L.E.D. è il nome della band di Vigevano che ha da poco rilasciato un album, dal titolo peculiare: “Il coraggio delle tre del mattino” per Accannone Records. Undici tracce, undici storie verosimili e autentiche, di attualità e relazioni umane, senza mai scendere a compromessi con la retorica.
I brani hanno sonoritàrock alternativee per quanto possano ricordare qualcosa di familiare, si fa fatica a riconoscere delle vere influenze: il progetto dei L.E.D. è eclettico, suonato, pensato per far riconoscere l’ascoltatore anche nelle storie più ostiche da raccontare e da fruire.
Il coraggio delle tre del mattino
L’album è stato anticipato dal singolo “Eden”, una narrazione di quello che poteva essere e che invece, semplicemente, non è; di tutto ciò che poteva andare diversamente, ma è finito in un paradiso perduto. Traccia potente, così come “Contro il muro” che esplica come spesso si finisca per imbattersi in battaglie che risultano irrimediabilmente perse in partenza.
“Pensaci tu” è anche degna di nota: la traccia spicca per essere a tutti gli effetti una preghiera rock, guidata da un ritmo quasi spensierato ma sorretta da un testo meditativo.
Chitarra distorte, voce nitida e climax emozionali: ecco alcuni elementi che si mescolano in questo disco.
Intitolare un album “Il coraggio delle tre del mattino” significa sapere davvero di cosa si sta parlando, ovvero di quel mix di sensazioni di irriverenza e paura, iniziativa e timore, che i L.E.D. racchiudono in undici brani ad alto contenuto di condivisibilità.
I Neida sono una delle band emergenti più interessanti del panorama musicale italiano, capaci di raccontare storie che toccano l’anima. Il loro terzo inedito, “Forever”, non è solo un singolo, ma una vera e propria colonna sonora per il film “Battito Forever”, un progetto cinematografico che esplora l’importanza dei legami, dell’amicizia e della speranza, temi universali che attraversano la vita di ogni persona. Questa canzone segna un nuovo capitolo nel percorso artistico del gruppo, con una forte connessione tra la musica e la trama del film.
Questa intervista svela il cuore pulsante dei Neida, la loro musica e il percorso che li ha portati a diventare non solo una band, ma una vera e propria famiglia. Con “Forever”, i Neida non solo lanciano un brano che resterà nel cuore degli ascoltatori, ma portano avanti un messaggio di speranza e di resistenza, che si diffonde attraverso il potere della musica e delle storie che raccontano.
“Forever” è molto più di un singolo: è la colonna sonora di un racconto di amicizia, speranza e rinascita. Come è nato il brano e in che modo si è intrecciato con la sceneggiatura del film Battito Forever? Esatto, “Forever” nasce di conseguenza al film “Battito Forever”, il processo creativo è stato molto entusiasmante per ognuno di noi. Tutto nasce dalla sceneggiatura, curata da Guido Milani, regista e direttore artistico di Mondo REC, l’associazione di cui facciamo parte e senza la quale non saremmo qui a parlare delle nostre avventure. “Battito Forever” parla di una storia dove protagonisti sono i Neida e le loro dinamiche, dove vengono messi in risalto temi e dinamiche tra ragazzi, dove per un amore, una cotta, un bacio a volte viene messa in secondo piano un’amicizia con una persona che per noi è stata sempre presente. Dopo la sceneggiatura nasce così “Forever” che parla proprio di questo. Il ritornello: “Perché la musica ci salverà” non solo descrive il senso del film ma ognuno di noi nella vita quotidiana.
La storia di Battito Forever mette in luce quanto siano importanti i legami veri, quelli che resistono anche nei momenti più difficili. Come avete lavorato per trasmettere questa intensità nei suoni, nei testi e nelle atmosfere del brano? Ci siamo ritrovati in studio, insieme a Marco Giorgi, il nostro produttore e arrangiatore che ci ha guidati nel trovare la giusta atmosfera. Mentre incidevamo è stato fondamentale avere già il film sottomano che ha aiutato a entrare molto nella profondità della storia, l’abbinamento della musica a un’immagine è molto importante, ha la capacità di trasmettere un messaggio in un modo molto più potente della sola musica. Per quanto riguarda la sonorità di “Forever” abbiamo pensato di iniziare con dei suoni atmosferici dolci e malinconici per poi aumentare di intensità con l’ingresso della chitarra, pianoforte e alcune sequenze elettroniche che aumentano il movimento della canzone, il tutto unito a un testo che spiega esattamente il nostro forte suono dell’amicizia.
