non è stato un semplice concerto. È stato il tentativo di dare forma all’informe, di far vedere quello che solitamente resta nascosto: il processo creativo condiviso, il confronto, l’amicizia. Un dialogo a quattro mani, due voci, un pianoforte e un synth, che ha messo in scena la genesi di due album distinti nati dalla stessa ricerca.
Lazzaro, vestito di trasparente nero, porta in scena una nuova pelle sonora, fatta di elettronica delicata, malinconia lucida e immagini che restano impresse come cicatrici. La sua voce, a tratti graffiata, a tratti sussurrata, non chiede attenzione: la pretende. Tra i brani si intravede una figura centrale, un “bimbo cresciuto”, alla fine dei vent’anni, che cerca di affrancarsi da tutto: dalla provincia, dal passato, dal bisogno di sentirsi sempre all’altezza.
“Pensavo di aver scritto un disco che parlasse d’amore, di famiglia. Ma dentro c’era questo sguardo infantile, questa voglia di leggerezza che ho scoperto tardi, dopo aver preso la vita troppo sul serio” – racconta Yuri, in un momento intimo fuori dal palco.
Distruggere per rinascere
Se Lazzaro è un resuscitato (non a caso), Boetti è un archeologo di se stesso. Ha dovuto “uccidere” il suo cantautore interiore per poterlo riscoprire. Dopo anni passati tra palchi e aperture importanti (come Morgan, Bandabardò, Roy Paci…) ha scelto di cambiare nome e direzione, per costruire qualcosa di più vero.
“Scrivo canzoni da quando ero bambino. Ma per togliermi di dosso certi riferimenti troppo ingombranti, ho dovuto passare per un disco apocrifo. Un disco che non mi rappresentava, ma che mi serviva per capire cosa non volevo essere.”
Lo abbiamo incontrato attraverso la voce di Manuel Apice, era il 2023 all’uscita del suo ultimo album, Romanzo porno, per Manita Dischi e .Belva. Oggi c’è un sentore diverso nel suo stile, sa di maturità e freschezza, anche risvegliata da un clima musicale diverso e da Lazzaro, il compagno di tastiera e voce.
Rizoma: una terza via
La vera novità, però, non è solo musicale. È umana, etica, organizzativa. Boetti e Lazzaro non sono “solo” due amici musicisti. Sono parte attiva di un ecosistema, di un’idea di scena che si chiama Rizoma un collettivo fluido, affettivo, dove ogni elemento ha un ruolo e ogni relazione è potenzialmente creativa.
“Il produttore, il fonico, il tour manager, il chitarrista… sono tutte persone che prima di tutto fanno parte della nostra vita. E questo, sul palco, si sente”.
Rizoma non è un’etichetta, ma una postura artistica, che si pone “a metà tra il nulla e il professionismo freddo”. È la volontà di creare una base umana e artistica, per non cadere quando (forse) arriveranno le offerte importanti.
“Facciamo i direttori artistici di noi stessi. Questa cosa ci prepara a dare un senso a tutto, anche se domani arriva una major”, dice Yuri.
Nella buona e nella cattiva sorte
In un tempo in cui il mercato musicale premia spesso la velocità più che la profondità, Lazzaro e Boetti scelgono un’altra strada: quella del tempo condiviso, della creazione collettiva che nasce dall’ascolto, dell’identità che si costruisce a partire dalla relazione. Il loro non è un semplice featuring, né un esperimento effimero. È un incontro che genera due dischi distinti ma intrecciati, due visioni che si contaminano senza fondersi, due voci che si alternano senza sovrastarsi.
È proprio nel cuore di questa esperienza si inserisce Rizoma, un contenitore umano prima che artistico, che si muove tra l’autoproduzione e il desiderio di creare uno spazio nuovo, etico, indipendente, eppure aperto al dialogo con l’industria. Una scena in cui il palco è il prolungamento della vita e la vita si riflette nei suoni, nelle parole, nei silenzi.
Il loro è un progetto corale, così lo definisce Damiano. In questo incontro con Yuri ed Elemeno Umano (Gianmarco), l’unione è umana, prima come persone che hanno una storia di vita poi, come un flusso, si uniscono le strade della scrittura musicale.
“Siamo amici e abbiamo affrontato tante storie e difficoltà insieme. […] dalla nostra storia cerchiamo di creare un team, un gruppo che si dà una mano. L’amore e la premura che noi stessi, in gruppo, possiamo dare ai nostri lavori reciproci, non sarebbe lo stesso che potrebbe dare un addetto ai lavori a cui arriva una mail. In questo ponte ci collochiamo noi, nella misura in cui non c’è al momento casa discografica se non tutto quello che ognuno può dare come apporto per la carriera dell’altro.”
Boetti e Lazzaro: incontrarsi e fondersi
Nella chiave di lettura dell’amore e della premura si concretizza la collaborazione artistica, ce lo racconta Damiano: “Yuri è entrato nel mio progetto suonando dal vivo, come ad esempio a Isernia, al Primo De André; intervenendo nei demo, nell’ultimo album, aggiungendo i suoi synth al mio piano. In Ragazza del ’99 c’è la sua voce, non escludo che ci sia anche nel disco che stiamo realizzando. Ci aiutiamo ognuno coi i propri mezzi, lo portiamo in modo naturale sul palco.”
E sempre nella collaborazione nascono i primi risultati, proprio palesati da “Una strada” racconta Damiano “che ci ha portato alle segnalazioni su Rock.it, al secondo posto al rock contest di Contro Radio, vincita utile per le nostre produzioni e comunicazioni.”
Sarà la star internazionale Shaggy uno dei superospiti nel cartellone della trentesima edizione di Rototom Sunsplash. Dal 1994 il Festival europeo più importante della musica reggae. L’evento che torna dal 16 al 23 agosto a Benicàssim (Spagna), si conferma come punto di riferimento internazionale della musica e non solo.
Un hub culturale e artistico rivolto a tutti, con particolare attenzione alle famiglie. Tra i primi nomi annunciati anche gli italiani 99 Posse, The Wailers che si riuniscono per celebrare l’80mo compleanno di Bob Marley. Anche due dei suoi figli Ky-Mani Marley e Julian Marley. Nei cinque palchi Main Stage, Lion Stage, DanceHall, Dub Accademy e Jamkunda Stage, centinaia di artisti da tutto il mondo si esibiranno tra concerti, DJ set e soundsystem. Rototom è un hub sociale e artistico rivolto a tutti, con particolare attenzione alle famiglie.
Valori, sostenibilità e intrattenimento, passano anche dalle offerte di servizi integrati che hanno sempre contraddistinto la manifestazione. Otto giorni ricchi di contenuti con le più diversificate proposte anche oltre la musica. Nelle venti aree dedicate su una superficie complessiva di oltre 130mila MQ, il pubblico potrà usufruire di un’ampia scelta di food & beverage. Spiagge libere, un campeggio attrezzato, dibattiti, conferenze, workshop, mercatini, attività sportive, artistiche e ricreative.
Rototom nasce in Italia a Gaio di Spilimbergo (PN) per poi spostarsi nel 2010 in Spagna. Negli anni si è attestato non solo come eccellenza del genere coinvolgendo migliaia di realtà musicali da tutto il mondo, ma anche come modello culturale virtuoso rivendo tra gli altri il patrocinio UNESCO e la certificazione carbon footprint per l’impegno ecologista. “Quando migliaia di persone di età, culture e origini diverse riescono a vivere insieme pacificamente e gioiosamente, allora abbiamo raggiunto il nostro obiettivo –commenta il fondatore dell’evento Filippo Giunta-. In questi tempi di guerra e odio in molte parti del mondo, vogliamo celebrare questi valori più fortemente che mai”.
Pubblicato per la prima volta nel 2000, “Ca’ Pù” è il primo album solista dell’MC etiope-calabrese DJ Lugi. Grazie ad Aldebaran Records, il disco arriva dal 9 maggio per la prima volta in tutte le piattaforme digitali e ristampato in vinile e CD.
Attivo dal 1986 è considerato uno dei più importanti promotori della cultura Hip-Hop italiana. Lugi ha contribuito allo sviluppo della scena e alla diffusione del movimento nel nostro paese. Appartenente alla cosiddetta golden age degli Anni ’90, può vantare collaborazioni con i maggiori esponenti della scena del periodo. Tra questi Neffa, FritzdaCat, Esa, Kaos, Inoki, FabriFibra e molti altri.
“Ca’ Pù” prodotto interamente dallo stesso DJ Lugi, tranne la traccia “Non c’è limite allo show (Remix)” realizzata da Fritz Da Cat. Tra i featuring Meron, DJ Marcio e Neffa. Fu proprio quest’ultimo l’artefice della prima pubblicazione del disco per la sua etichetta Jackpot Records. Per l’occasione Michael “Deva” Converso di Aldebaran Records ha rimasterizzato completamente le tracce, partendo proprio dai nastri analogici dell’epoca.
