Ghemon torna con il botto.
Dopo aver partecipato all’ultimo Festival di Sanremo con l’inedito Momento Perfetto, il cantante pubblica il suo ultimo disco a solo un anno di distanza dal precedente, E vissero feriti e contenti.
Ghemon crea un album optando su scelte ragionate e sulla consapevolezza.
Spieghiamoci meglio
Non ci sono grandi spaccature rispetto al passato. Questo disco è coerente con lo stile musicale del cantante e con il pop soul/pop funk italiano a cui è arrivato nel tempo e di cui è fiero portavoce insieme ad altri pochi, riconoscibili, artisti.
Tuttavia, la produzione ha riconosciuto i trend più elettronici tipici dell’ultimo anno e li ha consapevolmente inseriti all’interno del “progetto Ghemon”.
A differenza di molti altri album usciti ultimamente, queste nuove ricerche di suono non vengono mai percepite come esagerate rispetto ad un percorso intrapreso. Ogni singola traccia, per quanto possa essere diversa dalla precedente, segue un filo conduttore che fa percepire una certa omogeneità.
Tutte le anime di Ghemon
«Ho spaziato tra tanti generi diversi, cercando di costituire l’elemento di unione. Ho potuto esprimermi non solo come cantante e autore, ma anche nella produzione e supervisione artistica. Al mio settimo disco sono finalmente io, al completo» spiega il cantante in diverse interviste.
Ci sono tanti generi, tantissime sonorità, strumenti musicali, beat e sfumature diverse, unite mirabilmente in un’identità unica e dinamica. Perché, benché si tenda sempre a pensare che sia qualcosa di fisso, non è così.
Siamo tutti in costante evoluzione e serve tutto per arrivare a sentirci davvero noi. Philip Roth diceva: «Noi siamo, dopotutto, la somma delle nostre esperienze» ed è proprio quello che ci mostra Ghemon in questo disco.
Track 1
L’album si apre con una voce che, come in una di quelle musicassette che ci piacevano un sacco da bambini e ci raccontavano le favole, inizia dalla fine di questa storia.
Il suo era stato un cammino lungo e pieno di sorprese, un viaggio fatto di magnifiche rivelazioni ma anche lastricato di ostacoli. Finalmente però era arrivato alla sua personale cima.
Si mise con le gambe incrociate e le mani sulle ginocchia per ammirare dall’alto l’intera città che si dispiegava davanti ai suoi occhi ascoltando con attenzione la pace di quel momento di solitudine scoprì però di essere in compagnia.
Tutta la gente che aveva incontrato nella vita, tutte le forme che aveva assunto e le persone che era stato, i mostri che aveva sconfitto e gli amori che lo avevano protetto, erano lì accanto a lui.
E da lì in poi vissero feriti e contenti.
Feriti e contenti
Nelle quattordici tracce successive ci facciamo trasportare dalla musica e dalle parole all’interno di diverse situazioni, come se Ghemon ci stesse raccontando una storia.
Ci sono brani che hanno un legame più forte con l’hip hop, come Piccoli Brividi, in cui canta con tutta la consapevolezza di chi ha sofferto ma che ora ha voltato pagina, oppure come Tromp L’Oeil, per chi inganna gli occhi e, a volte, anche il cuore.
Troviamo poi uno splendido tappeto di fiati e chitarre che portano a soluzioni più strettamente funky, stile Non Posso Salvarti, o ad altre più pop, come Nel Mio Elemento o come Momento perfetto.
Pezzi sulla stessa lunghezza d’onda sulla ritmica, in cui piano e voce sono i protagonisti sono Tanto per non cambiare, una storia d’amore problematica e Puoi fidarti di me.
Tuttavia, Ghemon spazia tra i generi e troviamo brani reggae come Difficile, ed altri che sono un mix di suoni elettronici come La Tigre, o Infinito, in tutte le sue contraddizioni, in cui «Tu mi fai piangere e ridere fino a non respirare. Tu che per me sei infinito all’infinito».
Titoli di coda
Mi sono attaccato alle mie insicurezze perché il loro volto mi era famigliare, ma è arrivato il tempo di lasciare andare.
È arrivato il tempo.
Comunque la vogliamo mettere, il vero protagonista del disco di Ghemon è Giovanni stesso. Un se stesso non autocelebrativo, ma che ci racconta tutto ciò che vede intorno a lui.
Un Ghemon che sa riconoscere i suoi meriti, perché a volte staccarci da ciò che ci fa male ci terrorizza e può sembrarci una vera e propria impresa.
Talvolta ci troviamo ad essere così impauriti dal lasciare andare da ritrovarci immobili a soffrire perché è l’unica cosa che pensiamo di saper fare.
Beh, non lo è, e Ghemon ce lo dice forte e chiaro.
È un invito a trovare la forza e il coraggio di fare il primo passo.
Perché alla fine del cammino – un cammino doloroso, difficile e pieno di pericoli; un cammino sorprendente, rivelatorio – la vista è splendida. Tutte le cose che ti appartengono, tutto ciò che ti ha cambiato, rimane sempre con te.
E forse il vero lieto fine non è quello in cui non si hanno ferite, ma è quello in cui si impara a sorridere anche in mezzo al dolore.