M.E.R.L.O.T non smette di sorprendere e, dopo il grande successo di VENTITRE, certificato Disco d’Oro, chiude un nuovo capitolo della sua carriera con ALASKA, la bonus track del suo ultimo EP, OFIUCO. Questo brano speciale, uscito l’8 novembre, rappresenta un perfetto connubio tra la malinconia che da sempre caratterizza l’anima dell’artista e sonorità capaci di catturare e trascinare l’ascoltatore in un profondo flusso di coscienza.
In occasione di questa uscita, abbiamo intervistato M.E.R.L.O.T, che ci ha raccontato come è nato ALASKA, il suo rapporto con il tema della solitudine e il paradosso della connessione digitale, oltre a svelarci qualche dettaglio sul percorso creativo che lo ha portato fino a qui.
Intervista a M.E.R.L.O.T su “ALASKA”
Ciao Merlot! Come stai? Benvenuto. Nel testo di “Alaska” emergono immagini di solitudine, isolamento e una forte connessione emotiva con l’altro. Come hai vissuto personalmente queste emozioni mentre scrivevi?
La vivo come la vivono molte persone che mi circondano, è paradossale come in un mondo dove siamo tutti iperconnessi ci si sente sempre più soli, forse mancano i legami veri quelli che si creano faccia a faccia.
Cosa rappresenta per M.E.R.L.O.T “perdere le parole come il caldo in Alaska”?
Quando l’ho scritta mi sembrava filare liscio come l’olio, poi hanno iniziato a farmi questa domanda e ho capito che è un po’ ingarbugliata come frase. Io intendo che perdo le parole proprio come si perde il caldo in Alaska. Non ci sono mai stato, ma penso che se dovessi andare perderei il caldo… Il mio cervello è strano.
Come si inserisce questo pezzo in “Ofiuco” (che avevamo detto che è un simbolo di mistero e introspezione)?
Ofiuco è imperfetto e senza una vera e propria fine. Alaska gli dà una conclusione ma comunque lo lascia lì ancora socchiuso, Alaska ha questo ruolo.
Come vivi in prima persona il contrasto tra connessione digitale e disconnessione emotiva che descrivi in “Alaska”?
Come dicevo prima, il fatto di essere un po’ dipendente dal cellulare e dai social mi fa allontanare molte volte dalle cose reali. È paradossale, ma più siamo connessi digitalmente, meno siamo connessi emotivamente.
Quando potremo riascoltarla live?
Spero prestissimo, perché il tour appena terminato mi ha donato tanto e non me lo sarei mai aspettato. Ora sono dipendente anche dai concerti.
“TILT” è il primo singolo di skaar, uscito il 20 novembre, ma anche il primo passo all’interno di mondo.skaar, la pilot di un ecosistema immersivo e interattivo che si pone l’ambizioso fine di creare un “esercito di creativi”, un progetto community-based che avrà come headquarter un sito interattivo creato ad hoc, in cui videomaker, producer, grafici e creativi di tutti i tipi, potranno interagire, contribuendo alla crescita di mondo.skaar.
Il significato di TILT di skaar
Nata quasi come una sfida, “TILT” si presenta come un brano musicalmente complesso. Parte da una bozza acustica, che rimane onnipresente e arriva, tramite suoni che spaziano tra l’elettronica e il country, a un sound “da festa di paese”. Un malinconico rinvio al passato, con suoni elettrici al sapore di futuro distopico. Perché è proprio di tempo che skaar vuole parlare, mentre osserva una società che è andata avanti. Ma che in realtà forse è ancora più indietro di prima.
Nei suoi venticinque anni, esplora il conflitto tra la pressione di conformarsi ai ritmi della società e il desiderio di vivere seguendo il proprio tempo interiore. “TILT” vuole essere una riflessione sulla sua generazione e sulle sfide di equilibrio tra evoluzione personale e competizione imposta dall’esterno. Skaar cerca una risposta diversa rispetto a fuggire o conformarsi, le uniche due soluzioni che sembrano possibili: escapismo o contesa. E se non vai a tempo con le lancette, vai in “TILT”. “Tiltare” è il verbo che skaar usa per indicare l’esasperazione causata dai ritmi frenetici che la società impone; una sorta di rottura col sistema che avviene quando le nostre lancette non vanno in sincro con quelle che il mito dell’evoluzione ha decretato per noi. Ma poi questo “tempo giusto” esisterà davvero? Skaar enfatizza l’importanza di riconoscere e rispettare il proprio ritmo, evitando la necessità di adattarsi a quello esterno e promuovendo invece l’autenticità e l’ascolto di se stessi.
“Per me, che sono batterista, il tempo è fondamentale e se non sei al tempo giusto, sei “fuori tempo”. Questa canzone vuole spiegarti che non esiste stare fuori tempo, esiste avere il proprio tempo. Non serve nessun metronomo, basta sapersi ascoltare”
Chi è skaar?
skaar è un progetto musicale e visivo che unisce il mondo urban alternativo con quello cinematografico e trova le sue radici nella produzione filmica. Attraverso un suo sito interattivo e immersivo, “mondo.skaar”, vuole costruire un universo narrativo che evolve a ogni nuova uscita musicale, offrendo agli utenti una scoperta continua di contenuti esclusivi, che ne arricchiscono l’esperienza. Il progetto è infatti ideato per svilupparsi in modo “community based”. Invitando creativi da vari settori (dai videomaker agli sceneggiatori, dai grafici ai sound designer) a contribuire a questo mondo. Creando un collettivo artistico eterogeneo che riflette la sua visione. Skaar debutta con il suo primo singolo, “TILT”, in uscita il 20 novembre, un brano che esprime l’approccio personale e unico dell’artista ai temi della società contemporanea. Sarà seguito da altri due progetti: “Frecciarossa” e “Gli Amanti”, in uscita nel 2025. Questi brani incarnano la volontà di skaar di unire musica e narrazione cinematografica. Creando un’esperienza artistica che supera i confini di genere e che invita il pubblico a esplorare un universo narrativo in continua espansione.
“RAMPAMPAM”, il nuovo brano di LupoFiumeLeggenda, segna un capitolo importante nel percorso musicale dell’artista. Prodotto da Leo Pari ed Emanuele Santona e distribuito da Believe Music Italia, il singolo è il quarto tassello del progetto 2024 dell’artista, che si è già fatto notare con i precedenti brani “FANTASIE” (incluso nella playlist Scuola Indie di Spotify), “ANCHE X ME” e “PAZZA”.
Con “RAMPAMPAM”, LupoFiumeLeggenda punta a definire ancora più chiaramente l’universo del suo alter ego artistico, intrecciando musica e poesia in un esperimento inedito.
Il brano, infatti, esce accompagnato da una poesia omonima scritta insieme al poeta italo-cileno Luca Perez Dinapoli, consolidando un legame tra sonorità pop e suggestioni letterarie.
Il pezzo, della durata di 2 minuti e 53 secondi, si configura come una canzone pop che unisce atmosfere oniriche e crepuscolari nelle strofe a un ritornello arioso, in grado di catturare l’ascoltatore con la sua apertura sonora e testuale. “RAMPAMPAM” parla d’amore, ma lo fa attraverso una prospettiva inedita, ispirandosi a un’avventura con i butteri della Maremma. È un testo “antico”, che rivela un pop maturo, nato da esperienze poco convenzionali e ricco di sfumature emotive.
Questo nuovo capitolo segna un passo avanti significativo per LupoFiumeLeggenda, sempre più determinato a ridefinire il concetto di pop italiano, trasformandolo in un luogo di incontro tra innovazione musicale e profondità poetica.
Intervista a LupoFiumeLeggenda su “RAMPAMPAM“
Ciao LupoFiumeLeggenda, benvenuto 🙂 “RAMPAMPAM” viene descritto come un “pop ritrovato nelle esperienze meno pop”. Raccontacelo.
Innanzitutto ciao Cari; è un piacere scambiare due chiacchiere.
Io cerco di scrivere musica pop proprio nel senso di popolare, fruibile per tutti. Però la mia matrice spesso è un po’ di nicchia…vivo in un paesino, mi piacciono gli spazi piccoli, le situazioni intime.
Rampampam l’ho scritta un weekend che ero da solo a cavallo in maremma; o meglio, non da solo, ma con dei butteri che ho conosciuto.
Direi piuttosto lontano dal mainstream
Hai collaborato con il poeta italo-cileno Luca Perez Dinapoli per la poesia omonima al singolo. Cosa ha aggiunto la sua sensibilità poetica al progetto e come avete lavorato insieme?
Ammiro e conosco Luca da anni, è un attore di teatro e una penna davvero sensibile. Ci siamo sempre ritagliati il tempo per sprofondare nel pantano delle reciproche emotività e ad un certo punto è stato naturale scrivere qualcosa insieme.
Avevo questa bozza in spagnolo maccheronico e abbiamo deciso di svilupparla. Niente di troppo eccentrico, ci vediamo ce la godiamo, poi ognuno fa il suo. E via con la vita che è un treno che corre.
Le atmosfere che fanno da sfondo a “RAMPAMPAM” sono oniriche. Come hai lavorato alla produzione e alla scrittura per raggiungere questo tipo di atmosfera?
Questo è stato un processo piuttosto lungo, tanto che RAMPAMPAM è pronta sul hard disk da più di un anno. Ci ho lavorato prima con un pianista, poi ho sviluppato il grosso del brano con Santona (al solito) ed eravamo già a buon punto, ma forse ci eravamo lasciati un po’ prendere dalla sperimentazione. A questo punto è intervenuto Leo (Pari) che ha messo un po’ a posto le cose. Secondo me è una prod molto riuscita.
Hai lavorato con Leo Pari ed Emanuele Santona per la produzione di diversi singoli, tra cui “RAMPAMPAM”. Com’è stato collaborare con loro e cosa hanno portato alla tua musica?
Mah sono due cose un po’ diverse. Santona è ormai un amico, non solo….è anche il mio testimone di nozze. È un producer emergente, ma io sono convinto che abbia tutto per diventare il migliore. Sono pronto a scommetterci. Di Leo sono superfan da tempo, mi piace come scrive e come suonano i suoi lavori. Collaborare è stato facile e bello. Io suono per godere, queste sono tutte esperienze che mi fanno godere.
Nel 2023 hai pubblicato l’EP “Dialoghi italiano” e ora stai lavorando verso il tuo primo album ufficiale. Come descriveresti l’evoluzione del tuo sound da allora a oggi?
La definirei razionale, perché non sono ancora arrivato al sound che vorrei, ma so bene dove sto andando. Dialoghi per me ha un sound super fresco, lo ritengo il mio punto più alto e ispirato al momento, ma è figlio di un periodo strano e del fare di necessità virtù..avevamo solo un computer e un microfono scassato…mi è costato due lire davvero. Questa cosa non funziona sempre però. Io ho 33 anni e ho suonato tantissimo, dalle cover di revival, alle band post rock. Sono convinto che la musica suonata per davvero sia il mio territorio; quindi sto sperimentando per arrivare al MIO POP: che è il signor pop, ma con la faccia da schiaffi e un bel Loden addosso
Quando possiamo venire a sentirla?
Come dicevamo ora sto chiudendo il disco, nel frattempo quest’anno sono diventato papà e mi sono pure sposato..i live li ho messi un attimo in pausa ecco.
Dalla primavera del 2025 però voglio suonare il più possibile. Giuro vi dico quando e dove.
Vi ringrazio del tempo e delle parole spese Les amis.
Il 25 ottobre, Dedo ci ha regalato un nuovo brano che sembra pensato appositamente per risollevare lo spirito, un vero e proprio balsamo per chi ascolta. Con Dottore, il suo ultimo singolo in uscita per Honiro Publishing e Luppolo Dischi, l’artista ci accompagna in un viaggio sonoro.
Dottore è un inno all’introspezione, a quel momento magico in cui la connessione con qualcuno è così forte da rendere il mondo esterno, e i suoi frenetici rumori, quasi insignificanti. È un invito a andare oltre l’apparenza e a fermarsi a riflettere, ad ascoltare ciò che ci circonda e ciò che ci abita dentro. Dedo stesso ci racconta di come il brano descriva quel momento di piena sintonia con un altro, quando il solo suono di una voce può isolarti dalla città e restituirti la serenità di essere nel posto giusto, dopo tanti tentativi. Un singolo che promette di parlare direttamente al cuore, per farci sentire più vicini alla pace che cerchiamo.
Abbiamo avuto il piacere di parlare con Dedo per scoprire di più su Dottore e sulla sua visione musicale.
Intervista a Dedo su “Dottore”
Ciao Dedo! Parlaci del tuo “Dottore”: come nasce questo brano e perché questo titolo?
Questo brano nasce a pancia piena, dopo pranzo, mentre il mio produttore suonava il giro di accordi in modo casuale. Li ho scritto le due strofe ed un ritornello che poi abbiamo sostituito con quello attuale. Il nome in realtà non ha molto senso, per me era inusuale mi suonava anche male, ma col tempo più la chiamavo cosi più ero deciso a chiamarla “Dottore”
Hai detto che “Dottore” racconta della voce di una persona che ti isola dai suoni della città: qual è il rumore di Roma che vorresti riuscire a spegnere?
Non c’è un rumore preciso di roma che vorrei cancellare, anzi, Roma fa belle canzoni, solo che a volte (spesso) è molto caotica ed è difficile non farsi condizionare dal caos. È una città a cui ti devi adattare diciamo.
Musicalmente, come hai pensato di strutturare il brano per rendere l’idea?
Abbiamo giocato molto sul dargli un crescendo , inizia senza batterie poi piano piano si intromettono alla seconda strofa, fino al ritornello che “esplode”, ce la siamo giocata cosi per dargli più pathos, anche se inizialmente era un pezzo piano e voce.
Gli Sugarfree soffrivano di Cleptomania, se tu fossi un dottore, che cosa ti diagnosticheresti?
Io soffro molto la pigrizia a volte, ho il bisogno patologico di stare immobile sul divano e non alzarmi per nessun motivo al mondo, poi va a giorni perché ci sono giorni in cui è il contrario e devo fare 100 mila cose diverse. Però si mi diagnosticherei la pigrizia che secondo me può essere diagnosticata.
“Dottore” è il primo passo di un progetto più ampio che hai costruito insieme al tuo produttore Ayellow: cosa possiamo aspettarci dal tuo EP in arrivo?
Sicuramente l’ep sarà per noi un esercizio di stile, provare a mettere insieme più canzoni per creare una raccolta “no skip” come si dice, un ep che puoi ascoltarti ovunque e che ti puoi ascoltare dall’inizio alla fine senza annoiarti mai. Varieranno i generi varieranno l’emozioni, sarà vario.
Quando avremo modo di sentirla live?
Per i live ci stiamo lavorando, vogliamo fare la musica dal vivo e vogliamo esserne soddisfatti al 100%, però ci stiamo lavorando.
“LIMITE” è il nuovo singolo di ESDRA, disponibile su tutte le piattaforme digitali dal 15 novembre. Il brano nasce come una pagina del diario dell’artista, un testo così intimo e segreto che non è mai stato modificato.
La canzone è un dialogo rassicurante che invita l’ascoltatore a trovare la capacità di affrontare ostacoli e a riconoscere che la soluzione, talvolta, risiede proprio dentro di noi. “LIMITE” diventa un mantra personale, un’ancora che incoraggia a rivedere la prospettiva sulle difficoltà, invitando a riflettere sulle sfide già superate e sulla tenacia che ci accompagna. Esdra ha una conversazione gentile con quella parte di sé che la invita a riscoprire la propria forza. Le ombre di cui parla rappresentano le nostre insicurezze, la parte critica di noi, che però non deve diventare un ostacolo. Accoglierle e capirle ci aiuta a superare i nostri limiti.
La canzone si apre con un sound intimo e morbido, invitando all’introspezione, per poi esplodere in un ritornello ritmato, con una cassa dritta che porta energia e incita al movimento. Il risultato è un brano che riesce a bilanciare momenti di riflessione e introspezione con un’apertura musicale in cui emergono la voglia di ballare e di lasciarsi andare, dando spazio a un flusso di emozioni sincero e liberatorio. Grazie alla collaborazione con il produttore e amico Fabrizio Fortunato, Esdra ha infatti abbracciato un sound più elettronico rispetto ai lavori precedenti. Le atmosfere, ora più crepuscolari, creano un paesaggio sonoro in cui i timbri acidi e le percussioni tese si intrecciano con sintetizzatori e suoni ambientali, conferendo alla traccia una profondità nuova.
“LIMITE” è un tamburo che batte il tempo delle decisioni, il segno di una svolta che distingue un rimpianto da un rimorso. Il brano diventa l’inno a un’alternativa possibile, quando si ha il coraggio di concedersela.
Chi è Esdra?
Esdra Sciortino, in arte ESDRA, è una cantautrice indipendente palermitana classe 2001, conosciuta alla stampa anche con il soprannome di “Fiore Punk”. Nasce e cresce a Palermo, calca il primo grande palco a 16 anni e lì consolida la relazione più lunga e complessa della sua vita: quella con la musica. Il suo singolo di esordio “Pianta e Uragano” entra in playlist come New Music Friday, Scuola Indie e Indie Triste. Fra il 2022 e il 2023 si esibisce in Italia e all’estero per diversi eventi e festival. Porta le sue canzoni al Club Tenco e a Casa Sanremo durante la settimana del Festival e apre i concerti di Edoardo Bennato (2017), Francesco Gabbani (2022), L’Officina della Camomilla (2023), Gnut (2023) e Anna Castiglia (2024). Con il privilegio del palco persegue una parte del suo fare attivismo e ciò la porta a partecipare all’iniziativa “Repubblica del Sorriso”, promossa da Ypsigrock, e al contest e residenza artistica “Music For Change” di Musica Contro le Mafie. Per ESDRA scrivere è sempre stato un mezzo potente di autoesplorazione, una pratica che le permette di mettere ordine nei suoi pensieri e di ricomporre quei tasselli interiori frammentati. Nei suoi testi evoca immagini di vita universale e con la sua voce disegna storie. Sperimenta, esplora, spazia, si trasforma, gioca. “LIMITE” è il nuovo tassello della sua storia, disponibile ovunque dal 15 novembre. Il singolo segna una maturazione artistica in cui le influenze pop elettroniche di Cosmo, Margherita Vicario, Muse e Disclosure si fondono in uno stile indie electro-pop intenso e meditativo.
“Bastasse Poco” è il nuovo singolo di Leo Lennox in collaborazione con röa, disponibile dall’8 novembre su tutte le piattaforme di streaming. Il brano è un inno all’imperfezione umana e alla vulnerabilità delle relazioni, che esplora i silenzi pesanti e le parole che non si riescono a pronunciare, un tema in cui tutti possiamo ritrovarci.
I due artisti raccontano una storia fatta di distanze emotive, desideri irrealizzati e una consapevolezza amara: se fosse davvero così semplice essere felici, forse perderemmo di vista la complessità della vita stessa. La chiusura del ritornello “bastasse poco per esser felici” è una riflessione profonda sul peso delle aspettative e sulla fragilità dei rapporti umani.
Il dialogo interiore di Leonardo e Aurora è intriso di rimpianti e riflessioni, come l’idea che “volere bene non è amare”, un riconoscimento tardivo delle sfumature tra affetto e passione. La canzone oscilla tra la speranza di riconciliazione e il peso dell’inevitabile distanza. Ogni parola sembra portare il peso di una battaglia emotiva, come “due animali in gabbia” intrappolati tra i loro sentimenti.
La produzione di Andrea Castelli aggiunge un sound che amplifica queste sensazioni contrastanti. La musica avvolge le parole in una melodia energica ed avvolgente, quasi come se il suono stesso fosse intriso di quegli stessi conflitti interiori, facendo emergere ogni sfumatura emotiva del brano. “Bastasse Poco” non offre risposte facili, ma invita l’ascoltatore a riflettere sulle proprie esperienze di amore e incomprensione, sul sottile confine tra voler bene e amare, e sull’impossibilità di trovare sempre una soluzione semplice. In definitiva, celebra la bellezza imperfetta delle relazioni e l’accettazione di ciò che non possiamo controllare.
PaolaPizzino, la nuova voce femminile dell’etichetta Macro Beats, sta per regalarci un’altra esperienza musicale con il suo ultimo singolo “Difendimi“. Dopo il successo dei singoli precedenti, “Logico” e “Favole”, Paola chiude la sua trilogia con un brano che promette di toccare le corde più profonde dell’anima.
“Difendimi” vuole essere un flusso ipnotico di coscienza, un viaggio emotivo che esplora le fragilità più intime attraverso una miscela di suoni e melodie incantevoli. Prodotto da gheesa & Macro Marco, esalta le doti canore di Paola e la proietta verso nuove vette artistiche, immergendoci in un universo di emozioni che riscaldano il cuore.
INTERVISTA A PAOLA PIZZINO SU “DIFENDIMI”
Ciao Paola! Bentornata. Prima domanda emotiva: quanto sei emozionata per l’uscita del tuo primo ep?
Tantissimo! Lo aspettavo da tempo, ma sono contenta che sia uscito “soltanto adesso” perché l’attesa mi ha permesso di crescere sotto tanti aspetti, evitare errori di inesperienza o impazienza ed infine mi ha reso molto soddisfatta del risultato.
“Difendimi”: un imperativo e una richiesta importante. Come nasce?
Stavo vivendo la fine di una relazione durata qualche anno e ne immaginavo le conseguenze: insieme abbiamo fatto più discorsi, ogni volta più sinceri e sempre meno arrabbiati, finché abbiamo maturato l’idea che ci si poteva allontanare senza per forza odiarsi. Perciò non ero preoccupata tanto per come avrei vissuto quel momento di distacco – che si era rivelato dolce e sereno – quanto da come il tempo avrebbe trasformato i nostri ricordi. E “Difendimi” è una richiesta di imperituro rispetto del ricordo (che faccio sia a lui che a me stessa) per far sì che quella dolcezza non si perda mai.
Per quanto è vero che ognuno è in grado di cavarsela da solo, penso che sia bello sapere che c’è qualcuno pronto a difenderti. Per te chi è questo qualcuno?
Per fortuna mi sento circondata da persone molto sensibili che, non solo riescono a fare luce e smascherare la mia parte più fragile che nascondo costantemente ai più superficiali, ma se ne prendono anche cura. Il mio qualcuno quindi si divide in realtà in quattro o cinque amici di nuova o vecchia data che, forse insegnandomi a difendermi da me stessa, mi difendono dal mondo intero.
Nel brano parli della capacità di allontanarsi in un modo costruttivo, andando al di là di una rabbia momentanea. Hai imparato a farlo?
Direi di sì. In realtà non sono mai stata una persona rancorosa: mi viene anzi molto semplice giustificare le azioni e/o le parole delle persone a cui voglio bene anche quando queste riescono a farmi del male. Mi basta chiedermi qualche perché, darmi qualche spiegazione. E se non c’è traccia di cattiveria, non ho bisogno di attribuire una colpa. Ci si allontana perché magari troppo diversi, preservando il buono che c’è stato. Senza rancore.
Come si lega a “Logico” e “Favole”?
Sono tutti brani nati in un periodo molto intenso della mia vita, in cui mi sono accorta di non aver mai davvero fatto caso a certi tratti della mia personalità ed in cui, quindi, mi sono spogliata di tante armature che finalmente riuscivo a riconoscere come tali e che prima mi impedivano di capirmi fino in fondo.
SUGO è molto più di un semplice album, è un viaggio attraverso gli alti e bassi della vita, un racconto musicale che cattura l’essenza di un periodo tumultuoso: questo è il risultato della collaborazione tra due menti creative atipiche, Bonzo & Belmonte, che hanno deciso di mettere insieme le proprie influenze musicali per creare qualcosa di unico.
Le prime note di SUGO prendono forma durante gli oscuri mesi della pandemia. Reduci da un’esperienza che ha segnato il mondo intero con tristezza e incertezza, Bonzo & Belmonte si immergono nell’atto di creazione con un obiettivo chiaro: sdrammatizzare. Le loro canzoni sono un antidoto contro la negatività, una risata liberatoria che attraversa le barriere del dolore.
Composto nel periodo compreso tra il 2021 e il 2023, SUGO è il risultato di un connubio tra il rock alternativo e il demenziale. Le tracce dell’album narrano storie di vita, dall’angoscia pandemica alle relazioni complicate, dall’insonnia alle urla di disperazione. Eppure, nonostante il tema serio, ogni canzone è permeata da un’aura catartica, un epilogo che porta sollievo e risate.
INTERVISTA A BONZO & BELMONTE SU “SUGO”
“Ho paura di darti la mano perché sono malato”. Mi avete riportato nel 2020, quindi partiamo da come tutti i pezzi siano finiti in un album quattro anni dopo.
Pandeganium è stato il primo pezzo che abbiamo scritto insieme durante quel periodo di esilio forzato . Eravamo nel pieno dell’isteria da contagio che ci attanagliava l’anima. Noi abbiamo reagito scrivendo canzoni per lo più spensierate quasi come fosse uno sfogo e chiaramente dovevano essere raccolte tutte nello stesso disco per racchiudere un periodo di post-pandemia inizio vita quasi normale.
E il titolo?
Il titolo non c’entra assolutamente nulla con le canzoni perché semplicemente ci faceva ridere perché siamo molto idioti.
Chi fa meglio il sugo tra Bonzo e Belmonte?
Sicuramente Bonzo perché mister Belmonte neanche lo mangia il sugo.
Perché l’alternative rock?
Il termine alternative dice tutto e niente perché serve quasi a camuffare le nostre influenze che partono dal grunge e arrivano agli Squallor…tutta roba mainstream per carità, però sta roba si sente poco e niente in giro.
Quanto vi aiuta l’ironia a superare i drammi quotidiani?
Tantissimo. Tutto può essere distrutto grazie all’ironia. Ci aiuta a vedere le cose da una prospettiva diversa e soprattutto personale perché ognuno ha il suo modo di ridere e di affrontare la vita. L’importante è divertirsi nonostante tutto.
Quando posso venire a cantare “Culi” dal vivo?
Quando vuoi! Da maggio iniziamo a girare un po’ per tutto lo stivale. Per rimanere aggiornati basta seguirci sui nostri profili social su cui pubblichiamo tutte le informazioni necessarie per approfondire e per farci dare tutti i vostri soldi. Scusate abbiamo delle famiglie.
I The Francis hanno riscritto la loro versione del mito platonico in “Androgino“, l’ennesimo tassello della band milanese nel loro percorso musicale.
Esiste davvero la metà della mela? Beh, i più cinici si dovranno mettere in ascolto perché è un po’ più complicato di così. Ne abbiamo parlato coi ragazzi.
INTERVISTA AI THE FRANCIS SU ANDROGINO
La vostra vibe pop funk si è distesa, lasciando parole e musica a raccontarci una poesia d’amore. Come è nata la ballad “Androgino”?
Questo brano nasce dalla necessità del cantante di raccontare il suo viaggio nel comprendere il significato dell’amore. Un sentimento necessario e profondo che arriva dalla sensazione d’essere sempre incompleti.
A quali anime dedicate questo brano?
Questo brano vuol’essere una dedica alle relazioni. E ognuno ha la sua. Roberto, autore del testo, ha preso ispirazione da quella che sta vivendo ora, ma lo scopo è farsi che ognuno possa dedicarlo a chi sente il bisogno di amare.
“Dimmi cosa manca agli esseri/ per amarsi e dannarsi e sopportarsi”. Voi l’avete capito?
Una canzone spesso nasce per sfogare un’incomprensione. é proprio la tensione che si genera da un sentimento irrazionale che da vita alla musica.
Credete nell’esistenza di una metà?
Andando a scavare nel mito di Androgino scritto nel simposio di Platone, da cui la canzone prende ispirazione, questi essere mitici, gli Androgini, erano forme miste di coppie/trine di sessualità distinte o meno. La necessità di una relazione è un desiderio intrinseco nell’uomo che non fa distinzioni, ma si basa solo sul sentimento di ricerca. Esistono persone che possono completarci, per rispondere alla domanda.
Da quante parti è composta la vostra musica?
Siamo in tanti e sulle produzioni ognuno cerca di mettere il suo. Gli ascolti sono stati diversi, dagli MGMT ai Maroon 5 passando per i Negrita. Gli artisti che hanno però dato una svolta al brano sono stati gli Arctic Monkeys, da cui provengono le chitarre riverberate presenti
in tutto il brano.
Quando possiamo ascoltarla live?
Il 18 Maggio dalle 21.30 presso Cascina Cotica a Milano ci sarà il release party del nostro EP, dove presenteremo i 4 brani già usciti tra il 2023 ed il 2024 più due ulteriori singoli, che vedranno delle collaborazioni con altri artisti del panorama emergente milanese. Se volete vi aspettiamo a braccia aperte!
LAPLASTIQUE ci parla di “una linea che si spezza” nella sua “A proprio tempo“, l’ultimo singolo dell’artista uscito il 19 gennaio.
Coscienza e auto-coscienza sono in dialogo, un dialogo che si fa difficile e opposto. E questo si riflette anche sulla musica, basata sulla discontinuità ritmica, che cambia da 5/4 ai 4/4.
Sempre in bilico tra soul e synthopop, LAPLASTIQUE parla di inconciliabilità e noi volevamo saperne di più.
Intervista LAPLASTIQUE su “A proprio tempo”
Non è da tutti portare i 5/4 nel pop. Alcune metriche vengono semplicemente fuori così, “di pancia”, altre si scelgono. Nel tuo caso cosa è stato? La tua esperienza di studio a Londra ha aiutato?
Ammetto che i 5/4 del pezzo sono venuti “di pancia”. Si tratta di una melodia che è balzata in testa spontaneamente e si è costruita in maniera autonoma, fuoriuscendo dai perimetri del raziocinio. Mi sono trovata in difficoltà a cantarla ed a scriverne la seconda strofa, perché non riuscivo a capire come “funzionasse” e a darle una struttura precisa. Poi mi ha aiutato Daniela. è stata una linea melodica che si è auto imposta ed impressa da sola, poco intenzionata a margine di cambiamento o rimodulazione. Era così e basta.
La mia esperienza di studio a Londra ha influito relativamente, forse inconsciamente. Diciamo che si è trattato di un periodo di grande sperimentazione e massima libertà artistica, dove ho avuto modo di conoscere tutte le sfaccettature della mia voce e prendere coscienza delle mie potenzialità. I cinque quarti, dunque, potrebbero rivendicare i germi delle proprie origini lì.
“Empieza el matriarcado”. Come hai conosciuto la tua produttrice Daniela?
In maniera molto casuale, tramite una conoscenza che avevamo in comune e che ci aveva individuate come possibili collaboratrici. Mi reputo molto fortunata a lavorare con lei, perché è una fonte inesauribile di stimoli, cultura e sperimentazione.
Non abbiamo iniziato subito a lavorare insieme, fino a quando non ho scritto “Overthinking” e “The Ghost of my past”, che Daniela apprezzò molto.
Descrivi la tua musica come un Giano Bifronte sotto le forme di blues e synthpop: a quali artisti, tra quelli che ti influenzano/hanno influenzato, attribuiresti questi due volti?
Un insegnante della scuola che feci a Londra una volta mi disse che oscillavo tra due mondi: quello di Amy Winehouse e dei Bon Iver. Mi stimolò tantissimo a cercare e scoprire eventuali punti di raccordo tra i due ed individuare una sfumatura che fossi comune ad entrambi, in cui potessi fermarmi e costruire un’identità artistica. Non so ancora bene se io ci sia riuscita o l’abbia ancora trovata. Forse tengo ancora i piedi in due staffe ed assecondo il parallelismo.
Per quanto riguarda le fonti di ispirazione, i miei punti di riferimento principali (specie in termini di ascolto) sono i Baustelle e i Florence and the Machine.
Musica e filosofia: come concili queste passioni nella scrittura dei tuoi testi?
Nel pensiero. Non definirei quella per la filosofia come una passione, ma un approccio critico alle cose, una disposizione. Ad ogni modo, entrambe le componenti si fondono bene nello sviluppo del pensiero, che prende forma in queste due ramificazioni diverse e simili allo stesso tempo.
Il brano parla di presa di coscienza ed evoluzione. Ci racconti come è nato “A proprio tempo”?
È nato da un momento di tristezza e disorientamento, come il resto delle mie canzoni. Ho iniziato a scriverne la bozza in una mattina di novembre, dopo essermi svegliata. La canticchiavo e ci inserivo parole a caso, per poi iniziare il cosiddetto “labor limae”, che è stato più lungo del solito.
In alcune parti , come ad esempio il ritornello, le strofe si sono composte quasi da sole: da un flusso di parole disposte in maniera spontanea e funzionale. In alcuni punti delle strofe, invece, ho fatto più fatica ed ho meditato a lungo sulla scelta dei termini, fino a diventare troppo perfezionista. Ho voluto che ogni sillaba, suono e vocaboli si trovassero al posto giusto ed al momento giusto. Ognuno di essi ha un posto studiato e curato, che contribuisce ad evocare il senso complessivo 1)del verso che compone e 2) della canzone in generale. Non ho mai applicato tanto minuzia in un lavoro artistico.
Scrivere (sia in prosa che in poesia) è per me una forma terapeutica per fare il punto della situazione sul mio stato d’animo, per riprendermi se mi sono persa o per perdermi davvero se sto per farlo, per poi ritornare sempre a galla con un pizzico di consapevolezza in più.
“E coi miei occhi/ ho fatto sfiorire/ tutti i bagliori/ che davan piacere”. A cosa ti riferisci?
Alla mia tendenza a trasfigurare le cose e guardare il bicchiere sempre mezzo vuoto. è la mia vena esistenzialista che tiene sempre il tempo dei miei pezzi.
Gaza ci presenta il suo primo Ep da solista, “STRATI“, in cui parla di sé e a sé; una lettera a Federico, scritta su un flow trascinante, che mostra tutte le sfaccettature dell’artista. Strato dopo strato.
Un percorso dentro la psiche del giovane artista che giunge ad una conclusione: diventare la luce in mezzo al buio quando non riesce più a trovarla al di fuori di sé.
Intervista a GAZA per “STRATI”
Ciao Gaza! Abbiamo ascoltato il tuo nuovo album “STRATI”, che come il nome suggerisce analizza le parti che compongono il tuo animo. È stato difficile per te spogliarti di ogni strato superficiale nello scriverlo?
Ciao! Per quanto riguarda gli strati superficiali no, non sono stati tanto problematici quanto quelli interiori, che ho trovato difficili da sviscerare. Nonostante io pensi di essermi messo parzialmente a nudo con questo EP (direi che sarebbe un venti percentuale). La mia scelta artistica infatti è quella di spalmare su un maggior numero di canzoni ciò che mi compone, sia per volontà che per la mia maturità artistica e personale in continua evoluzione. Questo richiede tempo per approfondire diversi aspetti che mi riguardano, facendo sì che col passare del tempo arriverò a trasmettere in modo più diretto e chiaro ciò che vorrò raccontare.
Con il tuo produttore fidato Chryverde hai deciso di ispirarti, a livello di produzioni, agli anni 80. Perché questa scelta? Che tipo di sapore volevi dare all’opera?
Ad essere onesto non c’è un reale perché di questa scelta. Se non per la nostra voglia di rimanere coerenti portando un certo tipo di suono per tutta la raccolta di brani. In ogni caso, penso che queste produzioni nel suddetto stile diano un tocco di classe, professionalità e duttilità per quanto riguarda la vastità di pubblico (in termini d’età) che potrebbe andare a “colpire” lasciando appunto l’ascoltatore soddisfatto sia per quanto riguarda i giovani nostalgici di suoni che ricordino gli anni 80, che di adulti, pur sempre nostalgici in quanto possano rivivere momenti passati con il solo ascolto.
Ritroviamo nei tuoi testi una forte sicurezza e grandi speranze nel futuro. Da cosa deriva questa tua indole così positiva e resiliente?
Diciamo che quella voglia di rivalsa che si sente nei testi che vanno a comporre questo Ep, sia volutamente in contrasto con la parte di opera più triste ed autocritica. Come un saliscendi di emozioni. Da una forte tristezza e un clima di rassegnazione, spesso nella medesima canzone, si passa ad una risalita personale, ad una reazione positiva e portatrice di speranza nei confronti del futuro.
Caratteristica che strizza l’occhio ad un altro elemento/argomento che ho voluto velatamente trattare, ovvero quello del bipolarismo. In ogni caso, come avete colto subito dopo o durante l’ascolto, è un aspetto che ho sempre avuto. Una grinta interiore, (che si alterna ad un assottigliarsi della stessa) una voglia di “spaccare il mondo” in senso positivo che ha sempre fatto parte di me e che quindi definirei come innata qualità che compone la mia persona, non derivante da un qualcosa od un evento in particolare.
Qual è il tuo brano preferito di “STRATI” e perché?
Il mio brano preferito di STRATI è LACRIME SALATE, in quanto sia una traccia davvero toccante e in grado di, mi metto nelle vesti di ascoltatore, farmi sentire capito e meno solo. Tutti versiamo stesse lacrime salate. Ho due piccoli aneddoti che mi legano particolarmente a questo brano, vado per importanza: È uno dei pochi fino ad ora, che è stato capace di emozionare me e mia madre tornando da lavoro in macchina. Per giunta, ho preso spunto, per quanto riguarda il titolo, da quello di un capitolo di un libro che mi ha colpito ultimamente e aiutato a crescere, nonché la storia di Siddartha Gautama. A “capo” del pensiero Bhuddista che da qualche tempo mi accompagna come nuova filosofia di vita.
Come inizia il tuo rapporto con la religione buddhista e quanto essa influenza la tua musica?
Riporto spesso riferimenti a questa corrente di pensiero nelle mie canzoni, in quanto si tratti di un buon 80% delle mie letture fino ad ora. Anche con uscite prossime al di là di questo Ep, sentiremo diverse citazioni e temi trattati a riguardo. Mi sento quindi di dire che influenzi in maniera positiva sia ciò che scrivo che ciò che vivo. Per quanto riguarda il mio avvicinamento a questa cultura, non ho una data od un avvenimento preciso che l’abbia scaturito. Ho semplicemente ritenuto, guidato da stupore e curiosità, che sarebbe potuto essere un ottimo cavillo per poter ampliare le mie argomentazioni nelle canzoni oltre che, cosi come strada facendo è emerso, un ottimo compagno di vita a cui rifarsi ogni qualvolta ce ne fosse bisogno; l’ho presa un po’ come un buon amico in grado di dare ottimi consigli e pareri sul come a:rontare diverse situazioni di vita quotidiana.
Ora che hai raccontato e sfogato tutte le tue lotte e sofferenze celate, cosa dobbiamo aspettarci in futuro dalle tue canzoni?