DJ Lugi, tutti i formati disponibili per Ca’ Pù
Due i formatidisponibili in preorder dal 9 maggio: il primo un doppio LP 180 grammi con incisione DMM (per una maggiore qualità audio), in tiratura limitata di 1500 copie. La copertina originale dell’epoca in versione gatefold con effetto embossed (bassorilievo).
La secondaversione è una deluxe per i più esigenti collezionisti. Questo bundle comprende, infatti, i 2 LP del primo formato, l’album in CD, un terzo LP con tutte le strumentali e un quarto LP con il mixtape del 2008 “Lugibello & Lugifero” mai pubblicato fin’ora in vinile. Questi prodotti saranno acquistabili solo nel pacchetto deluxe in tiratura limitata di 300 copie e in esclusiva sul sito di Aldebaran Records, differentemente dalla prima versione che è acquistabile anche nei negozi di dischi.
La pubblicazione è accompagnata dal videoclip della traccia “Nel traffico”, realizzato in stop motion dall’illustratrice Cecilia Valagussa.
Una piazza gremita, un singolo pronto per l’estate: Fulminacci ha sorpreso il grande pubblico del Concertone con “Casomai“, il nuovo singolo uscito proprio al termine dell’evento, a mezzanotte.
Un brano che racconta, con il suo inconfondibile stile ironico, diretto e spiazzante, la fine di una storia d’amore.
“Mi aggiro tra le macerie ordinate delle mie abitudini mentre ti scrivo ancora “come stai”. Adesso mi sento come il pane senza Nutella (o un buco senza ciambella?). Anche se non so ballare sul ritmo sgangherato del mio cuore distratto spero che la gente possa invece farlo su questa canzone – aveva confidato l’artista prima della preview a San Giovanni – Casomai è prodotta da Golden Years, un nuovo amico con cui passo le giornate a complicarmi la vita tra suoni e indecisioni.”
E questo incredibile mix ha generato una base pop, ritmata e luminosa che ha da subito fatto breccia sulla piazza, riuscendo a trasformare anche la nostalgia in qualcosa di sorprendentemente vitale.
“Casomai” si inanella in un fermento artistico per Fulminacci, dal momento che arriva dopo il recente annuncio del “PALAZZACCI TOUR 2026”, il primo tour nei palasport del cantautore romano, che partirà dal Palazzo dello Sport di Roma il 9 aprile del prossimo anno.
Dal 2 maggio è disponibile su tutte le piattaforme digitali e in formato fisico “Vino – Sangue – Santità”, il nuovo album degli Heute Nebel, band ferrarese che celebra con questo lavoro otto anni di attività e, allo stesso tempo, inaugura un nuovo capitolo della propria storia. Otto tracce che non cercano scorciatoie, ma scavano, analizzano, e riformulano il concetto stesso di espressione musicale e lirica.
Un disco essenziale, pensato per restare
Il disco è un manifesto della loro evoluzione sonora, un concentrato di essenzialità che non lascia spazio al superfluo. Ogni parola, ogni nota è stata pensata per restare, per graffiare. Un lavoro che si rivolge a chi ha ancora bisogno di verità, anche se scomode, anche se dolorose. “Vino – Sangue – Santità è un canto sulle macerie… più che un album è un ricettario per la fine del mondo. È l’unico modo che abbiamo trovato per sopravvivere al disastro!” – spiegano gli Heute Nebel.
Otto tracce per raccontare l’urgenza
La tracklist – Deserto, Macabra danza, Ti seguirò ovunque, Rogo, L’ultima volta, Questa non è vita, Onore ai topi, Invettiva – è una successione di scatti istantanei, fotografie crude di un’esistenza in equilibrio tra lucida disillusione e sete di senso.
Dalle origini punk all’attuale identità sonora
Nati nel 2017 da un’idea di Lorenzo Magnani (basso e voce) e Luca Mazzoni (chitarra e voce), gli Heute Nebel prendono forma tra la nebbia invernale e la calura estiva della provincia. Alla prima formazione si aggiungono Guglielmo Campi alla batteria e, successivamente, Silvia Loiacono, che diventa la voce principale della band. Il primo EP Servi esce nel 2018 con un’attitudine fortemente punk, ma la direzione sonora comincia a cambiare con l’ingresso del batterista Alessandro Padovani, spostandosi verso lo stoner e l’hardcore.
Una nuova formazione, una nuova direzione
Dopo una lunga pausa pandemica e una gestazione complessa del primo LP, il chitarrista storico lascia il gruppo. Nel 2023 arriva Giacomo Lunardi, e con lui nuove influenze che consolidano l’attuale identità sonora della band.
Un disco per chi non cerca consolazione
Con “Vino – Sangue – Santità”, gli Heute Nebel si affermano come una realtà capace di trasformare il disagio in arte e la rabbia in linguaggio. Un disco che non consola, ma accompagna chi non ha smesso di interrogarsi.
Qualche mese fa ho fatto una chiacchiera molto interessante con Cristian Albani, cantautore romagnolo che da poco era uscito con la versione in inglese, “Elsewherever”, del suo precedente Ep “Altrovunque”. Si tratta quindi dello stesso album rianalizzato nella lingua anglofona, molto importante sia per l’esperienza artistica che personale dell’artista. Rappresenta così quasi un unicum nel panorama italiano musicale, una prova di coraggio che non tutti sarebbero in grado di fare.
Con la sua voce dolce, calda e pacata Cristian ci racconta di amori non corrisposti, del volersi sentire dovunque senza capire che siamo già ovunque, la follia che si interseca con la bramosia e l’horror vacui vissuto in pandemia.
“Elsewherever”
La prima cosa, un po’ scontata a dire il vero, che ti volevo chiedere però volevo capire un pochino meglio perché hai deciso di fare questa edizione del tuo scorso EP anche in inglese.
Diciamo che questo accostamento linguistico tra l’italiano e l’inglese era un’idea che già nel mio progetto iniziale era presente. L’idea è nata quando ero in Inghilterra e la lingua inglese era un po’ la mia intenzione iniziale, motivo per cui il progetto è stato lanciato in quel formato lì all’inizio. Poi dopo le vicissitudini della vita mi hanno riportato in Italia e già nel frattempo avevo cominciato a scrivere anche in italiano: è una lingua che in qualche modo ha preso piede un po’ per il contesto in cui ero e un po’ per la scena cantautorale che si stava un po’ a creare in quegli anni 2015-2016. Dopodiché mi è sempre rimasta l’intenzione di non abbandonare l’inglese, una lingua che comunque anche in altri ambiti di lavoro io utilizzo abitualmente e che mi accompagna nei miei viaggi e nei miei tour.
Ep in inglese
E quindi mi è venuta un po’ quest’idea di all’inizio affiancare brani in italiano e brani in inglese senza soluzioni di continuità. Soltanto successivamente invece mi è venuta in mente la possibilità di creare delle versioni alternative degli stessi pezzi nelle due lingue. È stato così anche per uno stimolo creativo, volevo provare a fare qualcosa di nuovo e di diverso. Devo dire che questo lavoro di traduzione e di rilavorazione mi sono ritrovato in realtà a farlo con un certo interesse. E poi dà comunque la possibilità un po’ al mio progetto per com’è adesso di rimanere allacciato alle sue radici. Mi dà anche l’opportunità chiaramente di mettermi di fronte ad un pubblico internazionale. Proponendo comunque qualcosa di mio, di autentico e che arrivi subito all’ascoltatore proprio come quando mi esibisco in italiano per una platea italiana. Questa è un po’ l’idea.
Da dove si parte
Ti viene più facile scrivere canzoni in italiano o in inglese? Da quale parti di norma?
Questo me lo chiedono in tanti, in realtà io spesso non ho neanche il cosiddetto ”monologo interiore” quando mi metto, creativamente parlando, con la penna in mano. Sicuramente la musica ed il suono per me sono preponderanti, quindi spesso e volentieri nasce prima un’idea musicale e/o ritmico-sonora per il testo rispetto ad un contenuto di protesta o comunque di enunciazione di un qualcosa che voglio dire a parole.
E’ quasi sempre tutte le volte la musica che trascina un po’ il processo creativo, quindi diciamo che si adatta anche un po’ in base alle sue necessità. In alcune situazioni mi viene più spontaneo avere una sonorità più vicina all’italiano, anche proprio un ritmo nella scrittura più simile alla canzone nostrana e invece in alcuni casi mi viene più una struttura adatta alla lingua anglosassone. Diciamo che non ci sono situazioni in cui mi metto a tavolino e decido ”oggi scrivo una canzone in italiano” o ”oggi scrivo una canzone in inglese”. Un’eccezione può essere che mi viene in mente una frase o un qualche cosa che suona già bene di per sé o in italiano o in inglese, e così magari può diventare uno spunto per continuare a scrivere qualcos’altro. Però è quasi sempre il suono che mi guida.
Musicalità
Quindi hai una mente molto musicale.
