente assonnato seduto scomposto all’ultimo banco, che abusa di termini che non gli appartengono (perché in lui e nella sua musica di Punk e di Post Punk non c’è proprio nulla) e di arrangiamenti ruffiani, sintetici nei suoni e negli effetti; la cosa che conta piuttosto è l’uso di una altrettanto ricca terminologia che invece costruisce (o restituisce) un immaginario in cui in molti si riconoscono, grazie anche ad atmosfere musicali sempre calde e avvolgenti.

Gazzelle live.

Quel ragazzino un po’ capriccioso e sempre scontento, ma che ancora ricorda “Lo zucchero filato” in “Superbattito”, è la voce del “fanciullino” che ognuno porta con sé, dentro di sé. E’ un fanciullo col broncio, come chi si appresta ad entrare nell’adolescenza o dalla quale, piuttosto, non intende più uscire. Da lui ci si lascia prendere per mano e accompagnare nell’ascolto dei nuovi tredici brani appena pubblicati, che in buona parte nuovi non sono, ma che, se già avevano convinto un anno fa, è un gran piacere ritrovarli ora, in compagnia dei quattro nuovi arrivati.
Il “No future” della cultura Punk diventa la ripetizione di un passato riadattato nel “Post Punk” di Gazzelle.
In questo (non)nuovo album c’è poco di innovativo, ma c’è una grande intuizione “che somiglia a una rivoluzione” (come dice in “Vita paranoia”), seppure nel senso gattopardiano del “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
La tracklist  è rimasta perlopiù com’era, ma effettivamente è cambiato tutto: titolo, copertina, singoli, album, segnando un (semi)nuovo successo di un cantautore bravo e ancora una volta convincente.
E allora, tra acronimi e termini gergali, attraversando il “Punk” che è solo un sapore (“di torta al cioccolato”) esotico come la “Polynesia”, si passa “Sopra” “Tutta la vita” per scoprire che “Non c’è niente” se non “Scintille” e non resta che affidarsi a qualcuno a cui chiedere “Coprimi le spalle”, per non finire in una “Vita paranoia” o a scrivere “Una canzone che non so”.
Forse il Post Punk è racchiuso tutto in questa incertezza, con la quale l’album si chiude dolcemente e della quale Gazzelle è un abile e impeccabile cantore.

“Povero Massi” è il nuovo singolo di Valucre

È stato rilasciato lo scorso 25 ottobre “Povero Massi”, il nuovo singolo di Valucre.

Valucre è una giovanissima cantautrice cagliaritana, che lo scorso luglio abbiamo conosciuto grazie al suo primo brano “Libellule”. Con il suo nuovo singolo, la giovane artista si è subito aggiudicata la copertina della Playlist “Scuola Indie” su Spotify, dedicata alla nuova scena Indie italiana.

“Povero Massi”, il nuovo singolo di Valucre, è una canzone che senza troppi giri di parole racconta un’amicizia vista dagli occhi della cantautrice. Il testo appare come un monologo in cui Valucre parla direttamente a “Massi”, unico vero protagonista del brano.

Il nuovo singolo di Valucre, prodotto per l’etichetta indipendente cagliaritana Atlantide Dischi, è stato registrato e mixato al Pepperpot Studio di Alessandro Forte.

Puoi ascoltare “Povero Massi” direttamente da qui:

Testo

Povero Massi ha sbagliato giornata
Rovina ogni fottuta serata
Raccontami un po’ di questa ragazza
E di quello che vuoi tu

Povero Massi mi sa che stavolta
La strada è forse un po’ troppa
A piedi da solo
E la casa sembra un po’ vuota

Leghi le scarpe prima di partire
Ti canti in testa tutte quelle rime
Rinchiuse tutte in un cassetto rotto
Sotto tutte quelle spine

Un passo stanco dopo l’altro
Ti sembra di andare sempre più in alto
Ripeti son stanco son stanco
Io no, lì non ci rimango

Povero Massi cosa ti guardi?
Lasciati indietro tutti gli sbagli
Povero Massi ridi degli altri
A casa si arriva e sempre più tardi

