CHI SA ASCOLTARE, HA BISOGNO DI PARLARE

Primavera inoltrata. Intorno al Colosseo, in una Roma trafficata, lingue parlate in tutto il mondo si mischiano ad espressioni colorate tipiche del dialetto romano. Un quadro giornaliero che non vede crisi in nessun periodo dell’anno. Poco distante, in un vecchio palazzo del’800 al terzo piano, c’è un ufficio arredato in maniera umile e discretamente avviato. All’interno ci sono due donne, una seduta dietro ad una scrivania intenta a scrivere appunti su un taccuino, e l’altra distesa su un lettino impegnata a raccontare la sua vita e soprattutto le sue paure. Nelle pareti che delineano il confine della stanza, due grosse librerie riempite di saggi sulla psiche umana. Una grande foto del celebre psicologo Sigmund Freud, assiste silenziosa alla seduta.

<< Signora Lamberti, mi parli della sua infanzia. Come era il clima in famiglia, quali erano i suoi sogni? >>

La psicologa Giulia Neri formulava le domande e scriveva in maniera automatica e lineare, come un robot in una catena di montaggio. Non aveva espressione ed era totalmente concentrata ad ascoltare chiunque si sedeva sul suo lettino. Il paziente doveva dimenticarsi perfino di lei, doveva sentirsi come a casa sua e parlare a lei come se stesse parlando a sé stesso. Con questa tecnica era riuscita a farsi una buona clientela ed un’ottima reputazione. Sulla scrivania un piccolo laptop chiuso, un porta penne ed una cornice con una foto. Ogni tanto si dimenticava di segnarsi le impressioni sui suoi pazienti ed accarezzava la foto con dolcezza e malinconia.

<< Da piccola ero come tutti i figli unici, viziata e coccolata. Passavo gran parte del tempo con mia madre che lavorava come segretaria nell’ufficio di un notaio la mattina, mentre il pomeriggio era libera di stare con me. Mi portava sempre al parco quando c’erano le belle giornate e la sera cenavamo in cucina e vedevamo sempre i nostri programmi preferiti>>

<< Ha parlato solo di sua madre, suo padre che faceva? >>

La paziente cambiò espressione e rispose frettolosamente, evitando subito l’argomento. Il tutto non passò inosservato alla Dottoressa Neri che alzò gli occhi dal suo taccuino incuriosita. Forse aveva toccato il tasto giusto.

<< Mio padre era sempre in giro per lavoro, tornava per pochi giorni e ripartiva. Per questo stavo sempre con mia madre, ricordo che, soprattutto durante l’adolescenza, ho sempre considerato mia madre come un’amica>>

<< Ho capito perfettamente il rapporto con sua madre, mi parli adesso di suo padre>> intervenne la dottoressa interrompendo la sua cliente e insistendo verso quella che sembrava una grossa ferita. La paziente fece subito scudo diventando di colpo brusca.

<< Le ho già detto che lavorava molto ed era sempre in viaggio. Non voglio parlare di mio padre, non c’era mai con noi per colpa del suo lavoro!!>>

La dottoressa, senza farsi vedere dalla paziente, alzò gli occhi al cielo stizzita.

<< Signora, credo dovremmo parlare di suo padre proprio perché lei alza questo scudo e si rifiuta di parlarne. È venuta da me proprio per questo, se vuole il mio aiuto deve aiutarmi ad aiutarla. Devo scavare nella sua mente per capire l’origine del suo problema>>. La paziente a malincuore iniziò, nervosamente, a parlare del padre.

<< Come le stavo dicendo, mio padre non c’era mai a casa perché viaggiava molto per lavoro>>

<< Che lavoro faceva suo padre, signora Lamberti? >> la paziente divenne sempre più tesa e nervosa

<< Era un pilota d’arei o almeno così credevo fino a sedici anni>>, la dottoressa segnò un appunto sul suo taccuino senza interrompere la paziente ma incentivandola a proseguire.

Padre pilota d’aereo? il centro del problema!!

<< Perché così credeva? Cosa successe quando aveva sedici anni? >>

La paziente iniziò a singhiozzare, anche una persona non laureata in psicologia avrebbe intuito che la signora Lamberti si sarebbe amputata un braccio pur di non parlare del padre. Per anni il padre era sempre stato un’entità sconosciuta da nascondere al resto del mondo, una specie di mostro di cui vergognarsi.

<< Molto bene signora Lamberti. Faccia un bel respiro e prenda un bicchiere d’acqua e quando si sarà calmata un po’, mi parli di quello che ha scoperto su suo padre>>

La paziente fece come suggerito dalla dottoressa e dopo dieci minuti riprese a parlare, tornando indietro con la mente e scavando tra i ricordi che il cervello nasconde in stanze buie e chiuse a chiave.