Per il futuro, c’è da aspettarsi, guardando il mio roster di canzoni alla mano inedite oltre a quelle che ancora sono da comporre, un racconto sempre più dettagliato (almeno questo è l’obiettivo) di tutte le mie lotte e sofferenze celate che ancora sento di non aver completamente argomentato. Oltre a ciò però, mi sono concesso e mi concederò più leggerezza. Nonché canzoni comunque capaci di avvolgere l’ascoltatore il quale potrà apprezzarne sonorità, capacità stilistiche, flow e metriche nuove ed originali. Lanciando anche messaggi positivi e motivazionali derivanti dalle mie interpretazioni e prestazioni.
Sergio Ruggeri è tornato, con la sua “Forse Forse” pubblicata con La Crème Record, il 2 di febbraio.
“Forse Forse” è un pezzo indie pop che racconta la fine di una relazione tossica da cui il cantautore, sebbene con qualche ferita e livido, riesce a uscire vincitore.
“Dopo che uscite da una rissa vi rendete conto di esservi fatti male, ma comunque è un male per il quale dopo due o tre giorni guarite, acquisite la consapevolezza di non essere fatti di carta e le cose si sistemano, si va avanti comunque“.
Intervista a Sergio Ruggeri
Dici che il dolore di un amore passa, come passano i lividi dopo una rissa. Ma tu, in una rissa, ci sei mai effettivamente finito?
L’amore per forza di cose è già di suo dolore, come penso allo stesso tempo che il contrario di amore sia morte. Penso che metaforicamente ci possano essere delle analogie ma i processi di guarigione sono diversi… dipende sempre dalla persona che sei e dalla tua storia. Con la violenza – nella sua totalità – non ho nulla a che fare, ma in passato ho commesso errori dovuti ai periodi in cui mi trovavo, alla curiosità e sicuramente all’inquietudine del tempo. Aggiungo che non esistono giustificazioni ad un atto violento.
Da laurea in economia ad attore, a cantante. Quando e perché hai scelto di dedicarti interamente alla creatività/arte?
Ho fatto economia senza laurearmi. Mi sono avvicinato al “cinema” ma è meglio dire alla recitazione per cercare di superare dei limiti. La recitazione permette di scoprirti, chi recita ricerca e può essere qualcos’altro portandosi sempre con sé. Esprimersi è importante, ognuno ha la sua maniera, trovate la vostra e iniziate. La scrittura per me è terapeutica, ho proprio bisogno di scrivere. Nelle canzoni trovi tutto di me, forse pure troppo…
Descrivi il momento esatto in cui hai cominciato a scrivere “Forse Forse”.
“Forse Forse” è l’episodio di una serie, una serie scritta in breve tempo, non so dirti il momento preciso in cui l’ho scritta, mentirei. Posso dirti che è arrivata sinceramente e quando ho quella sensazione mi chiudo e la scrivo. È una canzone a cui tengo, non sarebbe neanche dovuta uscire se ci penso…
In casa respiravi aria di musica, quale? In che modo ha influenzato la tua scrittura?
A casa mia, mia madre è la musica. Con lei ho scoperto il mondo della musica, è una passione che mi ha trasmesso. Sicuramente non ci sono generi ben precisi che hanno segnato la mia infanzia o adolescenza, a casa potevamo ascoltare di tutto. I cantautori delle passate generazioni sono ovviamente un’ispirazione ma so di avere un mio modo di raccontarmi, spero di riuscire a portarvi dentro al mio mondo.
Come ci si sente rinati dopo una relazione tossica?
Le relazioni tossiche, le persone tossiche all’interno di una relazione, sono la droga più forte da espellere… Immaginatevi di drogarvi non sapendo di drogarvi, tutti i giorni, per mesi o per anni. Amatevi, che chi vi merita vi amerà a prescindere sennò fanculo.
Un saluto ai nostri lettori!
Ciao ragazzi, vi aspetto al primo live, lì saremo noi veramente.
Flora è tornata per parlarci dei suoi “Demoni” personali. Dopo l’inno alla vita e alla spensieratezza che abbiamo sentito in “Marechiaro”, siamo passati a un tema più introspettivo.
Ognuno di noi ha i propri “demoni” ed è giusto che li abbia, come ci ricorda Flora. Questo nuovo singolo parla proprio della capacità di ognuno di noi di accettare le proprie debolezze.
Intervista a Flora su “Demoni”
Il tuo nuovo singolo “Demoni” è quasi un’antitesi alla tua precedente “Marechiaro”. Cosa ti ha spinta a scrivere questi due brani contrastanti nel contenuto?
“Marechiaro” e “Demoni” rispecchiano i due lati complementari ma contrastanti della mia persona: da una parte l’energia positiva, l’euforia, dall’altra una visione più tormentata dell’esistenza, l’ansia, le paranoie. Ho accettato queste due parti di me grazie ad un lavoro di introspezione. La scrittura poi è venuta naturalmente.
“Demoni” è il tuo modo di accogliere il lato più ansioso e tormentato di te stessa. Ti è stato facile accettare questa tua indole? La musica ha avuto parte importante?
Non è stato facile e probabilmente la musica ha contribuito ad alimentare le mie ansie. Avere un obiettivo di vita, decidere di dedicarsi in toto allo sviluppo di una carriera musicale talvolta è difficile. I traguardi si fanno sempre più importanti, il lavoro è tanto. Sto pian piano riuscendo a lasciare indietro questo aspetto per dedicarmi unicamente a ciò che di bello può darmi la musica: le emozioni, l’adrenalina, la ricerca infinita, l’euforia.
Mantieni un’impronta musicale molto dance ed energica nonostante il tema oscuro che affronti. Questo significa che ballare coi propri demoni è la chiave per stare meglio?
Nei miei brani porto un messaggio di accettazione, di normalizzazione e ho voluto scegliere un sound dance per sottolineare la tematica di cui parlo che risulta ancora più enfatizzata dalla ritmica quasi ossessiva.
Il cantautorato è una parte fondamentale della tua ricerca musicale. A chi ti ispiri nella scrittura dei pezzi? Quali sono le tue principali influenze?
Nel momento della scrittura cerco di non ispirarmi ad un artista in particolare. Prima di organizzare l’arrangiamento e pensare alla produzione realizzo però una playlist di reference che mi serviranno per entrare nel mood del brano sul quale sto lavorando e dalle quali posso attingere per i dettagli sonori. Ho dei riferimenti musicali molto eterogenei e i miei ascolti cambiano molto in base al periodo della vita che sto vivendo. La costante rimane il cantautorato italiano: Battisti, la scuola genovese, Rino Gaetano, Gaber. In questo periodo spazio dai The Weeknd, Daft Punk a De Andrè ed Elodie.
Dal lato della produzione sei accompagnata da Francesco Pisapia. Perché hai scelto proprio lui per la tua musica, al punto da integrarlo anche nella produzione di “Demoni”, curata principalmente da Renato D’amico?
Avevo bisogno di una persona che potesse dare ai miei brani un sound più elettronico, contemporaneo, i cui ascolti e reference musicali si discostassero molto dalle mie. In Francesco ho trovato un producer che rispecchia queste caratteristiche, una persona attenta e pignola come me, un lavoratore talvolta maniacale. Per questo ho scelto di affidargli la produzione dei miei futuri lavori e di integrare il suo gusto musicale nei due brani che avevo già prodotto con D’amico nell’ottica di creare un lavoro il più possibile omogeneo.
Nasci e cresci a Roma, ma nella vita hai viaggiato tanto per studiare musica. Perché decidi di approdare a Milano? Trovi più ispirazione nella bella Roma o nella tua attuale, ed immagino frenetica, vita milanese?
Milano è un vortice di energia pazzesco, non saprei immaginarmi in un posto diverso in questo momento della mia vita. Qui ho trovato tanti stimoli, ho incontrato persone meravigliose, ho messo radici concrete per il mio futuro musicale. Mi sono trasferita attirata all’idea di città perennemente in movimento che talvolta sembra soffocante ma al contempo restituisce grandi soddisfazioni. Certo, Roma rimane la città più bella del mondo, la mia vera casa, e probabilmente il posto dove tornerò a vivere tra qualche tempo.
L’ispirazione riesco a trovarla un po’ dappertutto fortunatamente. Oramai le mie canzoni non sono più legate unicamente all’idea di ispirazione ma anche alla pratica.
Per concludere con la frase finale di “Demoni”: “Mi tengono sveglia, a immaginare, un altro finale, lontano da qui”. Se ti chiedessimo ora, che finale ti stai immaginando?
Nel brano faccio riferimento ad un finale alternativo a quello che nei momenti di panico e di ansia sembra essere un finale già scritto: un finale fatto di buio e nessuna soluzione, di rassegnazione. Quello che invece immagino per me è un finale luminoso, fatto di passione, amore, serenità e bellezza e ovviamente musica. Il finale che vorremmo un po’ tutti:)
“Cara Maestra ho di nuovo perso” è il nuovo singolo di SELENIO per TSCK Records, che vede la partecipazione di Francesco Lettieri: un brano che intreccia nostalgia, gratitudine e speranza. Attraverso la penna ispirata di SELENIO, moniker di Ciro Zerella, il brano diventa un viaggio sensoriale nel mondo pedagogico e non solo dell’artista irpino.
La canzone, carica di emozione e poesia, pone la figura dell’insegnante al centro del discorso musicale, questa si eleva come faro guida nella vita dell’artista. La “Maestra” del titolo non è solo un personaggio, ma un simbolo di saggezza, affetto e orientamento. Le note si dipanano come ricordi vividi, rievocando i momenti scolastici e anche la scuola stessa vissuta come un luogo di formazione, crescita e sostegno.
Francesco Lettieri, vincitore di Musicultura, contribuisce con la sua maestria pianistica e la sua sensibilità, arricchendo ulteriormente il brano. La collaborazione tra i due artisti si traduce in un’armonia perfetta di suoni e significati.
Il testo tocca corde emotive profonde, esplorando la resilienza, l’affetto e il desiderio di rialzarsi dopo ogni caduta. La canzone diventa una dichiarazione di gratitudine per coloro che, nella nostra formazione, hanno agito come delle guide preziose.
La melodia, talvolta malinconica, talvolta radiante, segue un percorso artistico che fonde il cantautorato classico ad elementi pop più moderno. SELENIO mostra ancora una volta la sua versatilità, accogliendo influenze e contaminazioni, creando una traccia che risuona profondamente nell’animo di chi ascolta.
In definitiva, “Cara Maestra ho di nuovo perso” si eleva oltre il semplice brano, trasformandosi in un’ode a chi è stato davvero un maestro e insegnante di vita per noi al di là degli obblighi scolastici, una connessione intima tra passato, presente e futuro.
Il 17 novembre è in uscita “Dune” il nuovo singolo del cantante 24ORE. Un singolo particolare, non solo per ciò di cui tratta, ovvero le bugie bianche che amiamo raccontare a noi stessi, ma anche per le diverse modalità di presentazione.
No spoiler, ma in questa storia si parlerà di Fuerteventura, di incontri fortunati e di video musicali. Ma anche di un sito nato ad hoc per raccontare “Dune”.
Ve lo facciamo raccontare dall’artista.
Intervista a 24ORE su “Dune”
Dune è un pezzo che si regge su una bella e importante metafora. Ti va di “spacchettarla” e di parlarcene un po’?
A marzo 2023 sono stato in vacanza a Fuerteventura e sono stato da subito affascinato dalle Dune di Corralejo. Le guardavo e contemplavo l’immensità di un elemento così grande fatto da granelli così piccoli. Le Dune sono bugie, si sgretolano tra le mani mentre le guardi da vicino. E’ lo stesso meccanismo che accompagna le relazioni: ci sono tante bugie che si dicono, spesso a fin di bene, le cosiddette “bugie bianche”. Ma a queste poi ci si abitua, invecchiano, ed è un attimo a passare dalle “bugie bianche” alle “bugie gialle”. Granelli di sabbia che si accumulano un po’ alla volta, portati dall’imprevedibilità delle esperienze e del trascorrere quotidiano dell’oceano che bagna le spiagge e che porta con se, un po’ alla volta, un granello su un granello. Durante la bassa marea l’oceano si ritira e la sabbia si asciuga al sole, torna a essere visibile e splendente. Ad ogni infrangersi del mare un po’ di “bugie gialle” si stratificano fino a creare delle Dune. Il tempo che passa è direttamente proporzionale a quanto mentiamo a noi stessi e all’altro e quindi il ritornello recita:”Ho le dune gli occhi / come sabbia ritorni / ho perso la mia voce dentro ogni tua bugia”.
Il tema delle bugie è strettamente connesso a quello della conoscenza di sé. Spesso le bugie non caratterizzano solo la relazione con gli altri ma anche con noi stessi, sono un modo di tutelarci dalla brutalità di certe verità. In questo pezzo si allude ad un’altra persona e ad un legame non sincero ma si può dire che si parli anche del mentire a se stessi?
Prendo in prestito una frase dalla serie tv White Collar:” Spesso le cose che nascondiamo sono le più evidenti a chi sta intorno”. E’ un gioco duplice nel suo essere: mentire agli altri vuol dire mentire a se stessi. Spesso chi mente guarda fisso negli occhi, fermamente: controlla se credi alle loro bugie. Quindi sì, mentire agli altri vuol dire contemporaneamente mentire a sé stessi. L’allusione ad un’altra persona è un buon espediente per razionalizzare quello che succede dentro di noi, altrimenti non sapremo misurare le nostre emozioni mentre mentiamo solo a noi stessi.
Ph. Giorgia Zamboni
Cosa distingue questo nuovo brano dalla tua produzione precedente e in cosa possiamo trovare invece una continuità?
La continuità riguarda sicuramente la scrittura e il modo di interpretare gesti comuni in qualcosa di più metaforico: tutto il mio progetto nasce e finisce nella quotidianità. Cerco di valorizzare o di guardare un altro punto di vista tutte quelle azioni che facciamo senza neanche accorgercene: da un modo di parlare, di guardare, di toccare al perché ci guardiamo allo specchio, al come laviamo la nostra faccia. 24 Ore nasce come un diario personale dove poter annotare delle giornate tipo della mia vita per cui ogni brano è un nuovo vissuto. In “Dune” c’è un sentimento di serenità dedito all’accettazione del mondo che vivo: non reprimo le bugie che dico o che mi vengono dette. La ricerca di una scrittura più morbida, credo, mi abbia permesso di essere meno criptico nelle cose che scrivo, di lasciare spazio a chi mi ascolta nel rivedersi in un’esperienza. Su questo è fondamentale il rapporto con Michael Tenisci, che si sta occupando della parte di produzione e che mi aiuta a organizzare meglio i pensieri in fase di scrittura. Inoltre grazie alla fotografa Giorgia Zamboni stiamo riuscendo un po’ alla volta a dare vita alle immagini che ho in testa, che sono sempre più lucide per comunicare ancora meglio tutto quello di cui parla il brano.
In occasione dell’uscita di questo brano hai creato un originalissimo sito-contenitore di confessioni, segreti e bugie. Ti va di raccontarci questo progetto? Come è nata l’idea e con quale obiettivo?
Sono24ore.it è una bugia e nasce dalla necessità di coinvolgere le persone in quello che faccio. Volevo che chiunque si potesse sentire libero di raccontarmi in modo anonimo una bugia e quindi un segreto. Una bugia non non è solo quella che si dice mentendo ma è anche mantenere un segreto, nascondere velatamente con un telo semitrasparente quello che si vuole conservare e proteggere. Amo rendere ciò che faccio per tutti dando più valore con delle piccole cose. L’ho fatto per tutti i brani, con dei portachiavi da Motel per il brano “Lontanissimo” oppure per “Bellissima Malinconia” tramite dei tatuaggi temporanei e dei laccetti con un numero di telefono (tutt’ora attivo) per ascoltare il brano in anteprima. Non mi sento nulla di più degli altri e vorrei creare un dialogo con chi mi ascolta, renderli protagonisti delle mie storie, regalargli qualcosa. Il mio sogno è quello di poter suonare in giro per l’Italia e bere birre con chi viene ad ascoltarmi, conoscere nuove persone, condividere. Un grande ringraziamento ai ragazzi di Basement 11, in particolare a Luigi Di Marcantonio che ha permesso la nascita del sito in tempi record.
Questo pezzo si correda di un progetto visivo molto evocativo, il video ci consegna precisamente l’immaginario del brano. In che modo pensi che le immagini possano arricchire e dare valore ad un brano, in un momento in cui la velocità che caratterizza il mondo musicale, nei consumi e nella produzione, ha reso il video musicale uno strumento probabilmente meno centrale rispetto al passato?
Concordo su questa cosa e difatti una musica cosi fast food non coincide con la mia. Ci tengo a scrivere con calma, a cercare di cucire tutto su misura e alla perfezione. Questo mi lascia poco tempo per pensare di girare un video. Ma l’imprevedibilità a volte crea delle magie assurde! Per questo brano ho avuto la fortuna di tornare a Fuerteventura per passare una settimana organizzata da Cosmico con altri designer che non conoscevo ed un coach. Per l’occasione c’erano Jacopo e Alessio di Visualzer che riprendevano l’esperienza di condivisione in villa per l’intera settimana. Una sera eravamo intorno ad un tavolo, ognuno a lavorare ai propri progetti, e tra una birra e una sigaretta si sono incuriositi della mia musica e hanno ascoltato “Dune”: si sono innamorati del pezzo e mi hanno detto “da domani giriamo il video!”. E’ stata un’esperienza magica perché “Dune” è diventata per tutti la colonna sonora della vacanza e la si canticchiava tutti insieme. Sono grato a ognuno di loro. Grazie Cosmico per avermi regalato questa esperienza!
Abbiamo parlato con Paul Giorgi di farfalle nello stomaco, il tema del suo ultimo singolo “Sensazione“.
Che faccia bene o che faccia male (spesso più la seconda della prima), insomma, a volte non riusciamo proprio a ragionare davanti alla persona che ci fa provare sentimenti e sensazioni.
Quindi che farci di questa presa di coscienza se non scriverci una canzone? Ne abbiamo parlato con l’artista.
Intervista a Paul Giorgi su “Sensazione”
Ciao Paul! Come stai? “Sensazione” è il tuo nuovissimo pezzo e ho notato che ha un sound molto psichedelico, mi ha ricordatomolto Giorgio Poi in certe parti e alcuni pezzi di Gazzelle ai tempi di “Superbattito” in altre. Come mai questa scelta musicale?
Ciao! Tutto ok, in realtà mi dispiace un po’ che sia arrivato per davvero l’autunno. Sembrava estate fino a due settimane fa. Ma ok. Voi come state? Comunque, la scelta musicale ricade sugli strumenti che ho a disposizione nel mio studio.
Ho pensato: voglio fare queste canzoni cercando di sfruttare il più possibile quello che ho qua dentro, perché comunque ha un suo timbro che tutto sommato mi piace. Il sound era ok mentre ci lavoravo e allora ho detto ok andiamo avanti. C’è il pianoforte, alcune tastierine che anzi sul ritornello le chiamerei tastierone. Poi chitarre ed effetti vari.
A livello discografico, stai facendo un percorso molto coerente in questa direzione, si sente bene tra un pezzo e l’altro che abbiamo ascoltato. Da cosa è nata inizialmente la volontà di sperimentare in questa direzione?
Credo di aver un po’ risposto a questa nella domanda uno. Nasce un po’ dal fatto che sono abbastanza critico (o overthinker bo) nelle cose che faccio.. Il disco che ho pubblicato nel 2021 era più un concept album composto da animali e quel tipo di sound, quel tipo di bassi, quel tipo di chitarre. Mi piace pensare che in qualche modo io stia migliorando o solo acquisendo un po dì esperienza nel “craftare” le mie cose. Non ho proprio un’idea precisa di dove voglio andare a parare ma cerco di muovermi secondo quello che sento. Spero di continuare bene.
“Sensazione” parla di quelle situazioni masochiste in cui ci incastriamo e non ci riusciamo più a liberare e che spessoci portano a farci male, benché sembri non importarcene. Immagino che anche tu sia uno di noi. Giusto?
Chiaro chiarissimo * sending abbraccio digitale *
Mi ha incuriosito il titolo di questo pezzo. Come mai hai scelto proprio questa parola per esprimere questo difficile sentimento?
Sensazione… In realtà sono un po’ incasinato con i nomi dei pezzi. Cerco nomi semplici. I miei progetti sul computer iniziano spesso con gli accordi.. perciò sarebbe stato brutto tipo chiamarlo “Dmaj7”. Ho chiesto un parere ai miei amici su telegram (che saluto <3) e poi alla fine ho scelto quello che mi sembrava un pelo più coerente. Quindi eccoci qua.
Consiglio agli amici e alle amiche di Indielife che continuano a sbatterci la testa e a farsi male?
Usate i cerotti il resto va tutto bene.. vogliate bene anche a voi stessi!
Esplorare l’immaginario di un artista come fosse il tavolo di un buffet. Finger Food è un percorso tra le sfumature di Viliu: con determinazione e occhio critico, l’artista afferma se stesso e offre una visione del mondo attraverso le sue lenti.
Abbiamo chiesto a Viliu di rispondere ad alcune domande e curiosità su Finger Food, il suo EP disponibile dal 20 ottobre su tutte le piattaforme digitali.
Intervista a Viliu su Finger Food
Quello che si percepisce ascoltando le tracce di “Finger Food” una dopo l’altra è sicuramente il susseguirsi di pezzi molto diversi tra loro, qual è il filo conduttore, la caratteristica, che lega questi brani?
A livello musicale è la mia voce e l’immaginario che metto a disposizione.
Il titolo dell’EP è “Finger Food”. Come mai l’analogia con il cibo? In cosa i tuoi brani somigliano a dei piatti?
Immagina di essere davanti al buffet di un aperitivo, tanti piccoli assaggi di gusti differenti, cosa li accomuna? Essere sullo stesso tavolo alla mercé del pubblico.
Intro, in apertura all’EP, sembra un po’ il tuo personale manifesto e contiene anche considerazioni sulle condizioni della scena musicale attuale. Cosa puoi dirci in merito?
Per quanta musica emergente esce ogni giorno in Italia, non vedo la capacita di differenziarsi dalla moda che segue. Seguire la moda ti può far diventare virale, ma per quanto? Conta un’immagine ben distinta dalla scena, di certo all’inizio è controproducente ma a distanza di anni diventa una forza, un punto fisso a cui aggrapparsi.
Tornando alla diversità di tono e contenuti dei brani, “Samba pazienza” e “Pensieri fragili” sono due brani che colpiscono molto, per motivi diversi. Ti va di presentarli brevemente?
Samba Pazienza è una critica sociale che si nasconde sotto toni latineggianti per seguire il flusso dell’estate. Pensieri Fragili è un pezzo che mette in mostra i miei toni più cupi.
Se ce n’è una, qual è la traccia a cui sei più affezionato?
Purtroppo rimarrà un segreto.
In che misura la sperimentazione musicale influisce sulla tua scrittura e viceversa?
Sono due cose che si alimentano a vicenda, sperimentare musicalmente apre le porte a emozione che non pensavi di poter esternare e avere la possibilità di scrivere su nuovi stimoli è solo buon allenamento. Siamo giovani abbiamo bisogno di scavare a fondo.
Boetti ritorna prepotentemente sulla scena con il nuovo singolo, “Colpa Tua“, uscito il 13 ottobre per Manita Dischi e .Belva. Il tema è quello del senso di colpa, che viene analizzato dall’artista da un’altra prospettiva. Dalla prospettiva delle tre entità che hanno da recriminargli una manchevolezza, un passo falso.
Ciao Boetti! Come stai? Sappiamo che “Colpa tua” è il primo tassello di un rinnovato percorso artistico. Perché hai scelto proprio questo come primo brano?
Tra tutte le canzoni che avevo a disposizione ho voluto pubblicare la cosa più lontana e diversa in assoluto rispetto al primo disco. In soli due anni sono successe così tante cose e sentivo di essere cambiato così tanto che avevo bisogno di creare uno stacco netto tra il prima e il dopo. Prima, per esempio, tutta l’estetica (copertine dei singoli, visual promo etc.) era in grafica digitale, adesso è interamente fotografia analogica. E potrei continuare con mille altri esempi. Volevo che la gente rimanesse spiazzata a sentirmi passare dalla chitarra elettrica all’autotune, ma tranquilli: le altre tracce non sono tutte così “anomale” come questa.
Dal punto di vista musicale, ci sono sicuramente influenze nuove rispetto a ciò che avevamo sentito tempo fa. Com’è cambiata la tua musica nel tempo?
È cambiato il mio modo di scrivere musica. Ho imparato a togliermi i riferimenti a cui solitamente mi aggrappavo, in primis gli strumenti musicali. Un musicista medio come me, se si siede al pianoforte o imbraccia una chitarra tirerà fuori qualcosa di più o meno prevedibile a livello armonico, quindi di conseguenza melodico e vocale. Mi capita sempre più di scrivere mentre guido o cammino: inizio a canticchiare qualcosa senza preoccuparmi della tonalità e solo dopo aver fissato l’idea passo a cercare le note sullo strumento. Il processo diventa ancora più variabile nel momento in cui apro il programma di registrazione sul computer, che mi dà la possibilità di usare i più disparati strumenti musicali. Insomma, mi sono liberato da alcuni paletti.
Il tema di questo nuovo pezzo è il senso di colpa, che è qualcosa con cui, volenti o nolenti, dobbiamo fare i conti tutti. Pensi che per te sia stato un motore per migliorarti oppure ti viene voglia di scappare quando senti il dito puntato contro?
Il senso di colpa, in quanto “senso” – sensazione, è qualcosa di soggettivo e interiore, ma non così altruistico come sembra. In qualche modo proviamo dispiacere per aver fatto soffrire qualcuno senza sapere se quella persona effettivamente si senta ferita o tradita, magari non pensa nemmeno a noi. Questo circolo vizioso diventa uno specchio riflesso, un cortocircuito che in maniera un po’ narcisistica riconduce comunque tutto al nostro ego. Però averlo indagato, scrivendolo, senza vergogna né paure, ha sicuramente aiutato ad approfondire l’analisi di me stesso.
I personaggi con cui ti interfacci sono fondamentalmente divisi in tre parti all’interno della canzone. Ti va di parlarcene?
Quando ho iniziato a pensare al secondo album mi sono promesso che non avrei più scritto qualcosa in maniera non chiara, mascherando i concetti con artifici retorici incomprensibili. Sono voluto tornare a un’essenzialità anche nella scelta dei vocaboli, chiamando ogni cosa con il suo nome: “chemio” è “chemio”, non ha senso trovare altre immagini per descriverla. Proprio per questo motivo credo che queste nuove canzoni parlino da sole. Il mio privato non è straordinario rispetto al privato di qualsiasi altra persona e contiene al suo interno gioie e dolori, alti e bassi: la fine di una relazione, la perdita (di vista) di molte amicizie con l’età che avanza e le vite che divergono sia a livello di stili di vita che di città in cui si abita; parlo della malattia di un genitore da figlio unico che vive lontano dalla casa natale. Ma non sarò sicuramente il solo, anzi mi sento più fortunato della media. Le distrazioni al giorno d’oggi sono tante (alienazione dovuta al lavoro, dipendenza dalla tecnologia) e sentivo il bisogno di rimettere al centro l’intimità, il privato delle nostre vite.
“Non ti odieresti davvero se avessi cura di me”. Parli di un senso di colpa che è anche a tratti fisiologico, perché a volte è necessario partire e lasciarsi qualcosa alle spalle. Sei d’accordo?
Ho un rapporto strano con le emozioni, nel senso che mi chiedo spesso se quello che provo dentro lo riesca a trasmettere anche all’esterno, alle persone a cui dovrei dimostrare amore, gratitudine o quando semplicemente devo delle scuse. Il fatto di scriverle, queste emozioni, di certo non aiuta, perché è un po’ come se io le provassi, esaurendole, attraverso le canzoni.
Ad oggi pensi che la musica valga il senso di colpa che a volte hai sentito?
Non sono la persona più tatuata della storia, anzi. Ma c’è una frase di “Piazza Grande” di Lucio Dalla che mi ha sempre colpito per la sua potente semplicità e anche per il fatto che ritorna solo una volta, pur essendo un verso del ritornello: “quel che sono l’ho voluto io”. Prima di andarmene da Bologna, dove ho abitato per tanti anni, quella frase me la sono fatta tatuare sull’avambraccio, perché rispecchia a pieno il modo in cui cerco di condurre la mia vita: senza rimpianti, perché qualunque cosa accada sarà il frutto, (o meglio) il prezzo delle mie scelte.
“Rosso” è il nuovo singolo di röa, giovanissima cantante che torna sulle scene del panorama pop con il suo secondo brano, sempre prodotto da Andrea Castelli ed heysimo (Simone Sproccati).
A differenza di “Estranei”, che raccontava il sentimento di abbandono e di addio, in “Rosso” röa esprime l’amore totalizzante che prova per la sua persona, a cui si sa affidare anche tra i dubbi e le incertezze.
Rosso come i suoi capelli e come il sangue, che sembrano mischiarsi tanto sono simili queste due persone.
Intervista a röa sul nuovo singolo “Rosso”
Ciao röa, come stai? Prime emozioni a caldo dopo la release del tuo nuovo singolo “Rosso”?
Ciao, molto bene, in realtà devo ancora realizzare che “Rosso” sia uscita, ma sono molto grata di tutti i feedback positivi che sto ricevendo, li apprezzo molto.
Domanda banale ma, essendo ancora agli inizi del tuo percorso, importante per conoscerti meglio: qual è il significato del tuo nome d’arte? Perché “röa”?
In realtà non ha un significato specifico. È un soprannome che ho usato per tanti anni, e nel momento in cui ho deciso di espormi con la musica aveva semplicemente senso continuare ad usarlo. Anche perché essendo una abbreviazione del mio nome credo mi rispecchi al meglio.
Da un punto di vista musicale troviamo svariate influenze, così come anche tra i tuoi ascolti abituali: quali sono i 3 album più importanti per te? E perché?
Ci sono svariati pezzi di album e artisti diversi che hanno contribuito alla mia passione per il mondo della musica. Se dovessi nominarne 3 nello specifico penserei subito a “JAMIE” di Montell Fish, a “East Atlanta Love Letter” di 6LACK e a “siix” di LIL DUSTY G.
“JAMIE” onestamente credo sia un album clamoroso e non ho altri attributi per descriverlo se non questo. Il modo di comunicare emozioni e pensieri di Montell Fish per me è arte. Ed ha contribuito a farmi percepire il potere della musica intesa non solo come forma di espressione, ma come vera e propria terapia
“East Atlanta Love Letter” credo sia in realtà il più importante perché mi ha accompagnata in svariati periodi della mia vita. È sempre stato un luogo sicuro dove tornare per trovare serenità, e sentirmi compresa. In particolare ci tengo a menzionare un brano di questo album, ovvero “Pretty Little Fears”. Perché la strofa di J.cole è la perfetta descrizione del rapporto tra me e Claudia, ovvero la ragazza che ha ispirato “Rosso”.
Infine è impossibile per me non nominare “siix” di LIL DUSTY G, perché lo ritengo fonte di ispirazione, in quanto è un genere che mi piace molto ascoltare e che in parte mi piacerebbe replicare anche in Italia.
Un amore totalizzante color “Rosso” sangue: da dove nasce l’ispirazione per la scrittura di questo brano?
Nonostante sembri scontato, rosso è il colore dei capelli di una ragazza che ho conosciuto 11 anni fa e che con il tempo è diventata la mia migliore amica e molto di più.
Claudia con il tempo è diventata la mia famiglia e la persona con cui ho deciso di trascorrere il resto della mia vita. Lei è la mia anima gemella, ma non in senso romantico proprio perché il nostro rapporto si basa su amore puro, reale e così ampio da non poter essere ridotto ad un amore romantico. In realtà credo che “Rosso” descriva una minima parte del nostro legame, proprio perché non credo sia possibile descrivere a parole la complementarietà di due anime.
Sei una persona più razionale o emotiva? Nella tua musica qual è il lato di Aurora che emerge maggiormente?
Io in realtà ho un rapporto estremamente complicato con le emozioni, e ho sempre ricercato la razionalità, fallendo la maggior parte delle volte. Inoltre, studiando medicina in realtà sono obbligata ad essere razionale, ed è per questo che considero la musica una vera e propria terapia, ovvero un modo per esprimere emozioni che cerco di occultare in ogni modo da quando ne ho memoria.
Quanto è importante per te, per un’artista emergente, circondarsi di persone che credono nel proprio progetto? Quali sono state, se ci sono, le figure chiave di questo tuo percorso nella musica ad oggi?
Quando ero più piccola ho sempre vissuto la musica come un sogno che non si sarebbe mai realizzato, proprio perché dovevo dedicarmi allo studio e nell’ambiente in cui sono cresciuta non c’è mai stato spazio per la creatività.
Quando sono arrivata a Milano, invece, ho conosciuto un mondo che non credevo fosse reale, o almeno non credevo potesse essere reale per me. La prima persona a dare realmente importanza alla mia passione per la musica, oltre ai miei amici, è stato Simone Sproccati, in arte “heysimo”. Dal primo momento mi ha dato fiducia ed ha dimostrato di credere nel progetto. Dopo aver conosciuto Simone, ho avuto il piacere di lavorare con Andrea Castelli che, come Simone, mi ha accolta con massima fiducia e disponibilità. Sinceramente credo che senza di loro questo progetto non si sarebbe realizzato. E non smetterò mai di ringraziarli per aver creduto nella mia musica, tanto quanto me, se non di più.
“Infatti odio l’estate. Perché se poi mangio ingrasso e non mi voglio spogliare“.
Vinnie questa Estate non se la vive bene e lo rende chiaro nell’ultimo singolo che prende il nome dalla calda stagione.
L’artista di MIND sogna l’inverno scappando da un’estate fatta di dormite sotto l’ombrellone, parmigiane difficili da digerire e prove costume che fanno venire l’ansia.
Continuando un filone iniziato con i singoli precedenti – l’ultimo pezzo era stato “Farfalla”, con Eramo Nubi -, Vinnie gioca con le sonorità in un brano che, sebbene rappresenti un lamentoso inno contro le ferie al mare, fa venire voglia di ballare, in un cantautorato influenzato da sonorità pop, soul, funk ed elettroniche.
Intervista a Vinnie su “Estate“
Ciao Vinnie! È uscito da poco il tuo quinto singolo “Estate”, un lungo percorso iniziato ad aprile 2022 con “Clichè”: com’è cambiata la tua musica nel corso di questi mesi? Cosa vedi se ti guardi indietro?
Ciao! La mia musica nel corso di questi mesi penso si sia evoluta tantissimo. Ho cambiato direzione rispetto all’indie classico da cui sono partito e mi sono spostato verso l’rnb e il soul, sempre mantenendo comunque sonorità molto chill. Se mi guardo indietro posso ritenermi molto soddisfatto del lavoro svolto con il mio team che ringrazio sempre.
Qual è il filo conduttore tra tutti i tuoi singoli pubblicati fino a oggi?
Sicuramente il filo conduttore dei miei brani è l’amore. L’amore è presente in ognuno di essi, sotto forme diverse. Dall’amore per una persona, all’amore per gli amici fino ad arrivare all’amore verso una stagione, ovvero l’inverno.
Un brano fresco, un pop da clubbing che non snatura però la tua essenza artistica. Ti abbiamo sentito quindi tra Indie, Pop, Soul e R&B: in quali di questi generi ti senti maggiormente a tuo agio? Da quali artisti prendi maggiormente ispirazione?
Con “Estate” abbiamo voluto dare una svolta un po’ più fresca alle nostre produzioni riprendendo un po’ il filone del mio secondo singolo “Fama” ma con sfaccettature più rnb. Sento di potermi identificare all’interno del genere rnb e soul.
Abbiamo capito che l’estate non è sicuramente la tua stagione preferita, ma cos’è quella cosa dei mesi estivi a cui non rinunceresti?
Una cosa a cui non rinuncerei mai e poi mai è il mare. Nonostante il caldo, il sudore e le zanzare, il mare è l’unico elemento che si salva e senza il quale, in estate, sarebbe davvero difficile sopravvivere.
3 singoli che non possono mancare nella tua playlist estiva.
One life di kota the friend
Snooze di SZA
Torpi di Marco Castello
La musica è un rimedio per questi mesi torridi o il tuo processo creativo subisce uno stop dovuto a “mamme incazzate, sudore e zanzare”?
La musica è assolutamente un rimedio a questi mesi così caldi, quanto è bello scrivere al fresco del ventilatore o dell’aria condizionata? Chiaramente preferisco l’inverno, infatti durante i mesi estivi già penso a scrivere testi invernali, un po’ un paradosso no?
Forse Danzica è tornato con un nuovo passionale ed esplosivo pezzo, “Moulin Rouge“.
Il cantautore ci aveva già parlato d’amore in “Autocad“, più dolce e propositivo. In “Moulin Rouge” si sa bene l’errore che si sta commettendo ma si procede perseverando, perché ci viene facile cedere alle tentazioni. Andare a letto con la propria ex non è quasi mai una buona idea e Forse Danzica riesce a condensare in questo nuovo singolo la rabbia, la rassegnazione e l’ironia nel commettere errori che sappiamo già bene dove ci porteranno. Ma a cui, alla fine, non rinunciamo.
Intervista a Forse Danzica su “Moulin Rouge”
Ciao Forse Danzica! “E la mia stanza sembra il Moulin Rouge quando vieni tu noi non dormiamo mai” canti nel tuo nuovo singolo. Insieme ad “Autocad” mostra due facce diverse della stessa medaglia. Da che sentimento nasce “Moulin Rouge”?
A me piace molto parlare d’amore e dintorni, perché credo sia uno di quei tre o quattro sentimenti in cui cadono i filtri e le nostre pulsioni si mostrano nella loro versione più pura, e per questo ci dicono molto della nostra natura.
In ogni caso, Moulin Rouge nello specifico parla di autodistruzionee di compiacimento rispetto all’inevitabile, mentre in “Autocad” si parla di costruzione e progettualità nonostante le macerie circostanti. Sono due facce della stessa medaglia nel senso che in entrambi i casi sono canzoni di ribellione contro quello che suggerirebbero il buonsenso e le circostanze. In Moulin Rouge si parla di un amore che sarebbe meglio lasciar perdere ma che in qualche modo ci induce sempre in tentazione; in Autocad si parla di un amore che induce a costruire e a fare progetti ignorando il fatto che le circostanze attorno a noi sono nemiche della progettualità. L’ispirazione per Moulin Rouge è stata un incontro sessuale con una ex che ha fatto soffrire entrambi; quella per Autocad un innamoramento durante le prime settimane della guerra in Ucraina.
Nel tuo nuovo singolo parli di quegli errori che sappiamo già di commettere ma a cui non sappiamo non cedere. Tu ti ritieni una persona lungimirante o impulsiva?
