Eccomi qui, ancora una volta immerso nel deserto a camminare lentamente, fissando le pietre roventi, con il mio padrone sopra le spalle. Quasi tutta la mia vita l’ho passata così; con gli zoccoli che camminano sopra la polvere, il sole che picchia sopra le nostre teste e il mio padrone che mi guida verso l’orizzonte in cerca di fortuna. Mi chiamo Fulmine e sono il cavallo personale di un vecchio cowboy di nome Jack, ma in tutto il Texas e in gran parte del Sud lo conoscono come “Mano Rovente”. È difficile definire il mio padrone, alcuni lo considerano un eroe, altri un farabutto e un ladro e altri ancora un rompiscatole che dovrebbe farsi i fatti propri. Lui si è sempre definito semplicemente un uomo del suo tempo. Quelli che stiamo vivendo sono tempi difficili, la legge è una bambina appena nata e ogni uomo la interpreta come vuole. Jack è sempre stato un solitario, almeno lo è sempre stato da quando mi cavalca e lo fa da ben quindici anni, praticamente una vita intera. Da quindici anni sono il suo unico amico. Anche di donne ne ho viste ben poche al suo fianco e duravano tutte una notte, nelle varie città che visitavamo. Il suo soprannome deriva dalla sua straordinaria abilità nel maneggiare le pistole. Gira sempre con due cinturoni e altrettante pistole ai lati, cappello sulla testa a coprire gli occhi color ghiaccio, jeans sporchi, una camicia altrettanto sudicia ed un giaccone lungo e bianco. Ricordo ancora il giorno in cui ci siamo incontrati. Ci trovavamo entrambi in Nebraska io ero il cavallo di un indiano che quel giorno aveva assaggiato il piombo caldo di uno sceriffo ed era caduto a terra, impaurito iniziai a correre verso le verdi praterie senza una meta. Mi fermai solo molti chilometri dopo, vicino ad un fiume per bere. Jack spuntò dopo circa una mezz’ora mentre io stavo brucando. Lo vidi avvicinarsi con passo deciso verso me con un sacchetto in mano. Non so perché lo feci, ma per la prima volta nella mia vita non diedi retta al mio istinto che mi diceva di scappare e rimasi fermo a fissarlo. Mi raggiunse e mi accarezzò il muso, poi il corpo e mi studiò per bene.
<< La fortuna inizia ad accorgersi del sottoscritto. Un bel cavallino come te mi serviva proprio, stavo giusto pensando di andare verso sud>>.
Queste furono le prime parole che sentì pronunciare dal mio padrone, poi salì su di me e mi spronò a camminare verso le terre della polvere. Ripenso spesso a quell’incontro e ogni volta non riesco a trovare una spiegazione sul perché non scappai. Il destino si diverte a giocare con noi e probabilmente aveva previsto da tempo che la mia strada e quella di Jack dovevano incrociarsi in una prateria del Nebraska. Ricordo i suoi occhi azzurro chiaro che ipnotizzavano e i capelli biondi come il sole.
Tra di noi c’è sempre stata una forte amicizia, quando ci incontrammo eravamo giovani, io avevo cinque anni e lui trentacinque, ora stiamo andando verso la via del tramonto e probabilmente questo sarà il nostro ultimo viaggio. Spero non gli succeda niente al mio padrone, gli voglio bene, ma so che tipo di vita fa e non voglio illudermi. Dove siamo diretti, lo stanno aspettando e non certo per dargli il benvenuto. Potrebbe certamente rifiutarsi di presentarsi e scappare, ci sono ancora molte terre vergini dove nessuno ti viene a cercare, ma “Mano Rovente” è sempre stato un uomo coraggioso e non è mai scappato di fronte al pericolo, potrei definire il pericolo la sua casa. Si continua a camminare, abbiamo appena lasciato Ghost Town, California e siamo diretti verso un’altra città del Texas Orientale di cui non ricordo il nome. Quanto vorrei girarmi e tornare indietro, ma io sono solo un semplice cavallo che deve ubbidire al suo padrone anche se lui si sta dirigendo all’inferno.