<< Avevo sedici anni, ricordo che era un pomeriggio di fine novembre ed ero sola in casa. Mia madre era andata ad accudire la nonna malata ed io ero rimasta a casa per studiare. Squillò il telefono e andai a rispondere distrattamente. Era un collega di mio padre, voleva avvertirci che per colpa di una improvvisa bufera di neve nella costa est degli Stati Uniti, avrebbero ritardato il rientro di un paio di giorni. Disse che stava telefonando lui perché mio padre era impegnato ad avvertire i passeggeri. Si definì il pilota dell’aereo. D’istinto gli chiesi se lui pilotasse l’aereo con mio padre, pensai al coopilota, ma la sua risposta mi gelò il sangue. Disse che mio padre non era mai stato un pilota, ma semplicemente un assistente di volo. L’immagine di mio padre con il vassoio in mano a versare caffè alle persone, mi sconvolse immensamente. Chiusi la telefonata e scoppiai a piangere>>

Il pianto iniziò a scorrergli in viso anche in quel momento. La dottoressa prese un pacchetto di fazzoletti e lo diede alla sua paziente, cercando di consolarla. La psicologa Neri, dopo due sedute, aveva capito che tipo di persona aveva davanti e poteva immaginare il suo stupore nell’immaginarsi il padre con il vassoio in mano.

Era cresciuta con l’immagine del padre pilota, un uomo forte ed in carriera. Da sempre rappresentava la roccia, le fondamenta dove costruire la propria identità di donna. Se la mamma era “l’Amica”, il padre era il “Maestro” da cui apprendere i segreti della vita. Ma il pensiero di avere un papà cameriere in volo, sgretolò all’istante quella costruzione psicologica. La signora Lamberti smise di piangere e continuò il suo racconto.

<< Capisce dottoressa, dopo essermi vantata con tutti di avere un padre pilota, mi ritrovavo tutt’altro>>.

La dottoressa sospiro a lungo e cercò di calmarsi. Come psicologo capiva il disagio e cercò di analizzare la situazione per trovare la cura. Ma c’era la parte umana che avrebbe voluto urlargli in faccia tutta la sua rabbia ed elencargli tutti sentimenti che, come tanti aghi infilzati nella mente, trafiggevano e procuravano dolore nella sua vita ogni giorno da due anni. Ma doveva dare ascolto al medico che era dentro di lei. Aveva studiato per aiutare le persone, cercò di calmarla e di spiegargli come quel piccolo fatto di tanti anni prima aveva condizionato la sua vita e fatto nascere la paura di volare.

<< Signora Lamberti mi ascolti bene. È evidente che questo trauma giovanile l’abbia condizionata a tal punto da fargli venire la paura di volare. Secondo me la paura di volare è una maschera, lei ha paura d’incontrare un assistente di volo perché nella sua mente rappresentano la grande bugia ed il profondo distacco che c’era tra lei e suo padre. Provi a superarlo facendo piccoli voli, un’ora o un’ora e mezza al massimo e quando si troverà davanti un assistente di volo, pensi che quel signore o quel ragazzo sta facendo quel lavoro per mantenere una famiglia, per garantire ai suoi figli un futuro migliore. Proprio come ha fatto suo padre che grazie a quel lavoro che lei ritiene “poco nobile” è riuscito a farla studiare. Se lei è diventata un’importante dirigente di una multinazionale americana, lo deve soprattutto al lavoro di suo padre. Questa sua paura le sta procurando problemi seri al lavoro non è vero? Me ne ha parlato nel nostro primo incontro se non sbaglio>> la dottoressa controllò velocemente i fogli precedenti nel suo taccuino, ma era sicura di quello che diceva. La dirigente Lamberti cambiò espressione e cancellò dal viso quell’aria di saccente superiorità. Volse lo sguardo verso la finestra e guardò il vuoto. Si vergognava di quello che aveva pensato in tutto quel tempo dei lavori più umili e soprattutto del padre.

<< Sì dottoressa, questa mia ossessione e paura di volare mi sta procurando dei gravi problemi al lavoro. I capi mi fanno viaggiare molto e quando vedono che non prendo l’aereo si arrabbiano. Hanno iniziato a rivalutarmi togliendomi i viaggi lunghi ed assegnandoli ad altri miei colleghi che non hanno paura di volare>> la dottoressa alzò lo sguardo verso l’orologio appeso sulla parete e comunicò la fine della seduta.

<< Anche oggi siamo arrivate alla fine dell’ora, signora Lamberti. Abbiamo fatto un grosso passo avanti e posso sbilanciarmi dicendole che siamo sulla via della guarigione. Le consiglio di andare nell’ufficio del suo capo decisa e convincente e di farsi assegnare un viaggio d’affari, uno piccolo in una capitale europea dove un volo dura in media poco più di un’ora. La settimana prossima verrà da me e mi racconterà com’è andata. Ok? >>

La dottoressa accompagnò la sua paziente alla porta, la dirigente era il suo ultimo appuntamento per quel giorno. Non vedeva l’ora di tornare a casa e farsi un bagno caldo.

<< Dottoressa ha ancora bisogno di me? >> intervenne la segretaria mentre la psicologa Neri era seduta dietro alla sua scrivania con la foto di suo figlio e suo marito in mano.