Entrambe: sono una persona lungimirante, ma la mia lungimiranza e la mia consapevolezza spesso non sono sufficienti a non farmi fare cose di cui poi mi pento. Penso sia molto comune. Le stronzate più grosse che ho fatto nella mia vita fino ad ora le ho fatte in uno stato di estrema consapevolezza e di pentimento preventivo, perché sapevo benissimo che quello che stavo facendo mi stava facendo male, ma per qualche forza superiore o per debolezza le ho fatte lo stesso.
A livello di musicalità, rispetto ad “Autocad”, “Moulin Rouge” è più rabbiosa e carica, sposando quello che è il mood della canzone. Tendi ad essere molto coerente tra testo e musica a mio parere. Sei d’accordo?
Spero di sì, tendenzialmente scrivo le canzoni portando avanti in parallelo testo, musica e arrangiamento, con l’intenzione che le componenti si influenzino e si parlino a vicenda.
La passione si sposa spesso con ciò che fa male. Cosa consiglieresti di fare a qualcuno che è in bilico tra il cedere ed avere il suo personale “Moulin Rouge” o meno?
Consiglierei di emanciparsi dall’incubo delle passioni, come diceva Battiato. Davvero, credo che più si riesca a elevarsi al di sopra delle pulsioni, più si stia meglio. Quindi, riservandomi il diritto di predicare bene e razzolare male, di base consiglierei sempre di resistere alle tentazioni quando siamo consapevoli che ci porteranno a pentirci. Spesso si esalta il lato attivo dell’esperienza, quindi si parte dal presupposto che fare le cose sia meglio che non farle. Ma anche la rinuncia e l’autocontrollo sono esperienze, legittime, formative e coraggiose tanto quanto le esperienze apparentemente più attive. Dipende da caratteri e stati d’animo.
Piani per il futuro?
Come molte persone della mia generazione mi accontenterei di averne uno.
Su una base jazzy, pop, hip hop e R&B, Bartowski, in featuring con Sir Giove, ci parla di un amore che ci fa sentire funamboli e pagliacci, “Gioco di me“.
Chi non è mai stato preso in giro da un amore che sembrava sincero e alla fine non lo era del tutto? Bartowski, con la sua solita ironia, riesce a fare di una situazione problematica un punto di forza, cantandotele col sorriso di chi sa che tanto, alla fine, andrà tutto bene.
Intervista a Bartowski e Sir Giove
Ciao Bartowski, ciao Sir Giove, come state? Di cosa parla “Gioco di me”?
Ciao ragazzi di Indielife, stiamo benissimo!! Voi?
Gioco di me parla di un rapporto molto strano in cui ci sono stati errori da entrambe le parti ma anche un forte sentimento. Questo comporta la nascita di tutte le situazioni e di tutti i dubbi che si sentono dentro la canzone.
Qualcuno si è mai preso gioco di voi?
Certo c’è sempre chi si prende gioco di te. La cosa importante è saper stare al gioco la maggior parte delle volte!
E dall’altra parte? Avete mai fatto finta di essere innamorati di qualcuno, magari autoconvincendovi, ma in realtà non provavate quelle cose?
A Sergio non è mai successo. A me (Marco) sì. Però per quanto ti sforzi ad autoconvincerti se i sentimenti non ci sono davvero ad un certo punto si vede dalle azioni che si fanno e dal comportamento verso l’altra persona. Quindi EVITATE.
Il genere è urban, con sonorità r&b, hip hop e a tratti jazzeggianti ormai tipiche della discografia di Bartowski. Come vi siete trovati a collaborare, a questo proposito, da un punto di vista musicale?
Collaborare per noi è stato molto facile, quasi immediato. Navighiamo tutti e due quasi attorno allo stesso genere con dei mood e dei colori diversi che però se poi vengono uniti danno vita ad un pezzo pieno di energia come Gioco Di Me.
Personalmente (Marco) fare questa canzone con Sergio è stata l’esperienza musicale, per ora, più divertente di sempre.
Se poteste dire qualcosa alla persona che sta ascoltando “Gioco di me”, cosa sarebbe?
Il 9 giugno Corha ha fatto uscire il suo nuovo singolo, “Nella mia testa”, un brano estivo e introspettivo prodotto da heysimo. L’atmosfera urban pop entra in contrasto con il significato del testo.
“Nella mia testa” è un brano leggero che nasconde le parti più dure per la giovane cantautrice: l’eterna lotta tra la consapevolezza della necessità del distacco descritto e la dipendenza reciproca, che si sente anche da lontano, che non la fa mai staccare del tutto.
Vediamo cosa ci dice Corha a riguardo.
Intervista a Corha su “Nella mia testa”
Ciao Federica, partiamo dalle cose “semplici” per sciogliere un po’ il ghiaccio: come stai in questo ultimo periodo? Come sta procedendo con il progetto CORHA?
Ciao! Sto bene grazie è un periodo intenso, gestire tutto da sola non è semplicissimo ma sto lavorando molto e ne sono felice. Il progetto procede (non sta a me dire come – ride – ) io sto dando il massimo, sto scrivendo molto e sto provando a dare un nome alle emozioni che provo.
“Nella mia testa” è la tua ultima release: qual è il significato alla base del singolo? Cosa vorresti arrivasse al pubblico con questo brano?
Alla base del singolo “Nella mia testa” ci sono due storie che si intrecciano, quella di trovare una strada personale nonostante periodi di ansia e, allo stesso tempo, quella di pensare a una persona che probabilmente sta vivendo lo stesso senso di smarrimento a distanza.
Tante influenze in questa e nelle passate pubblicazioni: chi sono i tuoi artisti di riferimento?
Cerco davvero di ascoltare di tutto, da Sergio Endrigo e Mina a SZA, mi sforzo di ascoltare anche mondi musicali lontani dal mio. Io amo la musica italiana e il cantautorato, in particolare anni 60 che ha un sound inconfondibile.
“Dormo solo tre ore, e sogno di perdere quello che ancora non ho”: cosa ti spaventa oggi nella musica? Sei riuscita a trovare la tua strada?
Quella frase è riferita a un forte momento di ansia vissuto un po’ di tempo fa, la strada ora non so se l’ho trovata ma di certo ho le idee più chiare e sto camminando.
Per gli artisti emergenti la dimensione live riteniamo sia fondamentale: hai mai portato la tua musica su un palco? In caso di risposta negativa, quali sono i programmi per l’estate?
Il progetto è nato durante il lockdown quindi mi sono concentrata tantissimo sulla scrittura e questo mi ha portato a lavorare molto di più in studio, di certo non vedo l’ora di pensare a come portare nel modo giusto il progetto live.
Il tema centrale del progetto è l’amore in ogni sua sfaccettatura e la realtà filtrata attraverso i tuoi occhi: quanto e come questo sentimento influenza la tua musica?
La realtà influenza tantissimo la mia scrittura perchè mi piace proprio raccontare della mia quotidianità, delle paure e delle riflessioni di una ragazza “normale”, raccontare quello che vivo nel mio piccolo, in modo molto naturale. L’amore in ogni sfaccettatura perchè non è un sentimento provato per una persona in particolare ma anche per una persona cara, per un’amica, per una sensazione.
Concludiamo con un consiglio: secondo te cosa un artista emergente dovrebbe fare oggi per farsi notare dal pubblico?
Sono la prima ad aver bisogno di qualche consiglio a riguardo – ride – però credo che la sincerità del progetto musicale sia fondamentale. Grazie mille!
Francesca Teriaca dopo più di un anno torna con il nuovo singolo “Lonano da te“, prodotto dall’etichetta indipendente MIND e distributa da Ada Music.
“Ti ho messo il mondo in mano e l’hai ficcato in tasca”.
Francesca canta di un amore finito ma in cui, anche se si è lontani, ci si sente ancora. Un amore che tiene ancora legati i due, tanto che, nonostante tutto sembra ancora di vedersi: “dimmi che i miei occhi sono ancora i tuoi“.
Un brano estivo e fresco che parla d’amore in termini diversi. Ne abbiamo parlato con Francesca Teriaca.
Intervista a Francesca Teriaca
Ciao Francesca! È uscito da poco il tuo nuovo singolo “Lontano da te”, dopo un anno dalla passata release “Luna spenta”: cosa è successo nel corso degli ultimi 12 mesi? A cosa è stata dovuta questa pausa dalla musica?
Ciao ragazzi! 🙂 In realtà non ho preso nessuna pausa o meglio, non nel senso stretto del termine: ho lavorato a nuove canzoni in silenzio e non vedo l’ora di farvi ascoltare tutto ciò che ho ancora da raccontarvi.
Lo sguardo è un po’ il filo conduttore tra “Lontano da te” e “Guardami”: è un elemento che accumunerà spesso in futuro i tuoi progetti? O questo è solo frutto del caso?
Lo sguardo è un tema che per me vale molto e che in qualche modo collega “Guardami” e “Lontano da te”, però no, i prossimi progetti non avranno un collegamento con questi due brani.
Parliamo delle tue influenze artistiche: da chi prendi oggi ispirazione? Dai grandi del passato o attingi maggiormente da sonorità dei giorni d’oggi?
Le mie influenze artistiche odierne dipendono sicuramente da tutto ciò che ho sempre ascoltato, quindi anche e soprattutto dai grandi del passato. Ma se dovessimo parlare da un punto di vista esclusivamente musicale attingo però da sonorità più moderne.
In “Lontano da te” troviamo un amore si travagliato e sofferto, fatto di alti e bassi, ma che, nonostante tutto, tiene i due ancora più uniti che mai con una profonda consapevolezza dell’importanza reciproca: quanto l’amore oggi influenza le tue canzoni e la tua scrittura?
Mi influenza ogni giorno l’amore che provo e che ho provato, che sia amore per una persona, amore da figlia, amore fraterno, l’amore di un’amicizia: ciò che scrivo nasce sempre da sentimenti che ho già provato.
Stai attualmente studiando al conservatorio canto jazz: quando però ti sei avvicinata la prima volta al mondo della musica?
La prima volta che mi sono avvicinata alla musica è stato all’età di 10 anni in modo molto casuale, ho iniziato a studiare pianoforte in una scuola media a indirizzo musicale e per me è stato amore a prima vista, dal pianoforte è nata la passione per il canto e per la scrittura di brani. Da lì non mi sono più fermata.
Cosa dobbiamo aspettarci dal tuo futuro artistico? Hai in cantiere un progetto più ampio o attualmente ti stai concentrando a pubblicare solo singoli?
Ho in cantiere un progetto più ampio, vi anticipo che sto lavorando al mio primo EP e non vedo l’ora che sia pronto per renderlo anche vostro. Non vi nego inoltre la voglia di suonare anche dal vivo, cosa fondamentale per un artista, quella non manca mai. Quindi ci sentiremo sicuramente presto! 🙂
Dopo averci parlato di Monopattini, Sir Giove torna e lo fa con “Lunedì“, un singolo che è un invito ad approcciarsi con leggerezza alle cose che nella vita di ogni giorno ci sembrano difficili, come l’inizio settimana.
E se pensassimo al lunedì come ad un ulteriore giorno del weekend?
Con un brano che è un inno alla spensieratezza, l’artista crea un’atmosfera gioiosa e coinvolgente in cui rimandare a domani le responsabilità e le preoccupazioni non sembra poi così male. Procrastinare per permettere allo spirito del weekend di vivere un po’ più a lungo in ognuno di noi.
La voce intensa e carismatica di Sir Giove si unisce ad un arrangiamento coinvolgente in cui i fiati si mescolano ad una linea di basso incalzante e ad una batteria in stile funk. Il risultato è un pezzo pop moderno permeato da un messaggio di libertà e da un’atmosfera di festa che ricorda lo stile di Frah Quintale, Willie Peyote e Anderson Paak.
Dove trovare “Lunedì” di Sir Giove?
Disponibile su tutte le piattaforme di streaming a partire dal 12 maggio 2023, Lunedì è la testimonianza della versatilità dell’artista veneto che aggiunge un ulteriore tassello alla sua discografia e si pone come voce innovativa all’interno del panorama contemporaneo.
Il brano, rilasciato per Ooneek Dischi e distribuito da Artist First, è il quinto singolo di Sir Giove che sta costruendo con credibilità la sua carriera da solista dopo aver collaborato con importanti nomi della scena rap italiana.
Abbiamo intervistato i Frenèsya, duo di fratelli romani che torna alla ribalta con il nuovo singolo “Fulmini“. La musicalità del gruppo spazia e si fa influenzare da un pop che strizza l’occhio alla Drill e all’R&B.
Tra luci e ombre, “Fulmini”, parla di cose che finiscono, ma rappresenta, paradossalmente, un nuovo inizio per il gruppo, una nuova luce che illumina all’improvviso.
Incuriositi dal progetto abbiamo voluto saperne di più. La parola agli artisti!
Intervista ai Frenèsya su “Fulmini”
“Fulmini” è il primo tassello del vostro nuovo progetto musicale, che segna per i Frenèsya un nuovo inizio. Raccontatemi di più su com’è nata l’idea e su dove ha intenzione di andare.
Il tutto è nato dalla necessità che sentivamo da tempo di trovare un nuovo nome che ci unisse davvero, che evidenziasse il nostro legame. Abbiamo passato un anno di silenzio dal punto di vista della pubblicazione di musica, ma ricco di live, in cui siamo cresciuti e ci siamo guardati dentro. Finché un giorno è arrivato questo nome che rappresentava tutto quello che la musica aveva significato per noi da sempre. La frenesia è la sensazione che ci ha guidato in maniera totalmente inconscia verso questa strada. È il motore della nostra musica, un fuoco che ci brucia dentro e che ci accomuna. Ed ora è diventata anche il carattere che contraddistingue il nostro stile musicale, attraverso la sperimentazione tra vari generi.
Parliamo del pezzo. “Fulmini” è una canzone che parla dell’essere in bilico, “Stare vicini e non saperci stare”, buttarsi in avanti ma poi riguardare indietro. Un sentimento che suppongo abbiate conosciuto. Come si esce da questo temporale?
Si può uscire da tutto, anche un temporale arriverà ad una fine. Le nostre vite si intrecciano tutti i giorni creando dentro di noi momenti di sole splendente o temporali. Ma è anche questo il bello. Imparare a vivere le proprie emozioni è qualcosa che spaventa, ma privarsene significherebbe togliersi delle parti di sé. Noi ci siamo passati, ci passeremo ancora e non smetteremo mai di imparare a gestire certe cose, però ci abbiamo scritto su questa canzone tanto intima e fragile, e speriamo che qualcuno ci si possa rivedere.
Musicalmente parlando, le influenze che si sentono nel singolo sono diverse, tanto che è difficile incasellarvi in un genere. A questo proposito, come è stato pensato il progetto da un punto di vista musicale?
C’è da dire, senza anticipare troppo, che questo è solo l’inizio di un progetto più ampio che scoprirete da qui a giugno. Abbiamo scritto molto in quest’ultimo anno e lavorato alla scrittura con molta cura. “FULMINI”, come tutto quello che sentirete nei prossimi mesi, è il frutto di una ricerca frenetica tra generi diversi, sempre sulla scia urban, passando per l’R&B, la drill, l’hyper pop, la dance, l’Afrobeat. Abbiamo preso e portato dentro le nostre canzoni varie influenze, che abbiamo sviluppato poi in una forma personale e reso coerenti nel sound e nello stile di scrittura ovviamente. Non vediamo l’ora di farvi ascoltare tutto.
Domanda scontata, ma d’obbligo: com’è lavorare con il proprio fratello?
La verità è che è davvero bello. Spesso ci fanno notare che non è scontato avere un rapporto così tra fratelli. Noi anche siamo umani, abbiamo i nostri contrasti. Ma in linea di massima ci siamo sempre armonizzati con spontaneità, senza forzature, sia umanamente che musicalmente. E soprattutto anche quando ci sono degli scontri, solitamente poi ci portano a fare passi avanti, a crescere, proprio grazie alla fiducia, la stima e l’affetto che abbiamo l’uno per l’altra.
Sir Giove, dopo aver cantato un “Lieto Fine”, torna con “Monopattini“, una ballad che vuole incastrare in una polaroid un sentimento che poteva essere e non è mai stato, una relazione mai iniziata e mai finita.
Tra sonorità che ondeggiano tra il latin e il cantautorato indie, Sir Giove rende bene l’idea di amore estivo, “sopra monopattini elettrici, con il mare tra i capelli”. Una tragicità passeggera, “solo la foto di un momento”.
Ma da dove nasce la sua storia d’amore leggera? Lo abbiamo chiesto all’artista.
Intervista a Sir Giove su “Monopattini”
“Monopattini” è una canzone un po’ diversa rispetto alle tue precedenti, soprattutto da un punto di vista musicale, predilige un mood un po’ meno pop e un po’ più latin/electro-chill, come l’hai definita tu. Parliamone.
Ciao Benedetta e ciao a tutti!
Allora, In questo momento stiamo prediligendo la modalità di uscita dei brani sotto forma di tanti diversi singoli. Così facendo ogni canzone può ispirarsi a mondi e a direzioni diverse, con il punto di partenza comune rappresentato dalla mia penna e da qualche accordo di piano.
Con Monopattini io e il mio produttore Massimo Calore aka Louiekee, abbiamo fin da subito immaginato un’atmosfera che immergesse l’ascoltatore in un ambiente caldo, scaldato dalle note di piano, dal cinguettio degli uccelli, e dalla ritmica delle percussioni che richiama la sfera latin. L’intento era quello di trovare un ambiente e una dinamica che come un morbido tappeto accompagnassero le voci, vere protagoniste del brano.
Il nuovo singolo parla di una “storia d’amore leggera”. Alla fine hai trovato risposta alla domanda che ti poni: “come si rimane in equilibrio su un orizzonte in bilico”?
Monopattini vuole essere una canzone che parla di una storia d’amore mai iniziata e mai finita, la fotografia di un momento d’amore perso nel tempo. La fuga dalla quotidianità quando l’orizzonte si inclina, dove per rimanere in equilibrio non resta altro che rifugiarsi nei ricordi di un’estate passata, di monopattini elettrici cavalcati all’alba, di immagini calde di una storia d’amore leggera.
Chi diresti che ti ha ispirato di più nella scelta del genere e dell’intenzione musicale? Sento diverse influenze che sono associabili a diversi progetti indie
Domanda tosta! E’ sempre difficile per me riuscire a dire quali sono gli artisti o i generi che mi hanno influenzato e ispirato di più. Proprio perché nella mia vita ho ascoltato di tutto!
Tutto parte dalla famiglia e da casa, dove la musica è sempre stata al centro di tutto. Mio padre è compositore e sassofonista Jazz, mia sorella è cantante e insegnate di canto. Con loro sono cresciuto in una casa dove lo stereo è rimasto sempre acceso: i Beatles, Frank Sinatra, Sam Cooke, Nina Simone sono fratelli e sorelle adottivi di una famiglia allargata. La prima vera esperienza nel mondo della musica è stata all’alba dei 20 anni come cantante di una band Funky/rap chiamata Navigazione Interna.
Abbiamo condiviso il palco con gli stessi artisti il cui ascolto ci aveva spinti a iniziare quell’avventura: Dutch Nazari, Ghemon, Bassi Maestro. Tutt’ora i miei ascolti sono di vario genere e tipo: dalla Black e Jazz music, al cantautorato indie italiano, passando per le rime e la messa in prosa tipiche della scrittura rap. Ecco, Sir Giove è un po’ un misto mare di tutta sta roba qui.
Siamo al tuo quarto singolo, cosa ci dobbiamo aspettare da Sir Giove nel futuro? Lo sappiamo già?
Il quinto, il sesto, il settimo e spero tanti altri! A inizio Maggio usciremo con il prossimo singolo. Poi a Giugno con un’altra bella hit estiva da cantare sotto gli ombrelloni e le arie condizionate dei locali.
Sono molto contento di come il progetto stia evolvendo e prendendo forma di canzone in canzone e non vedo l’ora di farvi ascoltare le prossime bombette.
E poi partire con la musica live, con i palchi, che sono il vero motivo per cui poi si fa tutto questo, no? L’energia, l’adrenalina, la condivisione con il pubblico. Un “Sir Giove Tour“ dove far conoscere a persone di ogni dove quello che è il suo pensiero e la sua musica.
Ritorna con “Forever” la band milanese dream pop, i Novanta.
Il nuovo singolo, in featuring con Gioia Podestà, anticipa il mood del disco in un uscita “Punk for introverts”. Etereo e leggero, rientra nelle cosiddette “ceiling-gazing songs” del gruppo: quelle canzoni da ascoltare tra la mezzanotte e le quattro del mattino.
A detta dei Novanta, «”Forever” è stata la prima canzone alla quale abbiamo lavorato per l’album, ed è forse la nostra composizione più pop in assoluto. Desideravamo creare un pezzo che vivesse di contrasti, con una strofa scura e un ritornello aperto e luminoso, in una specie di dualismo sonoro che trova la sintesi perfetta nella linea vocale, che abbatte ogni steccato di genere e fa vibrare d’inquietudine questo brano. “Forever” è una malinconia ballabile».
Ne abbiamo parlato con la band.
Intervista ai Novanta su “Forever”
“Forever” si è aggiunta tra le vostre “ceiling-gazing songs”, quelle canzoni da ascoltare tra la mezzanotte e le quattro del mattino. Ma da dove nasce?
“Forever” ha una lunghissima gestazione, come gran parte dei brani del prossimo disco, “Punk for introverts”. Era il 2020, avevo appena comprato una nuova chitarra per affrontare il tour di supporto a “Some are stars”, l’ep uscito a novembre ‘19, e poi è successo quello che sappiamo.
Quella chitarra nuova, che mi piaceva tantissimo, non l’ho toccata per quasi un anno, mentre con l’iPad ho iniziato a buttare giù canzoni fatte esclusivamente con le tastiere. Quando nel 2021 abbiamo finalmente cominciato a lavorare ai pezzi nuovi, “Forever” (che all’epoca si chiamava “Supremo Re”, in onore del mio gatto Mogwai) ha cambiato forma: dentro le chitarre, dentro una strofa totalmente antitetica al ritornello. È un brano che riflette una nuova identità musicale dei Novanta, ma al tempo stesso riprende un po’ tutto quanto fatto negli anni precedenti.
Com’è nata la collaborazione con Gioia Podestà?
Gioia la conoscevo in quanto cantante degli You, Nothing, una band dream pop che purtroppo si è sciolta: adesso lei vive in Belgio e suona nei Maquillage. Ha una voce ultraterrena e ha portato una sfumatura inedita nella musica dei Novanta: grazie a lei c’è tanta luce ma anche parecchia oscurità. Gioia ha contribuito a far sì che questo pezzo fosse una malinconia ballabile.
PH: Cristina Zonni
Avete detto che “Forever” è il vostro pezzo più pop in assoluto. Come mai è stata pensata in questo modo per i Novanta?
Ho iniziato a lavorare alla base avendo come riferimento musicale gli MGMT di “Time to pretend”: avevo proprio voglia di una canzone che fosse rotonda, pop, immediata. Non so se siamo riusciti nell’intento, ma è un brano che ci dà una bella vibrazione. E forse una base per il futuro. Forse.
Dateci un consiglio: qual è l’orario perfetto per ascoltare “Forever”?
“Forever” andrebbe ascoltata a mezzanotte in punto, in un segmento temporale indefinito in cui ieri e domani non hanno ancora un senso compiuto, osservando le luci del mondo muoversi al ralenti sul soffitto della propria cameretta. Ma ho notato che funziona bene anche durante il giorno: il ritornello finale va incredibilmente in sincronia con il caos calmo della linea verde della metro di Milano.
Siamo finalmente alle porte del Book Pride 2023 che torna al Superstudio Maxi di Milano dal 10 al 12 marzo 2023.
Per chi non lo sapesse, facciamoci la prima fondamentale domanda: cos’è il Book Pride?
Si tratta di un’iniziativa nata nel 2015 su iniziativa dell’Osservatorio degli Editori Indipendenti e che ha l’obiettivo di rappresentare e dare voce al settore dell’editoria indipendente che rappresenta poco meno della metà dell’intero settore (30-40%).
Il mercato dei libri indipendente non è solo un mondo di interessantissime possibilità, ma è capace di scovare e presentare prodotti editoriali di alta qualità che faticheremmo a trovare sugli scaffali delle librerie.
La manifestazione è divisa in tre giorni, durante i quali all’interno dello spazio di Famagosta assisteremo a diversi eventi e incontri su questo magico e interessante universo editoriale.
Vediamo nello specifico il programma nella piccola guida secondo Indielife 🙂
Il calendario degli eventi si intensifica. Noi abbiamo fatto un’attenta selezione per aiutarvi a barcamenarvi in questo mare magnum. Iniziamo con il primo di un ciclo di eventi dedicati ai libri che vedremo prossimamente sugli scaffali, che vedranno in dialogo autori ed editori. Proseguiamo con un reading che ha per protagonisti due giganti della letteratura: Roberto Bolaño e Wisława Szymborska. Nel pomeriggio di sabato, una delle protagoniste sarà senz’altro Monica Ojeda con la presentazione del suo nuovo libro. A seguire, Accento edizioni, neonata casa editrice fondata da Alessandro Cattelan, si racconta ai lettori. Non poteva certo mancare un evento musicale, infatti l’ultimo evento che vi segnaliamo per sabato è un dialogo tra Giorgio Poi e Paolo Cognetti sulle parole delle canzoni.
Domenica 12 marzo
È anch’essa ricca di eventi. Iniziamo con la presentazione del nuovo numero di COSE, la rivista nata da una collaborazione tra Iperborea e Il Post. Continuiamo domenica con un incontro sulla distanza del femminismo della teoria da quello della pratica. Anche in questa giornata non mancano gli eventi dedicati al lavoro editoriale e di scrittura, in particolare segnaliamo questo evento sul lavoro in ufficio stampa, un incontro sullo storytelling e uno sulla scrittura dei dialoghi. Concludiamo questa giornata in bellezza segnalandovi un evento sulla serie tv che sta facendo impazzire tutti nell’ultimo periodo, esatto avete capito bene, parliamo di Mare Fuori.
Naturalmente vi ricordiamo la presenza all’esterno della fiera di chioschi con le birrette, che sono sempre importanti!
PAULO è il nuovo artista che farà parte del programma Up Next Italia. Si tratta del programma Apple – di cui vi avevamo parlato qui – che vuole scovare e valorizzare i nuovi talenti emergenti nel panorama musicale italiano.
Ma chi è l’artista in questione? PAULO è un cantautore della provincia di Brescia classe 2002. Nonostante la giovane età, il cantautore “urban-new wave” ha avuto l’occasione di calcare palchi di festival della portata “Love MI” e “Rock in Roma” e di aprire concerti di artisti quali Blanco, sangiovanni, Ariete e Madame.
Nei testi PAULO esprime la fragilità e i sentimenti della sua generazione, raccontandoli in maniera diretta e sincera, come fa un portavoce.
“Grazie, grazie, grazie ad Apple Music per avermi selezionato per il programma Up Next Italia” commenta PAULO. “È un’occasione importantissima per il mio progetto, mi darà l’opportunità di raggiungere un nuovo pubblico grazie a questo supporto straordinario”. Così commenta emozionato il cantautore.
Paulo ha pubblicato la sua prima trilogia musicale sull’amore con Sugar, continuando il suo percorso verso la maturità artistica con pezzi come “Voglia”, “Ti odio (mi amor)” e “Geloso”.
Up Next Italia è parte del programma globale Up Next, il format mensile pensato da Apple Music per identificare nuovi artisti e mostrarne il talento, selezionando Paulo per il mese di febbraio. Ogni mese viene selezionato un artista emergente da promuovere sulla piattaforma.
Paulo si unisce dunque ad alcuni tra gli artisti più promettenti del panorama emergente italiano, insieme a nomi come Rose Villain, Alfa, Ditonellapiaga, Kaze, GINEVRA, Assurdité e molti altri.
Per il secondo anno di fila il festival “Una voce per San Marino” decreterà il vincitore che accederà all’Eurovision Song Contest 2023, a Liverpool.
Dopo il successo dell’anno passato, la manifestazione – creata dal comune sforzo della Segreteria di Stato per il Turismo di San Marino, le Poste, La Cooperazione ed Expo della Repubblica, insieme a MediaEvolution e San Marino RTV – continua anche quest’anno, con una serie di novità.
Durante la gara la giuria ha selezionato più di 100 semifinalisti – tra cui i favoriti sembrerebbero essere gli Eiffel 65 -, ma solo 10 si sfideranno durante la finalissima di sabato 25 febbraio.
Tra le riconferme di quest’anno, Jonathan Kashanian, tra i volti più noti della tv italiana, selezionato anche quest’anno come presentatore alla finale. Ad accompagnarlo quest’anno l’emblematica Senith, cantante, attrice, performer e artista a tutto tondo, che aveva partecipato all’Eurovision Song Contest 2021 proprio in rappresentanza della Repubblica di San Marino.
Le novità di “Una voce per San Marino” 2023: la finale
Dopo una partenza che aveva visto come presidente di giuria Mogol, quest’anno vedremo tra i giurati della serata che decreterà il vincitore dell’edizione niente di meno che Albano.
Tra le novità, si è deciso quest’anno di rimuovere le categorie “emergenti” e “big“: in entrambi i casi sarà necessario essere selezionati per accedere alla finale di sabato 25 febbraio.
Piccola sorpresa di quest’anno: a quindici anni da quella data, assisteremo ad un omaggio alla prima esibizione di San Marino agli Eurovision 2008 a Belgrado con i Miodio, invitati al contest per l’occasione.
A sfidarsi sul palco del Teatro Nuovo di Dogana sabato 25 febbraio saranno i 4 selezionati durante la fase delle semi finali: Eiffel 65 con “Movie Star”; Ellynora con “Mama told me”; Le Deva con “Fuori su Marte” e Iole con “Sul tetto del mondo”.
Ai quattro vincitori si aggiungeranno i quattro ripescati dell’edizione: Florin Raduta, Flexx, La Bebae e Kiara D.V.featuringPamela Ivonne Cole
Da regolamento poi due sanmarinesi hanno diritto di passaggio diretto alla finale: si tratta di Kida e Simone de Biagi.
I biglietti per accedere alla serata di sabato 25 febbraio sono disponibili su Viva Ticket. La manifestazione sarà trasmessa in diretta su San Marino RTV dalle ore 21.
Si apre un nuovo capitolo musicale – e, potremmo dire, “amoroso” – per i DUOPOP, che fanno uscire il loro nuovo singolo, “Piccola Stronza“.
La coppia milanese, formata da Dylan Curcio e Luca Benetta, ha avviato un nuovo progetto dal 2021, che vuole dare spazio a nuove voci e sonorità. Molto coerente è apparsa infatti la scelta del produttore del loro primo singolo, “Vacanze in Italia”, SeeMaw.
In questo orizzonte, “Piccola Stronza”, vuole essere l’emblema di un sentimento semplice cantato a voce alta. Un dolore inserito tra le ritmiche urban pop del pezzo e che, proprio per questo, dà la parvenza di fare meno male, di guardarci in modo ironico.
Perché, alla fine, chi di noi non ha conosciuto questo sentimento? Chi di noi non ha avuto la sua personale e illusoria “Piccola Stronza”?
Tra il pop e l’elettronica, il DUOPOP non delude e ci inserisce nel suo mondo. E quale miglior modo di scoprlirlo più a fondo se non discutendone con loro?
Celentano cantava “Io non so parlar d’amore“, ma io e il DUOPOP ci abbiamo provato.
Intervista al DUOPOP su “Piccola Stronza”
L’amore è una cosa meravigliosa perché non ha un briciolo di senso: a volte sembriamo più attratti da ciò che ci fa male che il contrario e ci si trova a notte fonda a pensare a una “Piccola stronza”. Ditemi di più
Scrivendo questa canzone ci siamo accorti che effettivamente ne vale la pena. Se vivi, soffri, quindi tanto vale farlo per un buon motivo. E spesso i migliori motivi sono quelli che hanno meno senso. Ovviamente quando ti trovi dentro ad una notte che un po’ ti strega e un po’ ti illude non hai quasi mai la capacità di pensare quanto valgono quei momenti e le emozioni semplicemente ti sopraffanno. Dopo qualche giorno, scrivere Piccola stronza è stata semplicemente una presa di coscienza.
Come nasce una canzone dei Duopop?
Le nostre canzoni si fanno un po’ strada da sole: o vengono fuori da blocchi appunti separati, in maniera quindi molto personale, oppure nascono su fogli scritti a due mani. Scrivere insieme ci piace molto perché ci costringe a staccarci dalle “abitudini” di entrambi, ma soprattutto ci consente di essere vicendevolmente criticabili.
“Piccola stronza” fa parte di un progetto iniziato nel 2021 dei Duopop, ma sbocciato soprattutto l’anno scorso. L’elemento elettronico c’è sempre, ma mi è sembrato un pezzo più pop rispetto ai precedenti. C’è qualcosa che sentite cambiato rispetto ai singoli precedenti?
Si, piccola stronza si presenta un po’ più clean. Anche se chitarre, synth e effetti vocali electro non mancano, il ritornello sembrava urlare “non toccatemi troppo”. Alla fine, abbiamo deciso di giocare un po’ sul contrasto di un ritornello pulito e quasi soul con delle strofe più ritmate e sporche.
Chiudiamo con la posta del cuore: consigli per sopravvivere a una “Piccola stronza”?
Amici, musica e una buona dose di autostima. E se proprio ci stai sotto, a quel punto fai un po’ lo stronzo anche tu.
Eramo Nubi torna alla ribalta con un nuovissimo pezzo che prende spunto dalla classicità e si chiama “Icaro“, prodotto da MIND e distribuito da ADA Music Italia.
Questo è un brano che vuole essere un po’ il primo step di un nuovo percorso artistico del cantautore siciliano, che si destreggia abilmente in un genere miscellaneo, contaminato da influenze hip hop, jazz e black music.
Un progetto senza ombra di dubbio ambizioso e creativo, che parte da un passato mitico per parlarci di un presente che possiamo toccare con mano e che Eramo Nubi ci sa cantare su un sound ritmato, che scandisce e dà peso e dimensione ad ogni singola parola.
«Icaro è lo specchio della condizione umana contemporanea, privata ed universale – racconta Eramo Nubi – perciò ho cercato di costruirgli intorno un labirinto di versi in grado di dilatarsi e contrarsi. Il testo è scandito da un ritmo serrato, che analizza la dinamica di sofferenza e liberazione che unisce padre e figlio. La scelta della cassa dritta, invece, è una metafora dell’unica mossa possibile per i due protagonisti, che vedo come moderni pedoni degli scacchi, con un passo a disposizione alla volta».
Icaro: intervista ad Eramo Nubi
Parliamo un po’ di questo “labirinto di Dedalo”. La citazione classica è palese, quindi, da che idea nasce “Icaro”?
Penso che il mito di Icaro e Dedalo sia di grande ispirazione. La traccia è un tentativo di risoluzione, il momento di sospensione in cui possiamo esentarci dal pendere una parte o un’altra. Il dualismo è affascinante come lo è la possibilità di stare in mezzo, di lasciare andare, che è in fondo il desiderio di liberarsi.
Dici: “Forse è il caso di prendersi una pausa, temporeggiare un po’”. Credi che fermarsi sia il segreto per ripartire avendo più a fuoco le cose?
Sto comprendendo che respirare bene mi rende più calmo e lucido nel viaggio. Il respiro è incondizionato ma ci tiene in vita: forse si tratta della consapevolezza più grande che abbiamo. Alle volte fermarsi equivale a rispettarsi, penso.
Eramo Nubi al Ballark di Palermo
A livello musicale, il tuo progetto è veramente interessante e unisce diversi generi. Questo pezzo in particolare mi ha ricordato molto qualcosa alla “Terapia di gruppo” di Davide Shorty coi Funk Shui Project. A questo proposito, mi chiedevo: c’è qualcuno che ti influenza o ti ha influenzato particolarmente nella scelta del genere?
Ti ringrazio per l’apprezzamento. La contaminazione è essenziale nelle arti: ce ne serviamo istintivamente per creare nuovi mondi. Davide è un grande artista e fratello: so che condividiamo un spirito molto affine. Qualcuno o qualcosa che mi ispira in particolare non direi, anzi tento di allontanarmi quanto posso dalle influenze per “forgiare” musica autentica.
Sperando di non bruciarci, ci aspettiamo che “Icaro” voli in alto. Qualche spoiler sul futuro?
Speriamo se non altro di imparare a goderci il volo pienamente. Per il futuro la penso semplice: voglio suonare e far provare alle persone un po’ del mio microcosmo.
Care e cari, se anche voi vi riducete all’ultimo a fare i regali perché ‘ma sì, c’è tempo’ e poi magicamente è la settimana prima di Natale e sotto l’albero ci sono solo nuvole di polvere e palline che il gatto ha fatto cadere, non disperate: ecco una guida ai regali dell’ultimo minuto per amiche e amici lettori. Quindi godetevi questa carrellata, poi mettete la sciarpa e avventuratevi per librerie, che se li ordinate online ormai non arrivano più!
Un regalo per: l’inguaribil* romantic*
Abbiamo tutti l’amica o l’amico che ha avuto il cuore spezzato duemila volte ma non smette di crederci, noi personalmente le persone così le ammiriamo, quindi ecco qui due libri per loro: Bello l’amore ma non ci vivrei di quel genio di Daniela Collu e Domani avremo altri nomi di Patricio Pron
Un regalo per: viaggiator* seriali
Beh per loro abbiamo solo due parole da dirvi The Passenger, i reportage editi Iperborea dedicati a moltissimi stati e città del mondo. A questo punto potete sbizzarrirvi e regalarne uno dedicato a paesi del cuore, paesi dei sogni o paesi visitati insieme!
Un regalo per: appassionat* di true crime
Qui tra podcast e canali YouTube che ne parlano c’è già moltissimo materiale, ma pensando a questo tema ci vengono in mente subito due libri a metà tra il romanzo e l’inchiesta giornalistica: A sangue freddo, grande classico di Capote, e La città dei vivi, uscito due anni fa dalla penna di Nicola Lagioia.
Un regalo per: feticist* dei libri
Con loro è sempre difficile perché siamo sempre nel dubbio che abbiano già qualsiasi libro possiamo tirare fuori dalla manica, e allora perché non regalare libri sui libri? Ve ne proponiamo due: la Guida tascabile per maniaci dei libri, edita Clichy oIl lettore sul lettino di Guido Vitiello.
Un regalo per: l’amic* cuoc*
Si sa che per chi in cucina fa magie, i libri da cui ispirarsi non bastano mai, qui due consigli un po’ meno mainstream: Cucina essenziale di Francesca Giovannini e La grammatica dei sapori, editi entrambi Gribaudo.
