Con “La canzone che nessuno canterà”, Valerio Martino prosegue il percorso aperto con “Non siamo Jedi”, raccontando una relazione fatta di fragilità, crescita e consapevolezza. Il brano, scritto nella quotidianità condivisa con la sua compagna, si distingue per un arrangiamento street-pop essenziale e diretto, in linea con l’approccio sincero e istintivo che caratterizza tutto il nuovo disco.
“Amatoriale” è un album che rifiuta ogni artificio, accoglie imperfezioni e abbraccia la libertà creativa. Tra punk, brit-rock e pop acustico, Valerio intreccia le sue molte anime musicali in un racconto coerente, personale e profondamente umano. Ne abbiamo parlato con lui in questa intervista per Indie Life.
“La canzone che nessuno canterà” è il secondo capitolo dopo “Non siamo Jedi”. In che modo le due canzoni si completano a vicenda nel raccontare una relazione?
“Non siamo Jedi” è più sull’accettazione di quello che siamo. A volte nella coppia si tende a criticarci a vicenda perché non siamo perfetti come nelle storie da film, ma dovremmo accettare che siamo esseri umani e apprezzare di più le nostre sfumature e fragilità. Invece “La canzone che nessuno canterà” parla di una storia d’amore tortuosa e complicata nella quale però ho trovato l’opportunità di cambiare e crescere riuscendo a non fuggire come ero abituato a fare.
Hai scritto il brano nella casa appena condivisa con la tua compagna: quanto conta per te la quotidianità nella scrittura musicale?
Tantissimo, parto sempre da qualcosa di reale, anche se poi la canzone la sviluppo quando sento che si collega con qualcosa di più ampio, una visione, una scintilla, a volte anche un sogno può fornire talmente tante immagini e sensazioni da suggerirti quasi la canzone completa.
Il videoclip mette al centro le reazioni spontanee degli ascoltatori. Come sei arrivato a questa scelta e cosa cercavi di comunicare attraverso questo tipo di narrazione?
Volevo qualcosa che fosse meno costruito possibile, senza scrivere una sceneggiatura romanzata con una storiellina inventata. Così ho deciso di organizzare un evento di pre-ascolto del singolo nel quale abbiamo fatto sedere le persone su un divano per fargli ascoltare la canzone in cuffia e riprendere le loro reazioni ed espressioni. Li abbiamo lasciati soli nella stanza a turno e c’erano persone di ogni età, da bambini, ad anziani, ed erano da soli, in coppia, oppure anche in 3, perciò il video è venuto davvero emozionante ma anche divertente e dinamico. Più di quanto mi aspettassi!
L’arrangiamento street-pop del brano è volutamente crudo e semplice. Che tipo di ricerca c’è stata dietro questi suoni così essenziali?
Non volevo niente di artefatto o che suonasse finto e innaturale. Il mio obiettivo in tutto il disco è stato creare qualcosa in cui anche a distanza di anni avrei potuto risentire le pennate sulle chitarre o il fruscio dei nostri movimenti, avere insomma una fotografia fedele, il ricordo di un momento per me così importante e divertente, condiviso con grandi musicisti e amici. Ho chiesto di non utilizzare plug-in, autotune, o suoni finti, ma di usare le cose “vere” che erano presenti in studio in quel momento.
In “Amatoriale” abbracci imperfezioni, spontaneità e libertà creativa. Quali sono state le sfide e le gioie di lavorare con questo approccio?
Se hai voglia di creare qualcosa che ti piaccia davvero, senza compromessi se non un sano confronto con le persone che partecipano, credo non ci siano molti altri approcci funzionanti. Ci vuole massima libertà, fame di suonare e creare, e l’obiettivo di divertirsi avendo ben presente cosa ti piace e cosa non ti piace.
In alcuni periodi può non essere facile se non si hanno le persone giuste accanto o intorno, oppure se non ci sentiamo sicuri di quello che ci piace o vogliamo dire. È successo anche a me, perciò esserci riuscito adesso è una grande conquista.
Il disco attraversa sonorità diverse: punk, brit-rock, pop acustico. Qual è il filo conduttore che tiene insieme tutte queste anime?
Tutte queste anime fanno di parte di me, perciò, proprio come una persona può piangere, ridere, arrabbiarsi, deprimersi, o provare felicità a seconda del momento, anche il disco esprime tutte queste cose. Probabilmente il filo conduttore è la mia voce, immersa nel suono semplice e crudo che abbiamo creato insieme agli altri ragazzi, con il supporto di Samuele Cangi, mio grande amico e produttore.