<< No Silvia grazie vada pure, ci penso io a chiudere qui>>

La segretaria ringraziò e si dileguò in fretta. Era una ragazza molto gentile e simpatica ma aveva appena venticinque anni, una vita intera davanti, altri interessi ed un nuovo fidanzato d’amare. Certamente non era interessata a sentire i drammi che affliggevano la dottoressa. Che destino crudele, una vita intera ad ascoltare e a dare consigli a tutti e poi, nessuno che rimanesse dieci minuti ad ascoltare lei. Ripose la foto sulla scrivania, prese in mano la tazza di tè che aveva bevuto nel pomeriggio ed in preda ad una crisi di pianto, scagliò contro il muro la tazza, lanciando un forte grido. Dopo un po’ si calmò, pulì i resti della tazza e chiuse velocemente lo studio. Scese giù in strada e si diresse verso la fermata dell’autobus. Come ogni sera c’era il 910 che l’avrebbe portata a casa, c’era una fermata proprio davanti al portone. Attese pochi minuti e una volta sull’autobus cercò di rilassarsi con una buona lettura. Amava molto leggere ma non si portava mai i libri dietro, temeva di rovinarli. Leggeva invece delle riviste scientifiche e soprattutto di settore. Aprì il portone e trovò la sua amica “Perla” davanti alla porta che la salutava facendole le fusa. Perla era un bellissimo gatto soriano che aveva raccolto un giorno di pioggia di due anni prima sotto il suo ufficio. Da quel giorno erano diventate inseparabili ed ogni sera Giulia le raccontava le sue giornate ed i suoi problemi. L’incontro tra Giulia e Perla avvenne, come fosse un segno del destino, pochi giorni dopo la tragedia. Perla la consolava a modo suo, facendole le fusa e cercando le coccole. Quella sera era distrutta più del solito, erano passati esattamente due anni da quella tremenda sera e proprio come l’anno precedente, Giulia, decise di raccontargli quello che era successo alla sua gatta. Da psicologa pensava che era un modo per affrontare il dolore e superarlo. In realtà era un bisogno di sfogarsi e di raccontare a qualcuno quello che le era successo. Non aveva nessuno nella sua vita, solo Perla. Preparò la cena per entrambi, pasta al pomodoro per lei ed una scatoletta per la gatta. Si versò un bicchiere di vino rosso ed iniziò il racconto guardando Perla mentre mangiava.

<< Quella sera era iniziata come una sera qualunque. Io ero tornata dall’ufficio e mi preparavo per una cenetta veloce ed un film preso a noleggio. Carlo e Davide, come ogni giovedì, erano usciti per la loro consueta partita a calcetto con gli amici. Sembrava tutto perfetto. Dopo cena ero avvolta nel piumone sul divano e mi stavo godendo l’inizio di una commedia americana quando squillò il telefono. Risposi distrattamente con ancora gli occhi sul televisore quando ascoltai la voce nervosa di un poliziotto che mi comunicava di un incidente avvenuto sul raccordo. Erano coinvolti mio marito e mio figlio, un ubriaco con la patente sequestrata più volte, aveva imboccato il GRA contromano finendo proprio contro la nostra macchina. Non ci fu niente da fare, Carlo morì sul colpo mentre Davide morì in ospedale durante l’operazione>>. Proprio come l’anno precedente, Giulia scoppiò a piangere. Non finì nemmeno la cena, andò dritta sul letto e pianse fino ad addormentarsi per la stanchezza. Perla la raggiunse e si accovacciò vicino a lei.

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Clementi Simone

L’ULTIMA STAGIONE

Un romanzo che narra la riscoperta dell’amore, in un mondo che corre sempre più veloce, attraverso un grande scrittore americano conosciuto da pochi. Chi ha letto i romanzi di Stephen King, ha sicuramente già incontrato Don Robertson in molte sue citazioni ed ha probabilmente avuto modo di apprezzare questo racconto di vita.

L’AUTORE:

Don Robertson è stato un giornalista è scrittore molto amato e fonte d’ispirazione per la maggior parte dei scrittori del nostro tempo.

Nato a Cleveland in Ohio nel 1929, ha scritto diciotto libri e goduto di grande fama in America per poco più di un decennio. Alternava la sua attività di romanziere a quella di giornalista senza mai smettere di scrivere, con il tempo però si allontanò sempre di più dall’ambiente letterario finendo per essere in gran parte dimenticato. Durante la stesura di un libro, veniva totalmente catturato dalla storia che stava raccontando tanto da dimenticare il mondo attorno a lui. Ad oggi molti suoi libri sono fuori catalogo e non è molto conosciuti dalle nuove generazioni, ma credetemi, leggere un suo libro è un’esperienza unica. Il suo stile inconfondibile, fatto di dialoghi, paragrafi ed espressioni sorprendenti, da vita alla storia come se fosse una grande tela, dove ogni parola è una pennellata di colore. Viene descritto dalla moglie come un uomo fantastico, amante della vita.

Lo stesso King lo stimava immensamente come uomo e come autore, tanto che i due intrapresero un viaggio insieme dove tennero dei reading per tutta l’America.

LA TRAMA:

E’ la storia di un viaggio, un grande viaggio, che una coppia di anziani decide di fare attraverso le strade dell’America. Lui è Howard Amberson, un ex professore di settantaquattro anni che ha trascorso tutta la sua vita a Paradise Falls. Lei è Anne, ha due anni in meno, ed ha passato la vita accanto a suo marito. Sentono di essere giunti al capolinea, sanno di vivere i loro ultimi anni, così decidono di partire senza una metà lungo le strade degli Stai Uniti. Come dice il vecchio professore “…è giusto andarsene prima di sapere cosa si sta lasciando?…” così inizia il loro viaggio: Lui, Anne e il loro gatto Sinclair. A bordo di una Pontiac, attraverso le strade del paese e leggendo le pagine di un vecchio diario tenuto segretamente dal professor Amberson, la coppia rivive tutta la sua vita e il suo amore. Questo romanzo è un omaggio alla vita e all’amore. Con parole semplici, e paesaggi dannatamente reali e vivi, lo scrittore ci prende per le mani e ci conduce nell’animo gentile di questi simpatici signori. Attraverso la loro vita tumultuosa, entriamo in un mondo fatto di carezze, dolcezze spontanee e problemi affrontati sempre con il sostegno dell’altro, e la certezza del grande amore. La particolarità di questo libro non è raccontare una grande storia in un mondo di fantasia, ma è narrare una storia semplice ambientata nel mondo reale. L’autore non cerca di catturare con parole auliche, ma usa un linguaggio semplice per descrivere il mistero più grande di tutti: La Vita.