Speriamo di aver risolto con questa breve carrellata almeno parte dei vostri regali librosi dell’ultimo minuto, e non possiamo che augurarvi buone letture per queste feste che incombono!
GAZZELLE è il primo artista italiano protagonista di Apple Music Home Session.
Si tratta del format di Apple, nato nel 2020, che dà la possibilità agli artisti di creare delle versioni nuove e personalizzate dei loro pezzi preferiti. Il format nasce come “sfida” durante il periodo del lockdown: creare delle cover dei propri brani del cuore in una versione inedita e “casalinga”.
Gli artisti non hanno infatti accesso a studi o band, ma solamente alla propria musica e al proprio talento.
Il primo artista italiano ad accettare la sfida di Apple Music Home Session è Gazzelle. L’artista ha regalato agli abbonati una performance inedita di “Non lo dire a nessuno“, ultimo singolo del cantautore, e una cover di “Nessun Rimpianto“, celeberrima canzone degli 883.
Gazzelle ha rivelato come mai la scelta del brano del 1997.
“Ho sempre voluto fare una cover di “Nessun rimpianto”, trovo che sia una canzone devastante per la sua sincera schiettezza. Da piccolo l’ho consumata più di quanto lei abbia consumato me, nel momento del bisogno, quando faceva male e così dannatamente bene, ascoltarla e riascoltarla. Grazie di averla scritta Max!”, dice Gazzelle ad Apple Music.
AMarti è un’artista sicuramente piena di sfumature e l’ha dimostrato bene nel suo ultimo singolo, “Pietra“, un pezzo indie-folk nato da una profonda riflessione. Pietra è uscito l’8 novembre e ha dimostrato tutta la potenza creativa e vocale di Martina Alberi, in arte AMarti.
Testo e melodia sono in un rapporto che va al di là della musica, perché si fanno portavoce di un messaggio, prendendosi per mano. Ogni elemento di “Pietra” ha un significato nascosto: dal lento e malinconico inizio c’è un momento di rinascita e di consapevolezza – musicale, vocale e, scopriremo, anche psicologico – che portano alla gioia.
Il tutto è traslato in musica.
“Quando ho iniziato a scrivere Pietra credevo di liberarmi di un’illusione d’amore. La musica è arrivata, invece, a scovare un cassetto più nascosto, dove ho trovato l’infelicità di mia madre, nutrita dalle stesse illusioni ed effimera come la sabbia. Avrei voluto richiuderlo subito, ed invece sono rimasta lì, in silenzio, nel nostro dolore. L’ho ringraziato. Senza, non avrei mai potuto scegliere la mia felicità, sentirmi più solida, come la pietra”
Abbiamo voluto approfondire con l’artista.
Copertina di “Pietra”
Intervista ad AMartisu “Pietra”
“Possa ringraziar di non esser pietra, ma di tanti granelli leggera e che sull’aria approderò su una terra più vera”: questo lo snodo di “Pietra”, il tuo nuovo singolo: quando arriva la consapevolezza e tutto cambia. Ce ne parli?
In quel punto, dove la musica si fa più serena, c’è un’inversione di approccio al dolore, dalla chiusura del giudizio presenti nella prima parte (non sopporto questo mio modo di essere uguale a lei, che mi fa sempre vacillare) all’ascolto, che percepisce nel silenzio, lascia andare e si nutre di forze potenti capaci di scaldare di amore. Queste due situazioni non possono coesistere nello stesso momento.
Hai detto che senza un dolore che nemmeno cercavi, ma che hai trovato quasi fosse destino che lo scoprissi, non avresti potuto scegliere la tua felicità. Trovo che felicità e dolore abbiano un rapporto molto più stretto di quanto pensiamo, sei d’accordo?
La consapevolezza è un’azione, una volontà di zittire la mente, e sintonizzarsi su vibrazioni più profonde, dove la vita stessa può curarci se solo abbiamo la pazienza di chiedere e ringraziare, senza pretendere.
Sì, come ogni cosa non esiste senza il suo opposto, la felicità non esiste senza dolore. Ma per essere felici, bisogna accettare e saper trasformare quel dolore. Non è automatico che chi sente dolore lo riconosca come un’opportunità. Spesso per insegnamento viene sotterrato e rimosso facilmente (Non é giusto sentirlo il dolore…)e così si manifesta nella vita di tutti i giorni in mille forme, e tanto più ci abituiamo a rimuoverlo tanto più non sapremo da dove proviene, di quali veri bisogni ci parla e trovare modi per ascoltare i suoi preziosi consigli per una vita felice.
Non lo cercavo perché faceva troppo male vedere che veniva da chi mi aveva generato, certo inconsapevolmente, e con un impatto altrettanto inconsapevole sulla mia stessa vita. Quando l’ho accettato mi ha reso cosciente che posso scegliere di essere entrambe le cose, pietra e sabbia, senza esserne dominata.
Parliamo di musica: è lampante come suoni e parole viaggino sullo stesso binario e questo amplifica la profonda capacità evocativa del brano. Ci spiegheresti questa scelta?
Sono stata fedele a me stessa, senza alcun limite, questa é stata la vera scelta. La canzone è arrivata da sola, ho solo ascoltato con pazienza e senza altrettanto giudizio. Ho sentito che quella melodia cercava mia madre dentro di me e ho usato parole che avevo scritto per lei su un quaderno di poesie.
Ad aiutarmi ad essere “integra” con me stessa c’è poi il fatto che non essendo colta musicalmente mi concedo la libertà di sperimentare completamente.
Accanto a questo c’è un super lavoro di empatia musicale di Maria e Giulio, miei collaboratori, che hanno inquadrato più strutturalmente la canzone, dando colore e soprattutto climax.
Abitanti di Milano, udite udite, il festival del libro e della lettura è tornato: BookCity Milano 2022 è finalmente iniziato. Dal 16 al 20 novembre la città meneghina diventerà il palcoscenico di uno degli eventi culturali più importanti del centro. Il fine è quello di promuovere il mondo del libro e la lettura.
Facciamo un passo indietro però: come nasce BookCity Milano?
La manifestazione nasce nel 2012 da un’idea del noto editore milanese Stefano Mauri. Questo in seguito alla richiesta dell’Assessorato alla Cultura di Milano dicreare una soluzione che promuovesse e valorizzasse la filiera del libro e le ridesse l’importanza che merita. Così si pensò di creare un evento sul modello del Fuori Salone di Milano.
Proprio grazie a BookCity Milano, la città cantata da Dalla, Battiato e Jannacci (semi-cit.) vinse nel 2017 la qualifica dell’UNESCO di “Città Creativa per la Letteratura”.
L’headquarter di BookCity è il Castello Sforzesco, da cui partono, in varie zone della città, i numerosi eventi completamente gratuiti della manifestazione. L’iniziativa è promossa dall’Assessorato alla Cultura di Milano e dall’Associazione BookCity Milano, formata dalle più importanti tra le Fondazioni sull’attività editoriale. Tra queste, Corriere della Sera, Feltrinelli, Umberto e Elisabetta Mauri, Arnoldo e Alberto Mondadori.
Chi sono i protagonisti della Festa del Libro e della Lettura?
Tutti, ma proprio tutti coloro che compongono il mercato del libro: case editrici, editori, autori, ma anche biblioteche, scuole, università e, ovviamente, noi lettori di tutte le età.
Non mi resta che lasciare la parola a Lena che vi racconterà quali sono gli eventi più salienti di questa BookCity 2022 e quindi, per rimanere in tema, vi auguro una buona lettura!
(Benedetta Fedel)
Bookcity Milano 2022: gli eventi imperdibili
Per gli amanti del libro BookCity è come il Fuorisalone, eventi in ogni dove, spesso in contemporanea, spesso in overbooking. Avrei voluto spesso qualcuno che mi guidasse in questo mare di possibilità. E quindi questa volta vogliamo provare noi a guidarvi tra gli eventi secondo noi da non perdere in questa edizione.
Giovedì 17 novembre
Pochi ma buoni: vi segnaliamo innanzitutto un evento sui cento anni dell’Ulisse di Joyce, esatto quel libro mostruoso che spaventa anche i lettori più forti, ma che contiene un universo intero. E in secondo luogo l’intervento di Jón Kalman Stefánsson, grandissimo autore islandese contemporaneo, sul suo ultimo romanzo, La tua assenza è tenebra.
Il penultimo evento che vi segnaliamo per domenica torna sul tema dei classici, e riguarda la pubblicazione in due volumi dei diari di Virginia Woolf, qui viene presentato il primo dei due volumi, pubblicato da poco per Bompiani. Eccoci arrivati alla fine di questo weekend all’insegna dell’amore per la lettura, e come potremmo festeggiarla se non con una festa? Per questo l’ultimo evento che vi segnaliamo è la festa del Saggiatorein casa Santeria Toscana, con dj set e vendita di libri al chilo, domenica sera speriamo di vedervi lì!
A partire dal 28 ottobre abbiamo sentito in radio “Manchi Tu“, il nuovo singolo di Elena Faggi.
“Manchi tu” si propone come seconda parte di “Che ne so“, il singolo diretto da Beppe Vessicchio con cui la giovane cantautrice e musicista era in gara tra le Nuove Proposte del Festivaldi Sanremo 2021 e ci parlava di quanto la distanza tra l’odio e l’amore sia breve e confusionaria.
Elena Faggi non abbandona una scelta musicale ritmata e spensierata e, in “Manchi tu“, parla del momento in cui andiamo in fissa per qualcuno e iniziamo a torturare il nostro cervello credendo fermamente che quella persona non ci ricambi. Ci si deve buttare col rischio di farsi male o si deve semplicemente dimenticare il fatto e arrendersi? Questa la domanda di Elena al suo cuore (e anche ai nostri).
«’Manchi tu’ è una canzone molto importante per me perché è tra le primissime che ho scritto in italiano, esattamente il giorno dopo aver scritto ‘Che ne so’. Entrambe rappresentano a pieno il mio primo approccio alla scrittura nella mia lingua madre, da lì è iniziata la ricerca del mio stilesi sposa perfettamente con gli arrangiamenti creati dal mio producer e fratello Francesco».
“Manchi tu” – Intervista ad Elena Faggi
Elena Faggi ha una grande capacità di tradurre in musica e parole sentimenti e situazioni che tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo provato. L’approccio però, specialmente in “Manchi tu” tende ad essere sarcastico e spensierato, nonostante le difficoltà del percorso. Ho voluto chiacchierare con Elena per saperne di più sulla nascita del singolo e sulla scelta musicale.
Ciao Elena, la mia prima domanda è musicale: nonostante i tuoi testi celino sempre delle situazioni dolci-amare, musicalmente sono molto leggeri e ritmati e danno una patina di ironia e spensieratezza ai temi trattati. Da cosa nasce questa scelta?
Ciao! Intanto grazie per la domanda, perché coglie a pieno il mio modo di esprimermi, in questa mia prima fase. “Manchi tu” e le altre canzoni del mio primo EP, in uscita il 18 novembre, raccontano sensazioni che tutti provano secondo me almeno una volta nella vita, ma in maniera leggera, in modo che possano essere ascoltate non solo per riconoscersi nelle parole, ma anche per canticchiarle spensierati.
Parlaci di “Manchi tu”, del sentimento da cui nasce e della sua produzione.
“Manchi tu” è nata in camera mia, una sera mentre eravamo solo io e il mio ukulele. L’ho fatta poi ascoltare a mio fratello Francesco, che l’ha adorata fin da subito e ha creato un arrangiamento che secondo me la veste perfettamente.
Hai detto che “Manchi tu” è il secondo capitolo di “Che ne so”, in che modo le canzoni sono legate?
“Manchi tu” e “Che ne so” sono nate ad un giorno di distanza, sono le mie prime canzoni scritte in italiano e con queste ho iniziato a trovare il mio stile. Come racconto sono collegate perché è come se fossero una il continuo dell’altra. “Che ne so” parla di una semplice cotta e di quando ci si creano attorno film mentali, accompagnati da dubbi e illusioni. “Manchi tu” parla invece di quando quella cotta inizia a diventare qualcosa di più, tanto che ti immagini quanto tutto potrebbe essere perfetto con quella persona accanto. Tuttavia, i dubbi continuano ad esserci, e la paura di non essere ricambiati è ancora più forte.
Cosa ci auguriamo per questo nuovo singolo?
Mi auguro che “Manchi tu” possa regalare un sorriso a tante persone ed essere condivisa e cantata da tanti.
Sono stati quattro gli artisti che si sono esibiti per “Up Next Italia“, il programma firmato Apple Music che vuole selezionare, supportare e promuovere nuovi artisti emergenti italiani particolarmente talentuosi.
Giovedì 14 luglio abbiamo ascoltato a Milano in Piazza Liberty – tra degli emblemi milanesi della famosa mela – quattro talenti: Alfa, Matteo Crea, Kaze e Ditonellapiaga, che hanno parlato di sé e ci hanno fatto sentire in quattro brevi live la loro musica.
Il format, nato nel luglio 2021, ha avuto un grande successo. Da un anno il team editoriale di Apple Music infatti si occupa di mettere in evidenza i migliori artisti tra gli emergenti italiani, promuovendo la loro musica e facendola arrivare ad un vasto pubblico.
Abbiamo avuto così modo durante la serata di conoscere da vicino quattro dei 9 artisti selezionati da Up Next Italia.
I live di Matteo Crea, Kaze, Alfa, Ditonellapiaga: Up Next Italia di Apple Music
Matteo Crea apre le danze
Ad aprire le danze è Matteo Crea, artista fiorentino a tutto tondo classe 1995. Sì, a tutto tondo perché è musicista ma anche attore, oltre che grande appassionato di Paul McCartney.
Con l’emozione nella voce e la voglia di mostrarci cosa sa fare, Matteo Crea è simpatico e sicuro di sé sul palco.
Nel suo brano “A casa dei miei” racchiude uno dei problemi che la nostra generazione vive costantemente: la voglia di realizzarsi da soli e l’apparente impossibilità di farlo. Tragicomico e per nulla scontato, Matteo Crea non perde la sua ironia e ci strizza l’occhio sotto i riflettori.
Aspetto solo di vedere in quali altri modi ci sorprenderà.
Kaze tra i talenti di Up Next Italia
Di seguito Kaze prende il palco e illumina piazza Liberty. Giovane e talentuosa sembra non ci sia niente che non sa fare: un passato da infermiera, un futuro anche nella recitazione, una cantautrice dalla voce che emoziona e tocca dentro.
Tra i suoi pezzi, “Volevo portarti al mare” è uno dei cavalli di battaglia e contiene tutta la dolcezza e la fragilità di un giovane amore. Kaze è delicata e capace di portare i sentimenti sul palco senza un briciolo di paura, ma è anche un uragano di parole e di entusiasmo, motivo per cui sono sicura che questo sia solo il punto di partenza per la giovane cantautrice.
Alfa make us so happy
Il terzo cantante che si cimenta nel suo piccolo grande live è Alfa, che ha 22 anni e un talento enorme. Perché non è facile per niente essere così musicalmente validi e allo stesso tempo professionali, capaci di stare davanti a un pubblico. Specialmente non a questa età.
La parola giusta per descrivere Alfa è sorprendente e, ripensando a quella sera, potremmo noi dedicargli una delle sue canzoni “You Make Me So Happy“.
Ha tanta strada davanti e io non vedo l’ora di vederlo all’opera
I talenti di Apple Music: Ditonellapiaga per Up Next Italia
La “big” tra gli emergenti presentati, reduce da un anno tanto meraviglioso quanto impegnativo che l’ha portata alla pubblicazione del suo primo album, “Camouflage“, oltre che al desideratissimo palco Sanremese, Ditonellapiaga è nata per fare questo.
Avevamo scritto di lei tantissimo tempo fa in questo articolo e già avevamo visto le prime avvisaglie di quello che è oggi.
Non ci sono dubbi che Margherita, in arte Ditonellapiaga, abbia una voce incredibile che dal vivo ti entra ancora più nella testa e nel cuore. Tanto che tra i talenti di Up Next Italia è sembrata quasi obbligatoria la sua presenza.
Giovedì 7 aprile il nostro – sì, nostro in quanto parte integrante da tempo della grande famiglia di Indielife – Apice si è esibito in concerto all’Arci Bellezza di Milano.
È stato un concerto memorabile in cui abbiamo avuto modo non solo di ascoltare il nuovo bellissimo gioiellino di Manuel, Attimi di Sole, ma di viverloinsieme. E no, non è una banale frase fatta. Mi riferisco alla (rara) capacità che ho visto in Apice di annullare la distanza tra pubblico e palco: noi eravamo anche su con lui e lui era anche giù con noi.
Ph Fabio Semele
Ed è proprio da terra – qui, in mezzo a noi – che parte la musica vera, dice lui. Quella che nasce nelle piazze e nei circoli che danno spazio a tutti coloro che hanno qualcosa da dire e a tutte le orecchie che sono disposte ad ascoltare. La musica che ti ritrovi a canticchiare al ritorno sul tram, quella che “sono andato al concerto un po’ per caso, mi ci hanno invitato, girami il pezzo!”.
La musica vera che non ha bisogno di spinte, ma di mani e di bocche che la portino in giro, che la facciano suonare. Perché anche io la penso come Apice: le cose belle, le cose di valore, devono essere coltivate. Si deve dare loro il tempo, l’attenzione e la cura che meritano.
Ph: Fabio Semele
Mi capita praticamente ogni settimana di girovagare per Milano in cerca di qualcosa che mi parli davvero, che mi inchiodi i piedi davanti al palco e mi faccia passare anche la voglia di andare a fumare.
Apice, senza ombra di dubbio, lo è stato.
APICE ci regala notturni “Attimi di sole” in concerto all’Arci Bellezza di Milano
Se i pezzi di Apice sono belli quando ascoltiamo i suoi album,live prendono vita. E Manuel con loro.
Merito è indiscutibilmente anche dell’indimenticabile, numerosa e poliedrica band che lo accompagna. Troviamo Alessandro Martini (in arte Martiny) alla chitarra elettrica – che ci ha regalato un assolo meraviglioso su Traslocare – e Fabio Mano, compagno “since the very beginning” di Apice, alle chitarre e ai cori. Per quanto riguarda la parte ritmica, c’è Pietro Vitaloni alla batteria e Angelo Sabia al basso. Tutti loro sono stati fondamentali per rendere lo spettacolo quello che è stato.
PH: Fabio Semele
E c’è stato anche il tempo di presentare colleghe de La clinica dischi – nonché amiche – che stima molto, cosa che Apice mostra e dice.
In ordine di apparizione abbiamo visto sul palco la giovane e talentuosa Francesca Moretti, in apertura del concerto, la nostra amata Svegliaginevra, che ci riporta indietro all’estate del 2020 cantando in duetto con Manuel Barche, e l’istrionica e bravissima cmqmartina, che canta con lui un’emozionante Crepe in acustico.
Ph: Fabio Semele
Abbiamo ascoltato pezzi del nuovo album, come Radici, Precipitare, Geronimo, e la poetica Fulmini di guerra, che ha fatto venire voglia un po’ a tutti noi di mettere “il cuore al rovescio nello zaino di scuola“. Ma anche pezzi di BELTEMPO, album del 2019, tra cui Ciao, che mi sembra sempre che parli proprio a me.
Perché non ce n’è: Manuel sa scrivere e sa comporre e lo sa fare bene. Mica per niente nel 2019 si è aggiudicato il Premio Fabrizio De André dedicato al cantautorato. E musicalmente sono gusti, non ci piove, ma questo è oggettivo: avere qualcosa da dire e riuscirlo a dire così benenon è per nulla scontato.
Il live
Il talento musicale di Apice, poi, è esplicito in diversi modi.
Inoltrandoci proprio nell’aspettolive del concerto, posso dirvi che mi ha stupito la sua capacità di “reggere il palco“, come si suol dire. A mio avviso, poi, in assoluto una delle parti più complesse in un concerto dal vivo.
Apice crea un rapporto tra lui e il pubblico, tra il pubblico e la band. Racconta aneddoti, inserisce pensieri, opinioni e il tutto scorre in modo naturale. Si sente che è spontaneo, che non c’è finzione o costruzione.
Ed è forse questo il trucco: avere talento e non avere bisogno di trucchi.
Che poi è quello che ci ha tenuti incollati lì, senza perderci nemmeno un momento: perché noi, come pubblico, eravamo parte integrante del concerto stesso.
E siamo rimasti lì, insieme, a cantare. E io mi sono scordata di uscire a fumare.
Il 25 marzo è uscito il terzo album di Serena Brancale, Je so accussì, per Isola degli artisti.
Un progetto che racchiude un po’ tutta Serena. Ci sono grandi featuring, omaggi al suo artista preferito, i suoi generi, i suoi luoghi e le sue donne del cuore.
Il nuovo disco è stato anticipato da due singoli, “Je so’ pazzo“, omaggio all’intramontabile Pino Daniele, in featuring con Richard Bona e “Pessime intenzioni”, cantata con Ghemon.
Insomma, la talentuosa cantautrice barese, distaccandosi volutamente da una ferrea etichettatura di genere, ci dà la possibilità di entrare nel suo mondo e conoscere molto di sé e della sua musica.
Il talento di Serena, poi, non è certo un segreto.
Ricordiamo che, dopo la partecipazione al Festival di Sanremo del 2015, dove ha presentato il brano “Galleggiare” dall’omonimo album, conquista palchi e riceve ampi consensi da parte di grandi personalità del mondo della musica, divenendo una delle cantanti più riconosciute nell’ambito della musica soul/jazzitaliana.
Serena non si ferma qui. Con il nuovo album ammalia anche Quincy Jones, che rimane felicissimo di “Je so accussì“, dandole, ufficialmente, il benvenuto in famiglia.
Intervista a Serena Brancale, “Je so accussì” (e non ho paura di mostrarlo al mondo)
Serena mi ha accolto durante l’intervista con un sorriso che illumina la stanza e il tono amichevole di chi ti conosce da sempre.
Era da tanto che non mi capitava di ascoltare un album e di trovare belli tutti i pezzi al suo interno. Dopo aver conosciuto Serena ho capito che il suo nuovo disco non è l’unica cosa ad essere bella e potente.
Quindi – dopo qualche scambio di consigli tra donne e un dibattito su quale sia l’orario giusto per l’aperitivo – iniziamo a chiacchierare di Je so accussì.
Siamo partiti da “Galleggiare”, siamo passati per “Vita da artista” e siamo arrivati a “Je so accusì”. Tre tappe di un percorso. Come ti senti cambiata? Cosa senti sia diverso in questo nuovo album?
In tutto. Sono più cosciente, più ordinata nei pensieri, in quello che voglio dire e nei testi.
Questo è il primo album in cui ho co-scritto e ho collaborato con altri produttori. Sono entrata a far parte di un management diverso, Isola degli artisti, e ho un manager, Carlo, che mi ha ascoltata tanto tempo prima di entrare in studio a scrivere pezzi. Mi sono sentita capita e sentivo che partivamo dalla stessa linea.
È proprio in questa fase che abbiamo pensato cosa cantare: Bari, l’omaggio a Pino, un genere chenon è jazz, non è soul, ma è qualcosa che fa parte della mia identità e non per forza deve essere etichettabile.
C’è stato maggior ordine anche nella struttura e stesura dei brani, siamo andati per step. Prima abbiamo registrato in trio acustico, partendo sempre da una base di scrittura legata al jazz live, dopodiché tutti i brani sono stati portarti in post-produzione, dando un vestito più nu-soul e più moderno ai pezzi. La terza fase è stata aggiungere il featuring giusto rispetto alle canzoni.
E a proposito dei featuring… Come sono nate queste collaborazioni che si inseriscono perfettamente nel disco?
C’è stata un po’ di fortuna, un po’ di casualità e sicuramente un grandissimo rapporto di stima con tutti gli artisti.
Tutte le voci che senti non sono state studiate a tavolino o contattate dal management, ma sono persone che io ho chiamato in prima persona perché stimo. Margherita è una mia amica, Rochelle, Richard Bona, Ghemon, sono tutti artisti con cui sono entrata in contatto basandomi su stima reciproca e.. sui social!
Può far ridere, ma è proprio così infatti che ho potuto conoscere e poi stringere delle amicizie e dei rapporti con molti artisti di talento. Pensandoci forse questo album si dovrebbe chiamare “Je so accussì… Anche grazie a Instagram“.
“Je so accussì” l’ho trovato speciale perché racchiude un po’ tutta te. Come dicevamo prima, canti un genere tutto tuo, tra il soul, jazz e R&B, canzoni girl power, ma anche casa, Bari e il suo dialetto, il Sud, Pino Daniele che rimane per te IL modello. È stato difficile mettersi così “a nudo”?Parliamo dei temi principali.
No, non è stato difficile, ma non è stato immediato.
Prendevo coraggio mano a mano che scrivevo i brani. Il primo pezzo è stato “Je so accussì” ed è stato una chiaveimportante perché mentre scrivevo in dialetto ho capito che la cosa poteva funzionare.
Dovevo fare come PinoDaniele, che è, per questo motivo, il perfetto omaggio in questo album. È stato il primo che ha fatto questo esperimento: usare la sua lingua per cantare la sua terra. C’è un rimando a lui in qualsiasi dettaglio, anche nel titolo.
Fondamentali sono stati i feedback in questa fase, perché ero dubbiosa sul dialetto barese, non sapevo quanto avrebbe atticchito. Però poi la cosa che veniva fuori è che io ero veramente me stessa cantandolo; anche cantarlo sul palco mi veniva facile.
Dentro c’è quindi la Puglia, la mia terra, ma anche le mie donne, mia mamma e mia sorella.
La figura della donna la canto sempre pensando a mia madre e a quanto sia stata importante nella mia famiglia, era lei il capo. Mi piace cantare la bellezza delle donne nelle cose semplici: la donna che si tocca – che basta con sti tabù! -, la donna che cucina, la donna che piange. La donna che, alla fine, è forte nella vita di tutti i giorni, nei piccoli gesti.
Soprattutto negli ultimi anni – forse per gli eventi difficili che abbiamo vissuto o perché abbiamo avuto più tempo per riflettere – si parla di più di accettazione di se stessi nella musica. Je so accussì è un inno che dice “amami per quello che sono”. Tu pensi di essere scesa a patti con quello che sei, di esserti accettata come artista e come donna?
Io penso di sì in generale, al di là delle cose del quotidiano, momenti di gelosia o sconforto. Non siamo ovviamente ogni giorno uguali.
Nella musica mi sento sempre più sicura e tranquilla. Poi figurati in questo momento che è uscito l’album, mi sento alla grande, come Lady Gaga!
Forse, l’unica cosa che cambierei di me è la capacità di lasciarmi andare: sono molto riflessiva, mi faccio un sacco di problemi, anche se poi da fuori, mi vedi, non sembra.
Beh, non ci resta che parlare di Quincy Jones! So di un video in cui ti dà il benvenuto in famiglia.
Quincy Jones che vorrei conoscere e arriverà il momento in cui lo conoscerò. Quando ho ricevuto il video ho pianto, non ho dormito!
Tramite Richard ha ascoltato l’album, gli è piaciuto un sacco, soprattutto il mio omaggio a Bari. Mi ha fatto questi complimenti stupendi in cui mi dice: “Benvenuta nella famiglia Quincy Jones“.
Quindi, io spero di incontrarlo presto, aspetto che lui mi inviti, perché penso sia giusto così. Rimango intanto in attesa, con una collaborazione aperta, un brano che gli è piaciuto tanto e un bellissimo video.
In questo album ci sono tante parti singole che però compongono un’unità. Quali sono i piani futuri di questo piccolo “scrigno”?
Dipende sempre da cosa accade, ma per almeno un paio d’anni vorrei portarlo in giro dappertutto.
Perché ci sono tutti i caratteri giusti per portarlo all’estero, per cantarlo nelle piazze italiane, come nei festival jazz, nei teatri – che io amo per il contatto col pubblico che si crea all’interno -, ma anche in tv, perché ha diverse anime e tematiche.
Continuerò sicuramente a scrivere, ma ora voglio cantare, voglio annidi live.
Cance, la cantautrice pop con influenze R&B, nel suo ultimo singolo “Mosca Bianca” parla del coraggio di essere se stessi, andando controcorrente.
Dato il tema che sentiamo così vicino, abbiamo voluto fare una chiacchierata con l’artista che ha confermato di avere moltissimo da dire.
Cance non solo afferma la necessità di mettersi a nudo e di mostrarsi in tutto ciò che si è – nel bene e nel male -, ma lo esplicita anche visivamente nel videoclip del singolo, diretto dal regista Luis Turetti per Musa Factory.
Official video di Mosca Bianca – Cance
Qui troviamo, infatti, la giovane artista ligure che si fa tela. Sul suo corpo nudo vengono proiettate macchie di colori e luci che variano e si sovrappongono velocemente. Metaforicamente, questi quadri diversi e vorticosi che cambiano, sono tutto ciò che avviene nel quotidiano, esperienza dopo esperienza.
E mentre tutto si colora e si scolora e si illumina e si rabbuia, l’unica cosa fissa, immobile e immutabile, è il corpo di Cance stessa. L’essenza non si lascia spaventare dallo scorrere del tempo ma rimane ancorata a terra, sicura nello sguardo e nelle parole.
«Esiste un’essenza delle persone, una verità, ed è il corpo, assieme al mondo che nasconde dentro di sé. Tutto quello che vi sta sopra è unacostruzione». Questo dice la cantautrice, che nel video non ha paura di mostrarsi svestita, libera nel corpo e nell’anima da convenzioni e pregiudizi.
Cance sottolinea quanto la capacità di mettersi a nudo, mostrare i suoi sentimenti, i suoi desideri, le sue fragilità, non sia debolezza, ma forza. Specialmente in un mondo che continua a dimostrare il contrario e non si ricorda più come si fa. Un mondo che sa solo giudicarti.
C’è tutto un mondo dentro di noi che non deve aver paura di fuoriuscire perché non si incastra alla perfezione con quello esterno. Non bisogna aver paura di essere mosca bianca.
Intervista a Cance: come vivere la vita da Mosca Bianca
Ma cosa vuol dire essere mosca bianca?
Abbiamo voluto capire meglio le ragioni che hanno spinto Cance ad affrontare questo argomento e conoscere la sua esperienza diretta e il suo punto di vista sulla questione.
Il titolo del singolo è molto forte e tu stessa hai affermato di sentirti «mosca bianca in mezzo ad uno sciame nero». In cosa ti senti particolarmente “diversa dalla massa”? Quando lo hai capito?
Io credo che ogni essere umano sia unico ed irripetibile ma che purtroppo non tutti abbiano il coraggio di vivere in libertà la propria unicità. Sono tante le “mosche nere” che per comodità tendono ad assumere un comportamento omologato e a mettersi nella posizione di giudicare le diversità in modo superficiale, applicando luoghi comuni. Questo probabilmente avviene per la paura del diverso, dello straniero, di ciò che non è uguale a noi e a volte per mancanza di conoscenza.
Io sento di essere unica in tanti aspetti del mio essere: a volte svampita e tra le nuvole, a volte testarda e magari eccessivamente profonda. Amo sempre andare oltre la superficie nei rapporti e credo che sia vitale, in un momento storico come questo, trasformare i contatti in relazioni e fondersi con le persone alla ricerca di affinità, che possano unirci per provare a cambiare il nostro domani.
Viviamo in una società veloce nella quale non si ha abbastanza tempo per se stessi e quindi “figuriamoci per gli altri”. Non possiamo far rallentare la corsa del mondo che abbiamo contribuito a costruire, né scendere per ripartire da capo, possiamo però fermarci a capire che abbiamo bisogno di amore (libero, unico, fluido) in un mondo che corre più veloce di noi. Possiamo trovare il tempo di sentire il suono di una foglia che cade o il profumo del vento che cambia.
In Mosca Bianca canti di unicità e coraggio di essere se stessi contro le critiche e i giudizi delle persone. Questo è qualcosa che hai dovuto imparare nel tempo o, invece, sei sempre stata sicura delle tue idee e distaccata dal giudizio degli altri?
Con il tempo ho imparato a dare il giusto pesoalle opinioni degli altrie a farne tesoro, perché ogni incontro che facciamo nelle nostre vite, nel bene e nel male, contribuisce alla nostra crescita umana e, nel mio caso, anche artistica.
Voglio specificare una cosa, che potrebbe apparire ovvia: l’uomo è un essere sociale, non possiamo vivere senza gli altri, qualsiasi cosa noi facciamo viviamo sempre in relazione con questi ultimi.
La “mosca bianca” infatti non è un essere che si pone in alto rispetto agli altri, che costituiscono fonte di gioia, soddisfazione e ispirazione o sofferenza e sentimenti negativi. La vita si crea insieme, quindi non immagino e non desidero un mondo tutto per me. La mia “mosca bianca” chiede soltanto empatia e capacità di indossare i panni degli altri, soprattutto prima di esprimere un giudizio.
Credi che il messaggio che contiene il singolo sia reso bene in immagini nel videoclip? Che canzone e video si sposino bene?
Io non so se questo video è congruente con quello che dico, ma di certo c’è una base fondamentale di congruenza con quello che dico ed è il fatto che penso sia giunto il momento di fare cadere totalmente le barriere di protezione, di mettersi in gioco con la nostra vera essenza, senza costruzioni.
Ancora non so se sono in grado di difendermi da tutti, però ci voglio provare, voglio mostrarmi senza protezioni e accogliere le opinionialtrui.
Ho osservato e vissuto tanti episodi di persone, soprattutto ragazzi, che vengono vessati sui social per il loro corpo e ho pensato: voglio provarci anche io, mi metto a nudo, perché io sono questa e mi accetto così come sono, con tutti i pregi e difetti. Voi dite quello che volete.
E sai cosa sto notando ad una settimana dall’uscita del video? Sto notando che non tutte le persone vogliono attaccarti ed essere cattive, le cose stanno cambiando e sento che la strada di consapevolezza che noi donne abbiamo intrapreso è quella giusta.
Essere una mosca bianca per me significa quindiavere il coraggio di essere ciò che si è (diversi, perché siamo tutti mosche bianche) e credo fortemente che questo atto possa contribuire anche a fare abbassare le armi agli altri.
Classe 1993, nato e cresciuto a Milano, Avanzi vive per la musica.
Inizia a suonare la batteria fin da piccolissimo, e fin da piccolissimo capisce che trasmettere e vivere sempre nuove emozioni è ciò che più lo fa stare bene, e non si ferma più.
Dal 2019 inizia a pubblicare una serie di singoli che esplorano tutti i tipi di sperimentazioni che tanto gli sono care: le sonorità e le tematiche spaziano tra tantissime sfaccettature differenti.
Ed è proprio grazie a queste sfaccettature che Avanzi si crea una fan base sempre più ampia, che ascolta e riascolta “Forse/Credo”, “Scarpe da ginnastica”, “Nina”, “Vertigini”, “Compasso” e “Ciao raga”: nel giro di un anno su Spotify i numeri salgono fino a più di 200.000 visite, l’ingresso in 3000 playlist, 5000 salvataggi.
I numeri non mentono: Avanzi sta andando avanti per la sua strada, mischiando sonorità pop, lofi, blues, e lo fa cercando di essere sempre attuale, e allo stesso tempo sempre, fortemente, vero.
Nel 2020 esce “Uma Thurman”, che cambia ancora il volto della sua musica: i riff freschi delle chitarre elettriche mixati con sonorità moderne lofi creano una traccia molto attuale, con lyrics ironiche e malinconiche allo stesso tempo.
Con le ultimissime release “Fuori tempo” e “Per finta” Avanzi porta avanti il suo progetto, che continua oggi, il 25 di Febbraio, con un nuovo, interessantissimo singolo.
E oggi siamo contenti di averlo qui con noi, a Indielife, a presentarlo in anteprima.
Ecco il nuovo singolo di Avanzi su Youtube
Ciao! È un piacere averti qua con noi, per l’uscita del tuo ultimo singolo. Direi di partire da un elemento che accomuna tutto il tuo lavoro: un certo fil rouge, che potrebbe essere ricondotto alla notte. Tra diverse sonorità, quindi illuminata da diverse luci, la notte accompagna tantissimi testi dei tuoi pezzi. Ci racconti che ruolo ha nella tua vita? La preferisci al giorno per scrivere, per pensare, per ascoltare musica?
Ciao, piacere mio di essere qui!
Effettivamente non avevo mai ragionato su questa cosa, ma non posso che confermare questa osservazione.
La sera/notte è tendenzialmente la parte della giornata che posso dedicare maggiormente a me stesso e soprattutto dove posso essere me stesso al 100%, quindi sì, ha un ruolo fondamentale per me.
Sarà che siamo tutti più rilassati, sarà l’atmosfera diversa, ma, nel bene o nel male, la notte succedono spesso cose che durante il giorno non succedono, o quanto meno sono molte volte più interessanti, motivo per cui la maggior parte delle mie canzoni raccontano di eventi accaduti al calar del sole.
Al di fuori di questo, sicuramente la notte mi trovo più a mio agio, mi sento più ispirato, non so, ma raramente mi viene sonno ad un orario decente (cosa che ovviamente poi si ripercuote sul mattino, ma questo è un altro discorso).
C’è tanto nella tua musica. Veramente tanto. Di nuovo, di sperimentale. Pop, Lofi, Blues, cantautoriale. Ci sono chitarre elettriche, synth, una linea di basso sempre molto marcata. Qual è stato, per te, il genere più difficile da approcciare? E quale invece ti ha divertito di più?
Mi è difficile fare distinzione tra un genere e l’altro, per il semplice fatto che tutto quello che scrivo e produco (quanto meno per me) è un flusso di coscienza. In quei momenti non mi interrogo tanto su che suono, che bpm o che progressioni armoniche utilizzare, semplicemente mi metto lì e suono qualcosa, spulcio tra i milioni di suoni nelle librerie del mio computer. Poi nel momento in cui sento che c’è qualcosa di “magico”, qualcosa che difficilmente si può spiegare a parole, ma che si percepisce non appena i vari pezzi si incastrano tra di loro, allora è la strada gusta da seguire, ovunque essa porti. E, soprattutto, ogni volta che succede questa cosa, è un po’ come vedere il futuro.
Passiamo un attimo al tuo singolo: Dejavu, in uscita il 25 Febbraio. Si parla d’amore, di insicurezza. Di una relazione finita. Sembra quasi dettata da un momento di sconforto, e – a parer mio – è un lavoro molto, molto sentito. Molto personale. Che ruolo ha la musica per te di fronte a momenti così?
La mia musica, da sempre (o quanto meno da quando ho iniziato a scrivere canzoni), è la miavalvola di sfogo per eccellenza. Nella vita privata sono una persona che tende ad interiorizzare tutte le cose più tristi e dolorose, cercando di non mostrare al mondo insicurezze o fragilità, anche alle persone a cui voglio bene. Di conseguenza, scrivere è l’unico modo che ho per esternare tutto questo, senza sentirmi a disagio.
