LAPLASTIQUE va “A proprio tempo”. Intervista all’artista

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LAPLASTIQUE ci parla di “una linea che si spezza” nella sua “A proprio tempo“, l’ultimo singolo dell’artista uscito il 19 gennaio.

Coscienza e auto-coscienza sono in dialogo, un dialogo che si fa difficile e opposto. E questo si riflette anche sulla musica, basata sulla discontinuità ritmica, che cambia da 5/4 ai 4/4.

Sempre in bilico tra soul e synthopop, LAPLASTIQUE parla di inconciliabilità e noi volevamo saperne di più.

Intervista LAPLASTIQUE su “A proprio tempo”

Non è da tutti portare i 5/4 nel pop. Alcune metriche vengono semplicemente fuori così, “di pancia”, altre si scelgono. Nel tuo caso cosa è stato? La tua esperienza di studio a Londra ha aiutato?

Ammetto che i 5/4 del pezzo sono venuti “di pancia”. Si tratta di una melodia che è balzata in testa spontaneamente e si è costruita in maniera autonoma, fuoriuscendo dai perimetri del raziocinio. Mi sono trovata in difficoltà a cantarla ed a scriverne la seconda strofa, perché non riuscivo a capire come “funzionasse” e a darle una struttura precisa. Poi mi ha aiutato Daniela. è  stata una linea melodica che si è auto imposta ed impressa da sola, poco intenzionata a margine di cambiamento o rimodulazione. Era così e basta.

La mia esperienza di studio a Londra ha influito relativamente, forse inconsciamente. Diciamo che si è trattato di un periodo di grande sperimentazione e massima libertà artistica, dove ho avuto modo di conoscere tutte le sfaccettature della mia voce e prendere coscienza delle mie potenzialità.  I cinque quarti, dunque, potrebbero rivendicare i germi delle proprie origini lì.

“Empieza el matriarcado”. Come hai conosciuto la tua produttrice Daniela?


In maniera molto casuale,  tramite una conoscenza che avevamo in comune e che ci aveva individuate come possibili collaboratrici. Mi reputo molto fortunata a lavorare con lei, perché è una fonte inesauribile di stimoli, cultura e sperimentazione.

Non abbiamo iniziato subito a lavorare insieme, fino a quando non ho scritto “Overthinking” e “The Ghost of my past”, che Daniela apprezzò molto.

Descrivi la tua musica come un Giano Bifronte sotto le forme di blues e synthpop: a quali artisti, tra quelli che ti influenzano/hanno influenzato, attribuiresti questi due volti?


Un insegnante della scuola che feci a Londra una volta mi disse che oscillavo tra due mondi: quello di Amy Winehouse e dei Bon Iver. Mi stimolò tantissimo a cercare e scoprire eventuali  punti di raccordo tra i due ed individuare una sfumatura che fossi comune ad entrambi, in cui potessi fermarmi e costruire un’identità artistica. Non so ancora bene se io ci sia riuscita o l’abbia ancora trovata. Forse tengo ancora i piedi in due staffe ed assecondo il parallelismo.

Per quanto riguarda le fonti di ispirazione, i miei punti di riferimento principali (specie in termini di ascolto) sono i Baustelle e i Florence and the Machine.

Musica e filosofia: come concili queste passioni nella scrittura dei tuoi testi?


Nel pensiero. Non definirei quella per la filosofia come una passione, ma un approccio critico alle cose, una disposizione.  Ad ogni modo, entrambe le componenti si fondono bene nello sviluppo del pensiero, che prende forma in queste due ramificazioni diverse e simili allo stesso tempo.

Il brano parla di presa di coscienza ed evoluzione. Ci racconti come è nato “A proprio tempo”?


È nato da un momento di tristezza e disorientamento, come il resto delle mie canzoni. Ho iniziato a scriverne la bozza in una mattina di novembre, dopo essermi svegliata. La canticchiavo e ci inserivo parole a caso, per poi iniziare il cosiddetto “labor limae”, che è stato più lungo del solito.

In alcune parti , come ad esempio il ritornello, le strofe si sono composte quasi da sole: da un flusso di parole disposte in maniera spontanea e funzionale. In alcuni punti delle strofe, invece, ho fatto più fatica ed ho meditato a lungo sulla scelta dei termini, fino a diventare troppo perfezionista. Ho voluto che ogni sillaba, suono e vocaboli si trovassero al posto giusto ed al momento giusto. Ognuno di essi ha un posto studiato e curato, che contribuisce ad evocare il senso complessivo 1)del verso che compone e 2) della canzone in generale. Non ho mai applicato tanto minuzia in un lavoro artistico. 

Scrivere (sia in prosa che in poesia) è per me una forma terapeutica per fare il punto della situazione sul mio stato d’animo, per riprendermi se mi sono persa o per perdermi davvero se sto per farlo, per poi ritornare sempre a galla con un pizzico di consapevolezza in più.

“E coi miei occhi/ ho fatto sfiorire/ tutti i bagliori/ che davan piacere”. A cosa ti riferisci?

Alla mia tendenza a trasfigurare le cose e guardare il bicchiere sempre mezzo vuoto. è la mia vena esistenzialista che tiene sempre il tempo dei miei pezzi.

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