Mica male, il primo singolo di Riviere per Revubs Dischi: potenza cantautorale, piglio da autore d’esperienza e un sound che mescola la tradizione al presente, guardando al futuro. Per andare più a fondo nella cosa, abbiamo fatto qualche domanda all’artista.
Riviere, benvenuto su Indielife! Raccontaci chi sei, e soprattutto come ti senti al tuo esordio discografico con Revubs Dischi.
Ciao! Ringrazio prima di tutto i ragazzi di Revubs, che hanno creduto in me e mi seguono e supportano quotidianamente. Scrivo canzoni da quando avevo 16 anni ed esordire con un singolo all’età di 24 è un’emozione particolare, che terrò ben stretta finché dura: continuo a studiare e a lavorare tanto su me stesso e mi sento finalmente pronto a prendere tutto quello che verrà.
Tra l’altro, fai parte di una fra le realtà emergenti che si sta facendo più notare negli ultimi mesi. Oggi, nascono etichette discografiche in ogni dove, e come emergono così velocemente scompaiono. Che cos’è, secondo te, che rende un progetto vincente? Cosa cerca oggi un emergente da una realtà discografica?
Penso che una realtà discografica oggi debba accompagnare gli artisti da più vicino possibile. La fruizione della musica è ormai completamente “liquida” grazie ai servizi di streaming: se questa situazione ha giovato al mercato musicale e ai suoi soggetti, dall’altra parte mette chi ascolta davanti a una ipertrofia musicale mai vista prima. L’artista da solo, anche con mezzi economici che gli assicurano prodotti di qualità, è perduto in mezzo a questo oceano senza l’aiuto di chi ci ha a che fare ogni giorno, che deve accompagnarlo e farlo orientare sempre. Non può esistere artista nel 2021 che non conosca come funziona il mercato, per quanto lui per primo dovrebbe pensare a fare Musica e nient’altro deve essere al corrente dei meccanismi e delle possibilità immense che si hanno.
Andiamo a te. Raccontaci il più imbarazzante degli episodi che hai vissuto su un palco.
Non ho un aneddoto così imbarazzante. Prima di portare alla luce il progetto RIVIERE ho suonato, come tutti i musicisti adolescenti in un paese di provincia, in svariate formazioni e in condizioni spesso di fortuna. È un periodo che ricordo nonostante tutto con nostalgia: tutto ciò con cui si ha a che fare musicalmente è motivo e occasione di crescita, sempre.
Come nasce una canzone di Riviere? Cosa attrae e su cosa focalizzi l’attenzione? E soprattutto: quando e come capisci se una canzone che stai scrivendo è “quella giusta”?
Parto sempre dal testo. Trovo che questo metodo mi aiuti, quando mi metto successivamente sullo strumento, a rendere più genuina la melodia, che senza delle parole di riferimento tendo a plasmare in modi poco funzionali al linguaggio che voglio usare. Penso poi che l’attenzione vada focalizzata su entrambi gli aspetti melodici e testuali: basta poco per rendere interessante anche la melodia più semplice! Quando infine la canzone è quella giusta, me ne accorgo perché non posso fare a meno di ascoltare la demo in loop continuo, anche dopo le revisioni di rito.
Ti ricordi del momento in cui hai scritto “Quando parlano di te”, ad esempio?
Me lo ricordo nitidamente. Era il 2016 ed ero al mio primo anno di università a Torino, prima che molte cose cambiassero. Nelle mie cuffiette si alternavano in quel periodo Frank Turner e gli Zen Circus. Una sera ero solo in casa all’ora di cena e mi misi a tavola con la chitarra: le parole e i gli accordi del ritornello fluirono dolcemente decise in Do maggiore. Una volta trasportato in Fa l’animo del brano è rimasto intatto e “Quando parlano di te” ha guadagnato con merito di essere il primo singolo con il quale tuffarmi in questo oceano.
Nel brano si parla di tante cose, ma la “dedica” nascosta nel pezzo (alla fine di ogni ritornello, se non andiamo errando) sembra ammiccare all’esistenza di un destinatario preciso. Se potessi rivolgertici qui, a questo destinatario, cosa vorresti dirle/dirgli?
Direi sicuramente che sto bene, che ogni esperienza in qualsiasi rapporto ci fa crescere e maturare sotto ogni aspetto e il nostro mi ha aiutato a capire molte cose. Decidere di regalare tutto di sé all’altro non può essere una costrizione e quando certi meccanismi vengono meno non ha nemmeno più senso continuare. Ci meritiamo tutti di stare bene.
La prima cosa che farai alla fine di tutto questo incubo pandemico.
Sicuramente sarò a Milano in un pub, con le persone giuste, a gustarmi una birra e ad abbracciare chi voglio bene. Auguro a tutti di tornare a poterci volere bene nei modi di prima, un abbraccio!