Che poi la strada ti sembra un po’ storta
Provi a bussare ma è chiusa la porta
Guardi a caso tutti i manifesti
Forse è alla prossima svolta
Con tutte le cartine che hai nelle tasche
Potremmo fare un fuoco tutta la notte
Piuttosto che camminare
Sdraiati a guardare le fiamme

E qualche amico ti chiamerà Santo
Vai avanti senza ruota di ricambio
Non alzi lo sguardo
Per sbaglio lo schermo si è rotto rotolando

Povero Massi cosa ti guardi?
Lasciati indietro tutti gli sbagli
Povero Massi tidi degli altri
A casa si arriva sempre più tardi

Non dimenticare di leggere il nostro articolo dedicato ai dieci artisti indie che devi assolutamente conoscere.

Iodegradabile, la recensione del nuovo album di Willie Peyote

Uno “sceneggiato sul tempo e il rapporto con esso” è questo il quarto album del fresh repper torinese Willie Peyote.

La cover

“In questo disco ci ho messo la faccia, in tutti i sensi. Potrà sembrare diverso dai precedenti sotto molti aspetti ma su una cosa è assolutamente uguale: è sincero. Che poi è il mio più grande pregio e il mio peggiore difetto, come diceva Accorsi in quel film che apriva le danze due dischi fa.”

Così il cantautore presenta questo nuovo disco, è il momento a questo punto della carriera del repper di mettereci la faccia.

Iodegradabile, compostabile ma non digeribile è stato anticipato da due singoli che toccano due sfere distanti del mondo di Guglielmo Bruno, “La Tua Futura Ex Moglie” e “Mango”. Partiamo proprio da questi due brani per analizzare questo sceneggiato radiofonico dei nostri tempi.

Iodegradabile

La Tua Futura Ex Moglie, una canzone d’amore dolce-amara dedicata alla bellezza di vivere l’amore hit et nunc, è stato il primo singolo ad annunciare questo nuovo lavoro. Tra citazioni di Godard e Fabri Fibra, voliamo a Los Angeles per una storia che già finita, consumata dai crudeli rintocchi del tempo.

Video – La Tua Futura Ex Moglie

Il filo rosso del Tempo tocca anche la musica, in particolare l’evoluzione del panorama musicale indie italiano in cui Willie è stato collocato, di cui scrive nel brano Mango. Il motivo è lo stesso di Fenomeno di Fabri Fibra, diventare popolare comporta la morte dell’estro e della libertà dell’artista(indie)? Eppure lo stesso Peyote ha dato vita a questo album con l’etichetta Vergin, della majors Universal. Questa inquisizione degli artisti “veri” continua a far discutere, lo stesso Caparezza ne ha fatto un vassallo, tormentato da Miki Mix e come Willie Peyote dal giudizio di un pubblico sempre più esigente, album dopo album. Ma andiamo avanti.

Il tempo non lascia scampo nemmeno alla musica, nel singolo Mostro vengono additati i mostri da sbattere in prima pagina (citazione del maestro Bellocchio), che nell’era della comunicazione nascono e muoiono nel flusso degli hashtag.

Si parla parla di politica, di Conte 1 e dell’informazione che ne segue la scia nella sua obsolescenza programmata, in tutto condito da una base super elettronica. Willie Punta il dito alla società che vuole sublimare la sua rabbia, ma lo stesso artista la riversa in queste dure rime.

Quando nessuno ti vede

Il tempo per apparire è diverso da quello vissuto “Quando nessuno ti vede”. Un singolo funky, divertente che parla del consumismo e dell’esperienza, che in amore non conta molto. Sembra che l’obsolescenza programmata, contamini anche le relazioni, che nel tempo si depauperano dall’entusiamo della “prima volta”.

Ossessionati dall’estetica e dalla vetrina, Catalogo continua su questo tema del consumo con un drumming mixato al synth. Il tempo continua a essere il Leitmotiv dell’album.

Che peccato, ci trascina con il suo groove, una canzone simulacro di un tormentone, pronta per l’estate 2020 con i suoi fiati e lo slogan “Si stava meglio prima, ma prima quando prima”.

L’invettiva di Miseri, evoca i suoi due padri putativi, Daniele Silvestri e Caparezza. L’invettiva del cantautore è contro la costante pressione del mercato che cerca la qualità e l’exploit, senza seconde possibilità.