In che modo il progetto del lungometraggio e del singolo ha influenzato il vostro percorso umano e musicale? C’è stato un momento durante le riprese o la lavorazione del brano che vi ha fatto vedere la vostra band sotto una nuova luce? Noi prima di essere i Neida siamo Fabio, Sara, Cristian e Marco. Siamo 4 amici che si sono conosciuti e hanno stretto un legame di grande amicizia all’interno di Mondo REC. Guido è stato fondamentale in questo, oltre che a credere in noi da subito ha saputo con “Battito” l’anno scorso creare un gruppo forte, unito, e capace di sognare. Senza il gran rapporto umano che abbiamo creato nel corso del tempo, i Neida non sarebbero quello che sono oggi, e sicuramente se con “Battito” è stato l’inizio, “Battito Forever”ha saputo rafforzarci e consolidarci come gruppo.
Battito Forever alterna momenti drammatici a sfumature comedy. Quanto è stato naturale per voi recitare in un film che, pur nella finzione, parla profondamente di voi come gruppo e come persone? Ognuno di noi ha un ruolo ben definito nel film che è stato tarato alle capacità di recitazione e al carattere che abbiamo per permetterci di entrare molto più in sintonia con la parte. È stato molto emozionante tornare nei panni dei personaggi di “Battito”, sicuramente lo abbiamo vissuto con più consapevolezza e con anche un pizzico di leggerezza in più rispetto allo scorso film nel quale tanti esordivano come attori per la prima volta. È stato molto divertente e altrettanto importante il backstage e tutto il mondo che c’è dietro la telecamera, infatti la mentalità e la visione di Mondo REC è quella di non essere solamente protagonisti davanti alla telecamera ma in ugual modo dietro, e noi la condividiamo fortemente.
Il fil sarà distribuito anche su Prime Video: un’occasione enorme per farvi conoscere ad un pubblico ancora più ampio. Che cosa sperate arrivi a chi guarderà il film e ascolterà “Forever” per la prima volta? Quando Guido ci ha detto che il nostro film sarebbe stato distribuito su Prime Video non ci potevamo credere, per noi è una fortuna immensa far parte di Mondo REC, che ci dà queste opportunità incredibili. Speriamo con il film di far arrivare il nostro messaggio, ovvero che nella vita possono capitare tanti imprevisti, situazioni spiacevoli e talvolta negative, ma è il forte suono dell’amicizia e dell’amore abbinato al potere della musica che ci unisce e ci fa superare qualsiasi ostacolo.
È disponibile su tutte le piattaforme digitali “Qui con me”, il nuovo singolo di Proteo. Questo e gli altri cinque brani pubblicati dal rapper e attore pugliese nei mesi scorsi faranno parte del suo primo EP di prossima uscita intitolato “È tempo di narrare”.
In “Qui con me” su una produzione musicale di Exa che ha influssi afro e R&B, l’artista classe ’94 rappa un testo introspettivo che, come nella maggioranza dei suoi brani, esprime la sua vena da sognatore e trasmette una grande dose di speranza.
PROTEO RACCONTA “QUI CON ME”
“Io ed Exa – racconta Proteo – apparteniamo a generazioni diverse, ‘Millennials’ e ‘Gen Z’, dunque parlando di hip hop e rap abbiamo condiviso due mondi differenti. All’inizio volevamo cavalcare un’onda rabbiosa, con un sound crudo, ma poi lui mi ha detto ‘ho in mente qualcosa di percussivo, differente’ e io non ho fatto altro che accettare e lasciare che creasse qualcosa per spiazzarmi.
Sentendo il beat fresco che ha prodotto, ho deciso di riprendere e sviluppare un testo già abbozzato in cui denunciavo il fatto che oggi un essere umano non può permettersi di fermarsi perché facilmente viene avvolto da pensieri distruttivi e si sente indietro rispetto al mondo circostante.
Ironizzando sui ritmi di lavoro elevati, ho dato spazio a pensieri dannosi fino ad arrivare a un ritornello dove aspiro ad avere al mio fianco una figura femminile che mi faccia sentire meno quella sensazione di solitudine, legata al fatto che ho scelto una strada che mi ha portato lontano dalla mia famiglia e dai miei amici.
Avere al mio fianco una figura femminile per me è come guardare il mare, elemento importante visto che vengo dalla Puglia. E basta guardare il mare per far sì che tutta la frenesia e le preoccupazioni si volatilizzino. Lo stesso vale quando guardi profondamente negli occhi un’altra persona o ricevi una semplice carezza…“.
L’artwork di copertina è opera di Francesca Colasurdo, in arte Sunrise.