RIFLESSIONE PERSONALE:

Non esiste una recensione perfetta, perché ogni persona è diversa, ed ogni libro trasmette sensazioni differenti. Ho amato alla follia questo libro e lo inserisco tra quelli che definisco “Libri-Terapia”. Sono romanzi attraverso il quale non ti limiti a leggere la storia, ma aiutano a migliorare la tua. Questo tipo di storie andrebbero lette più di una volta, possibilmente ogni volta che ci sentiamo giù. Nella copia che sto tenendo tra le mani, Kikus Reviews definisce il libro “Un Romanzo coraggioso e commovente”. Sono pienamente d’accordo con lui, ci vuole coraggio per scrivere d’amore e di vita, soprattutto ci vuole molto coraggio, per descrivere in maniera così sublime, la vita nei suoi ultimi battiti d’ala. Il mondo descritto in questo romanzo è il nostro, i problemi e le gioie che vivono i protagonisti, sono gli stessi che viviamo noi ogni giorno. Ho sempre creduto, che una storia descritta in così tante pagine, non potesse finire mai. Ma se vi spaventate davanti ad un libro così grande, non fatevi ingannare dai vostri pensieri, questo libro vi catturerà fin dalla prima riga.

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Simone Clementi

Microchip Temporale – Subsonica

“Certi album non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”.
Sono passati già 20 anni dall’uscita di Microchip Emozionale, l’album dei Subsonica che ci ha lasciati tutti senza parole. Oggi, alla fine del 2019, il Microchip è diventato Temporale; tutto ciò che già vent’anni fa era assolutamente all’avanguardia è stato spinto ancora più oltre. Microchip Temporale lega la pura essenza dell’album originale con ciò che di nuovo è successo nel panorama musicale italiano.

In ogni singolo brano troviamo la collaborazione con i gruppi e gli artisti più noti degli ultimi tempi: da Willie Peyote a Achille Lauro, da Gemitaiz a Elisa, da Coez ai Fast Animals and Slow Kids.

Questa la tracklist completa:

1. BUNCIA (2019)
2. SONDE – Willie Peyote
3. COLPO DI PISTOLA – Nitro Wilson
4. AURORA SOGNA – Coma Cose & Mamakass
5. LASCIATI – Elisa
6. TUTTI I MIEI SBAGLI – Motta
7. LIBERI TUTTI – Lo Stato Sociale
8. STRADE – Coez
9. DISCO LABIRINTO – Cosmo (musica)
10. IL MIO D.J. – Achille Lauro
11. IL CIELO SU TORINO – ENSI
12. ALBE MECCANICHE – Fast Animals and Slow Kids
13. DEPRE – MYSS KETA
14. PERFEZIONE – Gemitaiz

Sicuramente decidere di riproporre in una veste nuova e più moderna un disco che già rasentava la perfezione, che non aveva bisogno di ritocchi o aggiunte, è una scelta che richiede una buona dose di coraggio. Ma, a mio avviso, non è stato un passo falso.

All’interno di Microchip Temporale ci sono delle vere e proprie bombe, come “Disco Labirinto” cantata insieme a Cosmo, o “Albe Meccaniche” con i Fast Animals and Slow Kids, o ancora “Perfezione” con Gemitaiz, per citarne alcune. Altro pezzo molto ben riuscito è “Tutti i miei sbagli” cantata insieme a Motta, che richiama non la versione che troviamo all’interno di Microchip Emozionale, ma quella acustica.

Tutti i brani sono sì realizzati in maniera più moderna, ma senza distaccarsi troppo dalle sonorità delle versioni originali, in modo da soddisfare anche gli ascoltatori più nostalgici.

Un disco ben fatto, un piacere riascoltare pezzi storici in una veste nuova e dai suoni ancor più carichi e meglio definiti.

Dopo l’uscita di Microchip Temporale, la band torinese ha annunciato il Tour per l’anno nuovo. Qui di seguito tutte le date (biglietti disponibili a questo link) :

05.03 | PADOVA | Hall

06.03 | NONTANTOLA (MO) | Vox Club

07.03 | TREZZO SULL’ADDA (MI) | Live Music Club

11.03 | PERUGIA | Afterlife

12.03 | FIRENZE | Tuscany Hall

14.03 | VENARIA REALE (TO)| Teatro Concordia

15.03 | VENARIA REALE (TO) | Teatro Concordia

19.03 | NAPOLI | Common Ground

20.03 | MOSCIANO SANT’ANGELO (TE) | Pin Up

21.03 | MODUGNO (BA) | Demodè Club

25.03 | ROMA | Atlantico

28.03 | PORDENONE | Fiera – Padiglione 5

03.04 | SENIGALLIA | Mamamia

08.04 | MILANO | Alcatraz

09.04 | MILANO | Alcatraz

Astenia – La band romana si racconta

Lo scorso 25 ottobre abbiamo conosciuto gli Astenia ed il loro nuovo singolo, intitolato “Due” (ne parliamo nel nostro articolo). Ma in realtà la band romana, seguita dall’etichetta Rivoluzione Dischi, ha già alle spalle due EP e tanto lavoro.