Sì, sì, la mia formazione comunque è musicale principalmente. Quando ero in Inghilterra ho fatto un corso di songwriting, quindi di scrittura della forma canzone. Poi dopo, in realtà già in quel periodo ero più interessato ad un aspetto legato all’arrangiamento, alla produzione ed alla struttura musicale della canzone invece al lavoro del paroliere. Non sono mai stato un prolifico produttore di testi. E’ più che altro la musica che per me fa repertorio nella mia creatività. Dopo infatti gli studi li ho proseguiti qua in Italia e ho fatto un corso di composizione per immagine. Quindi diciamo che la mia formazione anche come interesse personale mi ha sempre indirizzato verso la musica principalmente. Mi considero di più un compositore che canta rispetto ad un paroliere che suona.
Traduzioni
Hai riscontrato difficoltà nel fare la traduzione e nel trovare il modo per farla ”entrare” bene con la struttura che c’era prima?
Beh sicuramente non è possibile fare una traduzione letterale 100%. Magari in altre lingue, soprattutto in quelle che fanno parte della stessa famiglia, ad esempio l’italiano con lo spagnolo oppure tra lingue slave, che già di base sono molto simili tra di loro. Mi viene in mente ad esempio le lingue nordiche che con l’inglese funzionano molto bene, infatti i nordici lo imparano anche con meno difficoltà. Quindi ci sono alcuni casi in cui per origine comune, per parentela, già ti basta sostituire con l’equivalente nell’altra lingua e vai a riempire un po’ lo spazio che hai a disposizione.
Quando si parla di italiano e inglese non sono lingue distantissime ma allo stesso tempo hanno anche tante cose che funzionano diversamente, sia a livello grammaticale che sonoro. Quello che mi piace è cercare di mantenere un pochettino l’atmosfera, le tematiche, la qualità delle metafore, senza irrigidirmi troppo sul voler esprimere esattamente la stessa cosa nello stesso modo. Ed è anche una scusa per me per ripensarla, a volte anche un po’ da zero la canzone, ho anche questa libertà, questa licenza che mi posso dare, differentemente da un traduttore che magari lavora sul materiale di qualcun altro. Quindi diciamo che tendo a trovare un compromesso tra questi due filoni.
inglese-italiano
E qual è la traccia che hai dovuto cambiare maggiormente?
Ci sono state tante cose piccole ma sostanziali in parecchi processi di traduzione. In generale, mi viene da dire, le canzoni che tendono a cambiare di più sono quelle che partono in inglese ed arrivano all’italiano, perché comunque la struttura del verso in inglese tende ad essere più breve ma più prolungata nella sonorità delle vocali e delle parole. Anche perché comunque c’è proprio una caratteristica dell’inglese rispetto all’italiano di avere molto più consonanti, molto meno sillabe, quindi c’è proprio meno spazio per incastrare un numero compatibile di parole in italiano o comunque di sillabe.
italiano-inglese
Al contrario, invece, riempire una canzone che nasce in italiano con parole in inglese risulta più semplice, però l’unico problema che si può avere è di essere troppo parolosi, cioè inversamente di dover avere dello spazio vuoto da riempire e dover in qualche modo ”allungare un po’ il brodo”, con delle particelle, degli intercalari, delle sillabe, ecc… che servono semplicemente per far quadrare il verso così come era strutturato prima. Differentemente, magari, a quando si fa una traduzione di una poesia, dove puoi andare a stravolgere tranquillamente anche il verso, purché il contenuto rimanga uguale. Con la canzone sei un po’ incastrato nelle maglie della musica e quindi devi farcela con quello che hai a disposizione musicalmente parlato, con lo spazio lì.
Sì, è un ostacolo in più, praticamente.
Sì, è un ostacolo in più ed è un ostacolo diverso, che però, ripeto, nel mio processo creativo comunque mi stimola molto, perché è un po’ una sfida. E’ come un cruciverba od un sudoku, nel senso che hai delle regole che ti sei creato un po’ tu oltre alle regole del gioco. E in quello spazio di gestione che hai tu cerchi di fare il possibile, un po’ tipo come le ricette su Svuotafrigo, che a me piacciono molto, e ti inventi qualche cosa per salvare il pranzo o la cena. E a volte anche con questi giochi ludici, spesso nelle poche cose che si hanno a disposizione la creatività deve venire fuori, deve dare il suo meglio per riuscire a districarsi e trovare una soluzione.
Film e musical
Mi hai detto che hai studiato anche composizione per l’immagine, tu vorresti lavorare anche per un film, un cortometraggio, un mediametraggio ecc…?
Sì, io in realtà avevo cominciato questo percorso e ero molto più convinto del fatto che fosse quella la mia strada. Perché comunque mi rendo conto che anche molte cose che scrivo a livello di canzone sono compatibili con il genere del musical. Spesso anche nel mio processo di traduzione mi vado ad ispirare, nel senso che mi vado proprio a leggere le traduzioni, ad esempio delle canzoni della Disney o delle canzoni appunto dei musical.
Anche perché c’è questa prevalenza del ritmo, della musica e del filone narrativo che in qualche modo devi rispettare in quello che stai dicendo nella canzone. Per cui vai a sacrificare l’aspetto filologico del testo per andare in qualche modo a reinterpretare qualcosa per renderla compatibile. Mi viene in mente ”Total Eclipse of the Heart”, che in inglese completa il titolo con ”turn around”, e invece in italiano è stato tradotto con tornerai. Mi fa un po’ ridere perché suona molto simile, ma in realtà il significato è molto diverso.
Fare il compositore
Quindi in questo senso, mettendoci anche le mani in pasta, ho sentito molto la trappola del lavoro da scrivania che poteva portare il compositore per immagine. Però è un lavoro che ti porta sicuramente anche a fare tante esperienze sul campo molto interessanti. Noi abbiamo fatto dei laboratori anche con l’orchestra Senzaspine di Bologna, perché il conservatorio era il Martini. Abbiamo fatto anche diversi lavori sul campo e dei laboratori molto belli.
Però mi sono reso conto a posteriore, che la quantità di lavoro proprio da scrivania, quindi trascrizione, scrittura, stampa, correzione delle parti, correzione delle bozze virtuali, degli strumenti, eccetera, è un lavorone che riguarda soprattutto e quasi solamente lo studio. Mentre invece a me mancava tutta quella parte relativa ai song circles, alle esibizioni dal vivo, al rapporto con il pubblico, al confronto continuo della performance. E devo dire che è una cosa che nella giusta misura ha un ottimo apporto nel mio modo di vivere la carriera musicale e nel mio modo di essere un cantatore. Facendo solo il compositore un po’ mi mancava questa cosa.
E quindi alla fine ho deciso di tenere quello che ho imparato, di riapplicarlo comunque nei miei progetti, sempre però all’interno del mondo della canzone, del cantautorato. Chissà poi forse arriverà anche l’occasione in cui, magari alla fine di un periodo di live, ti viene voglia di fare quel tipo di lavoro lì. L’ho capito anche quando alla fine della pandemia a me è venuta voglia di andare a suonare dal vivo, non mi è venuta voglia di chiudermi il studio, questo è un po’ quello che è successo anche per via delle nostre situazioni contingenti della viva.
I primi approcci alla musica
Volevo chiederti l’inizio proprio di come ti sei approcciato alla musica.
Io non vengo da una famiglia di musicisti, in senso stretto. E’ un amore che è venuta fuori prima con mia nonna, che comunque è appassionata, senza essere una professionista, di musica lirica, canta nei cori e ancora oggi mi incoraggia molto, le piace seguire quello che faccio. Direi che quello è stato un primo avvicinamento. Poi a scuola ho avuto degli insegnanti che mi hanno in qualche modo incoraggiato, hanno notato che c’era qualche cosa che magari non avevo notato io o non avevano notato qualcun altro a livello di professione, un po’ di talento o tratti del genere, quindi mi hanno spronato ad approfondire un po’.
Io poi dopo mi sono appassionato già dalle scuole medie, nei miei primi complessini, e poi verso le scuole superiori non avendo fatto un percorso che fosse finito mirato, era un normale liceo scientifico, seguivo la mia passione per la musica in parallelo. Da lì ho cominciato a sentire questa esigenza di scrivere, prima sul pianoforte. Io ero un po’ su quell’onda che stava andando di moda un pochino di anni fa, di Allevi e Einaudi, pianoforte minimalista moderno, anche molto tecnicamente semplici da ideare, da scrivere, e quindi mi divertivo a creare dei brani un po’ in quello stile lì, che è rimasto comunque molto anche nel mio modo di accompagnarmi quando scrivo le mie canzoni.
Tastiera
Io di fatto uso praticamente solo gli strumenti a tastiera per la mia scrittura delle canzoni, la chitarra per me è uno strumento di arrangiamento che aggiungo dopo; io ho sempre i miei musicisti che mi aiutano, non è uno strumento che utilizzo in mezzo tanto io, anche per quello sono un cantautore un po’ atipico: non sono il cantatore di strada che si porta dietro la chitarra e ti fa la ballad da ”menestrello”, sono più appunto il compositore che mette le parole su qualcosa di ”tastieristico”.