Anzi l’inferno sarebbe meglio in confronto a quello che gli aspetta.
Se viaggio indietro con la mente ricordo tante battaglie, tante scazzottate e duelli con i tipi più loschi di tutto il sud.
Il mio padrone ha sempre agito per il suo interesse, ma ha un gran cuore e non sopporta le ingiustizie. Questo l’ha portato ad essere amato da tanta povera gente, ma anche ad essere odiato da altrettanti farabutti. Molti di loro occupano i posti più alti della società e sono proprio loro che lo vorrebbero morto. Ci hanno provato molte volte, senza mai riuscirci. Una volta ha anche difeso una piccola tribù indiana della nazione degli Apache. La loro riserva confina con una città governata da uno sceriffo disonesto che sta al soldo del Governatore, come tanti del resto. L’ingordigia del Governatore non conosce sazietà ed è sempre alla ricerca di denaro e modi per ampliare il suo potere, alle spalle delle povere persone. La città di El Dorado confina con la riserva apache ed alcuni suoi cittadini scoprirono che sotto le montagne, dove vive la piccola comunità, c’era una gran quantità d’oro. La notizia arrivò al governatore Richard che si precipitò sul posto ed iniziò una forte campagna discriminatoria contro gli indiani per ottenere la loro terra. Quello però è territorio indiano ed è protetto da un trattato. Richard usò ogni spregevole mezzo ed ogni sorta di menzogna per convincere tutti i cittadini ad insorgere contro gli indiani che, a detta sua, erano solo un ammasso di selvaggi ubriaconi e molestatori di donne. Molti gli diedero ragione ed iniziarono a spingersi fin dentro la riserva per delle spedizioni punitive. Tutto questo non sarebbe mai interessato a Jack se non fosse che si trovò in mezzo alla disputa tornando dal Messico. Il mio padrone non voleva rogne all’inizio e prenotò una stanza in una locanda per un paio di giorni, giusto il tempo di riposarsi e poi ripartire verso il Tennessee. Fin dai primi passi che camminammo nella città, Jack intuì che c’era un aria tesa tra loro e la comunità indiana. Molti al bar parlavano e insultavano gli indiani e programmavano spedizioni vendicative. Al mio padrone iniziò a bollire il sangue, ma voleva rimanere calmo e lasciare al più presto quell’angolo dimenticato da Dio. Aveva un grosso affare in ballo nel Tennessee e non voleva perdere tempo. Ma un giorno si trovò di fronte ad una scena raccapricciante. Nel deserto, poco distante dalla città, un gruppo di uomini stavano molestando e violentando una piccola ragazza indiana. Mi spronò al galoppo non appena capì cosa stava accadendo e con una mira incredibile, fece saltare i cervelli degli uomini e riportò a casa la ragazza. Da quel momento Jack diventò l’eroe della comunità Apache, gli diedero il nome indiano di Aquila Veloce con una grande cerimonia sacra. Ma il mio padrone finì anche nella lista nera del Governatore Richard, quei spregevoli esseri che stavano violentando la ragazza, erano i suoi uomini. Jack non si accontentò di salvare la vita a quella ragazza, ma istruì il capo tribù dandogli dei consigli legali che lo avrebbero tutelato legalmente e permesso di mantenere la sua terra, nonostante i tiri mancini del Governatore. Il mio padrone ripartì presto con dei nuovi amici ed un nuovo nemico sulle sue tracce. Ormai ci siamo abituati, fa parte della nostra vita.
Forse questa è la prima volta che non abbiamo nemici alle nostre spalle che ci stanno seguendo. Non ci segue nessuno non perché non abbiamo più nemici, ma perché questa volta stiamo andando noi da loro. Se solo ripenso a quello che ci aspetta in quella maledetta città mi vengono i brividi, nonostante i quaranta e più gradi che stanno friggendo le nostre teste. Ancora un mare di sabbia e monti intorno a noi. Non so quanto manca alla metà, spero molto. Questo deserto è un inferno ma è sempre meglio di quello che ci sta aspettando. Tra un po’ calerà la sera e noi saremo costretti a fermarci. Dopo aver sofferto il caldo per tutto il giorno, dovremmo soffrire il freddo per tutta la notte. Il mio padrone c’è la mette tutta per alleviarmi le pene, mi ha comprato una grossa coperta e accende ogni sera un grande fuoco. Tutte le sere lo stesso copione, come un film che ricomincia ogni volta che finisce.