“Dimmi te, quant’è arrogante l’immortalità
Il vero genio muore giovane
Il tempo logora la qualità”

Cattività è la canzone che ci ricorda più Willie Peyote del passato, un po’ prigioniero del suo ruolo da artista. Rima per rima, racconta la sua condizione esistenziale in un crescendo che inquieta anche l’ascoltatore, con un reef ipnotico.

“La paura che cresce alle volte può uccidere
Paura del diverso, paura del possibile
Fa paura decidere, uscire, sorridere, vivere
Sei programmato a reprimere”

Ho skippato su due skit, a voi il piacere di ascoltarli.

Ci fermiamo con Semaforo, l’ultimo singolo dedicato all’amore, “come fare uno spettacolo”, ma l’artista si trova sempre in scarto tanto da essere “solo uno spettatore”. È il primo disco che Willie scrive durante una relazione, dopo “la Tua Futura Ex Moglie” questo brano celebra la libertà di esprimere i propri sentimenti, anche da chi si definisce cinico e nichilista.

Fine di questo sceneggiato di Willie Peyote, qui le info sulle prossime date dell’Iodegradabile Tour.

Max Collini: partito il tour di letture dedicate ai testi indie più belli

Non è insolito imbattersi in critiche più o meno aspre da parte di coloro che, in sostanza, non riescano proprio ad apprezzare o a capire la musica indie. Una delle accuse che forse viene additata più frequentemente a questo genere musicale è il fatto di appropriarsi di testi fintamente poetici, di fatto poco profondi e di conseguenza banali e senza senso.

Ma non per tutti, certamente, vale questa lamentela. A tal proposito appare quindi senz’altro interessante la ricca iniziativa che Max Collini, autore dei testi degli Offlaga Disco Pax, ha scelto di portare a termine a partire da questo mese di ottobre.

Si tratta infatti di un singolare tour dedicato all’indie, che tuttavia si concentra sulla lettura e sull’interpretazione dei testi più belli e significativi che hanno dato forza e carburante al genere made in Italy – e che dimostrano anche come un fortissimo legame tra letteratura e musica sia spesso da ricercare in quei brani che caratterizzano l’industria indipendente e alternativa nazionale.

max collini legge l'indie

Precedentemente annunciato da alcuni appuntamenti passati, intervallato dalle dirette su Radio Deejay, e ulteriormente stimolato da una vecchia apparizione a Propaganda su La7, dallo scorso 6 ottobre è quindi partito Max Collini legge l’indie italiano – il Tour, ciclo di incontri che si farà strada per l’Italia con l’intento di spiegare, ad appassionati e non, cosa si nasconde dietro le parole spesso ambigue e fumose di alcuni dei più grandi artisti del panorama nostrano.

L’artista ospita quindi sul palco il linguaggio dei testi che ben conosciamo, la loro genesi e il loro messaggio, così come anche aneddoti storici e di backstage che hanno caratterizzato la vita di alcuni gruppi e cantautori, e un’analisi ricercata di come lo stesso genere musicale si è nutrito ed è cresciuto da un decennio a questa parte.

Si parlerà allora di Manuel Agnelli e Lodo Guenzi, di Calcutta e Coez, dei Coma Cose, dei Cani, dei Gazzelle, e tanti, tanti altri. Ricchi excursus sul nuovo pop, il vecchio cantautorato e la trap, su chi è rimasto a riempire piccoli pub di periferia e chi, ad oggi, riempie gli stadi più grandi d’Italia.

Il tour è attualmente confermato per il solo nord Italia fino a dicembre 2019. Non è da escludere, comunque, che ulteriori date intente ad abbracciare le regioni più meridionali del Bel Paese vengano annunciate successivamente.

Al momento, questi gli appuntamenti confermati:

  • 06/10 Brescia – Latteria Molloy
  • 12/10 Livorno – Cage
  • 16/10 Padova – Reset Fest
  • 26/10 Modena – Off
  • 07/11 Pescara – Festival Letterature Adriatiche
  • 09/11 Milano – Arci Bellezza
  • 17/11 Cavriago (RE) – Circolo Kessel
  • 05/12 Torino – Hiroshima Mon Amour

Per ulteriori informazioni vi ricordiamo inoltre che è possibile fare affidamento agli aggiornamenti postati regolarmente da Max Collini stesso sui suoi account ufficiali, quali Facebook, Twitter e Instagram.

