La Buick rossa cabriolet del ‘62, giocattolo privato di Clark Newall, sfreccia sulla I-85 ed è diretta verso il North Carolina.
Alla sua guida, con i capelli al vento, il sudore che gli cola copioso dalla fronte e una camicia zuppa, non c’è il legittimo proprietario.
Clark si trova nel suo ufficio con la gola tagliata e il sigaro che ancora sprigiona rimasugli di fumo dal posacenere.
Il ghiaccio sta annacquando il prezioso bourbon invecchiato che il buon Clark acquista in quantità industriali. Venerdì di un afoso fine giugno, il corpo di Clark verrà trovato solo lunedì mattina dalla segretaria.
Clark è scapolo e solo al mondo, nonostante le numerose amicizie e conoscenze, nessuno lo cercherà fino a lunedì. La sua macchina invece scorre ad una velocità moderata, Jeffery tende la mano sinistra per sentire il vento tra le dita, come fanno molti bambini.
Come loro sorride, ormai libero dalle catene, prende decisioni lampo, dettate dall’impulso del momento e vive giorno dopo giorno senza un piano preciso.
Tutti quelli che aveva costruito nella sua mente, fin da bambino, sono crollati come castelli di sabbia dopo un onda troppo grande.
Come non ha mai fatto prima, ascolta la parte più primitiva dei suoi pensieri e dà vita a quelle idee che noi normalmente reprimiamo e ci vergogneremmo anche a raccontarle. Proprio come due ore fa, quando si è trovato da solo nell’ufficio del suo capo.
Lavora o meglio lavorava, per il signor Newall ormai da due anni, era entrato per caso come magazziniere, poi le sue conoscenze informatiche e la laurea lo hanno aiutato a salire di carriera e lavorare nei piani alti, in amministrazione.
Era capitato a Suffolk dopo aver girovagato per un anno in vari stati e svolto alcuni lavori. In banca aveva accumulato un bel gruzzoletto ma non voleva sciupare tutti i soldi in poco tempo. Cambiare lavoro gli piaceva, gli dava l’opportunità di osservare meglio le persone, i loro aspetti bizzarri, notando ogni loro punto debole e di forza.
Si era lasciato alle spalle tante cose ma senza mai un minimo di rimpianto. Aveva abbandonato la vecchia vita, aveva lasciato un paio di cadaveri poco dopo quel grazioso motel, il “Virgin” e un altro stava marcendo nei boschi del Tennessee.
Probabilmente adesso era diventato in gran parte cibo per alcuni animali selvatici. Aveva lasciato, a malincuore, la sua Cadillac e preso in prestito la macchina di Eddie, il bullo che quando erano ragazzi lo perseguitava, i suoi resti ora fanno compagnia agli alberi del Tennesse.
Tornare nel paese d’origine gli fece bene, andò a trovare sua mamma e riuscì a vendicarsi del prepotente che aveva perseguitato lui e i suoi amici per tanti anni. Mentre sistemava il suo corpo nella boscaglia, ripensò agli amici di allora, a quello strano club che avevano formato, “ chissà come sarebbero contenti di sapere che il vecchio Eddie ha avuto ciò che meritava” pensò mentre lo scaricava e lo copriva in parte di terra bagnata. Per un po’ quella strana sete di sangue si placò e mentre alcune autorità locali lo cercavano con il nome di Autostrada Jeffery, lui cambiò auto, identità e andò verso sud per rifarsi una vita.
Nessuno aveva visto veramente il suo volto, tranne i cadaveri ma quelli, si sa, non possono parlare. Fino a quel pomeriggio, sembrava avesse trovato un angolo di paradiso dove rinascere.
Suffolk era una bella cittadina, il lavoro non era il massimo ma gli garantiva una vita decente e qualche soddisfazione.
Aveva preso un piccolo appartamento in affitto nel grazioso quartiere di azalea acres. Nei fine settimana, quando le giornate erano particolarmente soleggiate e calde, si metteva in giardino a disegnare.
Con Mr. Newall aveva un decente rapporto, rimanevano entrambi sulle loro senza darsi fastidio. Clark era sempre chiuso nel suo ufficio e ogni tanto chiedeva del lavoro extra a Jeffery che in quella nuova vita si faceva chiamare Roy Lundgren. Fino a circa tre ore fa erano stati due anni di calma e tranquillità, soprattutto nella mente di Jeffery.
<< Lundgren, vieni subito ho bisogno di te!!>>
il tono di voce annunciava un’incazzatura bella grossa da parte del suo capo, Jeffery alzò gli occhi al cielo e sperò di non aver combinato nulla. Quando era nervoso bastava un niente per farlo scattare dalla sedia in pelle nera.