Noi di Indielife abbiamo fatto quattro chiacchiere con loro.

Astenia è un termine medico. Cambiando un accento ecco che diventa un progetto musicale. Ci raccontate com’è nato? 

Gli Astenia nascono in un pomeriggio di fine inverno di qualche anno fa nella periferia di Roma. Abbiamo scelto questo nome perché amiamo le sfumature, quelle che puntualmente fanno la differenza e sono in grado di cambiare le prospettive. Gli Astenia sono la nostra esigenza di raccontare storie, la relazione più lunga della nostra vita ma anche una terapia personale visto che, con i nostri brani, riusciamo a comunicare tutto quello che a parole non riusciamo ad esprimere nella vita di tutti i giorni.

DUE, il vostro nuovo singolo, “è una storia d’amore consumata in segreto: incontri, passione e litigi nel cuore della notte”. Da cosa vi siete ispirati per realizzare questo singolo? 

DUE nasce dalle nostre esperienze personali, dai racconti di un amico e dalle telefonate disperate della persona che si siede accanto a noi in metropolitana il venerdì mattina e che ci spinge ad abbassare il volume della canzone che stiamo ascoltando. DUE è la fotografia di ogni singola coppia quando decide di spogliarsi di tutte le sovrastrutture quotidiane. Di solito tutto questo avviene nel luogo più intimo, una camera da letto spoglia, che improvvisamente si veste di tutte le fragilità che si tende a nascondere. È il racconto di un armistizio personale, due persone che lontano non riescono a stare e vicino si bruciano.

Cosa rappresenta per voi il vostro nuovo brano e cosa lo distingue dai lavori precedenti? 

C’è sicuramente una nuova consapevolezza pop che abbiamo messo al centro della scrittura di questo brano e di tutto il disco in generale. Rispetto ai nostri precedenti lavori, abbiamo scelto di raccontare il nostro lato più fragile utilizzando un linguaggio più diretto. In DUE c’è tutto quello che di solito tendiamo a nascondere, il nostro lato più fragile e una fotografia a colori dei nostri lividi.

DUE è un brano che anticipa il vostro futuro album, in uscita nel 2020 ed intitolato Amarcord. Potete darci qualche anticipazione?

Amarcord sarà come aprire un vecchio album di fotografie. Scrivere questo disco è stato come tirare una linea, fare un passo in avanti e raccontare quello che c’era al di là. Abbiamo raccontato gli errori, le sfumature e gli incontri che hanno fatto parte degli ultimi anni della nostra vita. Il disco è stato prodotto da Alessandro Forte presso gli studi Pepperpot di Roma ed uscirà nel 2020 per l’etichetta Rivoluzione Dischi.

Chi sono gli artisti, italiani e non, che fanno da Muse ispiratrici a voi ed al vostro lavoro? 

Nello specifico, non abbiamo degli artisti che consideriamo muse ispiratrici. Ci lasciamo ispirare da tutto ciò che porta con sé qualcosa di speciale e che riesce a toccare le nostre corde: musicisti, artisti di strada, registi ma anche solamente un verso di una poesia letta distrattamente dal libro della ragazza che incontriamo in autobus o in treno. È necessario vivere a cuore aperto e abbassare la guardia ogni tanto per sentire davvero ciò che di meraviglioso ci circonda e farlo proprio. Tutto questo è alla base della nostra scrittura e degli Astenia.

Non dimenticate di leggere il nostro articolo dedicato ai dieci artisti indie da conoscere assolutamente.