SPRING ATTITUDE FESTIVAL: l’eterna primavera della musica

Si è appena conclusa la decima edizione dello “Spring Attitude Festival” in un trionfo di musica e partecipazione: diecimila presenze, doppio sold out, clamore mediatico, artisti italiani e internazionali, rivelazioni recentissime e colonne portanti della musica degli ultimi trent’anni (elettronica soprattutto). Il tutto all’interno della suggestiva cornice del “MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo” di Roma, con cui il festival quasi condivide il decennale (il Maxxi di anni ne ha nove e la presidente Giovanna Melandri già immagina un festeggiamento condiviso con un’edizione speciale per l’anno prossimo).
Dopo un’estate in cui il museo ha dato spazio alle etichette indipendenti, ora ha accolto, nuovamente, la primavera della grande musica internazionale. I concerti e i dj set hanno attraversato diversi luoghi e impegnato vari palchi, allestiti in zone differenti del museo e dello spazio di fronte, ovvero la “Ex Caserma Guido Reni”: location diverse, per artisti diversi, con pubblici differenti; vari luoghi per tante esperienze musicali (e visive), concentrate in una sola notte, per tre notti consecutive.

“Spring Attitude Festival” , 10-11-12 ottobre 2019, Roma.

Tra i nomi spicca quello di Giorgio Poi, uno dei cantautori più interessanti del panorama italiano attuale: autore eccezionale, musicista polistrumentista dal respiro internazionale che finalmente emerge come solista, dopo anni di formazione all’estero e collaborazioni illustri.
Presente anche Myss Keta, come sempre irriverente, dissacrante, insopportabile e accattivante. Un’artista irrinunciabile e quasi ipnotica.
Si è esibito (nuovamente) anche Rancore, una delle migliori firme dell’Hip Hop italiano e romano in particolare: lingua tagliente, rime incalzanti, contenuti profondi, provocatori e malinconici. Un artista di spessore che ultimamente ha deciso di uscire dalla dimensione underground e oltrepassare il confine del mainstream, seppur d’autore. Sul palco esprime la stessa vecchia energia di un tempo, per niente ingrigita o irrigidita dai codici di condotta sanremesi.
Si sono presentati al pubblico romano (e probabilmente non solo) anche tanti nomi nuovi come Venerus, la grande sorprendente rivelazione; Massimo Pericolo con tutta la sua rabbia malinconica contrapposta allo spirito festoso ed elettrico del collettivo di dj Ivreatronic (tra i quali Cosmo) che hanno chiuso l’esibizione completamente nudi sul palco e infine non potevano mancare le grandi firme dell’elettronica internazionale (Laurent Garnier, Ellen Allien), sempre presenti e mai deludenti.

“Spring Attitude Festival” , 10-11-12 ottobre 2019, Roma.

L’incontro di linguaggi così distanti, per genere ed epoca, dimostra prima di tutto la capacità della musica (di una certa musica) di rigenerarsi continuamente pur rimanendo se stessa, perfettamente aderente alle sue radici. Anzi, in questo caso radici e germogli si scambiano i set e condividono i palchi, si sfidano a colpi di beat e di arrangiamenti, facendo ballare e cantare, allo stesso ritmo, generazioni di adulti e di giovanissimi.
In secondo luogo dimostra quanto la qualità di certi artisti recenti, addirittura emergenti, sia tanto alta da non suscitare alcun temuto confronto con i pezzi da novanta della musica contemporanea (che a loro volta non guardano con sospetto e preoccupazione l’avanzata di giovani così promettenti).
Infine pone una serie di riflessioni e di interrogativi su come sia cambiata la concezione della musica anche a partire dalla definizione dei suoi generi, dalla modificazione del pubblico e delle modalità di fruizione e di esperienza (per cui ora non ci si stupisce, ma semmai si gioisce, per un festival di musica elettronica, hip hop, cantautoriale, emergente, affermata, sui palchi di un auditorium, in un museo e in una ex caserma).