Un po’ mi fa ridere pensare che i miei pensieri più intimi siano in realtà alla portata di tutti.
Musica, ma non solo. Sono curioso di conoscere un po’ l’uomo dietro al cantante. Che cosa fa quando non suona e non compone Lorenzo? Cosa lo emoziona, da cosa si fa ispirare?
Allora, contando che circa metà delle mie giornate lavorative le passo a produrre canzoni per altri artisti, l’altra metà di solito la passo a girare video. Il cinema è stata la mia prima vera passione (e tuttora i miei brani sono stracolmi di citazioni), prima della musica e di tutto il resto. Con i miei fratelli mi divertivo a girare cortometraggi (rigorosamente improvvisati) da quando avevo 9/10 anni e, nonostante non fossi minimamente in grado di fare nulla di tecnicamente corretto, la cosa mi faceva impazzire.
Ricordo, poi, che durante i primi anni delle superiori, con gli amici avevamo l’abitudine di andare al cinema quasi tutti i weekend (spesso a vedere film a caso, ma probabilmente il mio inconscio li ricorda ancora tutti).
Quando ho “scoperto” la musica, in realtà, ho abbandonato tutto quel mondo. Avevo così tanto da scoprire e da imparare, che suonare e ascoltare dischi sempre nuovi mi assorbiva completamente.
Poi, quasi per caso, anni dopo ho comprato una videocamera su Amazon per girare dei video di cover che riarrangiavo. Mi sono subito preso bene come una volta e da lì è presto diventata una carriera lavorativa.
Come si dice di solito: “Scegli un lavoro (in questo caso due) che ami e non lavorerai un giorno in vita tua”.
Per chiudere, un piccolo anticiposul futuro? Qualche indizio per i tuoi prossimi progetti? Hai in mente qualche data live ora che – sembrerebbe – stanno riaprendo tutto?
Stiamo lavorando su diversi fronti.
Dal punto di vista delle produzioni in studio, il fil rouge delle copertine dei nuovi singoli dovrebbe suggerire la meta.
Sarebbe anche molto bello poter tornare a suonare dal vivo come nel 2019, con la gente ammassata sotto al palco, il casino e tutto il resto, ma ovviamente, vista la situazione, è ancora tutto in forse, quindi è difficile fare programmi.
Per il resto non sono uno che fa progetti a lungo termine, la vita è bella solo se ti sorprende, quindi vedremo cosa salta fuori.
Si chiama Sarajevo il nuovo brano di Caruccio, autore e produttore torinese conosciuto anche come Fractae, o più raramente col suo vero nome, Paolo.
Caruccio è infatti quel ragazzo con le camicie retrò, la chitarra tra le braccia e i super capelli ricci che cantava sotto il nome di Fractae la sua Malinconia Delivery.
Il progetto Caruccio è invece cominciato con la pubblicazione di Harem, un brano dal mood leggero che ci porta in giro su una Cadillac, accompagnati da suoni di chitarre dal sapore britannico che si fondono in un sound ipnotico Indie Rock.
Sarajevo è invece un pezzo più romantico, in cui Caruccio si spoglia totalmente davanti a noi e ci mostra il suo lato più dolce e insieme coraggioso.
“Sarajevo è una telenovela romantica coi Kalashnikov, lo spin-off in seconda serata di un grande film d’amore mai andato in onda, da guardare tutto d’un fiato bevendo le ultime due birre rimaste in frigo e canticchiando la canzone trash della sigla, forse ancora disponibile su qualche CD all’’autogrill”.
E ora che la musica dal vivo sembra finalmente ripartire, non perderti l’opportunità di ascoltare Caruccio live il prossimo sabato ad Arci Bellezza a Milano in apertura dei Tonno. Prevendite su DICE.
L’Eurovision Song Contest si avvicina e chi sarà il prescelto a rappresentare San Marino? Tra i candidati, la star a sorpresa annunciata è un artista che abbiamo visto da poco sul palco dell’Ariston, Achille Lauro.
La scelta su chi rappresenterà la Repubblica verrà presa tramite l’originale concorso canoro dal respiro internazionale “Una voce per San Marino“.
La finale del festival si svolgerà sabato 19 febbraio 2022, al Teatro Nuovo a Dogana, nella Repubblica.
Una voce per San Marino: come nasce il progetto in vista dell’Eurovision
Una voce per San Marino nasce grazie alla collaborazione tra RTV, Media Evolution, la Segreteria di Stato per il Turismo, Poste, Cooperazione ed Expodella Repubblica di San Marino.
L’idea è quella di scegliere un rappresentante in vista dell’Eurovision 2022 che non fosse meramente selezionato da una giuria di esperti, ma che “si guadagnasse” il posto nel grande festival di maggio.
E quale miglior modo di farlo se non attraverso una gara?
«È una novità assoluta in Repubblica. Una sfida nella sfida, perché è un modo per far conoscere San Marino a tantissimi artisti». Questo commenta il Segretario per il TurismoPedini Amati.
Il progetto viene ideato settembre e, in due mesi, è presentato e accolto con grande entusiasmo. C’è dentro tutto: la musica dal vivo che ci è mancata in questi anni, la possibilità di confrontarsi con artisti internazionali, la necessità di far conoscere la piccola ma grande Repubblica di San Marino al mondo.
È proprio sull’internazionalitàdella gara che si è tenuto a porre l’accento più volte, oltre che sull’inatteso successo della proposta stessa.
350 sono stati gli artisti iscritti alla selezione, artisti che venivano letteralmente da tutto il mondo e che volevano mettersi in gioco per rappresentare il Paese all’interno del contest.
Importante è stata la risposta, soprattutto se pensiamo che siamo ancora in periodo Covid e che le selezioni sono state in presenza. Questo sottolinea come la passione per la musica sia un vero e proprio motore e come si percepisca la necessità di creare e partecipare ad eventi dal vivo.
Inoltre, per la prima volta, vedremo emergenti gareggiare contro artisti già affermati, tra i quali, la grande novità è proprio Achille Lauro.
Una voce per San Marino: Achille Lauro entra in gara per l’Eurovision
Erano 9 i Big e 9 gli emergenti preventivati in gara, a cui si è aggiunto un cantante d’eccezione, Achille Lauro che aveva già precedentemente fatto richiesta per rappresentare il Paese.
È dunque ufficiale, nonostante le voci post-Sanremo, Tananai o La Rappresentante di Listanon prenderanno parte allagara e non si accettano più candidature.
Tra i big oltre Lauro vedremo la partecipazione di:
Cristina Ramos dalla Spagna
Francesco Monte
Alessandro Coli e DJ Burak Yeter dall’Olanda
Valerio Scanu
Blind
Ivana Spagna
Matteo Faustini
Tony Cicco & Deshedus e Alberto Fortis
Fabry & Labiuse feat Miodio dalla Repubblica di San Marino
Questi cantanti si sfideranno tra di loro e con altri 9 emergenti nella finalissima. Il confronto sarà di sicuro interessante e la giuria selezionerà il finalista.
La serata sarà condotta da Senhit, la cantante che aveva rappresentato San Marino all’Eurovision del 2011, e Jonathan.
La giuria sarà composta da 5 professionisti del settore, i cui nomi verranno annunciati ufficialmente il 18 febbraio 2022.
Che dire?
Siamo curiosi di assistere per la prima volta questa gara internazionale, dove vedremo cantanti da tutto il mondo sfidarsi per rappresentare la Repubblica.
Dove lo vedo?
Vi ricordiamo che la finalissima si svolgerà il 19 febbrario 2022. I biglietti sono in prevendita su Viva Ticket.
La gara finale verrà trasmessa su San Marino RTV, canale 831 del digitale terrestre, 93 Tivùsat e 520 di Sky.
Amici di Indielife, siamo ufficialmente agli sgoccioli: la quarta e penultima serata del Festival di Sanremo dedicata a cover e duetti si è conclusa. E, possiamo dirlo, si è conclusa con un podio inaspettato.
Vincitori della notte sono Gianni Morandi e Jovanotti, armati del medley delle loro rispettive canzoni, seguiti – non sorprendentemente – da Mahmood e Blanco con “Il cielo in una stanza” ed Elisa con “What a Feeling”.
Da dire c’è tanto, ma andiamo con ordine.
Sorpresa nella co-conduzione: Maria Chiara Giannetta, attrice protagonista di Blanca, è stata una delle stelle della serata. Tra la gag-tributo con Maurizio Lastrico e il commovente monologo sulla serie, incentrato sul tema della cecità, si è rivelata l’attrice di talento che sicuramente è. Brava!
Il momento con Lino Guanciale è stato il tipico siparietto sanremese, ma non lo abbiamo disdegnato.
Unica nota dolente: la performance dei Pinguini Tattici Nucleari che, siccome il web è un luogo meraviglioso, sono stati ribattezzati playback tattico nucleare.
Appurato che siamo (inaspettatamente) sopravvissuti agli ospiti e all’ennesima serata svegli fino alle 2, addentriamoci nelle pagelle dei nostri artisti.
Cover e duetti: le pagelle della quarta serata di Sanremo 2022
Noemi – (You Make Me Feel Like) A Natural Woman di Carol King per Aretha Franklin
LOOK: 8
Forse non avrei scelto quel colore su di lei, ma elegante e classica, come la canzone.
PATHOS: 6-
Si riprende sul finale, ma non ha suscitato tutta questa emozione, nonostante il pezzo.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 5,5
In realtà, cara Noemi, l’errore è stato nella scelta. Cantare Aretha è come fare funambolismo bendati e con un’ascia in mano.
Quindi, sebbene la voce della cantante sia indubbiamente bellissima e benché Noemi abbia creato la sua personale versione del pezzo, non convince.
DRAMA QUEEN: 5
No drama per Noemi, just esibizioncina classica e posata.
Giovanni Truppi e Vinicio Capossela – Nella mia ora di libertà di Fabrizio De André
LOOK: 6,5
Mi è sembrato di finire per un attimo sul set di Pinocchio, però da Vinicio non ci aspettavamo altro e alla fine non è stato così male (nonostante la onnipresente canotta di Truppi).
PATHOS: 7
Non male. Anche qui l’emozione va a braccetto con l’avanzare della performance.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 7,5
Scelta coraggiosa, dato il gigante con cui si “confronta” Truppi, ma, niente da dire, l’accoppiata si rivela vincente.
DRAMA QUEEN: 7
La mis-en-scène ha aiutato e hanno fatto esattamente quello che il testo permetteva loro.
Yuman con Rita Marcotulli – My way di Frank Sinatra
LOOK: 8
Essenziale e monocromo, coerentissimi con la proposta portata.
PATHOS: 5,5
Se potessimo votare solo Rita Marcotulli sarebbe un 10, ma Yuman canta con la stessa emozione che avrebbe una persona del pubblico a trovarsi per caso sul palco dell’Ariston mentre cerca il bagno.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 4
NO. Date le capacità canore e il timbro di Yuman ci aspettavamo molto molto molto di più. E, anche qui, perché scomodare un vero e proprio dio della musica se il risultato deve essere questo?
DRAMA QUEEN: 6-
Se l’avesse cantata bene, sarebbe un sei. Esibizione senza troppo drama.
Le Vibrazioni e Sophie and the Giants – Live and Let Die di Paul McCartney
LOOK: 7
Coerente con il mood, mi è piaciuto, anche se si poteva osare di più.
PATHOS: 5
L’emozione è data dal pezzo che è una meraviglia, niente di più.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 6
Se dovessimo dare un titolo a questa performance, la chiameremmo “il compitino“. Ho visto cover band farla con più cuore. Non male, ma niente di che.
DRAMA QUEEN: 4
Era un pezzo che avrebbe dovuto ESSERE il drama – alla Jennifer Laurence in American Husltle (se non avete idea di cosa parlo, recuperate qui) – e non lo è stato per niente.
Sangiovannicon Fiorella Mannoia – A muso duro di Pierangelo Bertoli
LOOK: 8+
Due generazioni a confronto. Il bianco e il nero. Eleganti, belli.
PATHOS: 7,5
Non era facile non farlo scadere nel banale e sono stati bravi ed emozionanti. C’è stata interpretazione.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 8
Sangiovanni ha dichiarato su Rolling Stone che non è un cantante per bambini. Nonostante gli scetticismi, ha talento, e ieri sera lo ha confermato, brillando accanto alla sempre splendida Fiorella Mannoia.
Sangiovanni, nei suoi 19 anni, ha interpretato veramente bene un pezzo storico come questo.
DRAMA QUEEN: 7
Nonostante la canzone non permettesse grandi exploit, è stata una bella scena: gli sguardi, l’emozione, il testo sono stati trasmessi nel modo giusto.
Emma e Francesca Michielin – Baby one more time di Britney Spears
LOOK: 9
Abiti meravigliosi, loro stupende.
PATHOS: 7
Ho apprezzato la palpabile intensità e la complicità che c’era tra le due.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 7,5
Ripeto, benino. Probabilmente sono partite svantaggiate perché quando abbiamo letto “Britney Spears” abbiamo alzato l’asticella delle nostre aspettative.
Al di là dei gusti personali, si riconfermano indubbiamente le cantanti di talento che sono.
DRAMA QUEEN: 7,5
Qui la canzone ha invece aiutato: Britney non può che essere l’emblema del drama! Ci aspettavamo di più?Sì, ma comunque non male.
Gianni Morandi e Jovanotti – medley dei loro successi
LOOK: 7
Eleganti e in linea con la proposta. Tuttavia, non ho potuto non pensare ad Abatantuono in Camerieri.
PATHOS: 8
Divertente, c’era complicità, e loro sono dei veri professionisti del live, non possono non emozionare. Specialmente non con i pezzi del medley.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 8,5
Sono arrivati primi in classifica per un motivo: è stata oggettivamente una bella esibizione.
Appunto da fare: l’esperienza di anni nei concerti qui ha giocato un ruolo fondamentale, determinando la distanza tra loro e gli altri.
DRAMA QUEEN: 8
Le scenette non sono mancate ed erano tutte molto in linea con il sound senza scadere nell’esagerazione.
Elisa – What a feeling di Irene Cara
LOOK: 7,5
Semplici ed efficaci.
PATHOS: 9
La voce di Elisa ti smuoverebbe qualcosa da dentro anche cantasse “Fra Martino Campanaro” e per questo parte già in vantaggio. Elena D’Amario ha reso in movimento quello che lei cantava.
Non ha potuto che essere magico per chi le guardava da fuori.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 9
Bello tutto e furba la scelta della canzone.
Elisa è nata per cantare ed Elena – che ha aiutato tantissimo la performance – è nata per ballare. L’unione è stata senza ombra di dubbio vincente.
DRAMA QUEEN: 8,5
Passione, Flash Dance, finale in scivolata corredato da abbraccio e sanding ovation. Devo aggiungere altro?
Achille Lauro e Loredana Bertè – Sei bellissima di Loredana Bertè
LOOK: 7
Niente che non ci aspettassimo.
PATHOS: 9
Alta l’intensità e palpabile l’emozione e la paura di Lauro. Questa trasparenza la abbiamo apprezzata.
La Bertè, invece, È emozione.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 7
Performance resa bella dalla canzone e dall’intramontabile Bertè (che prima o poi ha il dovere morale di dirci come fa).
Achille Lauro non dà questo grande apporto. Che sia stata la scelta sbagliata?
DRAMA QUEEN: 8
Sarebbe stato un 5, ma poi è arrivata la lettera di Lauro…
Matteo Romano e Malika Ayane – Your song di Elton John
LOOK: 5
Matteo deve aver fatto sicuramente qualcosa di male per essersi meritato questi pantaloni.
PATHOS: 8
Bel gioco di sguardi, non male. La canzone si presta e fa commuovere sempre.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 7,5
Bel pezzo, ben eseguito e loro sono oggettivamente bravi.
Non è scaduta nel compitino anche perché l’orchestra è stata meravigliosa (per loro 10).
DRAMA QUEEN: s.v.
So che lo amate quanto me, ma purtroppo niente drama at all.
Irama e Gianluca Grignani – La mia storia tra le dita di Gianluca Grignani
LOOK: 4
Non c’è stata nessuna intesa nel look di uno e dell’altro.
O si è Mary Poppins o ci si veste da graffito. L’unione dà come risultato questo disastro.
PATHOS: 5
Non mi ha emozionata, mi ha trasmesso lo stesso sentimento di una cantata a cena da amici con la chitarra acustica.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 7
Loro vocalmente bravi, evitabile il siparietto da villaggio turistico “su la voce, tutti insieme”, ma ormai Gianluca lo conosciamo. Irama se l’è cavata.
DRAMA QUEEN:10
Anche qua, non ci aspettavamo niente di diverso.“Sei una rockstar Gianluca“.
Ditonellapiaga e Rettore – Nessuno mi può giudicare di Caterina Casell
LOOK: 7,5
Belle anche stasera, ma data la scelta musicale, si sarebbe potuto osare di più.
PATHOS: 6
Non c’è partita con il pathos che vediamo in Chimica. Bellino, niente di che.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 7
Noi indie lovers siamo un po’ di parte e amiamo questa coppia.
Tuttavia, erano veramente sottotono ieri e meno affiatate delle serate precedenti. Date le loro rispettive voci e la canzone scelta, avrebbe potuto essere la cosa indimenticabile che non è stata per niente.
DRAMA QUEEN:5
Da due rinomate drama queens come loro ci aspettavamo di più.
Iva Zanicchi – Canzone di Don Backy e Detto Mariano nella versione di Milva
LOOK: 8
Elegante come suo solito.
PATHOS: 8
Brava Iva, mi piace il sound, grande l’intensità. Emozionante.
SI PUÒFARE DI PIÙ:8,5
Vocalmente parlando, lei è una delle più brave in gara senza ombra di dubbio.
Bella la versione, bella la musica, tutto giusto.
DRAMA QUEEN:9
Per contestualizzare il voto. Immaginatevi di mandare Iva a bussare alla porta del/della vostr* ex cantando questo pezzo.
Vedete che ho ragione?
Ana Mena e Rocco Hunt – medley
LOOK: 9
(Inaspettatamente) elegantissimi.
PATHOS: 6+
Divertente sì, emozionante no, se non primo pezzo.
SI PUÒFARE DI PIÙ:7,5
E chi se lo aspettava?!
È stata intonatissima Ana Mena, bello il medley con Rocco Hunt, che se la rischia con un rap borderline su “Figli delle stelle”. Nonostante questo e un’eccessiva quantità di “su le mani, Sanremo”, non ho commenti negativi.
Bravi!
DRAMA QUEEN:8
Mood festaiolo e voglia di far diventare l’Ariston il nuovo Cocoricò, Rocco Hunt vince il premio drama queen della coppia.
La Rappresentante di Lista + Cosmo, Margherita Vicario e Ginevra – Be My Baby di The Ronettes
LOOK: 9
Visivamente tutti belli.
PATHOS: 8
Mi ha fatto venire voglia di anni ’60, di un concerto di Cosmo, di ballare vorticosamente per la camera e di parlare per ore d’amore.
Ottimo lavoro perché con questo pezzo non era facile.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 9
Squadra che più indie di così non si può a Sanremo 2022: ovviamente li abbiamo adorati.
Forse ci aspettavamo qualcosa di più da Margherita Vicario e Ginevra (e speravamo in un dj set di Cosmo), ma comunque gran bel momento.
DRAMA QUEEN:5
Avrei detto che avrebbero osato di più da questo punto di vista.
Massimo Ranieri e Nek – Anna verrà di Pino Daniele
LOOK: 9
Ho davvero apprezzato lo stile sobrio ed elegante.
PATHOS: 8
Anche qui, la scelta della canzone fa tanto e questa è stata ragionata.
Per me è un sì. Mi ha emozionato.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 8/9
A Ranieri piace vincere facile, dato il pezzo e le voci in questione.
Ma, comunque sia… Che glie’ voi di a sti due?
L’ho trovata una delle performance migliori.
DRAMA QUEEN: s.v.
Michele Bravi – Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi di Lucio Battisti
LOOK: 9
Alla moda, ieri sera per Michele era un sì.
PATHOS: 8,5
Fare Battisti è un’arma a doppio taglio soprattutto quando parliamo di pathos. Non è affatto facile il “confronto emotivo” con il cantante.
Michele Bravi si rivela all’altezza della sfida.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 8
Ha puntato un po’ troppo tutto sull’emozione, ma si porta a casa una bella esibizione, è indiscutibile.
DRAMA QUEEN: 9
Con questi sguardi intensi lanciati alla telecamera come se ci guardasse dritti negli occhi, si aggiudica il premio drama.
Mahmood e Blanco – Il cielo in una stanza di Gino Paoli
LOOK: 8
Non si scostano dallo stile delle altre serate, ma sono sempre visivamente belli.
PATHOS: 10
È stato meraviglioso, l’intesa tra i cantanti era alle stelle ed è stata una ninna nanna per il cuore.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 9,5
Qualsiasi sia la sfida, Blanco e Mahmood la vincono.
Una canzone-emblema della musica italiana, bella da far male e facilissima da far scadere nel banale, diventa un’altra cosa, si colora di nuove sfumature. Fedeli e rispettosi dell’originale, creano una propria, altrettanto stupenda, versione.
DRAMA QUEEN: 6
L’interpretazione intensa che ci fa stare col fiato sospeso e gli sguardi tra i due creano una scenetta che è, giustamente in questo contesto, leggera come una nuvola.
Rkomi e i Calibro 35 – medley di Vasco Rossi
LOOK: 8
Oltre a farci vincere un sacco di punti al Fantasanremo, ci piace.
PATHOS: 7,5
Ha interpretato e comunicato, mi è piaciuto.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 8+
Vasco è il suo.
Rkomi – che ha uno dei timbri più riconoscibili – si è rivelato all’altezza del medley facendo Vasco a modo suo.
DRAMA QUEEN: 8
Nudo sul palco a cantare Vasco. C’è davvero bisogno che lo dica?
Aka 7evened Arisa – Cambiare di Alex Baroni
LOOK: 10
A mani basse i vincitori per quanto riguarda lo stile ieri sera.
PATHOS: 8
C’era emozione e chi non si commuove con Alex Baroni ha la stessa emotività di un termosifone.
Furba la scelta del pezzo.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 8
Un appunto da fare è che il voto è dato da Arisa, senza dubbio una delle voci migliori che abbiamo in Italia.
Aka7even non fa niente di che, il palco non è suo, benché non sia malaccio. Ma togliete Arisa dalla performance, che ne rimane?
DRAMA QUEEN: 8
Passione, piume, CAMBIARE DI ALEX BARONI. Il drama c’è.
Highsnob e Hu + Mr Rain – Mi sono innamorato di te di Luigi Tenco
LOOK: 8,5
Eleganti, giusto per il pezzo, ma… Che fine hanno fatto i tatuaggi di Highsnob?
PATHOS: 6-
La canzone è emozionante. Loro ci hanno provato con risultati altalenanti.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 5
Perché scomodare Tenco?
Si rifanno sul ritornello,ma le strofe proprio no. L’orchestra è l’unica vera protagonista.
Mr Rain mi sono ricordata che ci fosse solo negli ultimi secondi. Inutile in questa veste.
DRAMA QUEEN: 6
Hanno provato ad usare la mimica per seguire il testo, ho apprezzato il tentativo.
Dargen D’Amico – La bambola di Patty Pravo
LOOK: 8
Ho amato questo completo black and white. Con gli occhiali crea un contrasto vecchio-nuovo che rispecchia la cover.
PATHOS: 9
Dà una carica palpabile e lui ci è dentro al 100%.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 10
Una cover rivisitata in un modo pazzesco.
Senza alcun dubbio una cosa diversa che diventa emblema del concetto “emulare“.
Bellissima, bravo Dargen.
DRAMA QUEEN: 9
Dargen che canta Patty Pravo in mezzo al pubblico, che suona il triangolo, dice le parolacce, bacia la telecamera, balla e canta con il coro, Dargen che si fa cacciare dal palco da Amadeus fa di tutto per rivelarsi una drama queen.
Giusy Ferreri e Andy dei Bluvertigo – Io vivrò senza te di Lucio Battisti
LOOK: 9
Elegantissima tutte le sere.
PATHOS: 6–
Ci ha provato, ma non è arrivata.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 4,5
Non ci siamo. Non è sembrata niente di che, tantomeno una professionista.
L’impressione che dava era quella di un pianobar (contesto in cui ho comunque sentito versioni ben migliori di questa).
DRAMA QUEEN: s.v.
Questa canzone dà un sacco di spazio per strapparsi i capelli e avere il trucco colato, Giusy non ne ha approfittato.
Fabrizio Moro – Uomini soli dei Pooh
LOOK: 4
Qualcuno avvisi Fabrizio Moro che non è strettamente necessario essere zarri ogni sera.
PATHOS: 8
Ha cantato con sentimento e mi è arrivato. La canzone si presta ad essere emozionante, ma bravo.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 7
Non avrei fatto questa scelta musicale, ma qualcosa di diverso per una volta.
È rimasto nella comfort zone e questo un po’ lo ha penalizzato. Tuttavia, ha interpretato bene una canzone vocalmente molto difficile.
DRAMA QUEEN: 5
Quel pizzico che basta. O quel pizzico dato dalla giacca, non ne sono ancora sicura.
Tananai e Rosa Chemical – A far l’amore comincia tudiRaffaellaCarrà
LOOK: 10
Dai, li vedete?
PATHOS: 10
Il pathos è proprio qualcosa che non è mancato in questa esibizione.
SI PUÒFARE DI PIÙ: 9,5
Anche qui siamo davanti alla rivisitazione giustadi un pezzo.
Estremamente erotica, diversa ma rispettosa dell’originale. Tananai ha cantato inaspettatamente bene, il rap di Rosa Chemical era perfetto… Insomma, iconici.
Lo avevamo detto: non passerà inosservato. Dargen D’Amico, al secolo Jacopo, non si è di certo presentato a Sanremo in punta di piedi. Il rapper/poeta/scrittore, però, potrebbe aver deluso più di un fan con la sua canzone.
Perché se per anni ci ha abituato a un viaggio all’interno dei massimi sistemi – morte, vita, sogno, mancanza – qui il cantautore milanese è partito fin da subito con un intento chiaro: “Dove si balla”.
E ha avuto la premura, per neofiti e non, di dissipare tutti i dubbi. Sbandierare ai quattro venti quello che voleva raccontare con la sua musica: una storia. Superficiale?
Noi non crediamo.
Ma andiamo con ordine.
“Dove si balla”, analisi (semi)seria
I lavori di Dargen sono un rebus. Da sempre e per sempre. Ci sono tante parole dietro a ogni parola, tante letture dietro a ogni verso.
Vi riportiamo i più significativi che ci ha cantato dal palco di Sanremo, sperando che non si vada troppo lontani da quella verità che da anni Dargen nasconde dietro ai suoi occhiali a specchio.
“Ultimamente dormo sempre anche se non sogno
Senza live – con il pile sul divano
Se dormi troppo poi ti svegli morto.
(Sono d’accordo).
Quindi dove andiamo?”
Il sogno. La morte. Proprio lui ormai qualche anno fa (perdonate la vecchiaia che avanza) scriveva “La morte è la vita vera, il sogno ne è un assaggio”.
Dormire senza sognare. L’idea totalizzante di un mondo piatto, perché se il sogno è libertà d’espressione, dormire senza sognare è arrendersi.
Bello vedere il contrasto della musica dance, da ballare, con Dargen steso sul divano, avvolto nel suo sudario di pile (immaginiamo sempre con i suoi occhiali da sole), mentre aspetta di svegliarsi.
Il Requiem più allegro del mondo.
E quindi davvero crediamo che questa sia una canzonetta? O sta provando a vedere che succede a mescolare la sua idea di vita, di morte, di arrendevolezza, di speranza, con una base che fa molto Eiffel 65 degli anni migliori?
Proprio lui, che nel suo penultimo cd ha collaborato con Isabella Turso, pianista di fama internazionale, ha deciso di presentarsi sul palco più importante d’Italia, quello di Sanremo, con una lavoretto tirato via?
Ecco la sua prima firma, quindi, che ci ricorda quanto fugace sia la vita, che scappa via al ritmo di una pennichella su un divano, mentre lui se ne rimane avvolto nel suo pile – senza live. Magari con Alexa che ci mette su una playlist di musica dance. Ecco un punto in cui i fan di JD possono ritrovarsi e dire: ‘Eccoci. Ci sta raccontando qualcosa. Non sappiamo cosa, ma lo scopriremo. Ci volesse una vita.’
Ci sta raccontando la superficialità di un mondo in cui solo l’apparenza conta, conta solo la musica dance e un bel vestito (ha specificato che sul divano sta con il pile, che sia una coperta o un maglione), la barba fatta da poco, i capelli pettinati.
E dove stiamo andando?
Ce lo dice Dargen, con la sua voce scanzonata, con la sua ironia che gronda ad ogni parola: stiamo andando
“Dove si balla
Fottitene e balla
Tra i rottami
Balla per restare a galla.”
Perché non possiamo affondare. Dobbiamo rimanere sul pelo dell’acqua con foto di Instagram belle, con la luce giusta, con il bicchiere pieno fino all’orlo e qualche fiore sullo sfondo, col paesaggio bello e il tramonto sulla veranda di casa.
Fottitene di quello che senti, balla tra i rottami dei social, tra le rovine degli stati su Facebook contro il calciatore di turno, tu balla.
E rimani lì, ad annaspare. A non sognare.
Da anni lui invece continua a ballare s.l.m. (sotto il livello del mare) e se ne fotte. Ci racconta la morte con una canzone di 18 minuti, Nostalgia Istantanea, e ci racconta la sua passione per le donne prosperose con Bocciofili. Indistintamente.
Mentre noi annaspiamo lui affonda. Ed è libero di muoversi come vuole.
“Balla per restare a galla
Negli incubi mediterranei
Che brutta fine fermi al confine
La nostra storia che va a farsi benedire
Ma va a capire perché si vive se non si balla.”
Eccoci qui. Prima della rappata finale. Che brutta fine fermi al confine tra libertà e il rimanere a galla, negli incubi mediterranei di un mare in cui siamo prigionieri.
E le nostre storie che se ne vanno, scappano via, sempre al ritmo di musica dance, con l’allegria di ripartire senza stare a pensare, senza soffrire, perché soffrire è brutto, la persona triste è brutta e cattiva.
D’altronde, “a essere belli e bravi siamo bravi tutti.”
Vai a capire perché si vive se non si balla.
Vai a capire perché ballare è diventata una malattia: ci è venuta subito in mente una storia strana, di quelle che sicuramente piacciono a Dargen D’Amico. La storia di una piaga bizzarra, un caso singolare di “isteria del ballo”, verificatosi nel 1518 tra gli abitanti di Strasburgo, dove l’intera popolazione ha ballato fino alla morte, fino a farsi sanguinare i piedi, fino a spezzarsi le ossa.
Che dietro a quelle lenti, mentre affonda, Dargen stia vedendo quella piaga che ritorna? Stiamo veramente ballando fino allo sfinimento mentre tutto intorno la musica non c’è (semicit. a Coez), come in quelle fredde giornate tedesche di 500 anni fa?
Forse la musica dance ce la stiamo immaginando, cercando una cornice colorata per foto vuote?
Perché anche Dargen, in fondo:
“Ogni tanto, in lontananza sento ancora musica
Che fa
Pa para-rà, pararà, pa-pà.”
Ci siamo. Chiudiamo canzone e pezzo. E che il messaggio consegnato a Sanremo sia questo o no (ci rimane da sapere) sappiamo che non ce lo scorderemo presto. E che continueremo a ballarlo ancora per un bel po’. Sperando che, piano piano, andremo un po’ a fondo.
Perché davvero rimanere a galla è così importante?
Amiche ed amici sanremesi, appassionati di indie e vittime del nazionalpopolare tricolore, eccoci qui per le pagelle della seconda serata di questa settantaduesima edizione del Festival di Sanremo. Una serata aperta nel segno dell’attrice Monica Vitti, deceduta all’età di 90 anni, e proseguito tra alti e bassi (più i secondi in realtà), sia sul piano della gara che su quello degli ospiti. Il monologo sul razzismo di Lorena Cesarini ha raccolto le simpatie della platea ma non è stato particolarmente convincente (voto: 5), mentre disastrose e ripetitive le gag di Checco Zalone, che farà anche ridere, ma dovrebbe ricordare che il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi (voto: 3).
Sanremo Festival host and artistic director, Amadeus, pays homage to Italian actress Monica Vitti on stage at the Ariston theatre during the 72nd Sanremo Italian Song Festival, in Sanremo, Italy, 02 February 2022. The music festival runs from 01 to 05 February 2022. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
Laura Pausini ha illuminato il palco col brano scritto da Madame e dedicato “dalla Laura di oggi alla Laura che era qui, come concorrente, nel ’93, quando ho vinto la categoria Novità” (voto 10). Meno convincente il duo con Mika per il lancio della conduzione a tre di Eurovision 2022 Pausini-Mika-Cattelan (voto 7).
Foto da Corrieredellasera.it
Ma questi sono i fuori gara. Nella competizione, la serata è stata vinta da Elisa con O forse sei tu, con Emma seconda con Ogni volta è così e Ditonellapiaga e Donatella Rettore, che hanno cantato Chimica, terze. Flop abbastanza netto dei cantanti saliti da Sanremo Giovani, così come non hanno sfondato i talent-boys, con Sangiovanni miglior piazzato con Farfalle. La prima generale invece vede un dominio della prima serata ma riserva una sorpresa. Ditonellapiaga-Rettore settime, Emma sesta, Morandi quinto, Dargen D’Amico quarto e La rappresentante di lista terza; ma Mahmood e Blanco, superfavoriti della vigilia, sono secondi in generale alle spalle della vincitrice della seconda serata, Elisa. Va ricordato che la giuria era quella della sala stampa e che solo dalla terza serata, che vedrà esibirsi tutti i 25 partecipanti a Sanremo 2022, entreranno in scena il voto della giuria demoscopica ed il televoto, col 50% del peso per entrambi.
Ma ora entriamo nel vivo della seconda serata con le pagelle di Indielife in ordine di esibizione.
Sangiovanni – Farfalle
LOOK: Il rosa gli dona. VOTO: 7
PATHOS: Pezzo troppo ballabile per esserci pathos. VOTO: 5
SI PUÒ FARE DI PIÚ: Sa gestire il palco e l’eredità dei talent si sente. Non memorabile, ma si barcamena bene. VOTO: 7
PAROLE, PAROLE, PAROLE: Nulla di che. VOTO: 5
DRAMA QUEEN: Anche qui nulla da segnalare. VOTO: 4
1 SU 1000 CE LA FA: Sangiovanni difficilmente vincerà, ma con Sanremo forse si avvicinerà al pubblico over 20. VOTO: 5,5
Giovanni Truppi – Tuo padre, mia madre, Lucia
LOOK: Nei brillantini sanremesi, lui porta la quota motociclistica. VOTO: 5,5
PATHOS: Non ce n’è stato molto. VOTO: 4
SI PUÒ FARE DI PIÚ: L’esperienza e la confidenza col pubblico pagano. VOTO: 6,5
PAROLE, PAROLE, PAROLE: Il testo è un racconto-lettera, travestito d’amore ma puro d’affetto. Truppi è IL cantautore dell’edizione e si sente, anche se Sanremo punisce le penne più di quanto le premi. VOTO 7
DRAMA QUEEN: Nella seconda serata poco dramma, molti drammi (di trash televisivo)… Non il suo.: S.v.
1 SU 1000 CE LA FA: Il vincitore, semplicemente, non sarà lui. VOTO: 3
Le vibrazioni – Tantissimo
Poche parole per la prestazione peggiore della serata: 3 a tutto e meglio dimenticare presto.
Emma – Ogni volta è così
LOOK: Se qualcuno l’ha vista a X Factor, si renderà conto che all’Ariston ha avuto un upgrade estetico. VOTO: 6,5
PATHOS: Che Emma sia intensa è innegabile, la varietà vocale accentua l’insieme. Il palco è suo. VOTO: 8,5
SI PUÒ FARE DI PIÚ: Il palco è casa sua, appunto, e fa tutto quello che deve fare per ricordare a tutti quanti che la voce ce l’ha e la sa usare. VOTO: 8
PAROLE, PAROLE, PAROLE: Purtroppo, è un po’ il punto debole: non drastico, ma nemmeno particolarmente bello. VOTO: 5,5
DRAMA QUEEN: Poteva fare meglio, ma risponde presente mimicamente. VOTO: 6,5
1 SU 1000 CE LA FA: Anche qui, se Sanremo fosse una gara di canto sarebbe sul podio. Per la serata, lo è stata. Per la prima generale provvisoria, meno. Ml VOTO: 7
Matteo Romano – Virale
LOOK: È abbastanza nella norma. Nulla di male, nulla di bene. VOTO: 6
PATHOS: Tantissimo il suo al debutto tra i Big, poco quello trasmesso. VOTO: 4,5
SI PUÒ FARE DI PIÚ: In realtà, all’esordio, poteva andare molto peggio. Non trasmette molto, ma non si fa mangiare dalla situazione. VOTO: 8
PAROLE, PAROLE, PAROLE: Il testo è la cosa che dice meno della sua canzone. VOTO: 4
DRAMA QUEEN: No. VOTO: 3
1 SU 1000 CE LA FA: La vittoria è calcare quel palco in questa competizione. VOTO: 5
Iva Zanicchi – Voglio amarti
LOOK: Non è calcata ed è un punto a favore. VOTO: 6,5
PATHOS: L’atmosfera la crea e la cavalca nonostante un brano non memorabile. VOTO: 6,5
SI PUÒ FARE DI PIÚ: Come sopra, solida nonostante una voce che porta il segno degli anni. VOTO: 6,5
PAROLE, PAROLE, PAROLE: A Sanremo i testi sono troppo spesso un problema. VOTO: 5
DRAMA QUEEN: L’iconicità c’è, il dramma non in senso lato. VOTO: 5,5
1 SU 1000 CE LA FA: Va così. VOTO 3
Ditonellapiaga e Donatella Rettore – Chimica
LOOK: Ditonellapiaga impeccabile, Rettore rivedibile. Si fa la media. VOTO: 5,5
PATHOS: Non era la canzone né la situazione, non c’è pathos ma non serviva. VOTO: 4,5
SI PUÒ FARE DI PIÚ: Cariche e dinamiche nonostante l’età della Rettore. Mangiano il palco e Ditonellapiaga è una bella sorpresa. VOTO: 8,5
PAROLE, PAROLE, PAROLE: Rendere non banale una sorta di canzone d’amore è qualcosa di davvero difficile. Questo duo transgenerazionale ci riesce, e anche bene. VOTO 7
DRAMA QUEEN: Sfumature. VOTO: 5
1 SU 1000 CE LA FA: Difficile al limite dell’impossibile. Ma la classifica di serata dà loro ragione VOTO: 7,5
Elisa – O forse sei tu
LOOK: Elisa non ha nulla da nascondere, ma la tv vuole trucchi pesanti inutili. VOTO 4
PATHOS: Una delle cifre romantiche in senso artistico di questo Festival. Poco da aggiungere sull’emotività di performance e brano. VOTO 9
SI PUÒ FARE DI PIÚ: Elisa, Emma, Iva Zanicchi, hanno il savoir faire di chi il palco lo considera un salotto. Classe. VOTO: 7,5
PAROLE, PAROLE, PAROLE: Allieva di Battiato, protagonista della scena musicale a cavallo tra gli anni ’90 e il primo decennio del 2000. Qualcosa vorrà pur dire rispetto ai prodotti dei social. VOTO: 9
DRAMA QUEEN: Con certi artisti non si cerca il trash. S.v.