Sumo: il nuovo album dei Management

In una notte di luna piena, avvolto da una copertina di luna rossa, viene alla luce “Sumo”, il nuovo album dei Management (13 novembre 2019, Full Heads).
La band ha eliminato il “dolore post operatorio” dal nome, ma di certo non dalla propria poetica.
D’altronde la capacità di lasciarsi il dolore alle spalle richiede prima di tutto la forza di lottare con esso e dunque il titolo del nuovo album, della band con il nuovo nome, risulta più che appropriato ed evocativo di una faticosa trasformazione che emerge in ogni brano.
L’intero album è attraversato da un dolore intenso, vissuto, subito, conosciuto, elaborato, schernito, combattuto, guarito (forse).
Il singolo di lancio è proprio un grido di dolore, anche se arriva a bassa voce e attraverso note pizzicate piano. È un brano delicato, ma forte, struggente, ma ricco di rinascita e carico di sogni “Come la luna”, appunto, che illumina anche la notte più scura.
La malinconia, nella forma del ricordo, del rimpianto e del disincanto, prosegue nella prima traccia “Avorio”, e nella seconda “Sumo”, anche se qui è malcelata da un ritmo più intenso, da sonorità più audaci, da suoni potenti e da un linguaggio che comincia a farsi un po’ arrabbiato, (degno del lottatore del titolo, del resto).
Torna prepotente nella già citata “Come la luna” e nella successiva “Per i tuoi occhi tristi”. In mezzo tra le due si colloca “Chiara scappiamo”, un brano ritmato e un po’ sbruffone che appare leggero, in quanto inno all’amore e alla pace, ma anche questo racconta di un profondo desiderio di cambiamento e di fuga da una realtà con la quale si è in un conflitto crescente e sempre più insistente che trova sfogo in “Sto impazzendo” e che poi cerca quiete (forse) in un abbraccio “Forte forte”.
Ma in quelle braccia ci sono le vene e in quelle vene scorre la notte, quella stessa notte che viene presentata, fin dall’inizio, dalla copertina dell’album e dal singolo di lancio (che riporta la stessa copertina seppure del colore complementare, il verde).
“La notte nelle vene” fluisce come acqua che non è mai “Soltanto acqua”, ma un fluido vitale che in quanto tale contiene il dolore e la forza della nascita che è sempre preceduta da un atto d’amore (forse), per se stessi, per l’altro/a, per la vita, per tutto questo o per nulla di tutto ciò. Sicuramente si tratta di sesso: “Sessossesso” che qui viene raccontato nella sua forma più potente (tanto da modificare la morfologia della parola), dove si incontrano desiderio e sentimento, corpo e cuore e trovano voce le parole più belle: “ti amo, ti voglio bene, ti voglio stringere, ti voglio far godere”. 
È un bellissimo luogo-canzone dove approdare alla fine un viaggio cosi intenso e faticoso.

“Come la luna”, primo singolo dell’album “Sumo”.

In una frenetica, ma armoniosa, alternanza di brani calmi e agitati, dolci e smaliziati, malinconici ed esplosivi (sia dal punto di vista dei contenuti che della composizione musicale), i Management danno prova di tutta la loro maturazione che va ben oltre il semplice cambio di nome.
In ogni brano emerge chiaramente il desiderio di rialzare la testa, di aprire gli occhi, di gridare a gran voce e di proseguire verso nuove direzioni e redenzioni. A volte si guarda indietro, a volte si procede piano, a volte forte forte,  a volte “scappando senza salutare (…) corri, cooorri!” ( da “Chiara scappiamo”). 
Perfino l’ascolto si adatta a questo ritmo irregolare e procede veloce, ma si sofferma su emozioni profonde, attiva sorrisi e lacrime, reazioni immediate e riflessioni lente.
È un album irrequieto (sotto l’aspetto musicale, compositivo e narrativo) forse proprio perché illuminato da una luna piena (foriera di irrequietezza) e rossa (simbolo di morte e resurrezione) e questa è sempre portatrice di rivoluzioni: astronomiche e spirituali.
È un album corposo nel senso che esprime tutta la carnosità possente del lottatore di Sumo, la fatica della lotta, la potenza di una stretta che sia fatta per annientare l’avversario o, al contrario, per non farlo/a pensare alla morte (parafrasando di nuovo “Come la luna”) nei momenti in cui “la vita fa male” (da “Soltanto acqua”).
È un album pieno e certamente bellissimo, come la (sua) luna.



Before Bacon Burns, tra sogno e Ipnosi Regressiva

Un lampo di autocoscienza rock, è questo il nuovo singolo dei Before Bacon Burns, che si chiama Ipnosi Regressiva.

Before Bacon Burns

La band rock-alternative, che lavora con l’etichetta Neve Records, ha anticipato all’uscita del secondo album, dopo il primo, “La Musica Elettronica è il Futuro”, con questo brano onirico.

La Musica Elettronica è il Futuro ci ha permesso di girare per i palchi della Lombardia e fare tanta esperienza live, suonando in locali storici come il Rock ‘n Roll, il Legend Club di Milano ed in contesti importanti per la musica indipendente” raccontano i membri del gruppo di Monza.

I BBB sono:

  • Eleonora (voce/chitarra)
  • Andrea (chitarra)
  • Davide (basso/cori)
  • Stefano (batteria/cori)

Nella bio: “Siamo chiaramente onnivori. E siamo menti facili. Ci facciamo influenzare da ogni cosuccia

Before Bacon Burns
Before Bacon Burns

Ipnosi regressiva

Ipnosi regressiva è un brano strappato a metà e ricucito con filo di sutura.

L’atmosfera onirica della prima metà è volutamente lo-fi. L’effetto è quello di ascoltare il classico pezzo triste chitarra e voce che senti arrivare soffocato dal piano di sopra.

Il finale è invece un ripidissimo crescendo che porta il protagonista del sogno a sprofondare nel proprio personalissimo incubo: “Sono sempre quella che scappa da me” intona la voce dei BBB , sostenuta da un contro canto di chitarre elettriche.

Difetti

Dopo moltissimi live, i BBB si sono fermati per concentrarsi maggiormente sulla stesura del secondo disco. Anticipato da Ipnosi Regressiva, lo ascolteremo in primavera e si intitolerà Difetti, un nome programmatico di un lavoro che non vediamo l’ora di ascoltare.

Aspettando il nuovo album dei Before Bacon Burns, non dimenticate di leggere il nostro articolo dedicato ai dieci artisti indie del momento.

DOVE SONO LE RAGAZZE? Myss Keta e il suo (nostro) Manifesto.