Il canto è arrivato dopo lo strumento in realtà, io ho avuto un’adolescenza vocalmente un po’ complessa perché non avevo trovato la mia vocalità e non mi sentivo neanche a mio agio. Non ho appena avuto un pochettino di stabilizzazione intorno ai 16/17 anni, quando ho avuto il famoso voice drop dell’adolescenza, finalmente mi sono sentito come se avessi appoggiato i piedi per terra e come se finalmente fosse possibile effettivamente utilizzare questa voce. Per cui sempre in quello stesso periodo lì è arrivato il canto, è arrivata la scrittura anche di cose cantabili.
Canto
Ti sei avvicinato anche ad un insegnante di canto?
Ho fatto sia lezioni di pianoforte sia di canto, poi ho fatto molto anche musica di insieme che è un po’ anche la cifra che ti fa arrivare anche con le idee all’arrangiamento. Mi piaceva molto vedere come i miei insegnanti ed i miei colleghi concretizzavano anche le idee di arrangiamento, com’è che veniva fuori la canzone, cosa facevano gli altri musicisti e quindi fin da subito ho avuto a che fare anche con gente che suonava altri strumenti, altri cantanti e la sinergia delle voci.
Ho avuto anche esperienze di coro e di comunque backing vocalist e un po’ tutte queste cose insieme poi sono andate ad aggiungersi, ad accumularsi cosicché alla fine delle scuole superiori ho deciso che volevo provare a dar una chance a questo progetto. Ho quindi scelto di andare in Inghilterra, che secondo me era il paese che meglio incarnava un po’ i miei valori. Anche l’ idea degli artisti che hanno lì mi piaceva, ed è un luogo dove la musica viene anche vista ed accettata in un modo diverso proprio nella carriera e nella professionalità di una persona.
Londra e la sua serietà
E qual è la cosa che ti ha lasciato di più Londra da un punto di vista musicale?
Sicuramente questo, la serietà ed anche la professionalità con cui vengono trattati i musicisti che fanno il loro lavoro. Quella è una cosa che comunque a me è rimasta sempre e che mi ha sempre dato fastidio per contrasto negli stessi contesti quando venivo a che fare con altre situazioni in Italia dove invece questa visione era sminuita e trattata come sempre un po’ alla stregua del lobbismo. Viene molto percepita come un qualcosa che uno fa nel tempo libero e non come lavoro, come una carriera principale sulla quale uno investe e sulla quale uno anche esige una certa serietà da un punto di vista. Quindi quello tuttora mi manca dell’Inghilterra, però è anche vero che l’Italia per me ha un’attrattiva culturale rispetto a ciò che mi piace ed al tipo di vita artistica che mi soddisfa e che in qualche modo riesco a tenere in piedi.
Casa e serenità
Tu adesso sei stanziato a Milano o a Bologna?
Adesso sono di nuovo in Romagna, io sono originario della riviera romagnola di Cesenatico, è un po’ qua dove sono cresciuto, sono stato a Londra poi a Bologna e adesso faccio casa a base qua. Anche se in realtà da quando è uscito il disco cerco di spalmarmi il più possibile dovunque ci sia l’opportunità anche di mettersi in contatto con l’industria musicale e dove trovo qualcosa di interessante. Milano soprattutto in questo ultimo periodo sta facendo diverse ”attrazioni”, ma anche Roma e Bologna.
Che sono un po’ le capitali musicali d’Italia in questo momento.
Esatto, poi diciamo che essere in appoggio in un luogo, anche se provinciale, in cui ho famigliarità e so come muovermi, dove ho comunque tanti contatti, tanta rete, i miei collaboratori sono quasi tutti storicamente nella zona, mi dà serenità.
Miscela di lingue
Parlando invece sempre dell’inglese, vorrei chiederti se non hai la paura che qualcuno possa criticare questa tua scelta di mischiare le due lingue facendo magari leva sul fatto che siamo in Italia quindi dovremmo dare valore al nostro di idioma, come risponderesti a queste provocazioni?
Diciamo che in questo caso nulla è tolto a niente secondo me perché comunque è un qualche cosa in più che io metto a disposizione dell’ascoltatore. Mi piace anche sapere che c’è qualcuno del pubblico che preferisce una versione rispetto all’altra, che magari una delle due non la sopporta e invece dell’altra si innamora. Adoro anche sapere che non sono due facce scontate della stessa medaglia ma che in realtà possono essere una scintilla che fa venire fuori una diatriba che mette in discussione la stessa opera in qualche modo. Mi piace molto che sia una sorta di conversation starter a livello artistico e musicale.
L’inglese parte della vita personale e artistica
Non sono affatto preoccupato di questo tipo di opinioni contrarie perché comunque il mio modo di vivere l’inglese è molto personale da un lato e dall’altro comunque ha una sua storia ed un suo senso nel mio progetto. Non è tanto un pretesto e non è una cosa che in qualche modo ho deciso a tavolino, quanto si è rivelata nella mia vita rispetto a tutta una serie di scelte che ho fatto e di incontri che ho avuto. Quindi mi piace continuare a mantenerlo e per chi non riesce a comprendere questa scelta le mie versioni in italiano sono ugualmente ascoltabili.
Io finché mi esibisco in Italia sicuramente do la prevalenza all’italiano, tendo ad eseguire in inglese soli brani che ancora una versione in italiano ancora non l’hanno. Poi sfido i miei ascoltatori a indovinare a volte, secondo loro, quale versione è nata prima e quale è nata dopo. Coloro che sono degli osannatori o dell’italiano o dell’inglese spesso credono che delle canzoni siano nate nella lingua che a loro piace, in realtà sono le stesse versioni tradotte che se io non avessi avuto questo stimolo creativo di farlo magari non sarebbero mai esistite. E’ meglio aggiungere che togliere a questa opportunità dal mio punto di vista.
Raccolta antologica
Sì poi appunto, appartenendo comunque alla tua storia, questa forma è molto sincera con te stesso.
Sì per me poi, ripeto, anche rispetto a come è stata gestita un po’ l’uscita discografica di questo progetto, che è un EP per quella che è la forma definitiva che ha assunto, ma che al contempo è un po’ una raccolta dei vari singoli che io ho sparpagliato negli ultimi anni e che in qualche modo ho riunificato. Questo modo anche di riunirli ulteriormente, dando a tutti questa controparte in lingua inglese, mi ha aiutato anche a dare un senso e a corroborare in qualche modo anche la stessa identità del disco in italiano. Così nel confronto tra queste due versioni si creava un po’ l’identità della tracklist stessa, secondo me, rispetto ai singoli.
Pazzia
Passando invece alle canzoni, allora, partiamo da Euforia. Qual è quella cosa che ti dà quella nota di pazzia a te?
La nota di pazzia a volte è quello stimolo emotivo, quella cosa che viene da un luogo non cosciente di noi stessi, cioè un pensiero intrusivo oppure una voglia strana. Una sorta di craving che potrebbe emergere per qualcosa che in quel momento non c’entra nulla con quello che stai facendo o con quello che stai vivendo. Potrebbe essere ad esempio un ricordo che emerge all’improvviso, potrebbe essere un pensiero che fino a un momento prima avevi in mente che stavi facendo e che invece ti sfugge.
È quel momento in cui perdiamo anche solo per un istante il controllo della nostra anima, in qualche modo.
Sogno
A me piacciono molto questi momenti qua, anche il famoso lapsus freudiano in cui dici una parola per un’altra e poi ci ragioni a posteriori. Il momento del sogno per me è stato molto interessante, tu ti svegli e ragioni su quello che hai sognato, le emozioni vere che senti, cose che in realtà si è inventata la tua testa mentre dormivi. Tutte queste piccole bricioline di pazzia in qualche modo sono un po’ la spezia della razionalità nella mia scrittura e nella mia creatività.
Dopo mi piace molto anche non dare troppi paletti ai miei ascoltatori rispetto a quello che trovano nei miei testi, perché poi la nota di pazzia per ciascuno di noi può essere qualcosa di diverso. Mi piace fare con i miei testi, oltre alla tematica di apertura a diverse lingue, anche un discorso un po’ metafisico, un po’ ermetico, dove non voglio dare in qualche modo il riferimento esplicito. Mi piace anche l’idea che ogni ascoltatore faccia il suo compitino per casa e vada a riempire poi con delle informazioni sue, che per empatia sente legate a quella canzone.
Sì, infatti volevo capire bene cosa fosse per te
Sì, per me va ad essere tante cose. Mi piace anche appunto mettermi a tavolino a cercare anche di riunificare tante cose diverse in un unico concetto che poi posso andare a spionare dentro la canzone.(28:30)
Euforia
Che cosa sono le ”strade chiuse dell’anima” nella canzone?
Sono i capitoli lasciati in sospeso che credevi potessero continuare ma non lo hanno fatto, sono le scelte che non hai preso a scapito invece di quelle che hai preso, sono tutte le persone che non hai mai potuto conoscere o che conoscerai in futuro. Le strade chiuse dell’anima può essere tante cose, anche lì sceglie un po’ l’ascoltatore.
Memoria
A proposito di ricordi, nella canzone Memoria parli del tuo brutto rapporto con lei, del come non ti permette di dimenticare e di andare avanti. Allora ti volevo chiedere se invece c’è anche qualcosa di positivo nella Memoria per te.