CHI È PROTEO
Proteo, nome d’arte di Nicolò Ayroldi (1994), è un attore, scrittore e rapper originario di Molfetta (Bari) e residente a Roma.
Il suo percorso musicale ha origine sia dall’interruzione, dovuta a un infortunio, della sua carriera da calciatore (aveva raggiunto la serie D, dunque il semiprofessionismo), sia da un trascorso da cabarettista, sia dalle gare di slam poetry a cui si dedica da anni per dare sfogo alla sua inclinazione per la scrittura e in particolare per la poesia.
Visto che sin da piccolo è appassionato di hip hop, l’evoluzione naturale del suo progetto musicale è sfociata in uno stile che si muove tra il rap e l’R&B contemporaneo, più in generale influenzato da tutta la musica black. Tra la fine del 2024 e i primi mesi del 2025 pubblica una serie di brani che entreranno a far parte del suo primo EP, “È tempo di narrare”.
“Transylvania” è il nuovo singolo della storica rock folk band Folkabbestia, in uscita venerdì 16 maggio in tutte le piattaforme digitali per Maninalto!/Believe.
Una passione quella per i Maiden e Di’Anno, che la band ha sempre portato avanti seppur appartenente a un genere molto distante dal metal. Così in occasione della ricorrenza per il compleanno del compiantoprimocantante della formazione britannica che cade proprio il 17 maggio, li hanno voluti omaggiare con la cover di uno dei brani più iconici estratti dal primo album del 1980.
Tutta la carica dell’originale viene sostenuta da una sezione ritmica compatta di basso e batteria, sostenuta poi dallo strumming della chitarraacustica. Violino e fisarmonica riproducono le evocative lineemelodiche delle chitarreelettriche di Dave Murray e Dannis Stratton. Un accostamento inusuale dove poi s’inseriscono anche tromba e flauto traverso per completare la trascinante orchestrazione. Le armonie del folk unite alla forza del rock attraversano i cambi di tempo caratteristici del pezzo, dove ritmo e melodia si rincorrono in un arrangiamento dal gusto epico.
“Suoniamo spesso questa cover nei nostri concerti, e il pubblico sembra apprezzare visto che generalmente comincia a pogare. Così abbiamo deciso di rendere questo omaggio ufficiale con la pubblicazione del singolo in occasione del compleanno. La scelta di una traccia strumentale -commenta la band- è nata proprio dal profondo rispetto che nutriamo per Di’Anno, abbiamo quindi deciso di celebrare lui e la band solo con la musica”.
I Folkabbestia sono FrancescoFiore (basso), Nicola De Liso (batteria), Isabella Benone (violino, cori), MicheleSansone (fisarmonica, cori), GiuseppePorsia (flauto traverso, tin whistle, cori), GiorgioDistante (tromba) e LorenzoMannarini (voce, chitarra).
A dieci anni dalla prematura scomparsa di Giancarlo Golzi, Roberta Faccani torna con un singolo che è molto più di una canzone: “Senza far rumore” è un atto d’amore, un omaggio intimo e struggente al batterista e co-fondatore dei Matia Bazar che nel 2004 scelse proprio lei per guidare la nuova voce della band. Da allora, tra Faccani e Golzi si instaurò un legame profondo, fatto di stima, rigore e condivisione artistica.
Oggi, quel dialogo interrotto si trasforma in musica. La ballad, intensa ed essenziale, si accompagna a un videoclip altrettanto evocativo, firmato da Daniele Graziani, che mette in scena la delicata potenza del ricordo e il rispetto di un’assenza che continua a farsi presenza. Il brano segna anche il ritorno discografico di Roberta Faccani, dopo anni dedicati al teatro e all’insegnamento, e lo fa nel segno dell’autenticità e del sentimento più puro.
Ne abbiamo parlato direttamente con lei, in un’intervista che attraversa ricordi, insegnamenti e nuova consapevolezza.
“Senza far rumore” è un omaggio profondamente personale a Giancarlo Golzi, a dieci anni dalla sua scomparsa. Qual è stato il momento preciso in cui hai sentito la necessità di scrivere questo brano e come si è trasformato in una ballad così intensa?