La domanda ultimamente ricorre di frequente durante tutti i festival musicali: ha risuonato tra le polemiche dopo l’ultima edizione del concerto del primo maggio a Piazza S. Giovanni di Roma, serpeggiato più insidiosamente durante il Festival di Sanremo, irrotto violentemente nell’universo indie quando il leader di uno dei gruppi più antichi del panorama italiano ha rivelato la verità nascosta (ma da tutti conosciuta) sulle violenze e i ricatti sessuali alla base dei più importanti eventi musicali del paese.
Perché nei festival e nelle classifiche di vendite risultano più presenti gli artisti uomini? Sono le case di produzione a determinare questo o viceversa è il pubblico che spinge le produzioni a investire più su un certo tipo di artista piuttosto che su un altro? È più efficace dal punto di vista commerciale l’artista uomo? O è tale perché nessuno ha mai davvero investito sulle artiste donna? Qual è l’utilità o il vantaggio di lasciare le artiste donna nelle retrovie? E si tratta solo di una logica di mercato oppure si può parlare esplicitamente di sessismo e discriminazione? E in che modo si influenzano reciprocamente cultura (sessista), mercato (maschile) e gusto (personale)?

Myss Keta


Ci ha pensato Myss Keta a bypassare tutte queste domande fornendo una possibile risposta. Con un abile colpo da maestra, scoperchia la pentola e serve su un piatto d’argento una pietanza ricchissima e gustosissima, realizzata con i migliori ingredienti e prelibatezze in circolazione, seppur poco conosciute o, per meglio dire, riconosciute.
La Myss mette insieme moltissimi nomi femminili che in realtà da tempo si distinguono per raffinatezza e ricercatezza, bravura e qualità, senza che nessuno lo sappia (se non pochi/e addetti/e ai lavori e appassionati/e).
Le ragazze si sono radunate a Porta Venezia e hanno reso chiaro, attraverso il loro “The Manifesto” che sanno uscire allo scoperto anche da sole.
Succedeva nel 2015 e riaccade oggi con una nuova versione del brano che vede la partecipazione di La Pina, Elodie, Joan Thiele, Roshelle e Priestess, capitanate da Myss Keta ovviamente.

La Pina
Roshelle
Priestess

Già nella scelta delle artiste si nota la volontà del progetto di rovesciare una serie di stereotipi e confutare una serie di luoghi comuni, miscelando voci e stili che vanno dal pop commerciale allo sperimentale indipendente, passando per il rap e l’elettronica .
Il rap appunto (cifra stilistica del brano e della maggior parte delle artiste coinvolte) nonostante sia il genere più stereotipato in assoluto (anche nell’estetica di certi video e non solo nella scelta linguistica e di contenuti di certi testi) può essere donna e non solo maschio e maschilista. La Pina è una delle più coraggiose pioniere del rap al femminile in Italia e qui collabora serenamente con le giovanissime Priestess e Roshelle (classe, rispettivamente, 96 e 95).
Inoltre ci sono due artiste ben al di fuori da tutti gli schemi e definizioni: Elodie, la più pop del gruppo , accanto a un’emergente che emergente non è (e neppure pop) poiché ha già due album all’attivo e di qualità altissima, ma che purtroppo, nonostante di fatto sia un’artista internazionale, è poco conosciuta al grande pubblico e chissà che non sia la madrina Myss Keta a restituire a Joan Thiele la notorietà e il successo che merita.

Elodie
Joan Thiele

E dunque si torna alla domanda iniziale: come mai artiste bravissime, musicalmente preparatissime, sofisticate e colte, che sanno già muoversi in abito internazionale non emergono come dovrebbero nel microcosmo della produzione italiana? E perché, quando ci riescono, si appiattiscono su di uno stile rassicurante fatto di vocine omologate, abitini sexy, video furbetti che spesso scivolano quasi verso un soft porn?
Alcune risposte possibili si possono riscontrare proprio nel testo di questa canzone che fin dalle prime battute racconta di una donna che “vuole, desidera, brama, pretende (…) decide, comanda, esige, domanda” ovvero che possiede tutto ciò che più fa paura in una donna, nonostante essa sia fedele e corretta, poiché capace di guardarsi allo specchio a testa alta e che pertanto “non tradisce” e dà (ma anche pretende) “onore e rispetto”.
Eppure proprio per questo è forse la donna più pericolosa che possa esistere perché sfugge, scalpita, sa, conosce e desidera.
E’ una donna che mette in discussione, che non sta buona lì dove viene messa, ma che costruisce se stessa e il proprio spazio e determina lei il modo di relazione tra se stessa e gli altri, che siano produttori, colleghi, superiori o il proprio pubblico.
Le Ragazze di Porta Venezia sono donne che non temono alcun confronto, che sanno esattamente dove sono e cosa vogliono, che sanno riconoscere il proprio valore (e non aspettano che sia un altro ad attribuirglielo) e quello di chi hanno di fronte: “noi profili alti, tu ci lavi i piatti, io non scendo a patti, tu mi guardi e piangi”.
Sono donne che non chiedono, ma richiedono ascolto e riconoscimento: “non farmi domande, ascolta le risposte”. Che vogliono essere viste e non inquadrate: “tu portaci rispetto, io non ho pazienza”. Sono donne evolute e in continua evoluzione, foriere di rivoluzione e “pronte per la svolta”.
E l’augurio è che la svolta, proposta dal brano, avvenga in tutto il mondo della musica che ne avrebbe proprio bisogno.
Ecco dove sono le ragazze.
Questo sono le ragazze.