C’è tantissimo di positivo nella Memoria. In realtà è anche un po’ una sorta di pretesto quello di voler scrivere una canzone per forza su quei pochi aspetti negativi dei mei ricordi, per scongiurarli fino alla fine. Per la verità io sono un grandissimo nostalgico, per me la Memoria, la nostalgia e la malinconia sono proprio materia prima delle mie canzoni e della mia vita. Era un po’ come trovare il famoso pelo nell’uovo con questa canzone, io ho sempre avuto molto affetto e molto legame con i miei ricordi.
Mi piace anche proprio l’idea che certe esperienze si trasformino in canzoni, così possono vivere all’infinito. In realtà la memoria ha anche però il lato negativo che noi conserviamo volentieri quello che ci piace, però siamo costretti a conservare malvolentieri anche quello che non ci piace. Però in una condizione nella quale è possibile conservare qualche cosa, ahimè, vale la pena comunque continuare a tenerla, nonostante ci siano ricordi un pochettino più dolorosi. Soprattutto se sono esperienze dolorose che derivano da scelte che abbiamo fatto, e grazie al ricordo poi possiamo correggere nel futuro. Se ce le dimenticassimo saremmo esposti a rivivere gli stessi errori del passato all’infinito.
Memoria collettiva
Un po’ anche nella storia umana questo è sempre vero, c’è anche la memoria collettiva in questo discorso. Noi cerchiamo di mantenere ricordi di alcuni avvenimenti storici, di alcune fasi della vita umana in cui c’è stata sofferenza, ci sono stati degli ostacoli, degli avvenimenti che hanno creato situazioni di difficoltà. Noi evitiamo di vivere ”la nostra volta”, che sarebbe un retrocedere culturalmente. Però ce n’è poca di memoria collettiva anche se vale la pena tenerla proprio perché ci aiuta a mantenerci più sicuri nel futuro. E’ una canzone un po’ giocosa, l’ho impostata come se fosse un capriccio di un bambino, nel senso di ”mannaggia, mannaggia, riesco a pensare solo a questa cosa qua”, ma in realtà se uno guarda il grande schermo non è poi così importante.
Horror Vacui
Volevo chiederti invece Giorni a quale periodo della tua vita fosse collegato, perché sembra un pochino, almeno io quando l’ho percepito così, legato al periodo della pandemia.
Mi fa piacere che sia arrivato il riferimento o che comunque, come dicevamo prima, ci sia stata una commistione in qualche modo alla tua esperienza. Sicuramente siamo entrati in connessione, perché la tua esperienza è vissuta proprio in maniera personale, ed è proprio quello che ha ispirato un po’ l’idea di questa canzone, cioè il vuoto. Un po’ come le ferie, da un lato c’è la possibilità di ristrutturare la giornata, fare quello che vuoi, e dall’altro l’horror vacui di avere così tanto tempo tra le mani e di non essere sicuro poi di poterlo sfruttare bene, di avere i programmi che ti saltano ed avere l’energia per fare le cose ma non riuscire a riorganizzarsi in tempo.
Giorni
Dopodiché ho inserito anche una seconda parte della canzone, un pochettino più cruda, rispetto a quello che è stata la conseguenza anche per molte persone, con la perdita del lavoro e delle opportunità commerciali, professionali. Così all’improvviso, che poi non solo ti blocca ad un livello umano o comunque ti sparpaglia all’improvviso, ma poi dopo anche a livello pratico, economico, ha avuto comunque tante ripercussioni su tante persone. E quindi è sicuramente questo, il fremere è un po’ la reazione che per me ha predominato un po’ quel periodo lì. La possibilità non concretizzata al 100%, perché era una possibilità un po’ disorganizzata.
Sì, poi giocava molto il fatto che non fossimo abituati a stare per così tanto tempo chiusi in casa
Esatto, e anche quello chiaramente, la disabitudine per una situazione nuova. Che poi può diventare uno spunto nuovo, che è sempre materia prima, quindi mi aiuta molto anche quando devo trovare delle tematiche su cui scrivere i miei brani. Non che non capita, però…
Scrittura
A te in generale cos’è che ispira la scrittura?
Come dicevo, spesso e volentieri, è un’idea musicale che per proprietà transitiva, libera associazione. Spesso ho anche quest’idea che dall’immagine estrapolo la musica, quindi io anche dalla musica posso estrapolare l’immagine. È stata un’idea intorno alla quale ho strutturato un po’ la mia tesi di diploma, il fatto che il compositore ruba materiale dal video per trasformarlo nella musica, ma in realtà il musicista pop fa la stessa cosa, al contrario, con i videoclip, con il materiale grafico, con lo stile del vestire, ecc… dove in qualche modo è la musica stessa che finisce per fuoriuscire e definire anche altri contenuti relativi al progetto.
Ed è un po’ così anche il mio processo creativo: spesso e volentieri ho un’idea musicale che per magnetismo attrae a sé all’inizio una serie di metafore. Io spesso dentro a queste metafore trovo quella parte meno cosciente del mio cervello, che le ha ideate a che cosa probabilmente del mio vissuto faceva riferimento. Ed è una sorta di così, di esplorazione continua. È come se ricevessi un telegramma interiore e dovessi in qualche modo reinterpretarlo. Mi piace molto usare la scrittura come una sorta di lente di ingrandimento, di vedere per astratto e per estrazione proprio dall’interno che cosa viene fuori,e da questo materiale diciamo vivo che ribolle cerco di dargli una forma.
Ispirazioni
E queste melodie arrivano totalmente in modo casuale oppure c’è sempre una fonte da cui derivano?
Sì, a volte ho la classica idea in testa. Magari motivetti che possono anche essere ispirati a qualcosa che già esiste ma che magari il tuo cervello mentre le immagazzina le rielabora e già le estrae, le toglie dal loro contesto. Che può essere la cantilena, di come parla una certa persona, un pezzettino di un’altra melodia, possono essere tante cose. Poi diciamo che molto spesso faccio anche un lavoro compositivo un po’ a tavolino, nel senso che come tanti compositori per immagini hai una sorta di codice armonico per il quale per associazione sia culturale che diciamo anche un po’ universale ci sono alcuni archetipi musicali che vengono legati a certe emozioni ed a certe situazioni.
Quindi non so, ci sono molte cose sospese nelle mie canzoni che danno un po’ un senso di metafisico. Gli arpeggi che martellano, in qualche modo ti danno anche da un lato un ritmo ma dall’altro anche uno spazio che si espande, un qualcosa che non si chiude mai, qualcosa di reciproco che si ripete. Ci sono tutti questi archetipi che in qualche modo io vado anche ad inserire perché le conosco. Sperimentando, mettendomi alla tastiera o comunque canticchiando, immaginando a volte oppure mettendole giù proprio su software o comunque, in Romagnolo paciugando, cioè andando a mettere le mani in panna per fare dei pastrocchi, spesso viene fuori qualche cosa che puoi elaborare.
Ascoltare per scrivere
Però anche lì non c’è una ricetta. Io lavoro molto bene quando ho dei limiti belli stretti, ad esempio voglio usare solo accordi sospesi, solo queste cinque note in tutte le combinazioni possibili. Oppure, ok, ho dieci minuti, mi metto il cronometro, e vediamo cosa viene fuori, cerco l’idea di qualche cosa e poi vado avanti e la scrivo. A volte anche solo un paio di accordi possono essere sufficienti, provi ad improvvisare un’idea vocale e poi ti trascina in una direzione che ha una sonorità più inglese o italiana.
Io sono molto in ascolto quando scrivo, è una cosa un po’ strana, però aspetto sempre che in qualche modo, brancolando nel buio, finisca come se mi arrivasse dall’esterno, con qualche cosa di lavorabile tra le mani. Secondo me è una cosa che fanno anche altri cantautori, che soprattutto danno prevalenza alla musica, perché invece magari un cantautore che scrive un testo impegnato e che ha delle tematiche particolari, spesso parte dal testo. O magari l’idea musicale dà un’idea per il testo, ma poi accantoni un attimo la parte musicale e ti concentri sul contenuto. Qualche volta è possibile, nel mio caso accade meno spesso rispetto al contrario.
Archimede
In Archimede, che prende il nome dalla forza omonima, è molto carina questa cosa che non lo dici ma si capisce, si parla di un amore non corrisposto?
Esattamente. È un amore non corrisposto che non è un amore umano, è un amore un po’ metafisico, un po’ sovrannaturale, anche qua potrebbe essere un attaccamento ad una passione che non è realizzabile, può essere un attaccamento ad una spiritualità che non è raggiungibile, può essere una relazione che finisce come può essere una relazione che non comincia mai. Anche lì è più appunto per la forza stessa che anima la canzone che l’ho scritta, non tanto per raccontare una storia di un personaggio particolare ma per raccontare che cosa si prova noi esseri umani quando abbiamo a che fare con una situazione dove abbiamo appunto una sfida di Archimede che ci allontana dall’oggetto del nostro desiderio.