Giancarlo Golzi, (ovviamente insieme a Piero Cassano e Fabio Perversi), co-fondatore e batterista storico, nonché proprietario del marchio fino alla sua prematura scomparsa, volle fortemente la mia entrata nel gruppo quando nel 2004 vinsi il provino come nuova cantante dei Matia Bazar. Scegliendo la mia voce, così diversa da quella delle precedenti colleghe, fu chiara e fortissima la sua volontà di dar vita ad un distacco dal pregresso per attuare una rivoluzione che portasse “appeal” verso un pubblico nuovo e giovane. Purtroppo, dopo la fine del mio sodalizio col gruppo, (mai da me sospettata né tantomeno voluta), non ho più avuto modo di incontrarlo o sentirlo. Quando poi è mancato così improvvisamente e prematuramente, ho preferito farmi ancora una volta da parte non partecipando nemmeno al suo funerale, pur di non interferire sui loro nuovi equilibri. Ho sofferto molto e molto l’ho pianto. Nel corso degli anni il mio dialogo interiore con lui si è tramutato nel linguaggio che ci ha sempre uniti e cioè una canzone! A dieci anni dalla sua scomparsa ho voluto donargli il mio omaggio non solo per fargli arrivare tutte le cose che non gli ho potuto più dire ma soprattutto per ringraziarlo per i suoi preziosi insegnamenti. Ho voluto ricordare la sua straordinaria figura di musicista e di “grande saggio”. “Senza far rumore”, rappresenta dunque il mio agognato abbraccio a “zio Gianca” fino al cielo con riconoscenza eterna per l’esperienza di vita umana e professionale con lui e ovviamente, con gli altri due compagni di viaggio di quei sei anni straordinari.
Golzi è stato non solo un collega, ma anche una figura guida che ha avuto un ruolo fondamentale nella tua carriera con i Matia Bazar. Cosa ti ha insegnato, nel profondo, e quali aspetti della sua personalità hai cercato di restituire attraverso il testo e la musica?
Il “Capitano” , (così come tutto il popolo dei Matia chiamava Giancarlo), era un uomo di poche parole ma di grandi concretezze, musicista e manager straordinario, uomo carismatico e lungimirante. Sebbene a tratti introverso, sapeva essere anche persona simpaticissima e piena di ironia. Sicuramente ha contribuito a farmi diventare la persona forte, pragmatica e diplomatica che oggi sono, persino dicendomi cose un po’ scomode che lì per lì non capivo fino infondo, ma che più avanti mi sono servite tantissimo. Il nostro era un dialogo molto rispettoso fatto di fiducia reciproca fortissima. Tra le tante cose che mi parlano di lui ho ancora una mail che mi scrisse attestandomi tutta la sua stima e che conservo ovviamente, tra le cose più sacre e importanti del mio passato.
Il titolo del singolo riflette un modo di essere, una presenza silenziosa ma incisiva. In che modo “Senza far rumore” rappresenta anche una riflessione sul modo in cui viviamo e ricordiamo chi non c’è più?
Nella vita ci si può perdere di vista, si possono interrompere i contatti e la morte ovviamente, distaccarci fisicamente! Se pero c’è stato qualcosa di importante e forte che ha legato una persona ad un’altra, restano i ricordi, gli insegnamenti, i sorrisi, gli occhi … insomma l’essenza di quel rapporto resta!!! E la senti nel cuore, nella mente e in mille altri modi che continuano ad ispirare, a guidare e proteggere. Giancarlo Golzi mi parla ancora nel cuore in modo mai aggressivo, “senza far rumore” appunto, ma pur sempre con incisività; per questo resterà in eterno una figura fondamentale del mio vissuto.
Il videoclip, diretto da Daniele Graziani, ha un’impronta fortemente simbolica, con te che interpreti anche la figura di Giancarlo. Com’è stato, da un punto di vista emotivo e artistico, mettersi in dialogo visivo con un’assenza così potente?
Io e il sensibilissimo regista Daniele “Cuk” Graziani, abbiamo parlato a lungo di come direzionare il messaggio tenero, mistico, avvolgente e allo stesso tempo comunque gioioso e positivo, che volevo trasmettere con la mia canzone. Desideravo essere elegante, sobria, rispettosa, ispirata, delicata ma anche energica in questo dialogo con Giancarlo in cielo. Da “Cuk” è nata sia l’idea del bianco e nero che rende il tutto sofisticato e ieratico e sia quella di “travestirmi” da Giancarlo mentre suono la batteria. Mi sono molto emozionata nel rivedermi in lui. Ci siamo commossi tutti nel vedere il montaggio. “Cuk”, (che per altro è anche un batterista), ha saputo trasferire tutte le mie emozioni e lo ringrazio profondamente così come ringrazio Marcello Colò per aver arrangiato magistralmente un brano a cui tenevo tantissimo. Tutti marchigiani come me. Sono fierissima di queste collaborazioni con amici di lunga data.
Questo brano segna anche un ritorno discografico dopo anni dedicati al teatro, all’insegnamento e ad altri progetti. Cosa rappresenta per te questa nuova fase? È l’inizio di un percorso musicale più ampio o un episodio isolato e necessario?