1 SU 1000 CE LA FA: Come sogno non è male. Sognare è gratis. VOTO: 8,5
Fabrizio Moro – Sei tu
LOOK: Elegante nella sobrietà. La decenza si fa con poco. VOTO 6,5
PATHOS: Fabrizio Moro non brilla per pathos in generale, figurarsi con una canzone à la Sanremo che ha fatto di tutto per rendere qualcosa più di una canzone d’amore. VOTO: 5
SI PUÒ FARE DI PIÚ: Il suo lo sa fare e lo fa (bene). Pulito. VOTO: 8
PAROLE, PAROLE, PAROLE: Rendere decente una canzone da Sanremo è possibile se si sa scrivere. “La mia rabbia in affitto” è un’immagine che vale la sufficienza. Poi però non c’è molto altro. VOTO: 6,5
DRAMA QUEEN: Era meglio con Ermal Meta. S.v.
1 SU 1000 CE LA FA: Difficile. VOTO: 5,5
Tananai – Sesso occasionale
LOOK: Nella seconda serata il look uomini è stato parecchio prudente. VOTO: 5
PATHOS: Più che altro si balla. VOTO: 3
SI PUÒ FARE DI PIÚ: La categoria dice tutto. Qui l’autotune serviva. Il minimo è tre, non è tre perché l’arrangiamento era godibile. VOTO: 4
PAROLE, PAROLE, PAROLE: Nulla di che nemmeno qui. La serata langue. VOTO: 3
DRAMA QUEEN: S.v.
1 SU 1000 CE LA FA: Non è lui quell’uno. VOTO: 3
Irama – Ovunque sarai
LOOK: Un po’ urban, un po’ punk. Gradevole. VOTO: 9
PATHOS: Ovunque sarai è una ballata molto in stile sanremese, ma ha qualcosa di non scontatissimo nell’atmosfera che crea. Tra soli e cuori c’è della malinconia. VOTO: 6,5
SI PUÒ FARE DI PIÚ: Lo scorso anno era in albergo e partecipava con una registrazione delle prove generali. Ha fatto di più, è stato dal vivo, e il pezzo è cantato più che dignitosamente. VOTO: 7
PAROLE, PAROLE, PAROLE: Il testo è suo ed è adatto al contesto. VOTO: 6
DRAMA QUEEN: Mimicamente ha il proprio peso. VOTO: 8
1 SU 1000 CE LA FA: Difficile che vinca, ma il pezzo è da top-10. VOTO: 5,5
Aka7even – Perfetta così
LOOK: Stucchevole, l’hawaiano all’Ariston è come l’ananas sulla pizza. Si può fare, ma stona. VOTO: 3
PATHOS: Zero, ma il minimo stasera è 3. VOTO: 3
SI PUÒ FARE DI PIÚ: Sa stare sul palco, memoria dei talent. VOTO: 6
PAROLE, PAROLE, PAROLE: Il testo è indietro di 15 anni, ma in estate potrebbe avere da dire la sua nei locali di Gallipoli. VOTO: 4,5
DRAMA QUEEN: I talent-boys hanno il drama nelle vene più della musica. VOTO: 6,5
1 SU 1000 CE LA FA: Difficile dargli speranze. VOTO: 3
Highnob e Hu – Abbi cura di te
LOOK: Sembrano dei punk vittoriani e sono belissimi. VOTO: 9,5
PATHOS: La prima vera emozione della gara arriva in coda. VOTO: 9
SI PUÒ FARE DI PIÚ: C’è del rap, c’è dell’autotune (?), c’è del canto, c’è dell’intensità. Veramente bello. VOTO: 9
PAROLE, PAROLE, PAROLE: Leggersi il testo di questa canzone non sarebbe male per capire come sfruttare l’obbligo di melensaggine imposto nella kermesse ligure per raccontare un po’ di emozioni e sentimenti verosimili. VOTO: 9
DRAMA QUEEN: Troppo presi a cantare per fare trash tv. S.v.
1 SU 1000 CE LA FA: Finiranno come i Coma_Cose. Chi vuole se lo segni. VOTO: 6,5
Lui si chiama UnFauno, nome d’arte di Fauno Lami, ed è un artista romano davvero fuori dal comune.
La sua musica mescola l’indie cantautoriale a influenze electro-dark wave, le sue canzoni sono un misto tra la voglia di confidarsi con l’ascoltatore e quella di cantare a squarciagola le proprie intimità.
In lui c’è Battiato, ci sono I Cani, i Subsonica, forse anche un po’ di Vasco Brondi. Il tutto in un’unica grande contaminazione che sa comunque di novità. UnFauno unisce in sé stesso stili, generi e lingue diverse, dando vita con Insecurity ad un album unico nel suo genere.
Insecurity è il primo album da solista di UnFauno: un disco nato da un percorso fatto di musica e di meditazione, solitudine e riconciliazione con sé stesso.
Insecurity è un disco da cantare e da ballare, da ascoltare da soli o da far partire ad una festa. Insomma, è un album che coinvolge a 360 gradi, che non è mai banale.
“Un solo piccolo passo”, il brano d’apertura dell’album pubblicato per Phonarchia Dischi, è un brano parlato, raccontato, dove testo e suoni riescono a catturare perfettamente l’attenzione di chi ascolta, preparando il pubblico a compiere uno straordinario e psichedelico viaggio insieme a Insecurity.
“Un viaggio alla scoperta dei non so e dei perché no”, dice l’artista, in cui vi è condensata la sua intera vita. Passando tra riflessioni e rivelazioni, con i brani “Firefly” , “Angel of Light” e “Non Capisco”, quello che alla fine si scopre è che l’unica certezza della vita dell’artista è proprio l’insicurezza. Da qui nascono questi undici gioielli, le undici insicurezze che l’artista ha regalato a noi.
Conosco da diverso tempo Davide Bosi, abbastanza per dire che non lo conosco affatto.
Succede così, con le anime complesse come quella di Dave, che in qualche modo non smettono di stupire e più le metti alla prova e più brillano, e più lasci che la luce della scoperta le attraversi più loro si comportano come prismi di rifrazione, irrorando nuovi fasci luminosi da ogni sghembatura caratteriale, da ogni sfaccettatura musicale.
Però, alcune cose su Davide le so: so che è romagnolo, e si porta dentro tutta quella nostalgia che la Romagna camuffa con l’affabilità dell’accoglienza di chi nel cuore, spesso, ha lidi deserti, svuotati dal turismo affettivo e dal consumo emotivo.
So che ha studiato a Bologna, perché lì ci siamo conosciuti, e so che condividiamo pensieri simili sul capoluogo felsineo, croce e delizia di ogni idealista perso come noi. So che ha il blues nel sangue, come ogni buon romagnolo nostalgico che si rispetti, e che l’alcol lo regge – sì, ma non troppo, come ogni vero bluesman che si rispetti.
So che partirà per un tour europeo, che sta per scrivere un nuovo disco da scoprire, che ha un cagnolino simpatico e una passione per il cioccolato. So anche che ha pubblicato un brano, inedito, registrandolo dal vivo negli spazi de La Jungla Factory, e so che non potevo resistere all’idea di fargli qualche domanda.
Perché ci sono anime di cui pensi di sapere tanto, quando alla fine non sai niente. E allora evviva la curiosità, evviva l’amicizia, evviva Davide Bosi.
Davide Bosi, una chitarra e tanto blues nelle vene. Ma come nasce il tuo rapporto con la musica, qual è il primo ricordo che hai di te a contatto con lo strumento?
Ho cominciato a suonare la chitarra a 6 anni, innamorato della musica di John Lennon e dei Beatles. La prima canzone che ho imparato a fare è “Il Topo Federico”. Sinceramente non so chi l’abbia scritta, l’ho cercata su Internet ma non riesco a trovarla da nessuna parte. Tutta in Re maggiore, ma per me era già una grande conquista.
Tra l’altro, il tuo stile è qualcosa di lontano da ciò che siamo abituati a sentire in Italia. In primis, canti in inglese: hai mai pensato di scrivere in italiano? E soprattutto, qual è il tuo pensiero sulla scena emergente nazionale?
Si, ho pensato di scrivere in italiano. In verità, ho scritto un paio di pezzi in italiano durante il periodo della quarantena nell’album “Quaranteña” (disponibile su Bandcamp). È stato più che altro un esperimento. Il fatto è che ho cominciato ad ascoltare musica anglofona sin da piccolissimo e proprio per questo non ho mai sentito la costrizione di cantare in italiano. A tal proposito, credo che finalmente in Italia si stia dando spazio anche a cantanti anglofoni (non mi riferisco solo ai Maneskin, ma anche a band più di nicchia come i Soviet Soviet e i Sonic Jesus). Penso anche che parlare di nicchia sia comunque sempre riduttivo in un mondo interconnesso e globalizzato: c’è altra musica oltre a quella di Sanremo ed è più seguita di quanto si pensi.
Leggendo i tuoi social, abbiamo notato che da poco hai vinto un concorso importante, che ti darà l’opportunità di partire per un tour gremito di date in Europa. Ce ne parli un po’ meglio?
Sono stato selezionato dal Progetto Sonda (Centro Musica di Modena) per la realizzazione di un tour europeo, che mi porterà a suonare la mia musica fuori dall’Italia. Sono molto contento, ho già suonato in passato all’estero ed è stata una esperienza fantastica.
Andiamo al sodo. Hai appena pubblicato, in collaborazione con La Jungla Factory, “Emily”, brano inedito registrato proprio tra le mura della struttura ligure. Raccontaci qualcosa che non sappiamo sul tuo nuovo inedito!
La definirei una ballad crepuscolare, come l’80% della mia discografia (ops! Forse non mi sto facendo una gran bella pubblicità!).
Raccontaci un po’ della tua esperienza alla Jungla, a questo punto. Che cos’è questa iniziativa nata da poco a La Spezia, sotto l’egida di La Clinica Dischi?
Ritengo che suonare alla Jungla sia stata una delle esperienze musicali più belle. La JunglaFactory è uno studio in cui la musica si sente, si vede e si tocca con mano. Qui ho incontrato persone fantastiche e tanto interesse sincero per la scena emergente nazionale. Insomma, un ambiente in cui ogni musicista si sentirebbe a casa.
Senti, invece: consigliaci tre dischi che non possono mancare a chi scopre Davide Bosi.
L’1 ottobre esce Senza Guardare Indietro, il terzo singolo di Penz, l’artista pop rock che abbiamo seguito fin dal primo pezzo.
Dopo la pubblicazione di Fine e Nella Testa, Penz presenta il suo nuovo inedito.
Un inedito in cui l’artista non ha paura di mostrarsi fragile e che ha il sapore di 2020, un anno in cui ansie e preoccupazioni si sono chiuse in casa con noi.
Penz
Senza guardare indietro di Penz: dal fondo non puoi che risalire
In un mondo che va a caso e non ci è più familiare, ci sentiamo costretti a mostrarci forti e sicuri di noi stessi. Penz si ribella e dice basta, perché è più importante avere paura e non arrendersi che fingersi sicuri e rimanere fermi nello stesso punto.
E quindi il cantante si muove, corre su una strada che è incredibilmente lunga ma familiare. Forse in fondo si vede già dell’altro, di là, dall’altra parte.
Senza guardare indietro è una “canzone-consiglio“.
Per quanto terribile sia stato il perido che abbiamo vissuto, ci ha dato modo di fermarci e riflettere. Ci ha dato la possibilità di ricominciare da capo.
Quanti di noi possono dire di essere diversi?
Penz ci esorta a lasciare indietro persone, ricordi, situazioni che non vanno più bene per noi. Di non voltarci, perché quello che abbiamo davanti, quello che arriverà, sarà meglio.
Non perdiamo l’opportunità di cambiare le cose e di sacrificare quello che non funziona più per la nostra felicità.
Perché, ricordate: dal fondo si può solo risalire. Ed è bello avere nuovi modi di sbagliare, pensando solo a vivere.
E quando arriverò dall’altra parte Tu non raggiungermi per dirmi che è finito tutto E ricomincerò senza guardare indietro E quindi vado come un treno senza sosta, più leggero
La mostra di Banksy arriva a Parma. Curata e supervisionata dalla Fondazione Archivio Antonio Ligabue, con la speciale supervisione di Vittorio Sgarbi, l’esposizione apre Sabato 18 Settembre. Dopo le critiche, le presentazioni, le code dei visitatori, le dichiarazioni con cui Banksy stesso si discosta dalla mostra in suo onore, che indica come “fake” in un’apposita sezione del suo sito, è doveroso tirare le somme dell’allestimento ideato da MetaMorfosi Associazione.
L’IDENTIKIT DI UN UOMO SENZA VOLTO
Banksy è oggi.
Banksy è un ratto in un angolo della strada.
Banksy è una ragazza che abbraccia una bomba.
Banksy è la ribellione contro un poliziotto.
Banksy è una quantità di immagini che sono assolutamente reali.
Vertice espressivo di un movimento, la Street Art, che fa della provocazione il proprio punto di forza, Banksy con la sua mostra è andato oltre. Oltre alle sue opere, oltre ai suoi disegni e oltre alle sue sculture, trasformandosi in qualcos’altro: un maître à penser, che analizza la società e le sue contraddizioni, un uomo che rende accessibile a tutti la sua arte, rendendola reale e immediata.
Un’arte accessibile a tutti eppure monumentale, perché i graffitisti hanno una doppia anima per natura: scendono in strada e si sporcano le mani, passano le dita sul calcestruzzo e sul cemento dei palazzi vecchi, e quel muro lo riempiono tutto, per opere grandiose. Opere monumentali. Sono gli eredi naturali dei realisti, riportano in alto la pittura antica, la pittura dei grandi affreschi che raccontano la storia delle corti, le vicende dei contadini, dei parmensi, degli uomini e delle donne. E come i realisti non si preoccupano di abbellire quello che vedono. Lo riportano e lo buttano direttamente su tela – o su parete. E le opere di Banksy, in una mostra tutta da vivere, lo testimoniano.
Compito degli affreschi (pensate a Michelangelo e alla Sistina), infatti, è quello di occupare grandi spazi, e i graffitisti fanno lo stesso: hanno riportato la pittura dalle piccole dimensioni di Morandi, quadri da camera, quadri da psicoanalisi, quadri da riflessione, a qualcosa che invece è l’immediatezza del tutto. Banksy con la sua mostra l’ha fatto con una semplicità e una sintesi che gli permettono di stare tra i grandi pittori classici esposti nelle mostre precedenti di Palazzo Tarasconi.
Quando si va a vederlo non si pensa di andare a vedere un quadretto in cui si concentra una grande tensione intellettuale. Con questa mostra Banksy vuole raccontare le dimensioni del mondo sui muri. L’averlo portato in un museo significa avere cercato di trasformare la sua lezione, il suo racconto in qualcosa che mostrasse di essere classico come la grande arte che è riconoscibile sempre. In questi spazi protetti, in questo equilibrio, le sue opere assumono una grandissima dignità. E dimostra come siano altrettanto grandi, e vere, anche sui muri. Banksy è riconoscibile come Raffaello e Michelangelo.
E Palazzo Tarasconi veste Banksy perfettamente perché Banksy è classico per natura. Un artista di street art in un edificio rinascimentale ci sta perché la vita è classica per natura, e lui racconta la vita. Un uomo, insomma, come gli altri uomini, immerso nella vita come tutti noi, con gli stessi pensieri, le stesse fatiche. Ma è andato oltre la dimensione di uomo normale, superando il confine tra l’arte e la vita, rendendo universale ciò che per ognuno di noi è particolare.
Non è un caso, infatti, che la sua arte venga dal writing, il cui motto è ‘Less is more’.
A Parma abbiamo sentito il racconto del nostro tempo con un’attualità, una vita che Banksy miracolosamente è riuscito a preservare nello spirito della tradizione essendo però modernissimo: anche uno che non sa niente d’arte sente che la mostra di Banksy parla di qualcosa che lo riguarda.
Quando lo guardiamo sentiamo di essere con lui, lui rappresenta ciò che pensiamo e sentiamo con una grandissima semplicità. La poesia della semplicità.
DA SETTEMBRE INIZIA LA RIVOLUZIONE TARGATA BANKSY CON LA MOSTRA DI PALAZZO TARASCONI
E tutto questo si è provato a racchiuderlo in un percorso di oltre 100 opere, raccolte da collezioni private, ed è stato ideato per mettere sotto la lente d’ingrandimento l’immaginario banksiano, esaminato attraverso riferimenti, stampe, aneddoti, schizzi e aforismi.
Dalle copertine di album musicali a magliette, da banconote false a sculture prese dalla mostra di un distopico parco divertimenti, Dismaland, il viaggio dentro l’arte – e dentro la psiche – di Banksy prende lo spettatore per mano e lo accompagna dentro un mondo immaginifico e concreto allo stesso tempo.
L’esposizione di Parma accetta e non prova a smorzare le esplosioni di colori, le critiche: si limita a contenere la loro forza espressiva nelle sale rinascimentali di Palazzo Tarasconi, dando un seguito logico al percorso dell’artista britannico, accogliendo le sue inquietudini e i suoi slanci.
Proprio lui, che da sempre è stato contrario all’idea di chiudere le sue opere in un allestimento:
“When you go to an art gallery you are simply a tourist looking at the trophy cabinet of a few millionaires.”
“Quando vai in una galleria d’arte sei semplicemente un turista che osserva l’armadietto dei trofei di alcuni milionari.”
La mostra di Banksy è così grande da provare a contenere tutto il potere espressivo dell’artista, tutte le sue contraddizioni. Una mostra che va oltre, e prova a dare una risposta all’ormai famosa domanda: la street art può essere esposta nelle gallerie o appartiene esclusivamente alla strada?
Si chiamano “I Brema” e sono una band folk-rock di origine marchigiana. Lo scorso febbraio è stato rilasciato il loro nuovo singolo “Il gioco del vino“: un brano energico che ci fa sentire come un ubriaco che si trova a girovagare per la città.
A comporreI Brema sono Tobias Giacomazzi (voce solista, chitarra ritmica e synth) e Michele Grottesi (chitarra solista e seconda voce), con la collaborazione del batterista Giacomo Diamantini.
Noi di Indielife abbiamo fatto quattro chiacchiere con loro.
Ciao ragazzi. Per cominciare toglietemi una curiosità, cosa significa “I Brema”? Da dove deriva questo nome?
Il nome “I Brema” deriva dalla favola “I Musicanti di Brema” dei fratelli Grimm. Noi veniamo da due band diverse e abbiamo trovato questo parallelismo tra noi e la storia. Essa infatti parla di alcuni animali che scappano dalle fattorie dei loro padroni e si uniscono per intraprendere un viaggio verso Brema, dove sperano di poter vivere della loro musica. Nella storia però gli animali non arrivano mai a Brema, a dimostrazione per noi, che ciò che conta appunto è il viaggio stesso. Viaggio durante il quale i protagonisti della favola imparano insieme ad avere coraggio, intraprendenza e fiducia in sé stessi e a vivere una dimensione creativa e profonda, che gli permetterà di raggiungere i propri sogni…
“Il gioco del vino” è il vostro nuovo singolo. Il brano è energico e dal ritmo incalzante, e personalmente mi fa pensare molto ai Litfiba. Ci ho preso? Quali sono gli artisti a cui vi ispirate nel vostro lavoro o che comunque considerate dei punti di riferimento?
Conosciamo bene i Litfiba, erano tra quegli artisti che a volte ci capitava di ascoltare dallo stereo dei nostri genitori, magari tra alcuni nomi come Branduardi, Vinicio Capossela, Battisti, Fabrizio De André e Guccini, anche se poi negli anni, hanno prevalso sui nostri ascolti i cantautori appena citati. Negli ultimi anni gli artisti che abbiamo apprezzato particolarmente del panorama italiano sono stati principalmente Motta, Eugenio in Via di Gioia, Brunori Sas, Lucio Corsi e Zen Circus, per citare alcuni nomi. L’Italia in questi ultimi anni, come abbiamo visto palesarsi nell’ultimo festival di Sanremo, sta attraversando musicalmente un cambio generazionale, che sta offrendo tanta buona musica e diversità di generi, che prima rimanevano più circoscritti in un pubblico di nicchia. Il tutto ci rende molto fiduciosi sul nuovo panorama musicale.
So che avete aperto i concerti di numerosi artisti importanti (come Pinguini Tattici Nucleari, Bandabardò, Meganoidi, Lorenzo Kruger ecc). Avete qualche aneddoto divertente da raccontarci?
Quando si va in tour torniamo sempre a casa con un bagaglio di ricordi enorme! Sarebbero decine e decine gli aneddoti da raccontare come: frizioni bruciate, telecomandi apricancello che si rompono in piena notte prima di entrare nel B&B, nuotate nelle acque dei fiumi romagnoli ecc… Una serata però che ricordiamo sempre con gioia fu a Sessano del Molise in apertura alla Riserva Moac. Finito il concerto abbiamo fatto nuove conoscenze e ci siamo trovati nel parco del paese a suonare e cantare. In breve tempo quelle 5/6 persone iniziali sono diventate probabilmente più di 30! Siamo andati avanti per più di un’ora e dopo l’ennesima chiamata del nostro tour manager siamo stati costretti a riporre le chitarre per raggiungere il B&B dove avremmo passato la notte.
Prima di partire però dovevamo risolvere un problema che era sopraggiunto all’arrivo: il bagagliaio della nostra auto non si chiudeva più. Alle 3:30 del mattino è iniziata quindi la nostra ricerca di spago, forbici e lucidità, per chiudere alla “meno peggio” il baule. Lo spago che abbiamo trovato, ci ha salvato quella sera e i giorni successivi dal distribuire i nostri strumenti per l’entroterra molisano e pugliese.
Qual è fra questi il concerto che vi portate nel cuore?
Tra tutti probabilmente il concerto che ci è rimasto più a cuore fu l’apertura della Bandabardò, nell’agosto 2019. Un concerto che si concluse con l’invito a salire sul palco da parte del grande Erriquez e a cantare e ballare sulle note di “Se mi rilasso collasso”. Fu una serata particolarmente speciale, di cui ricordiamo una persona altrettanto speciale che purtroppo non c’è più.
La vostra musica è davvero molto particolare e si distacca a mio avviso da ciò che attualmente il panorama italiano propone. Ma c’è qualche artista italiano (famoso o emergente) con il quale vi piacerebbe collaborare?
Grazie intanto per aver definito la nostra musica distaccata dal resto, per noi è un elemento di vanto, perchè abbiamo sempre trovato nel diverso un motivo di curiosità e nuovi stimoli. Non a caso, tra gli artisti che amiamo, abbiamo sempre trovato grande libertà e sincerità in loro stessi, caratteristiche per noi fondamentali in tutto ciò che facciamo. Se dovessimo nominarne un paio, sarebbero sicuramente Motta e gli Eugenio in Via di Gioia, di cui di questi ultimi apprezziamo molto anche i temi spesso trattati, per nulla scontati, che danno un grande valore aggiunto alla loro musica.
Si chiama Samuele Zaminga, in arte solo Zaminga, ed è un cantautore nato e cresciuto nella periferia sud di Reggio Calabria e trapiantato a Torino.
Lo scorso 19 marzo è stato rilasciato il suo nuovo singolo, intitolato “Guinzaglio” e distribuito da Artist First.
Ciao Samuele. Domanda di rito, un po’ pesante in questo momento: come stai?
Ciao Marianna. Domanda assolutamente non banale. Al di là dei limiti imposti da questi tempi surreali paradossalmente devo dirti che mi trovo in un momento abbastanza sereno e produttivo. Stanno succedendo tante cose intorno a me e questo è benzina per pensare ottimisticamente al futuro. Quest’ultimo anno di vita mi ha insegnato l’importanza di mantenere sempre un’attitudine positiva agli accadimenti, piccoli o grandi che siano, di tenerli stretti, che non c’è nulla di scontato o dovuto.
“Guinzaglio” è il tuo ultimo singolo. È un brano che hai scritto durante la prima ondata, in pieno lockdown. Lo definisci “un testo di resilienza”, e io sono pienamente d’accordo. È anche un brano che fa sognare un ritorno alla normalità quotidiana, che ci manca anche con le sue banalità e i suoi problemi. Puoi dirci qualcos’altro su questo brano? Come ti sei sentito nel realizzarlo e come ti senti ora a ricantarlo, a distanza di un anno da quel momento?
Guinzaglio ha avuto una “gestazione” piuttosto veloce, è nata quasi di getto. Il vissuto di allora, manco a dirlo, era un concentrato di apprensione mista a insofferenza. C’era un’urgenza comunicativa di qualcosa di “terapeutico”, che potesse esorcizzare quella sensazione di inerzia soffocante. Al tempo stesso non mi andava neppure di essere troppo contingente. Guinzaglio, infatti, non è una canzone sulla pandemia o sul lockdown, nelle intenzioni è più un monito (a me per primo) a reagire allo straniamento provocato dai traumi vissuti e al tempo stesso ad accettarli come “parte del gioco”.
L’idea di “pisciare sui problemi” (che ha una reference cinematografica) è un immagine forte, forse poco ortodossa ma che in quel momento riassumeva perfettamente il mio bisogno di evasione. Proprio a motivo di questa ricerca di astrazione oggi mi suscita sensazioni perfettamente analoghe, continuo a scorgerci un messaggio attuale e sempre valido. Scrivere canzoni che non invecchiano sta diventando un po’ una prerogativa per me.
E adesso? Stai lavorando a qualcosa di nuovo?
Certamente. Sto scrivendo nuove canzoni e spero di tornare presto in studio. Intanto siamo in dirittura d’arrivo col video sul quale ci siamo sbattuti parecchio.
Tu sei, come me, un ragazzo del sud trapiantato al nord. Come ti senti a riguardo? Ti manca la tua terra? La tua meridionalità la porti con te nelle tue canzoni?
Premesso che amo la città che mi ospita sono una persona molto fiera riguardo alle proprie origini, con un forte attaccamento alle radici. La nostalgia per la mia città è in ogni caso una compagna fedele da sette lunghi anni, ma è anche ciò che ogni volta rende più intenso il ritorno. In Guinzaglio ho menzionato le onde del mare non a caso, proprio perchè la loro perseveranza esemplifica perfettamente quell’ambizione di cui parlo nel ritornello a sapersi sempre adattare ai cambiamenti senza subirli. C’è quindi sicuramente una connessione mentale coi luoghi che sanno di casa. Anche questo spirito di adattamento credo che noi meridionali ce lo portiamo dietro tutta la vita. Non possiamo farne a meno, come col pacco da giù.
Se pensi ad un futuro senza chiusure e restrizioni, dove ti piacerebbe suonare?
Considerando che sul fronte live causa covid il progetto è rimasto ai nastri di partenza in questo momento il palco del MI AMI o quello del pub sotto casa per me sono la stessa cosa. Mi piacerebbe comunque partire da dove tutto è nato, Reggio e Torino, credo di doverlo a tutte le persone che mi hanno supportato nel muovere i primi passi in questo nuovo percorso. Roma e Milano? Un sogno.
Venerdì scorso ha visto la luce “come un film di wes”, il primo singolo di nube per Revubs Dischi; la ballad del cantautore astigiano è subito stata notata, tra gli altri, anche da Spotify, che ha deciso di inserirla nelle sue playlist editoriali New Music Friday e Scuola Indie. Per convincere anche voi a fare lo stesso, abbiamo fatto qualche domanda al ragazzo:
Ciao Nube, benvenuto su Indielife! Domanda spaccaghiaccio utile ad introdurti: tre aggettivi capaci di raccontare Nube. Nel bene e nel male!
Ciao e grazie per avermi voluto qui! La domanda sugli aggettivi mi mette sempre in crisi, ti dico nostalgico, malinconico e lunatico.
Come comincia il tuo rapporto con la musica? Qual’è il primo ricordo che hai di te su un palco?
Il mio rapporto con la musica inizia da prima che nascessi, da quando mia madre col pancione ascoltava Bregovic e musica balcanica. E’ un rapporto che non si spiega, c’è e ci sarà sempre. Il primo ricordo sul palco è legato alla mia prima band in cui facevo il batterista, la serata si chiamava “Prismart” e fu una delle più belle serate della mia vita. Ricordo quel periodo, fine della quinta superiore, come un vortice incessante di emozioni e mi manca da morire.
E invece, di momenti imbarazzanti “on stage” ne hai vissuti? Raccontacene almeno uno!
Il momento più imbarazzante sul palco è stato quando ho dovuto cantare un pezzo che era originariamente di 80bpm a 120bpm perché sbagliammo i settings di Ableton, il risultato fu abbastanza esilarante.
“Come un film di Wes” è il tuo primo singolo per Revubs Dischi. Il brano sembra raccontare un amore che si fa tormento, dipinto con una “color correction” che effettivamente ricorda lo stile di Wes Anderson. Linguaggi che si incontrano e si incrociano: che rapporto hai con il cinema, e con il suo tipo di scrittura?
Il cinema mi è sempre sembrato, insieme alla musica, il modo migliore per evadere dalla realtà. Mi lascio ispirare molto dai film che vedo e dalle immagini in generale, molte volte mi capita di scrivere immaginandomi già il video musicale. “Come un film di Wes” è la traduzione musicale delle emozioni che mi danno i colori di Wes Anderson nel film “Moonrise Kingdom”. Ci tengo a ringraziare Gianvincenzo Pugliese ed Alessandro Rocchi per la realizzazione dei video promozionali.
Ma come mai proprio “Nube”? Alla fine del tuo brano canti, al destinatario del pezzo, che è come una goccia di pioggia che rinfresca la tua testa incasinata. Insomma, sembri un vero appassionato di rovesci e precipitazioni! Cosa rappresenta per te la nube, la pioggia, il maltempo in generale?
Ho scelto il nome Nube perché le nuvole rappresentano pienamente il mio modo di vedere e vivere il mondo. Le nuvole non hanno una forma unica e si lasciano trasportare dal vento senza sapere dove le sta portando, questa è un po’ la mia visione del mondo che si riflette anche nel mio modo di produrre. In generale il vento, la pioggia ed il maltempo mi mettono di buon umore, non a caso la mia città preferita è Londra.
Vetrina dei consigli: tre artisti emergenti che spaccano.
Mi piacciono moltissimo Frambo, Fotomosse e ovviamente mio fratello Maelstrom a cui produco i brani.
Immune, noi di Indielife, lo avevamo ospitato virtualmente sulle nostre colonne all’incirca un mese e mezzo fa, quando la nostra fanzine è stata trasformata, per lo spazio di una live session, nella prima tappa del suo DPCM (Dal Palco di Casa Mia) Digital Tour: fu l’occasione perfetta per riassaporare l’ormai remoto gusto del palco (seppur virtualmente), alimentando l’attesa per quel disco d’esordio che finalmente ha visto la luce, consegnandosi ieri alle orecchie di pubblico e addetti al settore.
“Origami“, e nessun titolo poteva essere più azzeccato di quello scelto da Immune per raccontare la manifattura artigianale, paziente e complessa dei dieci brani della tracklist, che attraverso quello speciale gioco illusionistico che da sempre avvicina arte e magia riescono a far credere all’ascoltatore di trovarsi di fronte a qualcosa di bellissimo perché semplice – come una cassa in quattro o come, appunto, un origami – ma che in realtà nasconde nelle sue sfumature policromatiche il gusto complesso della ricerca e della sperimentazione.
Sin dai primi secondi di “WA”, emerge tutto l’afflato elettronico dell’anima noir di Immune: sintetizzatori e delay sembrano essere gli strumenti principali della rivoluzione estetica che il cantautore piemontese persegue, fondendo poesia e dancefloor nella tessitura curata di una produzione intelligente ed eclettica; “Origami”, la titletrack, è l’urlo liberatorio che, dopo l’afasia frammentata dal retrogusto orientaleggiante dell’introduzione, si concretizza nella rabbia del manifesto: “Chiuso in un barattolo”, “Prima di te”, “Guardandomi” e “Scura” offrono all’ascoltatore l’autopsia di un amore diventato catena, corona di spine condivisa con chiunque nella vita abbia amato veramente; ecco perché “Origami” assomiglia ad un processo di auto-terapia, certo, ma che spinge verso la catarsi: nella storia di Immune si specchiano le storie di tanti, rendendo così il disco un racconto che si fa comune, di tutti.
“Profondo Blu”, “Discoparty” e “Evadere” aprono invece spioncini luminosi da cui filtra la luce necessaria a non far demordere il cuore, che in “Invisibile” pare trovare la dimensione perfetta per l’accettazione delle proprie debolezze, trasformate ora in punti di forza. Insomma, “Origami” è una lezione di musica e filosofia quotidiana, utile a ricordarci che, nonostante le distanze siderali, non smettiamo di essere vicini nella nostra umana predisposizione, come direbbe De André traducendo Cohen, «al trionfo e al pianto».
Bravo Immune, ci hai già fatto salire la voglia di un secondo disco.
“Si chiama Alekos Zonca il giovanissimo cantautore di Torino conosciuto da tutti come Narratore Urbano. Ed è un genio assoluto, oltre che un grandissimo talento.”
Così vi avevamo presentato Narratore Urbanoin un nostro vecchio articolo, pubblicato in occasione dell’uscita del suo singolo “25MAG”.
OraNarratore Urbano è tornato con un album bomba, figlio del periodo assurdo che da un anno a questa parte tutti stiamo vivendo. Si intitola “POST” ed è un album pubblicato in capitoli.
Il Volume 1 è stato rilasciato lo scorso 19 marzo e contiene al suo interno tre singoli: Zenzero, Articolo 1 (feat. Protto) e 25MAG.
Godetevi la nostra intervista a Narratore Urbano: un viaggio fra Torino, la musica e la pandemia.
Ciao Ale, forse non è il periodo giusto per fare questa domanda ma io voglio rischiare: come stai? Come trascorri le tue giornate in un’ennesima zona rossa?
Ciao a voi di Indielife. Nessun rischio. Diciamo che è un periodo relativamente tranquillo, sto imparando a sopravvivere nella mia solitudine, accontentandomi di sentire i miei amici al telefono, e stando in compagnia del mio gatto Marsala e della mia musica, contrariamente a quanto accaduto durante il primo Lockdown di un anno fa. Avere un progetto a lungo termine aiuta parecchio a non pensare al resto, a ciò che ci circonda, e questo forse è un bene… anche se ho un po’ paura se penso all’idea di rassegnarmi.
Da cantautore emergente come stai vivendo questo periodo di blocco totale? C’è ancora speranza per la musica e la cultura in Italia, “la Repubblica oligarchica fondata sulla disoccupazione”?
Purtroppo tutto il settore musicale sta soffrendo una crisi senza precedenti soprattutto a livello underground, ovvero il luogo dove nascono i progetti che saranno il domani della musica. Non nascondiamocelo: la cultura e l’arte sono sempre stati all’ultimo posto nelle priorità di tutti i governi che si sono avvicendati. Forse per mancanza di fondi, più probabilmente perché un popolo ignorante è decisamente più facile da governare.
La questione pandemica è stata solo un catalizzatore per un processo già avviato da tempo in tutto il settore dello spettacolo. Ho sentito italiani confondere le discoteche con i club live e i musicisti con i milionari. Non è proprio così. Le cose stanno diversamente e prima ci sarà un’inversione di rotta, prima potremo pensare a debellare il virus dell’ignoranza. E di conseguenza anche quello meno metaforico che ha ormai invaso la nostra quotidianità.
Ci racconti qualcosa in più su di te e sul tuo percorso artistico?
Ho iniziato a suonare a 16 anni, in una delle band della scuola dove andavo a Pinerolo: facevamo cover degli Oasis e degli U2. Poi, una volta avviato il mio percorso universitario, ho cominciato a frequentare Torino e la sua scena, dapprima come chitarrista in due gruppi, poi come cantautore solista.
Il nome Narratore Urbano nasce dopo un concerto, sempre a Pinerolo, con i miei amici e colleghi The Lansbury. Luigi, il loro batterista, si è riferito ai miei brani come a delle vere e proprie “narrazioni urbane”. L’espressione mi piacque e decisi di farla diventare una dichiarazione di intenti, un nome da usare per potermi definire meglio davanti al pubblico. A luglio del 2019 ho iniziato a collaborare con Fabrizio Pan (frontman dei Melody Fall e produttore di Pan Music Production) registrando i miei primi singoli , ovvero “1939” e “Zucchero Filato“.
A Marzo 2020 ho rilasciato il mio primo EP, Fine delle Trasmissioni. Purtroppo il release party, previsto all’OFF Topic per il 5 Marzo è saltato a causa del primo grande DPCM. Dopo un periodo di crisi ho ripreso il progetto a Settembre con alcuni live (Bunker per Sofà so Good, Blah Blah, Diavolo Rosso ad Asti e Joshua Blues Club a Como). Attualmente sto lavorando al mio primo album: POST.
Il 19 marzo è uscito Il Capitolo 1 di “Post”, un album sviluppato appunto in capitoli pubblicati con scadenze diverse. Ci racconti qualcosa di questo tuo lavoro?
POST è un album a capitoli. Nasce dall’esigenza di raccontare il cambiamento, le contraddizioni e le difficoltà di questa nuova era che ci ha colto del tutto impreparati. Sarà un viaggio sia attraverso gli eventi di questi anni dimenticabili, sia attraverso la giungla di emozioni e sentimenti spesso difficili da esternare in altro modo. Il tutto lungo un percorso interiore di consapevolezza.
Si parte dal Vol. 1 che racconterà il trauma. “Zenzero“, traccia di apertura, descrive la discesa dell’Arte a Torino, che come una ragazza vaga attraverso le strade della città consapevole di quanto questa scena musicale e questa città abbia da offrire. Quest’entusiasmo viene però stroncato dal primo Lockdown, raccontato attraverso un delirio/sfogo in “Articolo 1“. La domanda che ci siamo tutti posti almeno una volta è “Ne siamo usciti davvero migliori?”. Questa ha trovato la sua risposta più efficace a pochi giorni dalla fine della prima quarantena, per l’esattezza il 25 maggio 2020, con l’assassinio di George Floyd, evento che da il nome a “25MAG“.