Come ci sentiamo, cosa proviamo, cos’è che in qualche modo ci fa risolvere anche un pochettino questa situazione senza cadere a terra, senza perderci, com’è che riusciamo a rimanere saldi nelle nostre cose senza farci appunto mandare alla deriva da questa forza che non riusciamo a controllare. Io l’ho immaginata impersonificandola all’acqua, per me è una storia d’amore, ma perché è ”l’amore che muove solo le altre stelle”, cioè ci muove un po’ tutti e tutto ciò che facciamo.) E’ un brano ”storico” per me perché è stato una delle prime canzoni dove mi sono detto che il mio cantautorato si è fatto metafisico, come piace a me, e quindi siamo sulla pista giusta. Ha avuto tante forme, tanti ingredienti, e quindi è un po’ la cifra di quello che mi piace inserire nelle mie canzoni.
La soprannaturalità delle canzoni
E’ un po’ un prototipo di tua canzone questa?
Sì, io anzi ho deciso proprio all’inizio di pubblicarlo come primo singolo-demo, poi dopo l’ho rielaborata e l’LP è venuta fuori in una versione più levigata, più sistemata. Però fin dall’inizio ho detto che questo è il tipo di scrittura che vorrei poter sempre avere tra le mani, e in qualche modo poi ho cercato di mantenere sempre questa linea. È stato un po’ il brano germinale di tutto il mio manifesto creativo, in qualche modo. E quindi cerco sempre di trovare dietro l’esperienza della vita queste spinte artistiche, queste forze un po’ sovrannaturali, che in qualche modo animano anche la musica stessa. Ci sono degli avvenimenti che ci fanno provare emozioni che non siamo in grado nemmeno noi di capire fino in fondo, ed entrare dentro le canzoni dal punto di vista musicale davvero ci aiuta, secondo me, ad interpretare queste forze misteriose.
”Altrovunque” per te che cos’è ed è un posto migliore di dove siamo?
L’altrovunque è il posto dove siamo, nel senso che è tutti i posti dove siamo, tutti i posti dove potremmo essere, e tutti i posti dove siamo se non siamo qui ora. Quindi dove la nostra mente girovaga liberamente, senza mai staccarsi però dalla nostra realtà quotidiana. Che è un po’ come mi piace scrivere a me. Mi piace appunto estrarre i contenuti, spostarmi nel reame delle metafore, dell’interpretazione e dei sogni per poi riportarlo ovunque, cioè riportarlo nella realtà e ”sparpagliarlo” in giro.
Un po’ il mio lavoro è quello del messaggero, vado in un mondo strano da un’altra parte a prendere qualche cosa, lo riporto indietro e gli metto una forma che poi è in grado di ”completizzarla”. Ed è un po’ quella dimensione dove io mi trovo sempre un po’ incastrato, all’altrovonque pensando quando sarò di nuovo in tour in giro per l’Europa, eppure allo stesso tempo sono già comunque ovunque qua in Italia, ci sono tante ambivalenze. All’altrovunque penso a qualche cosa che non esiste, mentre cerco di vivere qualche cosa che è nella mia quotidianità.
Ubiquitario
Ok, è un po’ il binomio quindi che abbiamo sempre dentro.
Esatto, è una parola che ho creato successivamente rispetto alla canzone. Ed anche quella è, come si può dire, è un po’ una delle parole chiave del mio progetto, anche nel senso dell’a-spiritualità. C’è anche questo senso appunto dell’ubiquitario, queste due dimensioni che vanno un po’ a contrasto. Sicuramente mi porto dietro tanta zavorra e tanto materiale grezzo che non riuscirò mai del tutto a trasformare in canzone, che non riuscirò mai del tutto ad archiviare senza che mi appesantisca. Quindi sicuramente se potessi fare un gesto, butterei un po’ di questo bagaglio.
Tra i vari pesi sicuramente un po’ di quei ricordi che dicevamo prima che fanno male, li butterei tranquillamente. Magari mi scrivo un appunto, però la sofferenza che mi deriva magari me ne rende libero al contempo, portandomi dall’altra parte la leggerezza che poi ne consegue. Quella sarebbe la cosa più importante. Poi trovo le energie per riuscire a portare dall’altra parte anche me stesso, che è un po’ il ponte nella canzone. È quello che il protagonista, che sono io, ma è ciascuno di noi, cerca disperatamente di fare.
C’è questo ponte pieno di avversità, c’è un tempo climatico molto duro, molto aspro, mancano le forze, manca la sicurezza anche di riuscire ad arrivare dall’altra parte. Non sai nemmeno bene dove stai andando. E quindi è un po’ un grido d’aiuto, che appunto cerca un po’ questa leggerezza, questa sicurezza, di portare se stessi dall’altra parte.
Colori
Se tu potessi scegliere un colore con cui descrivere le emozioni che vorresti suscitare chi ti ascolta, quale sarebbe?
I colori nella mia creatività si associano in maniera abbastanza variopinta alle singole canzoni e dalle singole fasi della mia vita. Diciamo che è una domanda un po’ difficile in realtà, perché non ho un colore unico. Alcune canzoni sono blu, perché il blu è il colore del mare profondo, è il colore un po’ anche associato alla tristezza a volte, è il colore del crepuscolo e della notte. Poi c’è il verde, che comunque è il colore della natura e della speranza.
E poi c’è spesso anche il giallo, è un giallo ocra che va a colorare un pochettino la carta quando invecchia e che va a colorare l’alba quando finisce la notte. Questi tre colori nel mio progetto sono molto importanti. Però in realtà è una tavolozza abbastanza varia e dipende molto dalla mia propensione in quel momento. Adesso sono in una fase molto gialla, è in qualche modo di alba, di luce. È un colore che associo comunque a questo aspetto di rinascita e di pienezza che secondo me è giusto in questo momento.
Futuro
Adesso arrivo all’ultima domanda: i tuoi progetti futuri e che cosa ti auguri per questo EP?
Beh, per questo EP innanzitutto mi auguro che continui a raggiungere sempre più ascoltatori e che ci sia la possibilità di parlarne come oggi. Mi piace anche l’idea che ci sia qualche cosa da dire dopo o anche prima, che si è ascoltato quello che contiene. E da questo momento in poi parte diciamo in parallelo anche un discorso di reinvenzione del progetto, dei nuovi brani, delle nuove avventure che riguarderanno il mio progetto.
Sono in lavorazione nuovi brani per un nuovo album, c’è in lavorazione una live session con alcuni dei brani che eseguo già dal vivo, non inediti al 100% che ho arrangiato insieme ai musicisti della mia band. Quindi c’è un po’ anche un discorso di arrangiamento nuovo, io di solito sono un musicista da studio, un compositore da scrivania, invece con l’esperienza della band elettrica ho sperimentato un nuovo modo di elaborare le mie canzoni. Sono molto emozionato, gasato all’idea di poter presentare anche questo aspetto qua.
A te i nuovi stimoli piacciono molto?
Eh, assolutamente sì, anzi è quello che mi tiene sul pezzo.
Ricordate l’impegno e il mordente del Primo Maggio di qualche anno fa? Ecco, in questa edizione si è sempre più sciolto sotto un imprevedibile estate romana, figlia di una platea giovanile sempre piú attenta ai suoni che ai contenuti. Non ce ne voglia Vincenzo Schettini, l’audace professore di fisica, che ha provato a lanciare la sua battaglia educativa in prime time verso le nuove generazioni, ma la sconfitta l’ha ricevuta in presa diretta, davanti a un pubblico giovanile piú trepidante per l’arrivo della “bonazza” che ad argomenti più pertinenti a questa giornata.
A noi però non ci sorprende affatto, vista pure la line-up prescelta dagli organizzatori per raggiungere tale scopo, e fieri di quegli altrettanti volti così “sconosciuti” al grande pubblico, abbiamo potuto notare con soddisfazione come ognuno abbia superato la prova musicale egregiamente, lasciando furbescamente alle spalle qualsiasi “sbattimento” ideologico oltre l’esibizione.
Giá dall’opening del Primo Maggio riservato ai presenti, abbiamo gustato la grinta di chi aveva l’opportunità di sognare a occhi aperti, su un palco così imponente. Lo ha fatto Cyrus Young col suo inedito “Sete”, poi i Cosmonauti Borghesi con quel tocco glamour da anni 80, fino all’adrenalinico Vincenzo Capua che si è preso gli abbracci della prima fila. Emozioni forti, quasi da “Saranno Famosi” di qualche anno fa, che non hanno compromesso le performance, ma anzi le hanno rese a loro modo originali, senza nessuna deriva sociale.