Non saprei dirlo con esattezza. Non so mai cosa mi aspetta se non capire il responso del pubblico sovrano. Del resto non faccio mai passi più lunghi della (mia) gamba e pondero molto bene le cose; perciò, che accadrà nel mio futuro resta preventivo dirlo. Di sicuro cercherò sempre e solo di fare cose in cui credo con sincerità e che non penalizzino la qualità a favore della quantità e del presenzialismo a tutti i costi e “a prescindere”.
“Senza far rumore” nasce da una collaborazione con Giordano Tittarelli alla musica. Com’è stato costruire insieme questa architettura sonora, e quanto era importante per te che la musica sostenesse il peso emotivo del testo senza sovrastarlo?
In realtà scrivo da sola sempre prima la parte melodica, (che di solito sogno di notte già con un arrangiamento quasi del tutto netto) e poi passo al testo. Una volta che sono certa di entrambe le cose, portò le mie idee da chi sa tradurre in concreto molto meglio di me, la parte armonica. Con Giordano c’è una collaborazione ventennale in tal senso. Ci divertiamo molto e ci completiamo. Abbiamo scritto tante canzoni insieme!
A chi vorresti arrivasse oggi questo brano? Più che un tributo privato, può diventare anche una carezza collettiva per chi ha vissuto una perdita simile?
Intanto volevo arrivasse a Dio in cui credo molto e di conseguenza, all’anima di Giancarlo che sono convinta mi veda ed ascolti da lassù e poi, al cuore di chi come me, lo amato e lo rimpiange. Traslando il concetto, sarebbe davvero una grande emozione saper di aver permesso a tante altre persone di rivedersi nelle mie parole per ricordare un proprio caro, un affetto perduto o comunque una persona che ha significato tanto. L’importante è che sia sempre e comunque un atto d’amore, unica cosa che conta veramente nella mia scala di valori.
Rebic sceglie la strada della memoria per lanciare il suo nuovo singolo Ho voglia di vederti, una rivisitazione fresca e personale di un brano di Jacopo Sarno pubblicato 15 anni fa. L’artista ha riscritto le strofe mantenendo intatto il ritornello originale, trasformando il pezzo in una dichiarazione di affetto senza tempo e di rinascita sentimentale.
Il brano racconta la storia di due ex che si ritrovano dopo anni, lasciandosi guidare dal cuore, liberi da rancori e vecchi dolori. L’operazione non è solo musicale ma anche emotiva: per Rebic è un ritorno alle origini, all’adolescenza, a quei primi ascolti che hanno acceso la scintilla artistica. Il tutto prende forma anche in un videoclip girato a Milano, tra sorrisi spontanei e complicità sul set insieme allo stesso Jacopo Sarno.
In questa intervista ci racconta com’è nato il progetto, il significato che porta con sé e cosa possiamo aspettarci dal suo futuro musicale.
Il tuo singolo “Ho voglia di vederti” è una rivisitazione di un brano di Jacopo Sarno di 15 anni fa. Come è nata l’idea di riscrivere le strofe mantenendo intatto il ritornello originale? Qual è stato il processo creativo di questa reinterpretazione?
Ho sempre adorato Jacopo Sarno fin da bambina e ho pensato di proporgli un’idea di un remix di un suo vecchio pezzo perché ricordo che quando ero piccola l’ascoltavo sempre ed era la mia canzone preferita. Ho voluto mantenere il ritornello proprio perché volevo un ritorno agli anni della nostra adolescenza riscrivendo le barre aggiornate al 2025, dandogli un tono più fresco e spensierato.
Non è stato per niente facile aggiornare una canzone di 15 anni fa ad oggi, perché sono cambiate molte cose nell’industria musicale e mantenere il ritornello cambiando le barre è stato molto difficile, ma anche una delle sfide più belle che potessi lanciare a me stessa.
Il brano racconta la storia di due ex che si ritrovano, vivendo la loro relazione per la seconda volta con la stessa intensità della prima. Qual è il messaggio principale che volete trasmettere con questa canzone?
Il messaggio principale che volevo trasmettere con questo brano era proprio quello di lasciare da parte “la rabbia e l’odio” che possiamo aver provato verso una persona nel momento della rottura perché la vita va avanti ed è una sola dobbiamo fare ciò che ci dice il cuore.
Il legame descritto nel testo è fatto di affetto autentico e comprensione reciproca. Come avete cercato di catturare questa autenticità nel modo in cui avete reinterpretato il brano di Jacopo Sarno?