Io che bruco quella poca erba che c’è e cerco di ripararmi dal freddo e il mio padrone che suona la chitarra con una sigaretta in bocca dopo una breve cena. Mi piace sentirlo suonare mentre guarda l’orizzonte o il vasto manto di stelle sopra le nostre teste. Teste che hanno una bella taglia, soprattutto la sua. In lontananza il canto dei coyote accompagna la sua musica e procura a me brividi che non sono di freddo. So di essere al sicuro con Jack, ma il mio istinto mi dice di avere paura e di stare sempre vigile. Per quei maledetti coyote io sono un ottima cena ed un ottima colazione per il giorno dopo. La fame ti spinge a fare le cose più insensate, anche sfidare un uomo armato pur di addentare un pezzo di succulento cavallo.
Ci siamo fermati, e Jack si sta preparando la cena, una pezzo di bisonte regalatogli dagli amici Sioux. Io mi accontento di un po’ d’erba che cresce all’ombra di una grossa montagna dove Jack ha scelto di fermarci. Questa volta però il solito film ha un colpo di scena, il mio padrone si gira la sua solita sigaretta e se la fuma senza suonare, guarda solo l’orizzonte buio davanti a sé. Vorrei essere nella sua mente, non solo per capire il frastuono dei suoi pensieri, ma per suggerigli di rigirami e scappare. Purtroppo nessuno ha questo potere, tanto meno io che sono solo un cavallo. Lo vedo aspirare l’ultimo boccone della sigaretta e coricarsi nel sacco a pelo. La stanchezza lo aiuta ad addormentarsi ed io rimango come sempre da solo a sorvegliarlo come farebbe un amico. Mi addormenterò come sempre per circa un paio d’ore e poi all’alba andrò a svegliarlo.
Il sole, puntuale come sempre, sta salendo dalle grandi montagne all’orizzonte. Io lo guardo e lo saluto per poi andare a svegliare il mio padrone. Dopo alcuni minuti apre gli occhi mentre io ancora gli muovo il corpo con il muso. Mi saluta e si alza. Si riveste e prepara un po’ di caffè con dell’acqua che abbiamo trovato in un oasi l’altro ieri. Io faccio colazione con un altro po’ di erba prima di ripartire. Dopo mezz’ora siamo di nuovo sulla strada, lui con una sigaretta in bocca e il cappello sugli occhi ed io con la testa verso la sabbia e i sassi. Ma le mie preghiere non sono state esaudite e dopo tre ore di camminata, alzo il muso e vedo in lontananza una città. Il cuore inizia a battere più forte, spero in un momento di sbagliarmi e prego Dio di far diventare quelle strutture in legno un miraggio. Ma il Principale non mi ascolta e sento il mio padrone imprecare. Questo mi da la conferma che quelle strutture fanno parte della città che stiamo cercando, un angolo d’inferno che sarà la nostra tomba. Provo a nitrire, a fare qualcosa, un ultimo tentativo per convincere Jack a tornare indietro, ma non mi ascolta e mi invita a proseguire. Ascolto la sua voce ed è vibrante, sussurra come se avesse un groppo in gola. Non è la sua solita voce, lo so. Una parte della sua mente è d’accordo con me, per nostra sfortuna non è la parte più grande. La città si fa sempre più vicina ed io saluto per l’ultima volta il deserto. Nostro dispettoso compagno di viaggio per molti e molti anni. Il mio padrone prende un fucile a canne mozze dal mio fianco destro e lo sento caricare. Ecci arrivati alla fine, questa volta non scapperò come con l’indiano, sono troppo vecchio e voglio troppo bene al mio padrone. I primi sparì passano sibilando a pochi metri da noi, cerco di rimanere calmo ma non ci riesco.
Immagini prese da Google Immagini
Simone Clementi