“We Were Grunge:” un dialogo con le icone rock degli anni Novanta

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We Were Grunge” non è solo un romanzo di formazione: si tratta di un dialogo immaginario con le icone rock degli anni Novanta. Non a caso la trama è suddivisa in quattro parti, dedicate a Chris Cornell, Kurt Cobain, Layne Staley e Eddie Vedder. La vicenda vede come protagonista un uomo che decide di intraprendere un percorso solitario tra i boschi dell’Appennino Tosco-Emiliano. L’esperienza di un cammino faticoso dal punto di vista sia fisico che spirituale lo aiuta nella stesura di un romanzo che gli girovagava per la testa da un po’. Un romanzo che si pone come punto d’incontro con il presente e il passato grunge pieno di luci e ombre.

We Were Grunge” è il nuovo romanzo di Alessandro Bruni. Noi di Indielife l’abbiamo intervistato per curiosare in questa storia affascinante.

Questo romanzo è un intreccio fra le storie di vari protagonisti: quattro stelle del panorama grunge e un uomo che decide di scrivere un’ opera a cui probabilmente meditava da tempo. Così intraprende un cammino impegnativo, dal punto di vista fisico e mentale. Da dove deriva la scelta di impostare la storia come un racconto itinerante?

  La scelta di intraprendere un cammino implica uno spostamento e spostarsi comporta sempre un cambiamento del punto di vista, una rottura. Un moto itinerante trasforma continuamente la percezione delle cose. Stiamo parlando della scoperta dell’acqua calda, ma sono proprio queste cose semplici a consentire un accesso al complesso involucro che racchiude l’essenzialità delle emozioni e dei ricordi. Per tornare a parlare del grunge, di un passato prossimo che sembra allontanarsi, il mio alter ego narrativo aveva bisogno di creare una rottura col suo presente e cimentarsi in un percorso diversamente faticoso, di fuga dalle strutture quotidiane esistenziali e urbane che lo circondano.

Come recita il sottotitolo, si tratta di un cammino non del tutto solitario. Infatti ci sono delle presenze costanti che scandiscono il ritmo della narrazione. È stato difficile immaginare Eddie Vedder come interlocutore?

Si tratta di un cammino alla ricerca di fantasmi. Eddie Vedder è una guida, una guida apparente. Interloquire con lui è stato inevitabile in quanto lui vivo rispetto agli altri; poi c’è questa sua presenza attuale pacificata, quasi da fratello maggiore, molto diversa dall’espressione rabbiosa e sofferente degli esordi. All’inizio della storia è come se il mio protagonista lo guardasse dal basso, come un bambino. Durerà poco, quello che mi interessava era ritrovare il Vedder rabbioso e litigarci anche.

Di certo è stato altrettanto suggestivo immaginare di incontrare gli altri musicisti che, appunto, possiamo solo immaginare. Com’è andata?

 È stato complicato. La storia è divisa in quattro parti, una per Chris Cornell, una per Cobain, Layne Staley e infine Vedder. Ogni parte ha una sua anima peculiare. Dovevo affrontare personalità molto diverse e restare sincero. Nel caso di Kurt Cobain ad esempio il cammino si interrompe per una permanenza solitaria in una casa in mezzo al bosco. Si è trattato della parte forse più difficile da scrivere, più cerebrale. Può sembrare assurdo ma Cobain, l’icona principale del grunge, resta per me il più inafferrabile.

Alessandro Bruni, autore di “We Were Grunge”

Com’ è andato invece il processo di ricerca degli aneddoti degli artisti? Raccontare la loro storia integrando il percorso del protagonista richiede di certo molta riflessione.

 Ho deciso di scrivere la storia dopo la morte di Chris Cornell. Ho letto alcuni saggi, biografie, interviste, poi mi sono reso che non funzionava ed era inutile continuare a leggere. Non volevo scrivere né la storia del grunge né la sua elegia, volevo solo ritrovare un passaggio di emozioni. Certo gli aneddoti possono servire come appigli narrativi, ma quello che contava era recuperare un certo spirito.

Il romanzo è caratterizzato da un dualismo tra resistere o soccombere: c’è una tecnica precisa per mantenere l’equilibrio narrativo tra l’attitudine di chi resiste e quella di chi in qualche modo soccombe, magari prima del tempo?

A volte sia nel vivere che nel raccontare la linea che separa la soccombenza e la resistenza è minima. Resistere comporta sempre una fatica, uno sforzo, mettere giù i piedi dal letto e alzarsi, scrivere la parola successiva, riprendere a camminare. Dopo la parte del romanzo dedicata a Cobain, il cammino riprende. Riprende con la convinzione di resistere pur senza certezze e la consapevolezza che chi soccombe non va condannato o dimenticato, va abbracciato anche se ci ha apparentemente abbandonato. 

“Il rock ‘n’roll è una cosa difficile e semplice allo stesso tempo”, può spiegare questa affermazione?

Mi volevo riferire alla creatività e al desiderio di affermazione e originalità cui ambiscono i musicisti e più in generale gli artisti. Prendiamo ancora il caso di Cobain e dei Nirvana, i singoli ingredienti di molte loro canzoni possono sembrare poco rilevanti o in alcuni casi tecnicamente discutibili. In realtà l’insieme compositivo che Cobain riuscì a creare era espressivamente devastante. Quando penso alla musica dei Nirvana accade un corto circuito strano: penso al punk e ai Beatles insieme.

Nel titolo “We Were Grunge” il tempo verbale rimanda al passato, a qualcosa che ha avuto successo, ma che appunto, è già successo. Stiamo parlando del grunge. Allora per concludere, il grunge è eterno?

Il grunge è finito. È stato un modo di porsi della musica e del costume dei ragazzi in un certo periodo confinato nella prima metà degli anni Novanta del secolo scorso. La viscerale e originale ricerca di forme espressive è invece ciò che per l’eternità accompagnerà un vero percorso creativo. Il grunge aveva quel dono.

Grazie.

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Fonte: Ufficio Stampa Il Taccuino, Bologna

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