L’ultima cosa che voleva era una lavata di testa di venerdì pomeriggio. Già pregustava il meraviglioso weekend. Si sarebbe goduto il caldo nella sua poltrona a dondolo in giardino, bevuto qualche birra e letto un paio di tascabili comprati da poco in edicola. Aveva anche un paio di idee nuove per dei disegni.
Entrò nell’ufficio di Mr. Newall e chiuse dietro di sé la porta. Il capo era con la testa china su alcune carte, il bicchiere di bourbon alla sua destra e un mozzicone di sigaro spento in bocca.
<< Hai visionato tu questi rapporti, vero?>>
<< Sì Mr Newall, qualcosa non va? >>
<< Niente, tranne il fatto che perdo ventimila dollari all’anno in furti e deterioramenti vari della merce, com’è possibile? >>
<< Non saprei esattamente, non lavoro al piano terra da molti anni ormai. Il magazzino è un edificio molto grande con tanti dipendenti, certe cose possono capitare>>
<< Certamente Lundgreen, tanto a voi che importa, si tratta dei miei soldi non i vostri>>
<< Mr. Newall, ventimila dollari l’anno, se posso permettermi, rispetto ad un profitto di dieci milioni di dollari e con previsioni in forte crescita, sono spese che si possono affrontare. Costerebbe molto di più controllare ogni singolo dipendente, senza parlare poi del clima tra i dipendenti che andrebbe a deteriorarsi>>
il tono della voce di Jeffery stava cambiando, anche il suo sguardo ma questo lo poteva notare solo chi lo conosceva bene, non certo Newall che non aveva mai smesso di guardare quei fogli pieni di numeri. Doveva resistere, respirare piano, non gli piaceva prendersi colpe di cose che non aveva fatto e soprattutto non sopportava più essere trattato in quel modo.
<< Quando vorrò la tua opinione te lo chiederò Lundgreen, non penso che verrà quel giorno ma se dovesse succedere, te lo farò sapere. Fino a quel momento sei pregato, tu e tutti gli altri, di stare in silenzio e rispondere solamente alle mie domande.
Successivamente eseguire i miei ordini e basta. Sei soltanto un piccolo uomo che deve essermi grato per averti dato l’opportunità di lavorare qui da me e avere la possibilità di svolgere una vita decedente con lo stipendio che ti regalo ogni anno>>
Gli occhi di Newall incrociarono per la prima volta, da quando aveva iniziato a parlare, quelli del suo dipendete. Newall si sentiva ancora più forte, perché leggeva in quello sguardo, proprio quello che aveva sperato di leggere, paura e sottomissione. La mente di Jeffery, mentre lo sguardo ingannava il suo datore di lavoro, rifletté su tre punti fondamentali:
- Non sono più lo schiavo di nessuno.
- Sono le sei del pomeriggio passate, sono andati tutti via, siamo rimasti soli.
- Nella tasca destra ho un taglierino affilato che uso per aprire i cartoni
il terzo punto lo confermò sfiorando la tasca e la forma del suo affilato contenuto.
<< Ha perfettamente ragione Mr. Newall, se posso permettermi, vorrei rimanere in ufficio a fare degli straordinari, a gratis ovviamente, per organizzare al meglio un servizio di sorveglianza dell’intero magazzino al fine di evitare, in futuro, questi spiacevoli inconvenienti >>
<< Va bene Lundgreen, lasciami il rapporto sulla mia scrivania quando hai finito e chiudi tutto mi raccomando>>
Jeffery si avvicinò, apparentemente per prendere il rapporto che ancora giaceva sulla scrivania del suo datore di lavoro che ora aveva abbassato la guardia e si gongolava tutto pieno di sé. La mano destra s’infilò nella tasca ed estrasse velocemente una parte della lama.
Newall si stava accendendo il sigaro che penzolava dalle sua labbra, quando Jeffery si avvicinò.
Fece appena in tempo ad accenderlo, la prima boccata rimase in parte soffocata nei polmoni quando, con un gesto rapido, il taglierino entrò nella gola imbrattando di sangue gran parte della scrivania. Newall si accasciò, non prima di aver assunto un’espressione di stupore. Jeffery ispezionò le tasche della giacca firmata del suo ex datore di lavoro, trovò il portafoglio con alcuni contanti, li lasciò lì e preferì invece prendere le chiavi della buick parcheggiata proprio sotto il loro edificio. Poteva vederla anche dalla finestra, il rosso sembrava infiammarsi al contatto con il sole.
A casa si cambiò velocemente, prese le sue cose e ripartì con in tasca un nuovo kit di documenti nuovi.
Sta guidando già da tre ore, altre due e arriverà Lenoir, North Carolina. Ha scelto questa destinazione senza un motivo preciso, alcuni materiali che usavano nella ditta di Newall vengono da lì. Ha fatto le sue ricerche durante il lavoro in amministrazione, bisogna avere sempre un piano B.
