“La resa” di Finecielo: un inno emotivo alla fragilità umana

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La canzone “La resa” del talentuoso cantautore Finecielo offre un intimo e potente sguardo sulla fragilità umana, esplorando il momento cruciale in cui ci arrendiamo alle sfide della vita. Nel cuore della sua composizione si cela un profondo ritratto della lotta interiore che ognuno di noi affronta in momenti di estrema difficoltà.

Il testo dipinge un quadro delle battaglie quotidiane che affrontiamo, sottolineando il momento in cui la forza per andare avanti vacilla e ci troviamo costretti a mettere da parte la nostra identità. “La resa” è un inno all’umanità vulnerabile, una celebrazione della nostra capacità di rialzarci nonostante le avversità.

Ciao Finecielo, siamo felici di averti qui per parlare del tuo brano “La Resa”. Cominciamo con il significato dietro la canzone. Puoi spiegare cosa ha ispirato la scrittura di questo brano e quale messaggio vuoi trasmettere?
Ciao a tutti! Grazie di avermi con voi. Dunque.
Ciò che mi ha portato a scrivere ‘La Resa’ è l’estrema fascinazione per una tematica che mi ha sempre fatto riflettere molto, e che, in antitesi con il filone principale dell’album, rappresenta in un certo senso i presupposti dai quali esso trae ispirazione: l’abbandono di noi stessi, che avviene in particolare, quando ci lasciamo prevaricare dalle difficoltà della vita, separandoci dalla nostra vera essenza.
Questo passa ovviamente per ciò in cui credo, ovvero che ogni essere umano sia detentore di un motivo ben specifico: una serie di tasselli fondamentali che ne definiscono presupposti e azioni, e che lo rendono pertanto unico, portatore di un messaggio estremamente personale, che può scegliere di assecondare o meno.
La repressione del naturale manifestarsi della nostra personalità, ci concede ad una piccola morte, e ci priva di quel senso di pienezza che la libertà d’espressione porta con sé.

Puoi condividere il processo creativo del brano e come è stata l’esperienza di lavorare su di esso con la tua band?
‘La Resa’ è nato molto velocemente, come la maggior parte dei miei brani: sono pochi i pezzi, se non quelli più impegnati, che mi è capitato di scrivere in più di un’ora di tempo.
Nel mio caso, parte tutto dalla chitarra, e da qualcosa che dentro di me necessita risoluzione; dico spesso che le canzoni nascono molto prima che io le scriva, perché non sono altro che il punto d’arrivo del mio bisogno di far chiarezza su qualcosa che mi disordina, e che nell’unione di testo e musica trova modo di essere capito, controllato.
Conclusa pertanto la stesura del cosiddetto chitarra-voce, e dopo una prima bozza d’arrangiamento che creo autonomamente, il pezzo viene dato in pasto ai musicisti e alla loro personale visione artistica, che si somma a ciò che già è stato definito, elevandolo, perfezionandolo.

“La Resa” è stato uno dei tuoi primi approcci alla produzione. Quali sfide hai affrontato durante questo processo e come hai superato eventuali ostacoli?
Una cosa molto utile, soprattuto agli inizi, è il feedback di persone fidate. Ho sempre puntato molto sul circondarmi di collaboratori onesti che non avessero difficoltà ad esprimere il loro giudizio, e questo ha sempre garantito che tutto quello che presentassi avesse solo margine di miglioramento nel reciproco scambio d’idee.
Quello che poi mi è tornato veramente utile, è stato il fatto di saper utilizzare bene la tecnologia: ho così potuto affrontare la produzione in prima persona, senza intermediari, per scolpire il ‘sound’ nella maniera più diretta ed efficace possibile.
Il resto è mistero, e incrollabile fiducia nella variabile caotica dell’universo.

Considerando la tua riflessione sulla necessità di preservare la propria autenticità e accogliere la diversità, in che modo credi che la tua musica possa giocare un ruolo nel promuovere un ambiente di accettazione e comprensione reciproca tra le persone?
Credo che la canzone, nel senso più generale del termine, affondi le sue radici nella necessità di trasmettere ed esorcizzare l’umano, di per sé caotico e multiforme, che trova coerenza nel momento esatto in cui incappa nella sua contraddizione: l’atto di fare musica rappresenta per me un presupposto di condivisione, teso ad unire le coscienze, a creare ponti, affinché al di là delle reciproche diversità, ci si possa riconoscere tutti nella comune appartenenza all’affascinante gioco della vita.
Il processo di sottrazione, teso al raggiungimento della nostra essenzialità, è forse l’azione più inclusiva che si possa compiere.

Infine, cosa speri che il pubblico porti con sé dopo aver ascoltato “La Resa” e l’intero album “FINECIELO”?
Se non è chieder troppo, mi auguro di aver lasciato un’emozione. Basta questo.

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