Posso già anticipare che il secondo capitolo riprenderà la riflessione a partire dall’estate del 2020, con il delirio delle riaperture e dalle contraddizioni, sviluppate nel brano “Gagarin”, per iniziare una nuova riflessione interiore: Ha senso cercare le risposte nel nostro passato? Magari nella nostra infanzia o nella nostra adolescenza? Queste domande troveranno risposte nei brani “Video8 (Autunno 2003)” e “233 Gradi Centigradi” che vedrà la collaborazione di un’artista e amica che stimo tantissimo, Rossana De Pace.
Mi sento di aggiungere che tutto questo non sarà solo un lavoro musicale. Ad esempio con Carlotta Anguilano, fotografa, stiamo sviluppando una storyline parallela che racconta attraverso Instagram i riferimenti culturali di POST. Con Chelo ci stiamo concentrando sulle copertine, mentre con il videomaker Edoardo Giuliani e l’attrice/modella Gaia Morellato stiamo creando un lungometraggio che sarà anch’esso parte del progetto POST.
Quando finalmente tutto sarà finito dove ti piacerebbe poter suonare? O con chi ti piacerebbe collaborare?
Oltre alla collaborazione con Rossana e con Protto (in “Articolo 1“) sono previsti altri due featuring all’interno dei capitoli 3 e 4 (ma non voglio spoilerare ancora nulla).
Mi piacerebbe poter ripartire presentando POST proprio nel luogo dove ho lasciato tutto in sospeso, ovvero l’OFF Topic.
Ho tantissime collaborazioni tra i miei sogni, sicuramente con artisti della scena come gli Igloo, i The Lansbury, Anna Castiglia, Irene Buselli, Francamente e perché no gli Atlante.
Se dovessi sognare più in grande (ma qui si parla di sogni nel cassetto difficilmente realizzabili nell’immediato) ovviamente mi piacerebbe un giorno collaborare con Vasco Brondi, Murubutu, Rancore e gli Eugenio in Via di Gioia. Anche se è troppo presto per parlarne, che cos’è un artista se non un gran sognatore che non si è ancora arreso?
Si chiama Fabrizio Fusaro, in arte solo Fusaro, ed è un giovane cantautore torinese. Venerdì 5 febbraio è stato rilasciato il suo primo album, intitolato “Di Quel Che C’è Non Manca Niente”.
Ma qualche settimana fa, prima dell’uscita del disco, abbiamo chiacchierato con lui sul lavoro precedente. Fusaro ha infatti da poco rilasciato anche il singolo Serie A, brano realizzato assieme al cantautore Bianco (di cui vi abbiamo parlato nel nostro articolo) e che ha anticipato l’uscita del disco.
Rispolveriamo quindi la nostra vecchia intervista, in attesa di fare due chiacchiere con l’artista sul suo nuovo album.
Ciao Fabrizio. Per cominciare, come stai? Come ti senti per l’uscita del tuo primo album? Sei emozionato?
Molto emozionato. Aspetto questo momento da tanto tempo, ho speso tante energie per arrivare fino a qui ed oggi non sembra vero. In fondo è un percorso iniziato nel 2019, con l’uscita del mio brano “Solo un giocattolo”. Non vedo l’ora.
La tua musica è poesia pura. I tuoi brani sono dei regali in cui la tua voce delicata ed emozionante e i suoni dolci e armonici si uniscono ad una scrittura profonda. Dove trovi l’ispirazione per realizzare tutto questo?
L’ispirazione la trovo in ciò che mi succede, in quello che mi riguarda e che mi tocca durante il giorno. È un modo anche per cristallizzare momenti e ricordi della mia vita, per poi riascoltarli con calma e ripensarci a mente fredda. Percorro questa via di comunicazione più soffusa perché la trovo più naturale, più adatta alla mia scrittura. A volte non serve gridarle certe parole, altre volte sì.
“Di quel che c’è non manca niente” è il tuo disco d’esordio, e già dal titolo promette molto bene. Puoi raccontarci qualcosa? Da quanto tempo ci stai lavorando? Cosa dobbiamo aspettarci?
In realtà il periodo di lavorazione e scrittura del disco dura da sempre. È infatti una fotografia della mia crescita e del mio percorso. Ci sono alcuni brani scritti molto tempo fa, altri in prossimità delle registrazioni. “28 dicembre” è stata scritta grazie al Reset Festival nel 2017, “Dormi serena” è nata pochi giorni prima di entrare in studio, rimescolando un po’ le carte in tavola. La produzione e la collaborazione con Ale Bavo invece si è concretizzata nel 2019, anno in cui abbiamo scelto insieme i brani più adatti e li abbiamo lavorati in studio.
Anche se da quando ti ho scoperto ascolto tutti i tuoi brani in loop, personalmente credo che “Solo un giocattolo” sia quello che mi fa emozionare di più (fra quelli che hai pubblicato finora s’intende). Nonostante il testo mi faccia pensare a qualcosa di triste e pesante, l’azzurro della copertina e la musica del ritornello mi fanno davvero immaginare di staccare i piedi da terra e cominciare a volare. Tu riesci ad avere sempre i piedi per terra o ti definisci più un sognatore?
Direi che sogno poco ma molto intensamente. Sono rari i momenti in cui mi lascio andare ed immagino scenari futuri e fantastici, proietto le mie canzoni nel futuro ed incastro coincidenze impossibili. Di solito durano poco questi viaggi, soprattutto per la grande paura che non si avverino e di rimanere deluso. In fondo questo disco sta uscendo in un periodo particolarmente sfortunato per tutti, in cui ogni piccolo passo è un grande traguardo. Quindi tengo saldi i piedi per terra, e mi lascio volare ogni tanto per non dimenticarmi quanto è bello sognare.
Immune, sulle colonne di Indielife, ormai è presenza ricorrente: merito di un percorso convincente che, da qualche anno a questa parte, fa parlare di sé a colpi di qualità e identità autorale.
Alla fine del 2020, avevamo lasciato il cantautore piemontese di origini sarde con un brano da dancefloor, che aveva fatto salire in tutti noi la giusta nostalgia da live: “Discoparty”, il suo ultimo singolo per Revubs Dischi, sembrava già allora ammiccare a quella foga inestirpabile che anima ogni musicista e ascoltatore che si rispetti, incapace di accontentarsi di fruire la musica, come fosse un prodotto da consumare, solo sugli scaffali dei discount digitali.
E forse, già allora stava nascendo in Immune la necessità di trovare vie alternative all’immobilismo e al silenzio al quale la pandemia sembra averci abituato, riducendo allo zero la nostra capacità di reazione e relegando all’attesa la necessità di riportare la musica allo suo stato primigenio e vitale: quello che vive di palchi e sudore, di contatto e distanze ravvicinatissime.
Ecco perché oggi, noi di Indielife, non possiamo che essere entusiasti di ospitare la prima tappa di un tour digitale che, da qui alle prossime sei settimane, porterà Immune all’agognato traguardo del disco d’esordio (la cui pubblicazione è prevista – piccolo spoiler – per fine marzo).
Quattro live session “Dal Palco di Casa Mia” (interessante adattamento dell’ormai celebre acronimo DPCM) oggi ai blocchi di partenza con “Discoparty”; così ne parla Immune:
“Tutto è fermo, immobile, impolverato in attesa della vibrazione di un sub woofer, del calore di una luce colorata dal palco. L’anima brucia, impaziente di sentire il respiro della musica suonata. Tre anni a scrivere canzoni e a spremere lo spirito; il disco è pronto, è sopra il livello massimo, vuole essere suonato. Per adesso ve ne porto un po’ in digitale, l’emozione non è la stessa ma la voglia è tanta. Oggi per sentirci meno soli e placare la voglia di succhiare cuori vi porto ad un party“.
E allora godiamocelo, il party segreto e galeotto offerto da Immune, per non dimenticare quanto ci manchi tutto questo.
Mattia Pellicoro è un giovane cantautore, classe ’91, autore di “La strega“, brano che è stato rilasciato lo scorso 3 dicembre.
Nato e cresciuto con la musica, dopo aver frequentato uno stage per cantautori al CET di Mogol parte per un’esperienza Erasmus in Spagna. Qui, nel 2014, pubblica “Noche De Erasmus“, grazie al quale comincia ad esibirsi in giro per la Spagna.
Il suo nuovo singolo “La strega” era già stato presentato lo scorso anno alla Finale di AREA SANREMO e ha portato a Mattia Pellicoro un discreto successo.
Questo brano è “un inno alla ribellione contro chiunque imponga un’idea come un prodotto già stabilito e non come un pensiero e un’unicità”. Le sonorità ci riportano alla mente ambientazioni mitologiche, mostrandoci la figura di una donna che è un po’ una strega e un po’ una sirena ammaliatrice.
Ma non vi diamo altre anticipazioni. Per scoprire chi è Mattia Pellicoro e la sua “Strega”, guardate la nostra video intervista.
Il fenomeno della musica Indie rappresenta ormai la nuova corrente di stile, di pensiero e di aspetto rispetto al quale il vecchio mondo del Pop italiano si sta modificando e adattando.
L’Indie ormai non è più un fenomeno di nicchia, lo ritroviamo infatti più forte che mai nelle top hits italiane, nelle classifiche dei più ascoltati su piattaforme di streaming come Spotify e niente di meno che nel festival per eccellenza come quello di Sanremo di quest’anno.
A questo punto la domanda sorge spontanea per i neofiti del nuovo filone Indie… Quali sono gli artisti da conoscere assolutamente?
Abbiamo voluto racchiudere quelli che riteniamo i più interessanti e i più ascoltati nell’anno appena passato, ecco quindi i 10 artisti Indie che devi assolutamente conoscere:
(gli artisti sono in ordine casuale e non di importanza)
Arriva al successo nel 2015 con il suo secondo album Mainstream, album contenente pezzi del calibro di ‘Cosa mi manchi a fare‘ e ‘Oroscopo‘. La vera esplosione è nel 2018 con l’album Evergreen e soprattutto con i singoli ‘Paracetamolo’, ‘Pesto’, ‘Kiwi’ e ‘Orgasmo’.
Tante le collaborazioni per lui, tra le più importanti quelle con Luca Carboni, Giorgio Poi, Elisa Toffoli e Tiromancino.
Da ascoltare:
Cosa mi manchi a fare
Oroscopo
Paracetamolo
Pesto
Kiwi
Orgasmo
2) COEZ
Pseudonimo di Silvano Albanese (Nocera Inferiore, 11 luglio1983), Coez rappresenta il punto di confine tra il suo passato da rapper e la sua evoluzione in artista Indie pop di cui oggi è considerato sicuramente tra gli esponenti principali.
Il primo disco solista con sonorità Indie è ‘Faccio un casino’ pubblicato nel 2017 e contenente singoli come ‘Faccio un casino‘ e ‘La musica non c’è‘, singolo che più di tutti ne certifica il successo nazionale.
L’ultimo singolo rilasciato è ‘E’ sempre bello‘ pubblicato l’11 Gennaio 2019.
Inizia a farsi notare nel 2016 con il singolo ‘Quella te‘, singolo che cattura l’attenzione di tutto l’ambiente. Il brano anticipa il rilascio del primo album intitolato ‘Superbattito‘ pubblicato nel 2017. L’album contiene pezzi importanti come: ‘Quella te‘, ‘Zucchero filato‘ e ‘Nmrpm‘. Pubblicati come singoli risaltano anche ‘Sayonara’ e ‘Stelle filanti’.
Nel 2018 vede la luce ‘Punk’, ultimo album in studio di Gazzelle. L’album vede al suo interno i singoli: ‘Sopra‘, ‘Tutta la vita‘ e ‘Scintille‘.
Da ascoltare:
Quella te
Nmrpm
Zucchero filato
Sayonara
Nero
Sopra
4) FRAH QUINTALE
Frah Quintale, all’anagrafe Francesco Servidei (Brescia, 27 dicembre 1989), è un artista poliedrico, capace di passare facilmente dall’hip hop fresco e divertente all’indie più sentito e romantico.
Muove i suoi primi passi nella scena Hip Hop nel 2006 con il duo ‘Fratelli Quintale’ e si avvicina al genere grazie alla passione per la pittura.
La svolta nel mondo Indie avviene nel 2017 con l’album ‘Regardez Moi‘, al suo interno pezzi come: ‘8 miliardi di persone’, ‘Si,ah’, ‘Hai visto mai’, ‘Cratere’ e ‘Gli occhi’.
Tra le collaborazioni il singolo del 2018 ‘Missili’ in collaborazione con Giorgio Poi.
Pubblica il suo primo album da solista, ‘Disordine‘, nel 2013 e nel 2016 lo ritroviamo con il suo secondo album ‘L’ultima festa‘.
La svolta nel 2017 con la pubblicazione del singolo ‘Sei la mia città‘ che diventa subito un successo. A questo seguirà il terzo album nel 2018 dal titolo ‘Cosmotronic‘.
Da ascoltare:
Sei la mia città
L’ultima festa
Turbo
Quando ho incontrato te
Le voci
6) THEGIORNALISTI
I Thegiornalisti sono il primo gruppo Indie della nostra lista, nascono nel 2009 a Roma dall’incontro di Tommaso Paradiso, Marco Primavera e Marco Antonio Musella.
I Thegiornalisti riescono ad unire testi divertenti e spensierati a tipiche sonorità Indie, questa è la chiave per il loro successo immediato.
Da questo album vengono estratti i singoli ‘Completamente’, ‘Sold Out’, ‘Tra la strada e le stelle’ e ‘Il tuo maglione mio’, singoli che contribuiranno a far conoscere il gruppo al pubblico italiano.
Nel 2018 esce l’album ‘Love‘ in cui troviamo i singoli ‘New York‘, ‘Questa nostra stupida canzone d’amore‘, ‘Felicità Puttana‘.
Con i suoi testi si possono vedere e vivere le strade di Roma con tutti i suoi abitanti, i suoi difetti e soprattutto con la quotidianità che spesso viene trascurata.
Gli esordi nel 2012 con il gruppo ‘Molto peggio crew’, lo stile, più vicino inizialmente al mondo Hip Hop, cambia dopo l’incontro con Franco 126 con il quale inizierà un nuovo progetto chiamato appunto Carl Brave x Franco126. I due rilasceranno presto l’album ‘Polaroid‘ che li lancerà definitivamente nel mainstream.
Nel 2018 esce ‘Notti Brave‘, primo album solista che vede collaborazioni del calibro di ‘Coez’, ‘Giorgio Poi’, ‘Francesca Michielin’, ‘Fabri Fibra’, ‘Frah Quintale’ e altri.
Da ascoltare:
Posso (con Max Gazzè)
Fotografia (con F.Fibra, F. Michielin)
Barceloneta (con Franco126)
Polaroid (con Franco126)
Argentario (con Franco126)
Pellaria (con Franco126)
8) MOTTA
Francesco Motta, noto anche solo come Motta(Pisa, 10 ottobre1986) è forse il più introverso e misterioso tra tutti gli artisti di questa speciale raccolta.
E’ attivo come solista dal 2016, anno in cui vede la luce il suo primo album La fine dei vent’anni. Da qui il successo di Motta si amplifica fino a diventare uno degli artisti più interessanti e riconosciuti della scena Indie italiana.
Fausto Zanardelli (Fausto Lama) e Francesca Mesiano (California), sono i COMA COSE, il duo più interessante della scena Indie Italiana.
La personalità dei Coma Cose emerge attraverso una musica che è un misto di rap ed elettronica e tramite uno stile urban tutto segnato da testi talmente particolari che Spotify ha deciso di creare un vero e proprio vocabolario per spiegarne i neologismi.
A Marzo del 2019 è uscito ‘Hype Aura’, primo album del duo milanese contenente tracce già conosciute come ‘Granata’ e ‘Via Gola’.
La band bolognese ha da sempre messo i testi al centro del loro progetto musicale, si percepisce riascoltandole la vicinanza della band al loro territorio e a tematiche sociali che li caratterizzano dalle altre band della scena.
Termina qui la nostra raccolta dei 10 artisti Indie che devi assolutamente conoscere, come detto si tratta di una selezione fatta prendendo gli artisti più in evidenza nell’ultimo anno e sappiamo bene di aver tralasciato anche altri nomi….
Ti va di suggerirceli? Lascia un commento qui sotto…
Fidelio è un progetto musicale creato da Andrea Aniello e Valerio Martino. Il duo torna con “David Costa Wallace”, un brano che esplora il sottile confine tra informarsi e lasciarsi influenzare. Il titolo, un ironico richiamo a David Foster Wallace, evidenzia il parallelismo tra lo scrittore e Francesco Costa, il cui podcast “Morning” ha profondamente segnato il dibattito pubblico.
In questa intervista, approfondiamo il significato di “David Costa Wallace” e il percorso artistico di Fidelio.
Il tuo nuovo brano, “David Costa Wallace”, analizza l’influenza che Francesco Costa e il suo podcast Morning hanno avuto sulla quotidianità e sul pensiero dei suoi ascoltatori. Come è nata l’idea di scrivere una canzone su questo tema?
L’idea è nata da un momento di autoconsapevolezza. Ascoltavo Morning e mi sono reso conto che, senza volerlo, il mio universo informativo si stava restringendo attorno a quello che diceva Francesco Costa. Non solo: le mie opinioni si plasmavano sulle sue, che sono sempre argomentate e corrette, ma proprio per questo finivano per diventare anche le opinioni di tutti quelli che lo ascoltavano. Mi sono accorto che il dibattito intorno a me si appiattiva sugli spunti di Morning: parlavamo tutti delle stesse cose, nello stesso modo, con le stesse certezze. David Costa Wallace nasce da questa riflessione: un gioco di specchi tra informazione e assorbimento culturale, tra chi racconta il mondo e chi, ascoltandolo ogni giorno, finisce quasi per viverlo solo attraverso questo racconto.
Nel testo del brano si percepisce una sorta di dualità: da un lato l’ammirazione per il podcast, dall’altro il timore di una sua eccessiva influenza. Puoi approfondire questo aspetto?
Sì, nel brano c’è una tensione continua tra fascinazione e inquietudine. Morning è un podcast condotto benissimo, con una qualità giornalistica altissima, e proprio per questo diventa facile lasciarsi trasportare senza nemmeno accorgersene. Intorno a me notavo che sempre più persone lo ascoltavano quasi con devozione, ripetendone gli spunti senza metterli in discussione, come se Costa fosse una fonte incontestabile. Non era solo informazione, ma un rito quotidiano che dettava il ritmo del pensiero e della conversazione.
Questa dualità è il cuore del pezzo: da un lato, l’ammirazione per un prodotto che funziona perfettamente, dall’altro il timore di quanto possa modellare il nostro modo di pensare in modo quasi automatico. La canzone non è un’accusa, ma una riflessione su quanto sia sottile il confine tra informarsi e lasciarsi plasmare.
Il titolo della canzone richiama ironicamente David Foster Wallace. Qual è il legame tra il celebre scrittore e il tema trattato?
Il titolo David Costa Wallace nasce da un’ironica provocazione: sia Francesco Costa per i suoi ascoltatori, sia David Foster Wallace per una certa élite culturale, sono diventati punti di riferimento indiscutibili, figure quasi sacralizzate. Il parallelismo sta nell’aura di autorevolezza e nell’influenza totale che esercitano: le loro parole non sono semplici spunti, ma verità assunte senza troppa critica da chi li segue con devozione.
Oltre a questo, David Foster Wallace ha esplorato in profondità il rapporto tra media, informazione e il modo in cui influenzano il nostro pensiero, spesso senza che ce ne rendiamo conto. Uno dei suoi temi ricorrenti è proprio la passività con cui assorbiamo contenuti, il rischio di essere spettatori più che individui critici.
Hai menzionato che “David Costa Wallace” fa parte di un concept più ampio, “Solo i borghesi sopravvivono”. Puoi parlarci di questo progetto?
Solo i borghesi sopravvivono è un concept che racconta il viaggio dall’illusione di poter rifiutare la vita borghese fino alla sua inevitabile accettazione, ma in modo consapevole. È una riflessione su come l’individuo, pur cercando di sfuggire a certe dinamiche, finisca per adattarvisi, a volte senza nemmeno accorgersene. C’è un chiaro riferimento a Fiorirà l’aspidistra di Orwell, con la stessa tensione tra ribellione e resa, tra il desiderio di distinguersi e la necessità di trovare un equilibrio con la realtà.
David Costa Wallace si colloca praticamente all’inizio di questo percorso, essendo il secondo pezzo dell’album. Ascoltare Morning può infatti sembrare un atto di anticonformismo, un modo per informarsi in modo indipendente, lontano dalle narrazioni mainstream. Ma l’adattamento a un sistema di riferimento che diventa totalizzante può anche comportare il rischio di una fruizione passiva e acritica, di una progressiva omologazione del pensiero. Per noi questo è un segnale di come il bisogno di appartenenza e di certezze possa lentamente smussare ogni spigolo critico, aprendo la strada a quella stessa normalizzazione che si voleva evitare.
Quindi, secondo voi, il successo di Morning e il modo in cui viene seguito dai suoi ascoltatori sono un sintomo di questa evoluzione verso una borghesia inevitabile?
Direi di no, non c’è un rapporto di causa-effetto, e neppure una vera correlazione diretta tra essere fan di Morning ed evolvere verso una borghesia “inevitabile”. Come detto in precedenza, questi sono piuttosto segnali, sintomi isolati di un fenomeno più ampio che abbiamo osservato e deciso di raccontare, con ironia e autoironia. Nell’ambito di un concept che racconta un’evoluzione, o declino, verso la vita borghese, questi segnali rappresentano le prime crepe, le avvisaglie di un possibile cambiamento, che però non necessariamente porteranno a un esito definito. Non vogliamo dare risposte definitive né tracciare teorie assolute, ma semplicemente mettere in luce certe dinamiche, lasciando spazio a chi ascolta per trarre le proprie conclusioni.
Quale messaggio sperate di trasmettere con “David Costa Wallace”?
Con David Costa Wallace speriamo di stimolare una riflessione sul modo in cui consumiamo l’informazione, anche quando proviene da fonti autorevoli e competenti. Non vogliamo offrire verità assolute, ma semplicemente invitare a interrogarsi sull’effetto che una fruizione passiva e acritica può avere sulle nostre opinioni e sul nostro modo di pensare.
Cosa possiamo aspettarci dal resto del concept “Solo i borghesi sopravvivono”?
David Costa Wallace è solo l’inizio. Cosa ci aspetta nel resto del concept? Immaginate un percorso che inizia con un disprezzo totale per la borghesia, un rifiuto ostinato dell’omologazione, e che si conclude con una resa inevitabile e consapevole. Non sarà una trasformazione lineare: ogni passo sarà accompagnato da dubbi, riflessioni e improvvisi sprazzi di lucidità, che lasceranno spazio a nuove domande. E chissà, magari scopriremo che la vera sfida non è tanto fuggire da un certo tipo di vita, ma imparare a viverla senza rinunciare alla nostra identità e godendo dei suoi benefici. In ogni caso, il viaggio è appena cominciato.
Abbiamo intervistato Blue Rose, che ci ha parlato del suo nuovo singolo “Stanze Vuote”, un brano che esplora il tema della crescita personale e della paura di uscire dalla propria zona di comfort. La canzone è nata in un momento della sua vita in cui si sentiva bloccata, ma la scrittura le ha dato la forza di affrontare le sue paure. La canzone rappresenta una riflessione sul coraggio di affrontare le difficoltà e rimanere fedeli a se stessi, anche quando le cose non vanno come ci si aspetta.
Il tuo nuovo singolo “Stanze Vuote” ha un forte messaggio di introspezione e crescita personale. Cosa ti ha spinto a scriverlo?
Mi trovavo un momento della mia vita in cui non riuscivo ad “uscire” fuori per come volevo. Ho scritto questo brano qualche anno fa e parla di me in prima persona, come mi sono sentita in una stanza vuota con la paura di uscire. Ho avuto la necessità di scrivere per avere più coraggio nella vita.
Nel testo parli dell’importanza di uscire dalla propria zona di comfort. Quanto è stato difficile per te affrontare questo passaggio?
Mi sentivo come chiusa in me stessa per la paura, questo brano invita tutti a trovare la forza di uscire, con coraggio, anche se sarà difficile. Molto spesso le cose non andranno come vogliamo e non sempre dipenderà da noi, ma è importante essere se stessi e mostrarsi per quelli che si è. Solo così possiamo trovare la nostra vera essenza e di conseguenza la nostra strada.
Nel brano parli anche dell’importanza di allontanarsi da persone che ci fanno sentire sbagliati. Hai vissuto questa esperienza in prima persona?
Si, come penso molti. Quando ti trovi a contatto con persone che non credono in te, è difficile andare avanti, soprattutto se sei giovane e all’inizio del percorso. Ho conosciuto, proprio all’inizio del mio percorso di studi, delle persone che non credevano per niente in me arrivandomi a dire “non hai musicalità”, “non è la tua strada”. Di queste frasi adesso ne faccio tesoro, cercando di prenderne il buono che c’è. Queste parole mi hanno solo fatto capire quanto la musica sia importante e faccia parte di me, quindi adesso senza paura e a testa alta continuo il mio percorso con la voglia di fare sempre meglio e di più.
Hai detto che il brano è nato come uno sfogo e che scrivere ti fa sentire vulnerabile. Come vivi questa vulnerabilità nella tua musica?
La scrittura è sempre stata un modo per sfogarmi e trovare me stessa. Grazie alla musica riesco a capire i miei problemi perchè, quando scrivo si attiva questo processo naturale per cui le parole fluiscono libere con la musica, inconsciamente. Escono fuori lati che teniamo nascosti nella vita di tutti i giorni, per questo motivo, scrivere musica, per me, è fondamentale.
Quale messaggio vorresti che il pubblico portasse con sé dopo aver ascoltato “Stanze Vuote”?
Il messaggio è quello di avere fiducia in se stessi, far uscire tutti i lati e mostrarsi anche vulnerabili. Non c’è niente di male ad avere delle fragilità, anzi ci rende più umani in questo contesto in cui ci viene richiesto sempre di essere perfetti.
ClaT torna con il singolo “Il-logico”, che anticipa il suo doppio album “Logic”. Con un’atmosfera ipnotica e un testo che esplora vulnerabilità e riflessioni interiori, il brano unisce bassi profondi e percussioni incisive, creando un contrasto emozionale tra tensione e rilascio. ClaT ci racconta come il pezzo sia nato da una sperimentazione musicale e come il videoclip, diretto da Alessandro Di Federico, accentui il tema di alienazione. Un’anticipazione potente di un progetto più ampio in arrivo entro l’estate.
Il tuo nuovo singolo, “Il-logico”, ha un’atmosfera ipnotica e intensa. Qual è stata l’ispirazione principale per questo brano?
“Il-logico” musicalmente è nata quasi per scherzo mentre provavo alcuni synth. Mi sono soffermato inizialmente su di un giro di basso ipnotico e, per accentuare poi la melodia nell’intro strumentale ho utilizzato un lead che mi sembrava divertente e di contrasto rispetto a come stava nascendo la canzone. La fusione di questi suoni mi ha convinto che potesse diventare un pezzo interessante e mi ha spinto a completare la base dandole una forma canzone.
Nel testo parli di déjà-vu, di errori che ritornano. Ti senti intrappolato in un circolo vizioso?
Sì, la tematica del testo è proprio incentrata su momenti di riflessione e ricerca interiore, quando la realtà sembra sfuggire alle regole e si ha la sensazione che si ripresentino stesse situazioni affrontate in passato.
Il basso è un elemento centrale del brano. Come hai lavorato alla sua costruzione sonora?
La canzone è nata proprio partendo dai bassi e dalle loro atmosfere. Il basso synth che ho usato in fase di composizione è però poi stato sostituito dal basso elettrico del mio amico Luca Mazzoni, già collaboratore sul mio primo album “Directions” assieme a suo fratello chitarrista Daniele. Reputo Luca uno dei bassisti migliori di Como ed infatti è riuscito a dare un tocco entusiasmante alla linea di basso.
Le percussioni sono essenziali ma incisive. Quanto è stato importante trovare il giusto equilibrio tra ritmo e atmosfera?
Davvero importantissimo. Il pezzo credo abbia un riuscito contrasto tra la ritmica allegra e solare ed una scelta invece di suoni più cupi, in linea col testo, per questo mi è sembrato molto riuscito e mi ha spinto ad utilizzarlo come primo singolo del doppio album “Logic” che lo conterrà.
Nel videoclip di “Il-logico” emerge un forte senso di alienazione e distanza emotiva. Come è nata l’idea della ragazza sul sedile passeggero?
Il regista, Alessandro Di Federico, è un caro amico di lunga data, con lui avevo già collaborato per il video di alcuni precedenti brani, “Strada” e “Fail”, che avevano video più studiati ed elaborati. Dopo avergli spiegato il senso di “Il-logico”, abbiamo subito concordato che doveva essere un video d’impatto immediato, basandoci più che su di una storia, sulla qualità delle immagini nonostante la difficoltà di girare in notturna a Milano. Grazie anche alle movenze della bravissima attrice Alessia, crediamo che le sensazioni contenute nel testo di deja vù, indifferenza e di vivere in un loop, possano essere ampiamente percepite guardando il video.
Alla fine del brano dici “Ormai tu sei già lontana, e io mi perdo nell’indifferenza che resta”. È una dichiarazione di resa o di accettazione?
Credo che possa essere considerata sia una resa che l’accettazione di uno stato di fatto, situazione però, che ha anche il fattore positivo di poter resettare tutto così da poter procedere senza pensieri e affrontare nuove sfide con più concentrazione.
Quali sono i tuoi prossimi passi dopo “Il-logico”?
Prima dell’estate pubblicherò finalmente il doppio album “Logic” che lo conterrà nel lato cantato in italiano.
Rispetto ai miei lavori precedenti sia da solista che con la mia band storica “Dusk”, questo album è stato composto partendo dalla musica, attraverso sperimentazioni coi synth.
Solo successivamente, dopo tanti riascolti, ho deciso a quali basi aggiungere parti vocali e quali invece semplicemente arricchire con altri strumenti, pur lasciandoli poi strumentali. In questo lavoro di selezione sono stato aiutato anche da Julio Speziali (frontman della band Push Button Gently) che mi ha aiutato aggiungendo alcune chitarre ed effetti ritmici oltre ad essersi occupato della registrazione voci e mixaggio. Spero che il risultato vi piacerà!
“I girasoli di Van Gogh” è il nuovosingolo della storica rock folk band Folkabbestia. L’uscita è prevista per venerdì 14 marzo in tutte le piattaforme digitali per Maninalto!/Believe.
A sei anni dopo l’ultimo album “Il Frikkettone 2.0”, la formazione pugliese torna con nuovamusica e quella rinnovataenergia che da sempre contraddistingue le loro produzioni, come i loro concerti.
“I girasoli di Van Gogh” è una canzone che unisce il calore delle melodie folkcon l’energia del rock, creando un’atmosfera unica e avvolgente. Il brano racconta una storia d’amore intensa e appassionata, evocando immagini vivide e poetiche attraverso i suoi testi.
La linea vocale si intreccia con l’arrangiamento musicale, caratterizzato da chitarreacustiche e elettriche, violino, fisarmonica, flauto, basso e batteria. Queste si alternano tra dinamiche trascinanti. Il ritornello non lascia indifferenti, punta dritto alle orecchie dell’ascoltatore, invitandolo a cantare con loro.
Perchè i Folkabbestia hanno scelto Van Gogh
Il titolo “I girasoli di Van Gogh”, è una metafora che richiama la bellezza e la delicatezza dell’amore, paragonato ai celebri dipinti dell’artista. Questi fiori, simbolo di luce e vita, rappresentano la speranza e la felicità che l’amore può portare.
Il testo della canzone è ricco di immagini poetiche e riferimentiartistici, e riesce a creare un parallelo tra l’amore e l’arte. La scelta di Van Gogh come simbolo è particolarmente significativa. L’artista, infatti, è noto per la sua passione e intensità, caratteristiche che si riflettono a tutto tondo nel brano.
Francesco Fiore (basso), NicolaDeLiso (batteria), IsabellaBenone (violino, cori), MicheleSansone (fisarmonica, cori), GiuseppePorsia (flauto traverso, tin whistle, cori) e LorenzoMannarini (voce, chitarra) sono nuovamente pronti a regalare al pubblico tutta la vivacità che dal 1996 li ha fatti apprezzare da oltre tre generazioni.
“I girasoli di Van Gogh” anticipa una serie di pubblicazioni e concerti che si svolgeranno per tutto il 2025.
La band si esibirà il 14 marzo Modena (Vibra), il 15 marzo a Bologna (Piazza Lucio Dalla) e il 16 marzo a Parma (Parco della Cittadella) all’interno del festival Irlanda in Festa.
“Sacre Sinfonie, Battiato: Tutta la storia”, di Fabio Zuffanti è il titolo della più recente e completa biografia pubblicata finora su FrancoBattiato, in uscita per Il Castello collana Chinaski Edizioni nell’anno e nel mese in cui il musicista siciliano avrebbe compiuto 80 anni. Disponibile dal 12 marzo, il volume raccoglie in quasi 500 pagine la vita e le opere del cantante, dalla nascita fino agli ultimi giorni di vita nel 2021.
Attraverso testimonianze dirette, interviste e articoli, Zuffanti ricostruisce la vitapersonale e la carriera di un artista fondamentale per la musica italiana e oltre. Accanto a una dettagliata cronistoria delle tappe artistiche e biografiche di Battiato, l’autore arricchisce la narrazione con suggestioni personali che evocano la dimensione del romanzo, integrando quegli eventi storici che hanno influenzato profondamente la vita e le opere del protagonista.
Dalla Sicilia all’universo
Nel piccolo paesino siciliano degli anni ’40, già si percepisce il suo carattere visionario sognatore. Dai primi approcci con la musica, all’infortunio che gli causò il celebre naso importante (La sua carriera calcistica sembrava promettente, ma un impatto con il palo della porta cambiò tutto).
Finalmente a Milano nel ‘64 per cercare fortuna, tra impieghi occasionali, nuove conoscenze musicali (La prima incisione arrivò grazie a un lavoretto da fattorino) e l’amicizia con Giorgio Gaber (Gli suggerì di chiamarsi Franco per non confondersi con l’altro Francesco, Guccini, ospite insieme a lui in un programma TV).
L’amore per la sperimentazione (Durante il servizio militare si recò a Londra per acquistare un sintetizzatore rischiando gravi provvedimenti disciplinari), prende poi piede in una fusione tra elettronica, prog e psichedelia (Dopo aver provato la mescalina, decise che poteva ottenere gli stessi effetti grazie alla meditazione), fino alla consapevolezza di volere usciredallanicchia e diventare una popstar (Al primo incontro con la EMI disse: sono venuto qui per avere successo, ditemi come devo fare e lo faccio).
Le declinazioni del pop che ha sviluppato negli ’80 dimostrano che con Battiato fruibilità non per forza doveva significare banalità. La sua musica attraversa i decenni, perennemente in movimento tra cantautorato, pop, rock, elettronica, classica e avanguardia. Con sempre nuovi cambi di rotta inaspettati, solo apparentemente in contraddizione con quanto aveva cristallizzato fino a quel momento.
Battiato, tra pop e sperimentazione
Battiato è stato forse il primo in Italia, a produrre un pop di qualità che potesse essere di largoconsumo. Questo merito è emerso anche in Europa dove ha trovato una sponda nel suo mentore Karlheinz Stockhausen (Il musicista tedesco lo convinse a studiare la teoria musicale); e perfino negli USA, dove Frank Zappa ne aveva pubblicamente riconosciuto il valore (Il chitarrista gli regalò un paio di stivaletti alati per spronarlo a perseguire i suoi traguardi).
Così tra hit, sperimentazione, colonnesonore, operesacre e musica d’autore, si arriva alla sferzata rock, e poi di nuovo alla musica da camera, mescolando sempre stili e culture disparate. Un moto di incertezze, cambi di prospettiva, ammiccamenti al grande pubblico e imprevedibili virate artistiche, sempre frutto dei suoi inquieti viaggi esistenziali.
Ma oltre la musica c’è di più: la meditazione, l’impegno sociale, il rapporto con le religioni (Primo artista pop ad esibirsi in Vaticano), le ideepolitiche (È stato un sostenitore del Partito Radicale), le filosofie, le mutazioniestetiche (Nel’71, con il volto coperto di bianco, fu testimonial di una massiccia campagna pubblicitaria di divani a sua insaputa). Il vegetarianismo (Diventò vegetariano dopo aver comunicato con un pesce) il cinema, la letteratura e la pittura. Sfide sempre nuove che lo portano a confrontarsi con le arti in senso lato, delineando i contorni di una figura complessa, dall’adolescenza fino alla malattia e agli ultimi anni della sua esistenza.
“Sacre Sinfonie” è rivolto a tutti quelli che per la prima volta si vogliono affacciare all’universo Battiato, ma anche per i fan che possono riscoprire in modo completo tutte le tappe che lo hanno reso un artista immortale.
A Novembre è uscito il nuovo album del duo Palmaria, nome in arte della coppia di Francesco Drovandi e Giulia Magnani che ha dato vita, oltre che ad un figlio, ad un disco dal suono caldo ed accogliente che ti fa sentire immediatamente in un contesto familiare e sicuro. Di matrice low-fi, Ora è un album scritto per la generazione millenials ma che parla anche a quella Z, in cui speranze e disillusioni si intrecciano nel tentativo di fermare il più grande nemico di quest’epoca: il tempo. Voce soave e lo-fi, ma anche alt pop e ritmi simili al soft rock.
Formazione
Inizierei a chiedervi un pochino il vostro percorso musicale, come vi siete approcciati entrambi alla musica, che cosa vi ha spinto, se avete avuto degli input esterni, ecc…
Francesco: ho sempre amato la musica, sin da bambino, istintivamente. La chitarra ed il pianoforte, in realtà, mi hanno sempre attirato come oggetti, così come tutte le cose che facevano dei suoni che mi piacevano. Ascoltavo anche tantissima musica, quindi è stata una passione che ho sempre portato avanti, proprio per gioco. E poi, piano piano, scoprendo magari musica più verso il rock o più vintage, come ad esempio i Beatles, ho sempre avuto voglia di giocare con la chitarra e di cercare delle melodiee degli accordi che mi piacevano. Da lì istintivamente ho iniziato anche a scrivere qualcosa, qualche canzone, qualche giro, ecc… . Anche fondare diverse band con amici, più per gioco all’inizio, ha aiutato a farla diventare la mia passione.