“Spring Attitude Festival” , 10-11-12 ottobre 2019, Roma.

Lo Spring è un festival che non si dedica a un genere e a un pubblico, ma ad una certa attitudine primaverile, appunto, che accomuna chi produce, chi realizza e chi ascolta una musica sempre sul punto di fiorire e di raggiungere il proprio massimo punto di splendore, in una sorta di fermento sempre vivo, nonostante i nomi grossi alle spalle, nonostante i nomi nuovi davanti, nonostante in molti tra gli artisti abbiano, di fatto, scavallato il confine dell’indipendente per rientrare in ambiti artistici ed espressivi più convenzionali.
Eventi come questo raccontano una musica che non ha paura di osare e di sperimentare, che mantiene sempre la propria indi(e)pendenza, fuori dalle definizioni e dalle etichette, anche quando queste diventano la propria casa di produzione.
In questo vortice di perdita di certezze, ma di ampliamento di orizzonti, come in un gioco caleidoscopico fatto di specchi, esplosioni ed implosioni, evoluzioni e contatti, aperture e dissoluzioni, i frammenti (le singole esperienze) fanno la totalità, pur senza appartenersi tra loro, ma incontrandosi per poi perdersi, in una trasmutazione infinita, sempre simile, ma mai identica (sono sempre più frequenti featuring e collaborazioni anche tra artisti lontanissimi per genere e formazione).
Lo “Spring Attitude Festival” è stato dunque l’occasione non solo per ascoltare ottima musica, ma anche per fare un ragionamento su di essa (ma forse sullo stare al mondo contemporaneo in generale) e, procedendo nella riflessione, diventa inevitabile incappare in quella fumosa, sempre più estesa e alquanto diffusa (anche impropriamente, seppur l’ambito proprio non sia del tutto chiaro) e a tratti odiosa definizione che tale non è, ma che in qualche modo determina uno spazio di incontro: l’indie.
Ecco, forse il vero Spring attitude è quello indie che non ha a che fare con le reali modalità di produzione o di distribuzione di un certo prodotto artistico e neppure con l’appartenenza o meno a un genere specifico, si tratta dell’atteggiamento di (e verso) una musica che forse non diventa mai del tutto grande (in tutte le possibili accezioni), ma piuttosto si cristallizza nei suoi “27” (anche solo metaforicamente), rifiutando le stagioni del declino o le glorie della prima squadra, permanendo eternamente nella propria brillante primavera.


Nicolino California – L’intervista

Il suo nome d’arte è Nicolino California, lo abbiamo conosciuto grazie al suo primo lavoro ufficiale, intitolato “Estremi” e rilasciato lo scorso luglio.

Ma chi è Nicolino California?
Scopriamolo insieme nella nostra intervista.

Parlaci un po’ di te. Qual è la tua storia? 

Nicolino California è sempre stato nella testa di Nicolò, ma Nicolò ha sempre avuto timore a mostrarlo. Vengo da 10 anni di rap, il rap fatto nei centri sociali, nei locali di periferia, nei club. Tanta tanta tanta gavetta senza mai avere grossi risultati, solo tanto palchi e un sacco di risate coi miei soci. Devo comunque tanto al rap, forse tutto. Rimane per me la forma di espressione piu cruda e diretta che si possa usare nella musica.

“Estremi” è il tuo nuovo primo lavoro su Youtube. Come nasce questo brano?

“Estremi” è uscita a Luglio di quest’anno, ed è stato il primo mio singolo ufficiale. La canzone nasce una sera di febbraio, ed è uscita in circa mezz’oretta, sembrava l’avessi già dentro di me e non ha esitato a uscire. Nelle canzoni parlo di vita quotidiana, vita di tutti i giorni, che poi è quella che vivo. Mi piace molto raccontare storie, talvolta frutto della fantasia o spesso storie che ho sentito. Non mi piace mai raccontare cose che non ho mai fatto o che non possiedo, ostentare qualcosa che non sia mia non lo sopporto.

Puoi dirci qualcosa sui tuoi lavori futuri o è un argomento top secret ?