Sta guidando vicino Durham quando vede qualcosa da lontano lungo il ciglio della strada, è un autostoppista, se ne vedono molti in giro di questi tempi. Molti sono ex soldati, appena tornati dall’Inferno del vietnam.
Hanno la mente sconvolta da quello che hanno visto e la maggior parte non riesce più a reinserirsi nella società. Persone che in quella tragedia avevano imparato a fare mille lavori, ora non riescono nemmeno a mantenersi un posto come benzinaio o commesso.
Avvicinandosi sempre di più con l’auto, vede che l’aspetto del ragazzo che con lo zaino sulle spalle mostra il pollice sinistro, non sembra proprio richiamare un reduce.
Non ha nessun indumento militare, indossa semplicemente un jeans ed una maglietta di un famoso fumetto. Naturalmente Jeffrey ha riconosciuto subito quella maglietta ed ha deciso di caricarlo su.
Un po’ di compagnia non fa mai male, nemmeno ad un solitario come lui.
<< Grazie, non ci speravo più. Sono tre ore che cammino sperando che qualcuno mi dia un passaggio. Fa un caldo infernale e la gente è diffidente quando si parla di autostop. Mi chiamo Bobby Dolan signore, grazie ancora per il passaggio>>
Jeffrey lo scruta per alcuni secondi, poi stringe la mano di Bobby e riparte.
<< Tranquillo, viaggio spesso per lavoro e un po’ di compagnia mi fa sempre bene. Mi chiamo Clark Newall e non chiamarmi signore, non sopporto chi mi ricorda continuamente che sto invecchiando. “Clark” andrà bene>>
Jeffrey ha un ghigno mentre pronuncia il suo falso nome
<< D’accordo Clark>>
porta gli occhiali, gli ricorda molto lui da giovane. Bobby guarda fuori mentre tiene stretto lo zaino che ha posizionato tra le gambe.
<< Non sei troppo giovane per vagare tra le strade d’America tutto da solo, Bobby? Avrai al massimo diciotto anni. >>
<< Diciassette e mezzo, ne compirò diciotto tra due mesi>>
<< Confermo, troppo piccolo per la strada, allora cosa ti ha spinto fuori dall’amorevole protezione di tua mamma? >>
la strada viene macinata sotto le ruote nuove dell’automobile rossa, dalla radio esce un vecchio pezzo country che entrambi sembrano apprezzare.
<< Mia mamma è morta quando avevo dieci anni, tumore al cervello. Ho vissuto con quel bastardo di mio padre fino a due giorni fa. Non ne potevo più, era sempre ubriaco, incolpava sempre me della morte della mamma, chissà poi perché. Deve essere matto come un cavallo, oltre che alcolizzato.
Per fartela breve, Clark, due giorni fa è rientrato in condizioni pietosi, più del solito ed ha iniziato a picchiarmi o almeno così erano le sue intenzioni. Non so cosa mi è scattato nella mente, ho preso una delle tante bottiglie vuote di birra, lo spaccata in testa al mio vecchio che è svenuto all’istante. Ho raccolto tutte le mie cose, preso i pochi dollari che c’erano in casa e mi sono incamminato per la strada>>
<< Mi dispiace ragazzo, non deve essere stato facile. Da dove vieni e soprattutto dove sei diretto>>
<< Sono di Jacksonville e sto cercando di arrivare a Neshville Tennessee>>
<< Perchè proprio Neshville? >>
<< Lì ci abita un cugino di mio mamma, il vecchio zio Howard. Dalla morte della mamma non lo sentiamo più, sempre per colpa del mio vecchio, ma so che era molto legato a me e alla mamma, spero che mi accoglierà nella sua casa e mi terrà nascosto per due mesi, poi una volta compiuto diciotto anni, potrò legalmente stare dove mi pare senza che mio padre venga a rompermi le scatole. Gli ho spedito una lettera, spero che lo zio riesca a leggerla prima del mio arrivo>>
<< Mi sembra un piano abbastanza giusto Bobby, posso lasciarti a Lenoir se vuoi e da lì prendere un autobus, per il biglietto ti darò una mano io se vuoi, tranquillo. Di cosa si occupa tuo zio?>>
<< Grazie infinite Clark, ci vorrebbero molte più persone buone come te. Mio zio ha una ditta di costruzioni in città, spero all’inizio di potergli dare una mano e riuscire a pagarmi gli studi. Vorrei diventare un avvocato e aiutare le persone che hanno delle storie simili alle mie>>
<< Non preoccuparti, sei un bravo ragazzo Bobby e mi ricordi molto me. Anch’io ho una storia simile, ma io ho perso mio padre da giovane e mia madre mi ha reso la vita un inferno finché non sono andato al collage. Ne vuoi una ? >>
Jeffrey tira fuori un pacchetto sgualcito di sigarette dal taschino della camicia, ne infila una in bocca e offre il pacchetto alla sua destra. Bobby lo guarda incuriosito, sta per prenderla ma ritira rapidamente la mano.