Ho cercato di mantenere un mood fresco e spensierato, proprio come quello della canzone originale, ma con suoni diversi. Quando scrivevo questa canzone, pensavo nella mia testa a due ragazzi su una spiaggia con una birra in mano ed ho voluto ricreare questa sensazione anche nell’arrangiamento.
Nel commentare il brano, hai detto che rifare questa canzone è stato come tornare indietro nel tempo. Qual è stato il momento più emozionante o gratificante durante il processo di creazione di questa nuova versione?
Ricordo ancora quando mandai un messaggio a Jacopo Sarno consapevole del fatto che probabilmente non avrebbe neanche visualizzato. Quando ho avuto una sua risposta, ci siamo incontrati, gli ho fatto sentire la mia idea e lui ha apprezzato molto dicendomi che potevamo registrarla insieme in studio. Vorrei poter tornare indietro nel tempo per raccontare alla mia bambina incollata al televisore, aspettando quelli dell’intervallo che un giorno avrebbe conosciuto Jacopo Sarno per cantare con lui un progetto riscritto interamente da lei.
Sono grata alla vita di aver conosciuto un artista a 360° che mi ha dato l’opportunità di lavorare con lui, non lo ringrazierò mai abbastanza.
Il videoclip di “Ho voglia di vederti” è stato girato al Patty Bakery & Bistrot di Milano. Come avete scelto questa location e quale atmosfera volevate creare per il video? Qual è stata la parte più stimolante o interessante del processo di realizzazione del videoclip?
È stato girato in un bar di Milano, perché entrambi abitiamo qui. Nel videoclip c’è l’incontro dei due ragazzi che si ritrovano dopo tanti anni e si rendono conto che le emozioni che provavano l’uno per l’altro non sono affatto cambiate. Ricordo che la parte più divertente del girare le scene è stata quando Jacopo diceva cose buffe e inaspettate per farmi ridere!!
Infine, guardando al futuro, cosa possiamo aspettarci da Rebic? Ci sono altri progetti in cantiere che puoi anticiparci?
Non posso dire tantissimo, ma stiamo lavorando a 360° e molto presto fuori nuova musica.
Ci siamo: Lucio Corsi si è svelato all’Europa, con la sua celebre “Volevo essere un duro”. Una performance pura, essenziale e necessaria per presentarsi fuori concorso nella prima semifinale dell‘Eurovision 2025. La contrapposizione come strumento e chissà, come ricetta magica per un podio internazionale. Infatti l’artista toscano non si snatura per la grande manifestazione europea, anzi sbalordisce proprio per la sua coerenza stilistica e musicale che lo ha portato alla ribalta durante questi mesi.
Nessun ballerino, nessun suono tecnologico, nessun effetto speciale fantascientifico: Lucio Corsi abilita anche dal punto di vista coreografico, una “debolezza” marcata rispetto alle altre scuderie, per valorizzare forse l’aspetto piu debole della stragrande maggioranza degli artisti in gara: la poetica.
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Il testo di “Volevo essere un duro” diventa infatti centrale per tutta l’esibizione svizzera, internazionalizzandosi soltanto dal punto di vista grafico, dal momento che è stato tradotto in inglese nel sottopancia dei nostri devices. Un’esperienza anacronistica affianco al suo collega Tommaso Ottomano, che riporta l’ascoltatore a una fase sempre più ghettizzata: la riflessione.
Mettici poi un color seppia come filtro, due amplificatori alle spalle dei cantanti e l’uso di tre strumenti musicali suonati dal vivo (ai limiti del regolamento EBU) e ci ritroviamo di fronte un live anni ’70, in linea con l’outift del nostro Pierrot toscano. Un’esibizione sulla falsariga del Festival di Sanremo, che si concretizza con quegli strumenti nazional-popolari che ci riportano a quella fase cantautorale che ha fatto sognare per decenni il nostro Paese.
Sará la scelta giusta? Non possiamo saperlo, ma quel che conta è aver ritrovato finalmente onestà intellettuale e dignità artistica, in un’epoca sempre più liquida e povera di contenuti!
La bandSanlevigo torna in scena da oggi, venerdì 9 Maggio 2025, con il nuovo singolo Viaggi onirici al piombo. Fra incubi quotidiani e fughe nel sogno, il nuovo singolo si basa su un sound psych-rock, arricchito da incursioni drum’n’bass e da chitarre aggressive.
Con tale brano, prodotto insieme a Jesse Germanò, i Sanlevigo offrono uno spaccato degli anni recenti, un periodo di incertezze che ha costretto l’umanità a fare i conti con le proprie paure, insicurezze e angosce. In questo viaggio tra armi puntate, uomini eleganti e campagne bombardate, ogni elemento rivela un significato più profondo, invitando l’ascoltatore a confrontarsi con le proprie ansie irrisolte.