Per quanto riguarda i progetti, sono costantemente dietro coi lavori, scrivo e registro tutti i mesi e do piccoli assaggi alla gente, sicuramente uscirà un mini album con l’anno venturo, ma ancora non so di preciso quando (spero il piu presto possibile!).

Milano e la California. Cosa rappresentano per te?

Milano per me rappresenta una città forte e organizzata piena di risorse e possibilità, ma talvolta anche una gabbia col cielo grigio dove c’è poco da divertirsi. Milano mi fa questo doppio effetto. La California invece non l’ho mai vista purtroppo, ma è sempre stata nella mia testa. Da quando a 10 anni mi regalarono il mio primo disco dei Blink 182, ho il sole e il caldo californiano dentro. La California non è solo uno Stato, ma uno stato d’animo.

E dopo “Estremi”, il primo lavoro ufficiale di Nicolino California, venerdì è stato rilasciato il suo secondo singolo, “Erotica”.
Potete ascoltarlo direttamente da qui:


E non dimenticate di leggere il nostro articolo dedicato ai dieci artisti indie del momento.

Enzo Dong, da Secondigliano alla limousine.

Enzo Dong, il rapper di Secondigliano è fuori con Limousine, il singolo che preannuncia l’uscita imminente del suo primo album ufficiale.

Tedua; collaborazione di qualità

Il primo elemento che balza all’occhio già dal titolo della traccia è il featuring con Tedua; una accoppiata che senza dubbio smuove interesse. Per un pubblico abituato ai flussi di coscienza, alle complesse metriche del rapper genovese Enzo Dong è una sorpresa. Che comunque appena dopo il primo ascolto si può definire lieta.

Limousine

Devo ammettere che ho cliccato play alla traccia con un leggero pregiudizio verso il titolo. Pensavo di ritrovarmi ad ascoltare l’ennesima esasperazione di ostentazione da parte del trapper di turno, invece mi sono dovuto ricredere pochi secondi dopo. Con enorme piacere è bastato ascoltare il ritornello per capire quanto il Dong sia maturato, tanto nella scrittura quanto nei contenuti.

Il singolo si apre con una dedica ai deceduti della tragedia del ponte Morandi di Genova, e ci si focalizza subito sul rovescio della luccicante medaglia del successo. Sulle amicizie perse, sul rammarico, tutto con una vena leggermente malinconica che non guasta.

E’ una canzona da ascoltare almeno un paio di volte prima di riuscire a coglierla a pieno, e vi invito a farlo. Scelgo appositamente di non menzionare i vari chiacchiericci riguardanti il suo Freestyle, che alimentano situazioni che andando al di fuori della musica mi lasciano completamente indifferente.

Enzo Dong dimostra con questo singolo di non essere solo il rapper conosciuto al grande pubblico per i tormentoni quali Italia 1 e Higuain, ma di avere molto altro da dire.

Auguriamo il meglio per il suo primo album ufficiale a questo ragazzo che partito dalle periferie di uno dei quartier più difficile d’Italia sta per coronare il suo sogno di vivere di musica a tutti gli effetti. E che seppur gira il limousine dimostra di portarsi nel cuore ogni “Scugnizzo di Secondigliano”.

Erica Cuore ad Elica, il nuovo singolo di Giorgio Poi

Come fa Giorgio Poi a farci innamorare di ogni suo pezzo? In questa giornata d’autunno siamo tornati ad ascoltarlo con un nuovo brano: “Erica Cuore ad Elica“.

Il nuovo singolo di Giorgio Poi

Il singolo scritto, composto e interpretato dal cantautore piemontese evoca le ANAFORE di Rino Gateano e Lucio Battisti. Una nota speciale al sassofono a chiusura del brano che ci riporta nel passato, dove le canzoni avevano una parte strumentale molto più consistente che toccava le corde più profonde dell’animo dell’ascoltatore.

Testo Erica Cuore ad Elica

Come fanno le cicale
A smettere tutte insieme
Prendere fiato e ricominciare
Come gli viene
E come fanno i pesci
A sapere dove andare
Senza fermarsi mai
E senza parlare Tu invece come fai
A scegliere col dito
Un punto in mezzo al cielo
Il tuo preferito.