Libertà di esprimersi
Sei autodidatta oppure hai anche studiato in scuola?
Francesco: ho studiato con diversi maestri, più che altro chitarra. Però, per fortuna, tutti avevano un approccio che mi portava a diventare non simile agli altri, ma a sviluppare il più possibile una personalità in quello che facevo. Questo è veramente un fattore che io ritengo fondamentale, sono stato fortunato da quel punto di vista.
Giulia: anch’io da subito: sono sempre stata affascinata dalla musica, ne ho sempre ascoltato tanta sin da piccola grazie ai miei genitori ed agli amici che venivano anche dal mondo dell’arte. Mia madre è una ballerina, sono cresciuta in una casa musicale. Poi, maturando, ho sempre cantato da autodidatta, ho incontrato un maestro che mi ha indirizzato verso un’insegnante di canto lirico, per cui ho studiato diversi anni quello.
A differenza del percorso di Francesco, non era proprio un approccio che lasciava spazio alla ricerca della mia identità, ma era un metodo molto più classico. Ragione per cui ho preso un’altra strada ed ho poi incontrato Francesco e la sua band. Abbiamo formato insieme un gruppo e poi dopo, negli anni, abbiamo iniziato a scrivere come duo. Abbiamo fatto un lungo periodo anche di gavetta, suonando cover, per cercare anche un po’ il nostro punto d’incontro a livello sonoro. Ci ha formati come duo, abbiamo iniziato a scrivere le nostre parole ed eccoci qua oggi.
Però comunque senti che la musica classica sia stata una giusta base per te?
Sicuramente mi ha dato tante basi a livello tecnico. Le mie espressioni di tecnica vengono da lì e, istintivamente, sono poi entrate nel mio modo di ”camminare”, anche se poi ho preso totalmente un’altra strada. Però sì, decisamente hanno aiutato.
cover Ora (c) Agnese Carbone e Alberto Ricchi
Creazione
Io sono molto curiosa di sapere come avviene la scrittura tra voi due, nel senso che sembra molto un stream of consciousness. Però, appunto, essendo a quattro mani, mi interessavano un po’ le vostre dinamiche. Chi di norma ha la prima idea?
Giulia: Diciamo che non è mai la stessa modalità ogni volta. A volte partiamo da una mia idea di melodia, un vocale, magari da una parte di testo che ha scritto Francesco o un giro di chitarra. A volte invece da zero, veniamo ispirati da qualche ascolto e quindi cerchiamo di ricreare un groove in quel mondo e partire da lì. L’inizio è sempre diverso. Si fanno magari tante prove per cercare una scintilla e, quando viene fuori, da lì si inizia un lavoro più strutturato: si cerca di capire se quella fiamma è un ritornello, una strofa, che suono ha quella canzone, che senso ha il testo, qual è il messaggio che vogliamo dare, ecc… .
Francesco: però l’inizio è più sperimentazione, che può essere suonare una chitarra o cercare di costruire un beat o un’idea che ha scritto Giulia di testo, quindi è molto variabile. Sì, comunque comunicare e farci sentire qualcosa, se no passiamo a un’altra idea, solitamente. Poi da lì iniziamo a lavorare nel dettaglio e a costruire poi il pezzo.
Influenze
Visto che mi avete detto che anche gli ascolti vi influenzano, quali sono state le tracce che vi hanno accompagnato durante la stesura di questo album?
Francesco: diciamo che durante la scrittura abbiamo ascoltato tanto The Marìas, band americana che ci piace veramente tanto, che è uscita con un album bellissimo e che speriamo di vedere dal vivo presto. Poi anche i Men I Trust, sempre un’altra band americana. Che altro?
Giulia: Sicuramente ascoltiamo anche tanto Metronomy, perché in realtà più che un brano nello specifico sono più delle fasi in cui ascoltiamo delle band. Di loro ascoltiamo tutto perchè ci ispirano a scrivere idee. Ed aggiungerei anche Mac Miller tra le nostre nostre references.
Francesco: sì, sì, è più o meno una questione di artisti secondo me, anche perché la cosa interessante è che sta un pochino tornando l’album finalmente in questo periodo. Per cui anche noi cerchiamo, se scopriamo un artista od un singolo, di andare a capire qual è il discorso più ampio intorno. Spesso, per fortuna, è un album ed è un po’ anche quello che vorremmo fare noi questa volta: vorremmo che venisse ascoltato il disco come un’opera intera. Chiaramente è chiedere molto, però speriamo di poterlo suonare anche dal vivo e che appunto le persone possano immergersi in una serie di canzoni più che in un singolo soltanto.
Palmaria (c) Agnese Carbone
Percorsi
Ci sono degli artisti di cui vi piace il percorso e a cui vi piacerebbe un po’ ispirarvi?
Giulia: Se parliamo di italiani, sicuramente noi sin da subito abbiamo sempre fatto la scelta del percorso un po’ più lungo, fatto di gavetta, locali piccoli, festival. Adesso che siamo tornati in Italia ci aspetta un periodo di grande lavoro con una crescita più organica. Coloro che hanno lavorato in questi termini sono Venerus, Frah Quintale e tutta la gente che ha suonato tanto e che continua a farlo con un bel team di lavoro e con una bella fan-base di un pubblico appassionato.
Francesco: sì in generale ci ispiriamo molto agli artisti che costruiscono una canzone, un pezzo ed un fan alla volta, perché alla fine sono quelli che hanno qualcosa da dire e che hanno anche la possibilità di fare tanti dischi e di costruire un lavoro. Anche i gruppi che citavo prima suonano da tantissimi anni e portano avanti la loro idea, il loro suono e piano piano cominciano a veder arrivare sempre più persone.
Ok, quindi per voi fare i live è la cosa diciamo più importante.
Giulia: esatto, pur essendo magari un genere non mainstream. Vorremmo creare un nostro live, costruire un nostro pullmone, trovare una nostra nicchia anche in Italia, perché crediamo che comunque sia un momento di grande fermento anche qui. Io credo che sia un momento in cui i live e le nicchie ci siano e che si trovino un po’ più persone interessate anche a generi un pochettino più low.
Lo-fi
Avete anche un po’ questa vena lo-fi?
Giulia: sì, sì, assolutamente. È decisamente una delle caratteristiche del nostro sound e spesso andiamo a cercare suoni di questo genere. Forse anche perché creano un po’ queste atmosfere così intime ed introspettive che ci piacciono e ci appartengono.
Francesco: sì, ci sembra che si sposi bene anche con il messaggio dei testi o il racconto che stiamo facendo. Non vogliamo che per forza tutto sia pulitissimo o ri-registrato mille volte, ma che ci sia qualcosa di vero, di umano e che in qualche modo vada bene con il messaggio che vogliamo raccontare con questo album.
Riprendendo invece il discorso live, un’esperienza grossa che avete avuto è stato lo Sziget, come è stato? Avete degli aneddoti a riguardo?
Francesco: è stato un bellissimo percorso, perché noi abbiamo deciso di spostarci in macchina fino a Budapest, quindi è stato davvero un viaggio che ci ha portato a fare questa esperienza.
Giulia: in generale l’isola è abbastanza magica. Eravamo curiosi di scoprire anche, non solo proprio il festival, ma l’energia di questo evento. Noi abbiamo scelto poi di fare un viaggio on the road, anche perché io aspettavo il nostro bimbo, quindi è stato un po’ all’avventura, mettiamola così. Siamo partiti con le dita incrociate e poi per fortuna è andato tutto bene. Un buffo aneddoto è che siamo rimasti bloccati di notte alla fine della serata live. Ci si è fermata completamente la macchina sull’isola dentro il festival. E quindi poi, insieme a un gruppo di persone che abbiamo raccolto sotto un palco, ci siamo riusciti a spingerla e a farla ripartire. Siamo sopravvissuti anche a quella parte.
Sicurezza ai festival
Francesco: però è stata veramente una bellissima esperienza e la rifaremmo molto volentieri. Ci sono gruppi incredibili e poi, nonostante ci sia tantissima gente che è lì anche per divertirsi, c’è sempre un’atmosfera in cui comunque ti senti molto al sicuro. (Effettivamente l’ospedale è posto al fondo, per cui tutti quelli che si sentono male per via dell’alcool o altro sono nascosti bene e non intralciano la prosecuzione del festival, ndr). Ecco, lo consiglio a tutti, mi è molto piaciuto e mi ha molto stupito questa cosa. Al di là della musica bellissima, quello che magari succede nei festival è che c’è un po’ di delirio, lì invece ho trovato che ci sia ma il giusto, non troppo.
Viaggi e tramonti
Dove vi immaginate le persone ascoltare il vostro disco non in live, quindi diciamo in un’atmosfera più solitaria? Avete mai pensato a un setting in cui vi piacerebbe vedere qualcuno che si gode il vostro album?
Giulia: decisamente noi anche quando scriviamo ci ispiriamo tanto a immagini. Vivendo anche in Liguria, siamo fortunati ad essere quasi davanti al mare, davanti all’isola da cui prendiamo l’olio, quindi siamo spesso immersi in giganti tramonti pazzeschi, colori e sfumature incredibili. Il tramonto è sempre lì nella nostra testa quando facciamo musica ed è sempre la prima immagine a cui andiamo con la mente quando scriviamo e quando ascoltiamo la nostra musica, per cui decisamente quello. Ma anche il viaggio è un altro luogo che pensiamo funzioni bene con la nostra musica. Il viaggio in auto, in aereo, il movimento in generale, i tramonti e l’alba.
Francesco: sì, a noi piace tantissimo ascoltare musica mentre guidiamo, quindi sarebbe bello se qualcuno poi ascoltasse questo album godendosi un bel viaggio in auto. Però allo stesso tempo è meraviglioso anche che questo disco, che è un po’ più riflessivo forse dei lavori che abbiamo fatto prima, sia uscito in un momento di autunno-inverno: mi vedo anche qualcuno che se lo ascolta a casa sotto la copertina.
Colori
Se doveste scegliere un colore che rappresenti le emozioni che vorreste suscitare nei vostri ascoltatori, quale sarebbe?
Giulia: probabilmente una sfumatura di arancione e viola, che è un po’ quello che poi è il colore del tramonto di settembre di cui parlavamo prima.
Immagini e suoni
Ma voi pensate più per immagini o più per suoni?
Giulia: io tanto per immagine
Francesco: io più per parole.
Cos’è la cosa che vi rende più fieri in questo disco?
Francesco: personalmente il fatto che abbiamo preso una direzione che è molto più personale, più nostra, in più abbiamo anche prodotto o co-prodotto praticamente tutti i brani. Abbiamo avuto anche la fortuna di collaborare con alcuni produttori bravissimi, tra cui Fudasca, Golden Years, Emanuele Triglia, ma tutti i brani sono nati qui, a casa da noi, quindi da noi anche come produttori. E questo ci fa molto piacere, perché crediamo di avergli dato un taglio nostro nel bene e nel male. Se vi piace, bene, siamo stati bravi. Se non vi piace, è colpa nostra.
Produttori
Visto che me li hai citati e visto che tanto era una domanda che mi ero scritta, come avete scelto le persone che hanno collaborato con voi nella produzione, essendo anche alcuni nomi già importanti o abbastanza conosciuti nel mondo musicale?
Giulia: sicuramente sono persone che seguivamo da tempo e che pensavamo che per i lavori che hanno fatto fossero un buon match per i diversi brani. Alcuni più dreamy, altri più groovy e con più energia. Abbiamo scelto i vari artisti basandoci sui loro lavori. Con alcuni eravamo già in contatto, come con Golden Years. Ci eravamo già incontrati, c’era la voglia di lavorare insieme e così è stato. Siamo anche usciti a Roma. Fa ridere, è simpatica questa cosa, ma ci ritroviamo sempre a lavorare spessissimo con gente di Roma. Noi siamo in Liguria, ma pur lavorando spesso a Milano, finiamo sempre a Roma. Fudasca, Golden Years, Emanuele Triglia, non tutti sono di Roma ma vivono tutti lì. Sarà l’energia romana.
Francesco: un’affinità molto di sound e di approccio alla musica con un groove e con un determinato colore sonoro che proprio è quello che ci piace. E che li accomuna un po’ tutti, sicuramente.
Groove
Infatti avete questa sonorità che vi contraddistingue molto. Qual è l’ingrediente che non può mai mancare quando pensate alla musica dei vostri brani?
Francesco: in generale chitarra, basso e batteria. Sembra banale, ma la commistione di questi tre elementi per noi è la cosa più importante.
Giulia: una bella idea che deve sostenere tutto il pezzo e si trova quasi in tutti i brani, tranne forse in fili elettrici in cui c’è un approccio un po’ più acustico e un po’ più sensuale.
Francesco:ci piace proprio incastrare questi tre elementi in modo che creino qualcosa che porti avanti sempre il pezzo e che non risulti mai noioso, anche quando si ripete. Deve essere sempre interessante o ipnotico in qualche modo.
Ho la domanda cattiva adesso. Non avete paura di cristallizzarvi troppo sul vostro genere ed essere sempre troppo simili a voi stessi?
Giulia: in realtà il nostro problema, se vogliamo chiamarlo problema, è sempre stato un po’ l’opposto: ci è sempre piaciuto tanto sperimentare. Ogni lavoro abbiamo sempre voluto fare un passettino più in là e provare a fare cose leggermente fuori dalla nostra comfort zone. Il risultato è sempre stato di esplorazione e di suono che si allontana un pochettino da quello che avevamo fatto in precedenza. In questo disco abbiamo cercato di rimanere in un mondo con un suono più coerente.
Francesco: volevamo creare un mondo molto lineare come un libro o un romanzo, invece che una serie di racconti.
Giulia: abbiamo sempre sperimentato tanto in passato e questa volta volevamo fermarci.
Francesco: abbiamo anche cercato di usare tanto l’italiano. Comunque è stato un lavoro istintivo, ma che crediamo volessimo fare.
Italiano e inglese
Beh, direi che vi siete difesi bene. Questo qui tra l’altro è il secondo album che fate in italiano. In che cosa è stato più facile e in cosa più difficile?
Giulia: sicuramente trovare questo filo conduttore che non si allontanasse troppo e non fosse troppo frammentato, ma mettere insieme un gruppo di pezzi che fossero legati tra di loro, che raccontassero la stessa storia, ma con diversi momenti e diversi mood. Che poi è il nostro racconto di questo momento.
Francesco: nell’Ep prima invece c’erano dentro cose molto diverse. Si passava dall’inglese all’italiano fino al mix delle due lingue. Era più un affresco di diverse cose che ci piacciono, questo invece è più coerente ed unito. Ecco, questo volevamo, poi non so se ci siamo riusciti.
Certo e quindi è stato anche forse difficile rinunciare a certe parti del lavoro prima.
Giulia: decisamente, abbiamo lasciato indietro diverse cose.
Francesco: direi non lasciato indietro, ma messo un attimo da parte. Ovviamente abbiamo scritto tante cose diverse, ma abbiamo scelto di coagulare quelle che avevano un senso insieme.
Commistione
Ok, però anche in questo nuovo lavoro c’è un po’ di commistione tra italiano e inglese. Come rispondete a chi vi dice che è importante salvaguardare la nostra lingua?
Francesco: secondo me è giusto quando si parla italiano usare le più possibili parole italiane e viceversa. Ma allo stesso tempo, per noi, personalmente, avendo vissuto così tanti anni in Inghilterra e avendo scritto così tanto soltanto in inglese, questo mix non era una forzatura, ma è una cosa istintiva. E crediamo che racconti qualcosa di noi. Quindi è giusto, secondo me, che bisogna usare l’italiano e salvaguardarlo, ma all’interno di una forma d’arte è anche giusto esprimersi liberamente. E’ per questo che noi lo facciamo: perché ci viene istintivo e racconta di noi, di come siamo divisi un po’ tra questi due mondi di Londra e dell’Italia. E anche il nostro racconto, per forza di cose, non poteva completamente escludere un capitolo così importante, soprattutto a livello della nostra crescita musicale.
Londra
La cosa più importante che vi portate da Londra?
Francesco: Il voler essere, diciamo, il più possibile un qualcosa di diverso. Perché quello che è bellissimo a Londra è che esistono migliaia di progetti. E quello che li rende forti è il voler creare una cosa di molto, molto originale e di molto, molto specifica.
Giulia: Non diverso però tanto per essere diverso, ma perché la tua forza personale è molto più originale che andare dietro a delle tendenze.
Tra l’altro in Domani affrontate anche un pochino questo tema del cambiare parti di noi stessi per andare incontro a delle esigenze di altre persone. Secondo voi qual è la chiave per rimanere il più fedele alla propria identità?
Francesco: è una domanda difficile questa.
Giulia: sicuramente ci vuole tanta determinazione e tanta pazienza perché spesso bisogna andare contro a tante idee.
Francesco: e bisogna avere il coraggio di fare qualcosa per se stessi.
Giulia: la determinazione serve perché magari la risposta giusta è la tua e lo sai prima degli altri, ma comunque li devi convincere
Il valore della musica
Vi siete fatti portavoce delle insicurezze e delle ansie che accarezzano le persone della vostra generazione, che è quella dei millennials, ma che in realtà toccano anche la Gen Z. Secondo voi che ruolo ha la musica nel contesto in cui viviamo?
Francesco: personalmente a me la musica ha aiutato tantissimo in passato, quando ero teenager ascoltavo musica tutto il giorno in ogni momento libero, o la ascoltavo o la scrivevo. Credo che a tutte le età la musica debba rappresentare un luogo sicuro e/o di sfogo o che comunque che ci aiuti a conoscerci e a regolare le nostre emozioni. E che ci faccia sentire parte di un gruppo in cui ci sono persone che si sentono come noi. Infine che ci aiuti ad affrontare i momenti critici che ci possono essere nella nostra vita.
Per fare questo la musica secondo me deve essere più sincera possibile, perché se è soltanto un bene di consumo, progettato per fare ascolti o essere ascoltato un milione di volte d’estate nelle radio, difficilmente avrà questo ruolo nella vita delle persone. Poi ovviamente esiste anche la musica per divertirsi ed è giusto che ci sia.
Millennials e Gen Z
Se i boomers hanno tradito e disilluso i millenials sulle possibilità del futuro, in cosa voi sentite che i millenials hanno sbagliato, non consciamente ovviamente, nei confronti della Gen Z?
Francesco: secondo me che ci siamo fatti convincere del fatto che il mondo fosse molto predefinito in un certo modo. Parlando per esperienza personale ho visto tardi che la cosa migliore era quella di trovare la propria strada e di trovare un percorso proprio. A me sembra che le generazioni più giovani questa consapevolezza ce l’abbiano già da piccoli, forse è una delle poche cose positive che hanno dato i social: mostrare che nel mondo esiste di tutto e se ci si impegna e se si cerca la propria strada ci sono infinite possibilità.
Social
Io però ho visto che comunque anche voi siete attivi sul versante social e che li utilizzate anche nel modo giusto per promuovere la vostra arte. Quindi quale è il vostro rapporto con loro?
Francesco: è un rapporto sicuramente ambivalente, molto spesso le persone ne fanno un uso eccessivo, però bisogna anche vedere cosa c’è alla base. Mi viene in mente quello che è successo con Elon Musk: il fatto che lui abbia fatto ridisegnare un algoritmo per fini suoi politici significa che non è un mondo sempre così trasparente. Così come spesso dietro ad esse c’è una volontà di farne fare un uso eccessivo o comunque non prettamente giusto. Questo però non ci impedisce di provarli ad usare nel modo in cui lo riteniamo corretto.
Granelli di sale
Tornando al discorso delle ansie voi un brano lo chiudete dicendo che alla fine siamo solo granelli di sale, ma pensarsi piccoli all’interno di un universo gigantesco aiuta veramente a spostare un po’ le proprie paure oppure anche questo pensiero alla fine rimane sospeso e non si rivela utile?
Giulia: in questo caso la frase è venuta fuori in un momento di grande fatica. Spesso ci ritroviamo a costruirci castelli mentali, preoccupazioni, ansie, paranoie, anche magari legati ai social ed al fatto che ci sentiamo in dovere di postare continuamente per l’engagement. Secondo me è utile per ridimensionare e ritrovare il punto focale. Postare è importante, sì, ma facciamo un passo indietro e rendiamoci conto che oggi è una bella giornata, stiamo bene, stiamo facendo musica che è quello che ci piace fare.
Francesco: sì mettere in relazione per capire l’importanza di qualcosa
Giulia: alla fine siamo solo una piccola parte di questo gigante universo e quindi non possiamo passare tutto il tempo a preoccuparci. Poi sicuramente c’è anche il punto di vista per cui essere semplicemente dei piccoli granelli ci fa sentire insignificanti.
Ora
Il titolo Ora, che è molto bello e molto esplicito, volevo chiedervi quando vi è venuto in mente e quando avete deciso che sarebbe stato quello giusto?
Francesco: il titolo è nato alla fine della scrittura dell’album durante una chiacchiera tra me e Giulia in cui abbiamo ragionato quali fossero i temi centrali che avevamo portato avanti in tutte le canzoni. Ci siamo resi conto che quello che lo faceva meglio era il tema del tempo, di come esso ci sfugge e di come non ci basti mai, di come guardiamo al passato con nostalgia o al futuro e di come non vediamo l’ora che succeda. Il tema del tempo per noi condensava bene il fatto di dover tornare a viverci quello che stiamo facendo nel miglior modo possibile, questo momento che è inafferrabile ma che non è facile. Anche a noi piace e crediamo che abbia centrato nel segno.
Tempo
Voi appunto è parlate tanto di vulnerabilità, la vostra principale è il tempo o sentite di averne una ancora più grande?
Giulia: sicuramente il tempo la sento come una cosa che ci sfugge sempre e a cui non riusciamo ad aggrapparci, per cui forse questa è la vulnerabilità centrale. Un’altra è sicuramente il fatto di essere musicisti indipendenti in una industria che va in un’altra direzione. Però noi vogliamo comunque stare qua in prima linea e provare a trovare una nostra dimensione.
Francesco: che poi il risvolto positivo della vulnerabilità esiste. Credere di essere invincibili ci porta soltanto a farci male, mentre riconoscere di essere vulnerabili ma di andare avanti comunque credo che sia un modo sano per affrontare le proprie difficoltà o di portare avanti un proprio percorso. Per cui la vulnerabilità secondo noi non è per forza negativa ma è qualcosa che bisogna riconoscere e con cui bisogna convivere positivamente.
Giulia: anzi per tanti anni non è stata riconosciuta dalla società e dopo la pandemia hanno iniziato a darle maggiore luce.
Superficialità
Prestate molta attenzione ai vostri testi e cercate anche di sviscerare alcune tematiche importanti. Come si esercita la propensione a non essere più tanto superficiali in una società che tende a rimanere invece sull’approssimativo?
Francesco: non saprei dirti come si esercita, per quanto mi riguarda è una questione istintiva: mi piace perdermi in viaggi mentali e pensieri. Mi va sentire meglio quando lo faccio e quando non vivo troppo sulla superficie delle cose e sull’apparenza
Giulia: sì, è anche un po’ una terapia diciamo: i nostri pezzi sono anche un po’ una luce che ci aiuta a capire i nostri problemi e che ci fa quasi sempre trovare la soluzione ed il lato positivo delle cose. In questo modo qua si va un pochino più nel profondo per capire di che cosa vogliamo parlare e con che cosa ci vogliamo connettere.
Quindi un consiglio è quello di prendersi un po’ di tempo per starsene con la propria mente
Giulia: esatto
Futuri Live
Visto che il live è molto importante per voi, un palco che non avete ancora calcato e che sognate di fare prima o poi nella vita?
Giulia: a breve giro ci piacerebbe suonare a Milano e si sta progettando qualche data. Ci piacerebbe anche il Mi Ami
Francesco: beh anche qualche festival internazionale visto che stiamo sognando
Giulia: ah beh allora un bel Glastonbury ci vorrebbe ahah. Però per rimanere un pochino con i piedi per terra un bel giro in Italia
Francesco: sì qualche bel festival che per fortuna ci sono in estate, quindi speriamo di poterli fare
Sì, poi devo dire che ho visto negli ultimi anni il Mi Ami lasciare spazio ad artisti che fanno il vostro genere musicale e che hanno anche il vostro stesso approccio alla musica
Giulia: decisamente, è una realtà che tende a proporre un qualcosa di un pochettino più diverso. Anche ”la prima estate” che è un bel festival che fanno qua vicino a noi, mi immagino noi suonare sulla spiaggia al tramonto.
“Don’t try Strikki at home” è il titolo del primo album del rapper romano Strikkiboy in uscita venerdì 7 marzo in tutte le piattaforme digitali e CD per Time 2 Rap.
Nonostante si tratti di un debut album, almeno con questo nome d’arte, la carriera dell’MC comincia nel 2007 come Strikkinino tra progetti solisti e varie formazioni. Tor Bella Monaca è il quartiere di provenienza che lo ha sempre ispirato. Seppur in un ambiente difficile, simbolo della periferia romana, dove il grigio dei palazzoni è il colore predominante e dove l’unico racconto possibile sembra essere quello di un luogo catalizzatore dell’illegalità, con le rime del rap ha sempre voluto raccontare il disagio e la povertà urbana. Il significato di “Don’t try Strikki at home” è proprio questo: la vita di Strikkiboy divisa tra il lavoro di tutti i giorni, difficoltà familiari e il contesto sociale in cui è cresciuto non è per tutti. Nelle sue rime quindi racconta solo le sue personali esperienze di vita, dove la musica diventa uno strumento di rivalsa.
Tutte le produzioni di Don’t try Strikki at home
Il flow serrato che attraversa le dieci tracce, fa emergere le sue esperienze di freestyler di strada, mentre le sonorità con le produzioni di Kasterbrax, Phatale, drTesto, DjExy e JohnnyScully, cristallizzano i beat del rap più classico con la contemporaneità dell’elettronica.
Hip-Hop come appartenenza, come approccio musicale e culturale, ma anche radicamento nella scena come dimostrano i numerosi ospiti che Strikkiboy ha voluto coinvolgere nell’album. Da Kento, modello rappresentante degli artisti conscious, ad Aurel altro esponente della scena di Tor Bella Monaca. Il fratello maggiore artistico JohnnyRoy e il veterano SantoTrafficante, che l’artista ha sempre considerato sui punti di riferimento, ma anche l’MC gipsy/gitano Delgado. E poi la crew Back to the Roots composta da Phatale, Reics, Dais, 2b,JohnnyScully e Emme a di, che poco ha incluso al suo interno anche lo stesso Strikkiboy.
Da venerdì 7 marzo sarà disponibile in rotazione radiofonica e su tutte le piattaforme di streaming digitale “Renamer” (Overdub Recordings), il nuovo singolo degli IYV.
Il significato di “Renamer”
Estratto dal disco “Blacktar”, “Renamer” si concentra sul difficile percorso di reintegrazione sociale dopo un lungo periodo di dipendenza. Il titolo stesso richiama il concetto di ridefinizione della propria identità, elemento cruciale per chi cerca di ricostruire la propria vita lasciandosi alle spalle un passato segnato dall’autodistruzione. Il testo del brano trasmette il senso di vuoto e smarrimento che accompagna il tentativo di ricominciare, mettendo in luce il contrasto tra il desiderio di stabilità e il peso delle cicatrici del passato.
Un’introspezione cruda e sincera
Le liriche di “Renamer” offrono un ritratto autentico delle difficoltà legate al cambiamento, raccontando la lotta interiore di chi cerca un nuovo significato alla propria esistenza. La canzone esplora il senso di solitudine e l’amara consapevolezza di essere rimasto indietro rispetto a un mondo che non si è mai fermato. È un viaggio di dolore e accettazione, una riflessione sulla propria identità e sulle conseguenze delle scelte passate.
Le parole della band
Gli IYV spiegano così il significato del brano: “Renamer è la fine della dipendenza dall’eroina, la comprensione di sé e di ciò che ne rimane, la sensazione di vuoto e di abbandono rispetto a un mondo che è andato avanti senza aspettarti. È la presa di coscienza della solitudine e del ritorno alla vita, lento, lontano, invisibile. È la rabbia per le proprie scelte, il rifiuto e la successiva accettazione, amara, con il pensiero di essere solo quello e nient’altro: un tossicodipendente. E la domanda del perché – se questa è la conclusione – dia così tanto fastidio.”
Chi sono gli IYV
IYV è una band Alternative Rock nata nel 2001 a Treviso. Con un sound che fonde grunge e rock alternativo, hanno pubblicato album come “Waiting for My Muse called Love” (2002) e “I Killed Someone” (2016). Il loro ultimo album, “BLACKTAR”, previsto per il 2025, esplora temi di redenzione e dipendenza con un approccio crudo e diretto. Gli IYV si distinguono per melodie coinvolgenti, potenti riff di chitarra e un approccio artistico autentico e introspettivo.
I Fiori di Cadillac, ossia i salernitani Luigi Salvio e Valerio Vicinanza, hanno appena fatto un viaggio in Francia per acquistare e ritirare lo storico banco mixer che il producer parigino Rico the Wizard ha soprannominato “une vieille dame” (un’anziana signora).
UNA CONSOLLE STORICA
Rico the Wizard, nome d’arte di Éric Chédeville, è un produttore musicale che ha accompagnato a più riprese Guy-Manuel de Homem-Christo nei suoi processi creativi fino a co-fondare con la metà dei Daft Punk l’etichetta Crydamoure (1997 – 2003) e il gruppo Le Knight Club. Con “Guy-Manuel”, inoltre, ha condiviso per anni il banco mixer Neve Vr. che i Fiori di Cadillac hanno appena acquistato. Su questa storica consolle sono stati perfezionati vari brani del duo elettronico parigino, comprese alcune collaborazioni, per esempio quella piuttosto celebre con The Weeknd per “Starboy” (2016). Non a caso Rico the Wizard è anche co-autore di un’altra hit di questa combo tra la star canadese e il duo parigino, “I Feel It Coming” (2016).
IL VIAGGIO A PARIGI
I Fiori di Cadillac hanno deciso di acquistare questa consolle perché stanno allestendo uno studio di registrazione collegato alla loro etichetta indipendente, Dissonanze Records. Per dare personalità al suono dell’etichetta, su cui stanno investendo sempre di più, Salvio e Vicinanza negli ultimi mesi si sono messi alla ricerca di un banco mixer che fosse capace di raccontare una storia e, allo stesso tempo, avere quel carattere necessario per rendere la musica prodotta riconoscibile.
La ricerca è terminata quando si sono imbattuti nell’annuncio che proprio Rico the Wizard ha pubblicato per vendere il suo mixer 24 canali assemblato in Inghilterra nel 1988. Subito dopo l’acquisto i due hanno deciso di intraprendere un viaggio in furgone da Salerno a Parigi per ritirare la consolle a mano.
All’arrivo a Parigi, grazie all’incontro con Rico, i Fiori di Cadillac hanno scoperto altri dettagli. Per esempio che quel banco mixer è arrivato a Parigi nel 2008 dal The Village Studios di Los Angeles, storico spazio dove hanno registrato artisti come Ben Harper, Lady Gaga, John Mayer, i Rolling Stones, i Fleetwood Mac e tantissimi altri. Rico ha anche svelato ai due artisti salernitani che proprio quel banco è servito a Paul McCartney per mixare alcuni suoi lavori.
La “vieille dame” quindi non ha condiviso solo vari momenti del percorso dei Daft Punk ma ha anche avuto un ruolo importante nella produzione di molti dischi di artisti che hanno segnato la storia della musica. Ora proseguirà la sua attività in Italia nello studio di Dissonanze Records.
CHI SONO I FIORI DI CADILLAC
I FIORI DI CADILLAC nascono nel 2010 a Salerno come trio ma attualmente nella formazione ci sono due persone, Luigi Salvio (1986) e Valerio Vicinanza (1988). Il nome d’arte è ispirato a Cadillac Sur Garonne, un paesino francese dove, durante il regime filo-nazista di Vichy, sono state sepolte più di quattromila persone ritenute “diverse”, pazzi per alcuni, fiori rari per la band che a loro, come a tutte le persone che custodiscono preziose diversità, dedica il proprio nome.
La musica dei Fiori di Cadillac è prodotta attraverso un pianoforte, suoni sintetizzati, una chitarra e una batteria. Sul finire del 2013 il gruppo pubblica l’album d’esordio, “Cartoline”, al quale segue un lungo tour in club e festival nazionali. Nel 2017 comincia il lavoro di stesura del nuovo album insieme a Giulio Ragno Favero.
Al disco collabora anche Andrea Suriani che affianca Favero nella produzione e nel missaggio. In questo periodo i Fiori di Cadillac firmano per INRI che, nei primi mesi del 2020, pubblica il loro secondo album, “Fuori dalla storia”. Archiviato presto il disco per l’emergenza Covid, il duo, dopo un periodo di pausa, inizia a produrre nuovi brani sotto la direzione artistica di Frank Sativa e si rifà vivo ufficialmente nel 2023. Nel 2024 la continuità data alla pubblicazione di nuova musica porta all’uscita del loro terzo album, “Stranieri” (Boc Music Group).
In parallelo alla loro attività di musicisti, dal 2013 i due gestiscono Dissonanze (DSSZ CLUB), music club che hanno fondato e che, negli anni, ha ospitato molti artisti indipendenti di rilievo nazionale e internazionale.
Dietro lo pseudonimo di Taistoi si nasconde un animo curioso e sensibile, capace di trasformare l’impercettibile in musica. Con il suo album di debutto Vibrisse, Andrea Esposito, moniker di Taistoi, ci invita a esplorare un universo sonoro ricco di sperimentazione, dove i suoni e le atmosfere catturano sensazioni spesso sfuggenti. Tra gatti e riflessioni esistenziali Taistoi si racconta, svelando il processo creativo e le ispirazioni che danno vita alla sua personale visione artistica.
Intervista a Taistoi su “Vibrisse”
La scelta del titolo“Vibrisse” ci ha incuriosito. Come sei arrivato a questa scelta, c’è un particolare legame con il mondo felino?
Ciao, sì io sono notoriamente un gran gattaro e pantofolaio, sfortunatamente non ho mai potuto avere dei gatti a causa dei miei genitori che sono allergici a ogni essere vivente, mentre adesso che vivo da solo son troppo povero e irresponsabile per pensare ad un’altra vita.
Fortunatamente però ho avuto relazioni in cui l’altra persona aveva un gatto. Quindi tendenzialmente il gatto è sempre stato per me un prototipo comportamentale: sfuggente, menefreghista, opportunista, sentimentalmente ingrato e unicamente fedele al padrone. Nelle relazioni si ha sempre, chi più chi meno, un senso di “sudditanza” maggiore o minore rispetto al partner.
Ci racconti della tua collaborazione con Bruno Germano per la produzione di “Vibrisse”?
Ti racconto della mia, o meglio della nostra, collaborazione con Bruno perché il disco non l’ho fatto da solo, ma in compagnia di Elia Notarandea, Leonardo Antinori, Claudio Brivio e Filippo Rabottini.
Che oltre a essere i miei migliori amici e vicini di casa suonano con me e hanno contribuito integralmente al disco. Non appena Bruno ha conosciuto me, è entrato in contatto anche con loro. Io ed Elia (Notandrea ndr) poi siamo particolarmente fan dei suoi lavori di produzione insieme a Jacopo (iosonouncane) e siamo tutt’ora davvero felici di averci collaborato.
Ci ha guidati e raffinati, è stato un mentore e una guida per noi. Davvero poche volte in vita mia mi è capitato di conoscere e affezionarmi così ad una persona.
Dici che il gatto è un po’ la metafora del tuo modo di essere: discreto, attento e sensibile all’impercettibile. Credi che questa prospettiva riesca a riflettersi anche nella tua musica?
Intendi se mi sento paranoico e se nelle canzoni scritte fino ad ora si percepisce?
Milano mi ha fatto uno strano effetto: ultimamente le situazioni sociali mi fanno soffrire, la noia ti fa soffermare sui dettagli e l’impercettibile diventa una fissa per chi non ha altro da fare che starsene lì, fermo a guardare. Di base credo che le sensazioni che voglio far passare dalle mie canzoni si percepiscano al di là del testo o delle parole che uso. Penso sia una partita che si gioca sul suono, quindi, a livello sinaptico, molto prima della comprensione verbale.
Il tuo è un album ricco di sperimentazione.Quali sono gli artisti che ti hanno segnato maggiormente e come si inseriscono nel tuo stile personale?
È ricco di influenze, di base, perché le canzoni che ho scritto son state sviluppate poi in sala prove, come dicevo già prima, in quattro. Quindi suonando assieme agli altri abbiamo trovato un gusto comune nel disco.
Come reference tra i gruppi ci sono Nick Cave, Morphine, Flaming Lips, Fishmans, Arctic Monkeys, Beach Bouse, Radiohead, Yura Yura Teikoku, Ogre You Asshole e mille altre cose.
Osservando la copertina,“Vibrisse” sembra raccontare il lato oscuro e nascosto delle cose, in maniera quasi…magica. Ti va di raccontarci cosa c’è dietro alla scelta di questo artwork?
L’idea della copertina è tutta merito di Vittorio Donà. È la bocca di un mostro (o anche un portale) che si apre al mondo delle sensazioni che abbiamo sperimentato nello scrivere il disco, mondo in cui vorremmo portare l’ascoltatore.
L’impercettibile è un tema centrale. Come riesci a catturare e tradurre in musica ciò che sfugge agli occhi e alle orecchie più distratte?
Com’è che si dice? Gli occhi del gatto sono lo specchio dell’anima, boh non mi ricordo!
Comunque, considera che si percepisce con cinque sensi e il suono è una cosa fisica, quindi lo spostamento dell’aria produce il suono e forse il brivido è più una percezione tattile che uditiva. Penso solamente che musicare la propria visione delle cose sia un tentativo che può riuscire o fallire.
Non è mai tutto in bella vista, quindi se le orecchie son distratte è bene che non lo siano la seconda volta se non si vogliono perdere dei pezzi.
Guardando indietro all’EP “Portamento”. In che modo il tuo approccio creativo è cambiato o maturato con “Vibrisse”?
Beh, è cambiato tutto.
Prima ero senza esperienza e Enrico, la persona con cui è iniziato tutto, mi aiutava tantissimo e abbiamo prodotto assieme il primo EP in camera sua.
La dimensione del live ha distrutto ogni mia concezione della musica. E il gruppo con cui portavo il progetto live è diventata la band con cui è nato il disco. Si sono aggiunte più mani e più teste.
Il disco è stato impacchettato in sala prove e rifinito da Bruno.
Cosa possiamo aspettarci dal futuro di Taistoi?
Cosa in realtà non lo so. Il progetto lo vedo molto slegato dalla mia persona, si svolge tutto in funzione della musica che andrò/ andremo a fare.