Sul piano sonoro, Viaggi onirici al piombo segna una nuova evoluzione nel sound della band romana, all’attivo dal 2017, con un’impronta psichedelica che richiama un certo rock australiano. Un esempio deriva dalla sezione ritmica nervosa, incalzante e dai richiami drum’n’bass, dove vengono calate chitarre affilate e taglienti. I momenti nevrotici e quelli più onirici si intrecciano in un flusso sonoro che costruisce un paesaggio musicale caotico e instabile, dove l’ascoltatore si trova a navigare senza punti di riferimento, costretto a riflettere sulle proprie inquietudini più intime.
Un brano che in un certo senso sarà il crocevia fondamentale per il tour in avvio proprio da stasera e che porterà i Sanlevigo in giro per l’Italia, fino a metà Agosto.
Ecco nel dettaglio le tappe del tour: 9 maggio – Fuoritema, Urbino
Ci siamo: Rock in Roma ha acceso i riflettori sulla nuova edizione, pronta a raggiungere (e chissà, superare) i successi dello scorso anno in termini di ticketing e di visibilità internazionale.
La presentazione è avvenuta alla Sala della Protomoteca in Campidoglio, con i volti istituzionali e organizzativi che ormai ci accompagnano da 15 edizioni.
Parola d’ordine di quest’anno? Aggregazione. Un’azione collettiva, abbastanza richiamata in conferenza, con cui i giovani possono evitare la crescente piaga dell’isolamento digitale, nel segno della quotidianità. E proprio eventi come Rock in Roma sono il rimedio culturale per mantenere quell’ideale di “cittá che suona tutto l’anno” che tanto piace agli organizzatori Sergio Giuliani e Maximiliano Bucci e agli stessi amministratori comunali.
Rock in Roma 2025, monocromia di genere?
Peccato però che questo DNA artistico, quasi insito nella storia di Roma assieme allo sport, sembrerebbe scorrere in questa edizione solo nelle vene maschili, a vedere la line-up. Infatti nei 21 concerti confermati ad oggi si intravedono quote rosa solo durante il Pride X, l’after party della parata arcobaleno. Un dato eloquente, dalla quale gli stessi organizzatori si smarcano in maniera strategica, fra difficoltà logistiche – “bisogna congiungere vari aspetti come l’opportunità, recruiter, disponibilità e tanti altri fattori”, come ha sentenziato Bucci – e contenuti femminili odierni apparentemente al di sotto delle aspettative- ” valutiamo in base all’opera d’arte che abbiamo di fronte, aldilà di chi ce la porti”
Lungi da sproloqui miopi sulla mancata parità di genere sul cartellone che chiaramente svilirebbe il ruolo della donna a una forzatura di facciata, non possiamo esimerci da una serie di domande alle quali non sappiamo dare una risposta così facile: chi sarebbe stato il profilo idoneo femminile in questo momento per un trampolino di lancio così schiacciante come quello del Rock in Roma? Quale artista riempirebbe una platea come l’Ippodromo delle Capannelle, con un progetto in corso e coerente alla linea del festival?
I nomi in cartello, in un certo senso, mantengono coerenza sulla doppia mission del Rock in Roma: notorietà e sperimentazione. Quest’ultima è stata proprio la fortuna più grande per gli organizzatori che hanno riportato alla luce le grandi scommesse vinte, da Gazzelle a Post Malone, fino a Kendrick Lamar. Artisti in un certo senso sperimentati da un pubblico sempre più stratificato che si affaccia alla manifestazione estiva romana e che ormai non hanno nemmeno più quella necessità di accostarsi a questa manifestazione per portare la loro musica nel periodo estivo.
Rock in Roma 2025, la line-up fra giovani rampanti e vecchi classici
Ora è la volta dei Fontaines D.C., astri nascenti sempre più luminosi nel rock internazionale che sono pronti a bissare il sold out della precedente edizione nella Cavea dell’Auditorium, così come per il rapper Tony Boy e il trapper Peso Pluma. Giovani rampanti e temerari che calpesteranno il suono dell’Ippodromo, certi di avere un’occasione abbastanza prestigiosa per attirare una platea ancora più grande. Sulla stessa lunghezza d’onda, ma in un genere nettamente differente, agirà Lucio Corsi che, forte della partecipazione a Sanremo e all’imminente Eurovision, potrà mostrare il suo eclettismo in uno spazio inedito. Anche Willie Peyote proverà a cimentarsi con il suo political-war a prendersi la Capitale, così come Tananai, su strofe più melodiche e con una fanbase sempre più crescente.