Erica troppi caffè
Erica mani di vetro
Erica cuore ad elica non parlare
Si sente il rumore
Erica e occhiali scuri
Sull’autostrada del sole
Impareremo la lingua dei doppiatori
Per farci capire
Per farci capire.

E tu davvero non ci credi
Oppure hai voglia di scherzare
Ma vista da quaggiù
Sembri un temporale
Che vola sulle case
Sui parchi e sulle strade
Che fa luce e fa rumore
Per farsi trovare.

Erica troppi caffè
Erica mani di vetro
Erica cuore ad elica non parlare
Si sente il rumore
Erica e occhiali scuri
Sull’autostrada del sole
Impareremo la lingua dei doppiatori
Per farci capire.

Mentre con gli occhi vengo a cercarti
Con gli occhi vengo a cercarti.

Erica troppi caffè
Erica mani di vetro
Qualcuno ha visto un motore con quattro pale
Fra Napoli e il sole
Fra Napoli e il sole.

Storia

La storia di Erica, una ragazza cha travolge la vita dell’artista con i suoi caffè, le sue mani di vetro e i suoi occhiali scuri. Il suo cuore ad elica, vola da Napoli al sole e vista dall’esterno è una nuvola, un temporale da inseguire nel cielo, un cuore che sogna e vuol far sognare.

Cover Erica cuore ad elica

Una relazione un po’ inafferrabile, dove i protagonisti divisi e diversi impareranno la lingua dei doppiatori per capirsi.

Il Tour di Giorgio Poi

I concerti, iniziati già a fine marzo dello Smog Tour, titolo quindi dedicato all’omonimo disco che è stato pubblicato lo scorso 8 marzo, proseguono anche questo autunno.

Smog

Il Primo live autunnale si terrà venerdì 11 ottobre, Spring Attitude al Museo MAXXI a Roma. Qui tutte le date degli altri concerti di Giorgio Poi.

Scopri quali sono I 10 artisti Indie che devi assolutamente conoscere.

C’era una volta…Quentin Tarantino

L’attesa

L’ultimo lavoro di Tarantino, C’era una volta a… Hollywood, rientra in quella categoria di film la cui uscita è più un evento.
Quelli di cui tanto si è sentito parlare, che aspettavamo con ansia, per cui le indiscrezioni sapientemente trapelate dai media, hanno alzato l’hype fino al momento della prima.

Il regista statunitense infatti è diventato negli anni un riferimento per il cinema cosiddetto “cult”. I suoi grandi capolavori non sono nati grazie a budget da capogiro o pensati per il grande pubblico, ma si sono trasformati in icone sia per lo stile che per l’impatto avuto su una fetta di audience ormai affezionata e devota.

I Simboli

Scene come quelle di Le Iene o di Pulp fiction, sono entrate nell’immaginario collettivo di un certo tipo di cinema, un amalgama di stili e generi considerati di serie b se non addirittura di serie z, che però è riuscito a conquistare il pubblico proprio perché dissonante dai soliti prodotti commerciali e blasonati di Hollywood.

Ci siamo abituati a ridere della violenza, degli stereotipi razziali, ad apprezzare il politically scorrect, le inquadrature improbabili, le prolessi ed analessi che ci hanno traghettato nelle sue sceneggiature più celebri. Il suo stile è da sempre oggetto di studio per gli appassionati, ma è bene lasciare agli esperti cinefili certe digressioni tecniche.

Ciò che sicuramente è sempre stata la spina dorsale dei film di Tarantino è sicuramente il cast. John Travolta, Uma Thurman, Samuel L. Jackson, Tim Roth, Bruce Willis, Steve Buscemi, Chirstoph Waltz, Kurt Russell, sono solo alcuni dei  nomi che hanno saputo dare un volto ed una caratura ai personaggi partoriti dalla mente di Quentin grazie a delle performance magistrali o a brevi, ma simboliche scene.

Non ultimi Brad Pitt e Leonardi DiCaprio, rispettivamente presenti in Bastardi Senza Gloria e Django Unchained, che sono anche i protagonisti dell’ ultima pellicola.

C’era una volta…al cinema

C’era una volta a… Hollywood è stato presentato alla 72° edizione del festival di Cannes ed è stato distribuito nelle sale italiane a partire dal 18 settembre 2019.