<< Non fumo grazie>>
<< Bobby, non sono tuo padre e non voglio giudicarti. Se senti il bisogno di provare una sigaretta, non sarò certo io a farti la morale. Non sono uno di quelli che dicono che fa male e poi ti fumano vicino. Il pacchetto sta qui, quando vuoi prendine una e accendila con l’accendi sigari che sta vicino alla tua gamba sinistra>>
Giusto il tempo di una canzone, tre o quattro minuti al massimo e Bobby ancora un po’ riluttante, prende il pacchetto e tira fuori una sigaretta. Un paio di boccate e Bobby tossisce vigorosamente.
<< Se lo fai per darti delle arie, non farlo ragazzo. Si vede lontano un miglio che questa roba ti fa schifo, avrai fumato al massimo un paio di sigarette prima di quella che hai tra le labbra ora. Stanne lontano e il tuo fisico ne gioverà, garantito >>
Bobby guarda la sigaretta che viene fumata velocemente dal vento, anziché da lui e la getta via. Per un po’ proseguono in silenzio, ciascuno ascolta la musica ed è immerso nei suoi pensieri.
Jeffrey ragiona, pensa con un sorriso leggermente accentuato mentre guida placidamente sulla strada poco affollata.
Sente una parte di sé, quella buona probabilmente, chiedergli Perché Jeffrey?
Lui di rimando risponde tranquillamente Perché no invece, non ho nulla di meglio da fare. Vede una fitta boscaglia che si estende a destra e a sinistra dell’autostrada, si accosta lentamente.
<< Non so tu caro Bobby, ma io ho la vescica gonfia come un pallone e ho bisogno di sgranchirmi un po’ le gambe >>
<< Anch’io devo fare pipì, scendo e vengo con te>>
Ancora quel sorriso, questa volta più accentuato di prima.
Si addentrano nella boscaglia, preoccupati entrambi di non farsi vedere, chissà cosa potrebbe pensare la gente nel vederli incamminarsi insieme nel bosco.
Scelgono un luogo abbastanza appartato e si preparano ad espletare i loro bisogni, ma Jeffrey accarezza il taglierino nella tasca, sempre quello, ancora sporco di sangue di Clark.
Mentre Bobby è concentrato, lo tira fuori e con uno scatto fulmineo, recide la gola del giovane ragazzo che si accascia a terra incredulo e morente. Bobby non diventerà mai un avvocato, diverrà qualcos’altro, qualcosa di peggio: cibo per orsi e puma, un nome nella lista personale di Jeffrey ma mai un difensore dei più deboli come desiderava. Clark, alias Jeffrey, lo guarda per un ultima volta poi si gira, fa pipì su una sequoia secolare e riprende il cammino.
<< Buongiorno signor Jim Timmons, sono lo sceriffo Ralph Froelich, cosa la porta a Lenoir? >>
<< Buongiorno a lei sceriffo, niente di particolare. Mi sono separato da poco e voglio trovare un posto tranquillo dove rifarmi una vita. Ero in viaggio in cerca di qualcosa e mi sono imbattuto nella sua città e nel cartello dove c’è scritto che cercate un guardiano notturno. Sono abituato a lavorare di notte, facevo un lavoro simile anche prima da sposato. Ma quando ho beccato mia moglie con un mio collega, ho lasciato tutto, moglie amici e lavoro e sono partito. Senza una meta precisa. >>
<< Capisco signor Timmons e mi dispiace per quello che le è successo. Devo avvertirla però che questa è una cittadina modesta e pacifica e non voglio problemi nella mia città. Lei mi sembra una brava persona ma di questi tempi non si sa mai, gira parecchia gente strana per le strade>>
<< Non lo dica a me Sceriffo. Stia tranquillo, non le darò problemi, voglio solamente trovare un posto dove ricominciare e lasciarmi il passato alle spalle>>
<< Ok Jim, possiamo darci del tu? >>
<< Certamente Ralph>>
<< La terrò in prova per tre mesi, se andrà bene nella prova, potrà restare da noi quanto vuole e magari entrare a tutti gli effetti nel nostro corpo di polizia. Abbiamo sempre bisogno di gente valida per le strade >>
<< Ti ringrazio Ralph per l’opportunità, farò del mio meglio, garantito>>
<< Presentati qui domani alle otto, dopo cena, ti porterò nel posto che dovrai sorvegliare e ti spiegherò il lavoro. Buona giornata a domani>>
<< Anche a te Ralph, a domani>>
si stringono le mani, ancora quel sorriso sul volto di Jeffrey, ma lo sceriffo è contento. Si è sempre fidato del suo istinto e perché non dovrebbe, fino ad ora non si è mai sbagliato.