E quella sensazione di gioia artistica è trasparsa anche dietro le quinte del Concertone del Primo Maggio , a caccia di quei flash che immortalavano ancora di più quel momento fatidico appena trascorso. Quelli che in un certo senso ha cercato sin da subito a sorpresa lo stesso Carl Brave, in un bagno di folla volutamente continuo per il suo rilancio artistico, nella sua casa anagrafica. Quel che e’ mancato peró e’ stato quel repertorio amarcord che avrebbe attirato su di sè ancor piú clamore durante il live set, un po’ come è riuscito con grande facilitá agli altri due figli di Roma: Gazzelle e Achille Lauro. Se il primo si può ritenere davvero il filo rosso di San Giovanni per la sua crescita professionale e per quell’alone “Gallaghiano” che lo ha sempre contraddistinto, l’altro sta acquisendo sempre piú una dimensione da popstar internazionale che forse in pochi, all’inizio, avrebbero ipotizzato.
Tra slogan, outfit e performance sempre più attente, Achille Lauro stadisegnando un’altra storia musicale, in uno spazio antitetico a quello piú indie dove riescono a stazionare ancora bene figure come il folgorante Lucio Corsi, il sempreverde Fulminacci e la sorprendente Joan Thiele, alla prova del sold out serale. Dirompenti, semplici e competenti: i figli dell’indie sono riusciti a portare a casa nel loro stile un egregio feedback dalla platea, evitando discorsi impegnati che avrebbero smosso sbadigli…o critiche miopi.
Perché in fin dei conti, la libertá di espressione esiste finché non supera determinati paletti, com’è capitato coi Patagarri, che hanno sforato il politically correct – a differenza dell’ironia di un inedito showman Brunori SAS – per rilanciare in maniera provocatoria la questione palestinese. Un fulmine dialettico a ciel sereno nell’assolato pomeriggio, dove son giunti sporadiche oasi di impegno, tramite un “Bellaciao” cantato da LeoGassmann con una piazza ancora da riempire, i video denuncia del Papa e frasi sparse dei conduttori su sicurezza (era davvero il tema trattato?), hating (con altrettanto rewatch di BigMama) e precarietá che non hanno lasciato un minimo ricordo, se non con il ricordo commuovente di PaoloBenvegnù
Anche la stessa campagna #ilmioverso, il tema di questa edizione per portare in scena la frase musicale rimasta impressa nella vita di ogni partecipante del concertone, non ha portato alla luce grandi solchi ideologici, se non evidenti differenze tra icone e possibili meteore.
Insomma il Concertone del Primo Maggio continua sempre più a prendere la deriva intrattenitiva, a discapito di una dimensione più impegnata che ormai si respira sempre piú in zone piú a Sud… tipo Taranto!
Al via venerdì 9 e sabato 10 maggio alla Casa della Cultura di Torpignattara a Roma, la quinta edizione di Hip Hop Cinefest. L’unico evento italiano e uno dei pochi al mondo dedicato alle storie scritte, prodotte e dirette da amanti della cultura Hip Hop. Passando per tutti i generi cinematografici compresi quelli sperimentali.
La forte vocazione internazionale dell’Hip Hop Cine Fest conferma l’evento come punto di incontro tra culture e idee provenienti da tutto il mondo. Come nelle passate edizioni, oltre alla proiezione delle opere cinematografiche selezionate, l’evento diventa dunque un forum di discussione sui temi complessi della narrazione culturale attuale. La kermesse è un laboratorio di creazione, condivisione, ispirazione e sperimentazione che si muove oltre le barriere geografiche. Questo favorendo scambi artistici su scala globale.
Hip Hop Cinefest esplora le intersezioni tra cinema, musica e le sfide culturali del nostro tempo, celebrando la ricchezza della cultura Hip Hop e il suo impatto trasformativo nella società. Durante la due giorni, si terranno dibattiti e workshop. Una particolare attenzione ai processi educativi non formali come strumento pedagogico innovativo e alla cultura stessa come bene immateriale per l’umanità. Le categorie in gara quindi includono documentari, fiction, serie, videomusicali, e operesperimentali, sia lunghe che corte.
Per l’edizione 2025 sono stati selezionati 115 progetti provenienti da 26 paesi. 21 documentari lunghi, 21documentari corti, 5 cortometraggi di finzione, 2 film lungometraggi, 8 progetti sperimentali, 4 progetti web, 4 serie e 50 videoclip musicali.
Le opere in concorso a Hip Hop Cinefest
Tra le opere in concorso durante Hip Hop Cinefest i documentari “Brasse Vannie Kaap” di LaurenScholtz, regista sudafricana che racconta la storia di uno dei gruppi rap più famosi del suo paese. “ProfondoNero” di RobertoPili, inedita esplorazione delle arti della cultura Hip Hop come forma di terapia psicologica. “CuandotetrasasunaMeta” di OscarB. Castillo ambientato nelle carceri venezuelane. Qui un gruppo di detenuti ha dato vita ad un progetto musicale che aspira ad essere un faro di speranza per centinaia di giovani.
Tra le opere di finzione invece “Under my Skin”, film francese di Pascal Tessaud. Una storia che racconta le difficoltà di una generazione che fatica a trovare il proprio posto nella società contemporanea. Tra le opere web e seriali “Bogotà Undergorund”. Serie documentaria colombiana che celebra cinque decadi di Hip Hop nella capitale sudamericana ripercorrendo le principali tappe, e illustrandone i maggiori protagonisti.
Per tutta la durata della manifestazione, sarà allestita una mostra curata dall’Italian Hip Hop Museum. Decine di pezzi tra storiche locandine, sticker, biglietti di concerti e materiale d’archivio sulla storia della cultura Hip Hop in Italia.
Dal 28 aprile fino al 18 maggio si inaugurano le tre settimane di proiezioni in streaming gratuito (https://filmfestivalplus.com/) delle opere in concorso al Festival. Punto di arrivo di una complessa attività di scouting che mira a raccontare l’Hip Hop come espressione culturale influente sulle correnti sperimentali nell’arte contemporanea.
Il programma del venerdì
Dalle 13 alle 22 proiezioni non stop dei film finalisti.
Dalle 18 alle 19.30 il panel “La musica dell’Hip Hop : dalle origini alle trasformazioni contemporanee” realizzato in collaborazione con Ecomuseo Casilino. Tra gli ospiti Ice One (musicista pioniere della scena Hip Hop italiana), DJ Hernia (musicista pioniere dell’Hip Hop venezuelano), Grandi Numeri (rapper Cor Veleno) e Doodi (DJ Hip-Hop).
In questo panel incentrato sull’analisi dell’Hip Hop in quanto genere musicale, si cercherà di individuare il momento storico e le opere che ne hanno segnato l’inizio, partendo dalle sue origini in seno al funk e gli altri generi musicali popolari connessi. Verrà inoltre tracciato il suo percorso in parallelo con l’emergere della figura del DJ, e delle peculiarità tecniche che questa ha apportato alla musica contemporanea in generale.
Il programma del sabato
Dalle 10 alle 21 proiezioni non stop dei film finalisti.
Dalle 11 alle 12.30 il panel “I graffiti: dal bombing al museo?” realizzato in collaborazione con Ecomuseo Casilino. Tra gli ospitiMaurizio Quagliolo (Professore La Sapienza), Mr Thoms (street artist), Trota (storico writer romano), Veronica Benanti (Presidentessa Hip Hop Protection), Arash Rahimi (Roman Doors) e Luca Borriello (Direttore Inward).
Arte primaria e fondante dell’Hip Hop, i graffiti sono passati negli anni dalla stigmatizzazione sociale, fino a trasformarsi in una delle correnti artistico visive più importanti degli anni 2000. Quali sono i possibili rapporti di questa forma d’arte con l’archivistica e la musealizzazione?
Dalle 13 alle 14 panel “L’hip hop ha ancora qualcosa da dire?” realizzato in collaborazione con Keep it Real e Ecomuseo Casilino. Tra gli ospiti Amir Issaa (rapper), DanieleDiamante (rapper), Matteo Cerasoli (Keep It Real), Wissal Houbabi (slam poet e attivista Hip Hop) e Rakno (direttore Hot Block Radio).
“L’Hip Hop dà voce a chi non ce l’ha”. Si può sintetizzare così l’impulso, quindi l’esigenza e la finalità della cultura e del movimento Hip Hop. Nel dibattito circa il dare voce e il prendere parola, oggi quale rapporto c’è, ci può e ci deve essere tra Hip Hop e la propria voce, nelle sue diverse forme di comunicazione verbale e non verbale?
Dalle 15 alle 16.30 panel “Il breaking: il suo percorso artistico” realizzato in collaborazione con Ecomuseo Casilino e DragoPublishing. Tra gli ospiti JacopoFerri (antropologo), Giallo (ballerino professionista) e GinoRota (b-boy arteducatore).
Proiezioni, talk e premiazioni
Panel focalizzato sull’individuazione delle caratteristiche artistiche proprie della breakdance, dalla sua comparsa in quanto danza di strada fino alla sua definizione come danza contemporanea e come sport olimpico. Questo concentrandosi sulla sua capacità aggregativa e i suoi utilizzi in termini socio educativi.
Dalle 17 alle 18.30 panel “Cinema Hip Hop: la definizione accademica” realizzato in collaborazione con Ecomuseo Casilino. Tra gli ospiti GiuseppeNexus Gatti (docente Università di Torino), GiuliaChimp Giorgi (direttrice Hip Hop Cine Fest),FrancoisGautret (direttore Urban Films Festival Parigi), VictorOlid (scrittore) e Stritti (fondatore Italian Hip Hop Museum).