E’ il primo film dalla Sony, dopo lo scandalo cha ha coinvolto lo storico produttore  Weinstein.

Prima dell’uscita ci sono state poche indiscrezioni se non quelle sulla trama e sul cast.
Si sapeva infatti che il thriller- drammatico sarebbe stato legato ai fatti di cronaca riguardanti la setta di Charles Manson che nel 1969 ha seminato il panico tra le colline hollywoodiane e che sul set DiCaprio e Brad Pitt sono stati avvistati, più splendenti che mai nei loro pantaloni a zampa, gli occhiali da aviatore e con un sorriso sfacciato.

Oltre ai due divi, nel cast anche Margot Robbie, Al Pacino, Dakota Fanning, Luke Perry e Kurt Russell.

Il film

Se vi aspettate un classico film di Tarantino, mettetevi l’anima in pace perché non lo è. D’altronde non c’è scritto da nessuna parte che un autore debba continuare a rimanere uguale a se stesso, soprattutto qualcuno come Tarantino che non è mai stato alla portata di tutti i palati.

Alcuni degli elementi della tipica struttura “tarantiniana” persistono: una prima parte del film più lenta e discorsiva in contrasto con l’azione presente nella seconda, citazioni ed omaggi ai generei che hanno ispirato il regista  e onanistici easter eggs, in questo caso su tutta la sua filmografia.

Trama

DiCaprio interpreta Rick Dalton, un attore hollywoodiano che ha conosciuto fama e celebrità, ma che sta affrontando l’inizio di un inesorabile declino in cui sembra trascinare anche la sua controfigura, nonché amico e assistente fidato, Brad Pitt nei panni di Cliff Booth.

Questa parte della narrazione è un affresco su come poteva essere Hollywood in quegli anni e come forse è ancora. Spietata verso le proprie creature, una spada di Damocle pronta a colpire tra una festa e l’altra alla Play Boy Mansion chi oggi è in e domani sarà out. Tutto potrebbe dipendere da chi incontri, forse un regista in ascesa o forse uno spietato serial killer nel vialetto davanti casa.

L’intensità dei due attori e il loro carisma, nonché la splendida forma fisica di entrambi, sostengono questa prima parte del film in maniera impeccabile,  non si può non provare empatia per il balbuziente Rick che si aggrappa alla sua carriera e alla bottiglia con tutte le sue forze, mentre la presenza confortante di Cliff rassicura un po’ anche noi, anche dopo qualche rivelazione sul suo passato.

Il ritmo è più lento rispetto quelli a cui siamo abituati, ma lo spettatore viene condotto in una cassa di risonanza dove il film nel film, l’attore che recita la parte dell’attore e che vede se stesso sullo schermo recitare e altri paradossi creano l’illusione a chi guarda, di trovarsi in un film usciti dalla sala alla fine del primo tempo. Strana sensazione.

A rendere tutto più inquietante, la presenza di figure hippie che scorrazzano libere per la città degli angeli, nascondendo dietro l’apparenza algida e spensierata, la follia e il disagio che si celavano alle spalle della Famiglia di Charles Manson. Lo Spahn Ranch mette davvero i brividi.

Chi conosce la storia dei tragici fatti di cronaca che hanno toccato da vicino la famiglia di Roman  Polanksi, saprà che gli eventi si sono svolti in maniera abbastanza diversa e che quella di Tarantino è un re interpretazione della storia che non vuole mancare di rispetto a nessuno (tranne forse a Bruce Lee, a detta della figlia), ma lasciare spazio ad eventuali what if o ad una narrazione a carico dello spettatore.

Conclusioni:

Vale la pena la visione al cinema, ma sicuramente è un film che può dividere i fan di Tarantino, non arriva subito alla bocca dello stomaco come alcuni dei suoi predecessori, ma avvolge lentamente chi riesce  a farsi trascinare da una storia ambientata nel 1969, che comunque vada assicura una colonna sonora strepitosa e psichedelica. Un buon metro di misura per capire se il film vi è piaciuto è la percezione della sua durata. Per qualcuno 161 minuti voleranno, per altri saranno una condanna.