Sul lato opposto, s’intravedono sprazzi amarcord internazionali per quello zoccolo duro del Rock in Roma che non demorde dinanzi alla fluidità musicale. Parliamo infatti di icone come The Smashing Pumpking, che chiuderanno la line-up l’1 Agosto, così come il chitarrista blues Joe Bonamassa che si esibirà in Cavea a metà Luglio e i leggendari The Black Keys che porteranno l’edizione deluxe del loro dodicesimo album “Ohio Players”. Perle miliari del panorama rock internazionale che si aggiungono alla nutrita lista di grandi artisti che sono passati sotto il cielo romano, come Bruce Springsteen e i Rolling Stones.
Rock in Roma 2025, la line-up completa
Ma ora vediamo di seguito gli appuntamenti nel dettaglio:
– 13 Giugno – Voglio tornare negli anni ‘90 (13 Giugno) – 14 Giugno – Pride X – 17 giugno Fuckyourclique – 18 giugno Fontaines D.C. – 19 giugno Tananai – 20 giugno Mai dire Goku – 21 giugno Lucio Corsi – 24 giugno Finley – 28 giugno Teenage Dream – 8 luglio Willie Peyote – 10 luglio Nanowar of Steel – 11 luglio Tony Boy – 13 luglio Lazza – 15 luglio Ghali – 16 luglio The Black Keys – 19 luglio Sfera Ebbasta – il 20 luglio Peso Pluma – 22 luglio Irama – 24 luglio Luchè – 1 agosto The Smashing Pumpkins
Insomma Rock in Roma, per la sua quindicesima edizione, porterà ancora il suo uragano estivo di grandi emozioni musicali nel quadrante a est della Capitale, nel nome della diversità artistica e di una legittima riflessione di genere.
È disponibile su tutte le piattaforme digitali “PSICOTERAPIA”, l’album di esordio di Gale per CutCombo Records con distribuzione Believe.
Anticipato dal singolo “Salute mentale”, il disco è composto da 12 brani con produzioni musicali per lo più realizzate da RT e Bpolo, due artisti con cui il rapper di Cesena collabora dall’inizio della sua carriera. Gli ospiti sono Fiore Akamono e Kiddkasal.
Come suggerisce il titolo, questo album racconta l’uscita da un periodo difficile avvenuta grazie a un percorso di psicoterapia che Gale è stato costretto a intraprendere quando ha preso atto di un malessere che lo opprimeva da tempo. I versi dei brani esprimono le inquietudini del giovane rapper, che in vari passaggi, e per la prima volta, si mette a nudo con racconti intimi che svelano le ragioni del suo periodo buio.
Fin dalla prima traccia, la title-track, infatti Gale si confida e si sfoga, e lo fa con un linguaggio a tratti intimo, una novità per lui, e a tratti esplicito e provocatorio, come accaduto in altri suoi brani del passato. “PSICOTERAPIA”, insomma, svela le diverse anime di un ragazzo poco più che ventenne che ha vissuto un periodo di equilibrio instabile e che in queste 12 canzoni racconta le sue difficoltà esprimendo rabbia e dolore ma anche spocchia e speranza.
Un disco in cui si potranno riconoscere varie persone che hanno passato periodi altrettanto tormentati, soprattutto se appartenenti alle nuove generazioni – anche visto che i pezzi rappresentano varie tendenze della trap contemporanea.
CHI È GALE
Gale, nome d’arte di Riccardo Galeotti, nasce a Forlì nel 2002 e cresce a Cesena. Fin da piccolo nutre una grande passione per la musica e dal 2019 inizia a fare rap con sempre più convinzione, con uno stile che fonde i ritmi urbani alle influenze pop.
Il suo primo singolo ufficiale, “Un altro drink”, esce nel 2020 ma è nel 2022 con “GORILLA#1” che attira le attenzioni del pubblico. Nel 2023 partecipa a Real Talk in un cypher con altri artisti cesenati, successivamente chiude l’anno pubblicando “Wesh”, in cui ironizza su chi vanta trascorsi di vita strada senza averne la credibilità.
Durante il 2024 pubblica “Ollè Ollà”, brano che parla di come si stia costruendo la sua vita da sé e punti ad arrivare in alto contando solo sui propri mezzi, “Ça va”, in cui parla delle difficoltà della vita in provincia, “Tuta parisien” con il featuring di Lolo, il freestyle “Ahora” e “New Era”. Nel 2025 collabora con Bussø in “Broken”.