Da cinque anni il comitato scientifico dell’Hip Hop Cinefest si interroga se il cinema Hip Hop possa essere un genere cinematografico a sé stante, attuando un’investigazione profonda sulle opere che vengono prodotte a livello globale e organizzando conferenze dedicate. Quale è lo stato dell’arte?
Dalle 21 annuncio delle opere vincitrici e consegna dei premi. Oltre ai registi, parteciperanno alla cerimonia alcuni dei membri della giuria per le 8 categorie in concorso.
Venerdì 9 maggio Dalle 13 alle 22 sabato 10 maggio Dalle 10 alle 22 Casa della Cultura di Torpignattara Via Casilina, 665 – Roma Ingresso Libero Infoline 0689711987
In Chiamami, Berto racconta una storia fatta di passaggi delicati, di scelte difficili e di nuovi orizzonti. Un giovane lascia il suo Paese e, con lui, un pezzo di sé. Ma la musica – come spesso accade – è il filo che unisce passato e presente. Un messaggio vocale diventa la miccia che accende emozioni, tensioni e memorie. Il risultato è un singolo avvolgente e autentico, che abbiamo voluto approfondire direttamente con lui.
Hai definito la musica come il tuo rifugio. Quando hai capito che poteva essere anche il tuo modo per raccontarti?
Ho sempre pensato che sarebbe stato bellissimo potermi raccontare attraverso la musica. Per me la musica è emozione. Ho iniziato davvero a scrivere quando ho sentito di avere qualcosa da dire, quando la vita ha cominciato a lasciarmi addosso storie, emozioni, domande. I miei viaggi sono stati una grande fonte d’ispirazione: nuove prospettive, incontri, scelte… come si percepisce anche nel mio singolo “Chiamami”, che parla di nostalgia, speranza e soprattutto del coraggio. Il coraggio di fare delle scelte che, all’inizio, possono sembrare difficili o spaventose, ma che col tempo ti portano verso qualcosa di bello e autentico. La musica è diventata non solo un rifugio, ma il mio modo più vero per raccontarmi.
Com’è nata la collaborazione con Casper e cosa ha aggiunto al tuo modo di fare musica?
Io e Casper lavoravamo nella stessa azienda, ma in reparti diversi, quindi non ci eravamo mai incrociati. Un giorno, durante un turno, un collega mi ha fatto sentire una sua produzione che spaccava. Lì ho capito che dovevo parlargli. Da quel momento è nata la nostra collaborazione. Casper ha portato una nuova energia nel mio modo di fare musica: mi ha spinto a essere più diretto, più vero. Lavorare con lui mi ha aiutato a tirare fuori lati di me che prima tenevo nascosti.
“Chiamami” unisce elettronica e urban con grande naturalezza. Quanto c’è di sperimentazione e quanto di istinto nel tuo processo creativo?
È un equilibrio tra istinto e sperimentazione. Di base, tutto parte sempre dall’istinto: scrivo di getto, senza filtri, seguendo quello che sento in quel momento. Poi arriva la parte più tecnica, dove mi piace giocare, provare, cambiare. In “Chiamami” amo tantissimo la progressione del beat tra il primo e il secondo verso. C’è l’audio messaggio che mando a un amico per raccontargli che le cose si stanno evolvendo in positivo, e intorno a quello si costruisce il brano. Il primo verso ha un piano con un mood nostalgico, che mi ha colpito subito e mi ha fatto innamorare del pezzo. Poi, nel secondo verso, entra una batteria old school che enfatizza il cambiamento, il passaggio da un momento difficile a qualcosa di nuovo e pieno di speranza.
Quella scelta non è solo tecnica, è emotiva. Racconta esattamente come si è evoluto il mio viaggio.
Ti piace pensare ai tuoi brani come fotografie sonore dei luoghi che attraversi?
Sì, “Chiamami” è proprio così per me. Racchiude più fotografie, come se fosse un album che raccoglie le emozioni che ho provato negli ultimi due anni, lontano da casa.
Hai dei riferimenti musicali che ti accompagnano sempre, indipendentemente da dove ti trovi?
Non ho riferimenti fissi, ma amo il rap in generale e cerco sempre di esplorare una vasta gamma di generi musicali, non necessariamente quelli più in voga in Italia. Non voglio limitarmi a uno stile specifico, perché credo che solo ascoltando sonorità diverse si possa davvero trovare il proprio sound. Ultimamente mi sto appassionando al neo soul, che mi ispira a sperimentare nuove sonorità e a superare i confini del rap che conosco. Ogni genere ha qualcosa da offrire, e io cerco di coglierne l’essenza per arricchire la mia musica. Il progetto Berto, infatti, mira proprio a sperimentare e sviluppare un sound unico che rispecchi appieno chi sono e la mia evoluzione artistica.
Cresce l’attesa per il CONCERTO DEL PRIMO MAGGIO DI ROMA, promosso da CGIL, CISL e UIL e organizzato da iCompany con la direzione artistica di Massimo Bonelli e la regia di Fabrizio Guttuso Alaimo.
Logo del Primo Maggio 2025
Mancano ormai solo due giorni all’appuntamento che torna come sempre in Piazza San Giovanni in Laterano per celebrare la Festa dei Lavoratori con una maratona di musica, impegno e spettacolo. “Uniti per un lavoro sicuro” è lo slogan scelto dai Sindacati per questo 1° Maggio, dedicato al tema della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e divulgato proprio a gran voce dai segretari generali in tre luoghi simbolo delle tragedie recenti: Roma (con l’intervento del segretario generale CGIL Maurizio Landini), Casteldaccia in provincia di Palermo ( con l’intervento della segretaria generale CISL Daniela Fumarola) e Montemurlo in provincia di Prato (con l’intervento del segretario generale UIL Pierpaolo Bombardieri). Musicalmente parlando, il Concertone manterrà la sua natura accessibile e universale, con un live a libero ingresso dalla restaurata Piazza San Giovanni in Laterano che andrà avanti dalle ore 13.30 per oltre 10 ore, fra musica e riflessioni sociali.
Presenteranno,come già annunciato in precedenza, NOEMI, ERMAL META e BIGMAMA ai quali si affiancherà, per una serie di incursioni, il professore star dei social VINCENZO SCHETTINI.
Le novità le troviamo invece nella lineup, annunciata proprio ieri in conferenza stampa. Infatti, dal quartier generale di Radio 2, sponsor radiofonico ufficiale dell’evento, è stato lanciato lo spot con tutti i 44 artisti che saliranno sul palco del Concertone:
Achille Lauro, Alfa, Andrea Cerrato, Anna and Vulkan, Anna Carol, Anna Castiglia, Arisa, Bambole di Pezza, Brunori Sas, Carl Brave, Centomilacarie, Dente, Ele A, Elodie, Eugenio in Via di Gioia, Federica Abbate, Franco126, Fulminacci, Gabry Ponte, Gaia, Gazzelle, Ghali, Giglio, Giorgia, Giorgio Poi, Giulia Mei, i Benvegnù, Il Mago del Gelato, I Patagarri, Joan Thiele, Legno & Gio Evan, Leo Gassmann, Luchè, Lucio Corsi, Mimì, Mondo Marcio, Orchestraccia ft. Mundial, Pierdavide Carone, Rocco Hunt, Senhit, Serena Brancale, Shablo con special guests, The Kolors, Tredici Pietro.
L’opening dalle 13.30 vedrà sul palco: Cyrus, Cosmonauti Borghesi, Joao Ratini, SOS – Save Our Souls, Vincenzo Capua e i 3 vincitori del contest 1MNEXT CORDIO, DINÌCHE e FELLOW per la sfida finale.
Sulla base del concept “Il futuro suona oggi”, il Concerto del Primo Maggio prova a intercettare le voci più autentiche del panorama musicale italiano, restituendo un affresco sonoro che abbraccia il presente in tutte le sue sfaccettature. In un’epoca in cui il pubblico sente il bisogno di approfondire, capire e connettersi, la musica si fa veicolo di storie e messaggi.
Il cantautorato torna quindi protagonista: le parole contano, i testi diventano centrali, raccontano generazioni in continua trasformazione. Il Concertone2025 guarda avanti e mette al centro la musica, rigorosamente live, come strumento di racconto, consapevolezza e cambiamento. Sarà una festa, ma anche un momento di riflessione, un’opportunità per immaginare il domani attraverso le voci di chi, con la propria musica, lo sta già costruendo.
Su Rai 3la diretta comincia con l’anteprima (dalle 15 alle 16), poi con la prima parte del concerto (dalle 16 alle 18.55), la seconda parte (dalle 20 alle 21) e si conclude con la terza parte (dalle 21.05 alle 24). Ospiti in studio e inviati animeranno la diretta con spazi dedicati alla musica e alle interviste con gli artisti che si alterneranno sul palco.
Il Concerto verrà anche trasmesso integralmente in streaming sul sito web www.rainews.rai.it.