Grazie Ragazze!

Subsonica – “Microchip Temporale” è il nuovo album, in uscita il 22 novembre

Qualche settimana fa i Subsonica hanno annunciato l’uscita del loro nuovo album Microchip Temporale, fissata al 22 novembre.

L’hype è altissima, dal momento che Microchip Temporale 1999-2019 è una rivisitazione dello storico album della band “Microchip Emozionale”.

Microchip Emozionale è un album molto importante nel panorama musicale italiano, un disco che fa da ponte fra gli anni ’90 e 2000, un lp che ha in sé rock, elettronica, sonorità dance, senza tralasciare l’importanza delle parole.

Tutto ciò ritorna e si arricchisce nel nuovo album Microchip Temporale, grazie alla collaborazione fra i Subsonica e alcuni dei più importanti artisti della scena musicale italiana attuale.

Cari terrestri, la ragazza con la pistola è tornata. Midori Tateno che esattamente 20 anni fa puntava la sua arma presentando “Microchip Emozionale” al mondo oggi, di nuovo in copertina, si guarda intorno. Nasce così “Microchip Temporale”, dalla rilettura di un passato che ritorna presente, con la complicità di musicisti, cantanti, band, rapper che hanno per la maggior parte la stessa età dei Subsonica nel 1999. 
Sono 14 i nomi che abbiamo scelto, per stima, per curiosità, per amicizia o perché nella loro musica riconosciamo quei segni.  

Questa la tracklist completa:

1. BUNCIA (2019)
2. SONDE – Willie Peyote
3. COLPO DI PISTOLA – Nitro Wilson
4. AURORA SOGNA – Coma Cose & Mamakass
5. LASCIATI – Elisa
6. TUTTI I MIEI SBAGLI – Motta
7. LIBERI TUTTI – Lo Stato Sociale
8. STRADE – Coez
9. DISCO LABIRINTO – Cosmo (musica)
10. IL MIO D.J. – Achille Lauro
11. IL CIELO SU TORINO – ENSI
12. ALBE MECCANICHE – Fast Animals and Slow Kids
13. DEPRE – MYSS KETA
14. PERFEZIONE – Gemitaiz

Microchip temporale è stato anticipato dall’uscita dei brani “Aurora Sogna”, cantata assieme ai Coma Cose & Mamakass, e “Il mio D.J.” con Achille Lauro. Entrambe le collaborazioni rendono perfettamente omaggio ai brani originali, legando insieme vecchio e nuovo, apportando ai già perfetti brani originali un tocco di modernità.

La prima traccia di “Microchip Temporale” che vi anticipiamo è “Aurora Sogna”. Perché abbiamo scelto di rielaborarla con i Coma Cose & Mamakass? 
Perché nella loro poetica la collisione tra i mondi del rap e della canzone d’autore, genera un equilibrio perfetto. Per esempio “Anima lattina”: 
http://bit.ly/ComaCose-AnimaLattina. Citare Battisti cascando perfettamente in piedi, diciamolo, non è da tutti. 
E Aurora trova anche la sua voce femminile.

Rilasciato lo scorso 8 novembre, “Il mio D.J.” è il secondo brano che anticipa l’uscita di Microchip Temporale.
Ecco cosa ha scritto la band sul proprio profilo Facebook:

Achille Lauro a 29 anni ha già dimostrato disinvoltura nel surfare tra linguaggi differenti, restando impeccabilmente se stesso ad ogni cambio d’abito. Noi lo avevamo molto apprezzato con la versione di “Thoiry” in compagnia del giovanissimo talento Quentin 40, e di Gemitaiz, altro nostro compagno di viaggio “emozionale/temporale”. Poi è arrivata elettronica e inaspettata questa: “Angelo Blu” che coinvolge anche il nostro amico fraterno Cosmo. Achille (con il sodale Boss Doms), come le storiche Pop Star a cui nella più recente fase “glam” si ispira , non mostra mai di volere piacere a tutti i costi, a tutti. Possiede peró, oltre ad un guardaroba di tutto rispetto, l’avventuroso talento naturale del provocare attenzione su di sè. Chi, tra gli artisti che hanno oggi l’età dei Subsonica di allora, meglio di lui, poteva rileggere con spirito ironico e tocco iconoclasta “Il mio dj”?

Il conto alla rovescia è quindi cominciato. Nel frattempo, è possibile presalvare e preordinare il nuovo album dei Subsonica, Microchip Temporale, a questo link.

Leggi il nostro articolo dedicato agli artisti indie del momento.

Fotografia, il primo scatto della band Malamore

“Lascia che il tempo scriva di noi”, è così che Malamore, un gruppo di artisti emergenti scrive nel loro lor nuovo singolo: Fotografia

Fotografia racconta la bellezza dell’amore, del modo in cui porti a condividere le cose più semplici nella vita quotidiana, come una giornata al mare che resterà immutata nella nostra memoria.

Fotografia, è il brano che riassume il percorso musicale della band leccese prodotta da URLO Records, inoltre questo singolo anticipa l’uscita del loro primo album.

Testo Fotografia

“tu
ti fidi di me
vengo a trovarti
passo alle tre
e mi raconterai
che hai fatto un sogno
parlava di noi
e non mi importa
se non faremo da mangiare
se per saziarmi
le labbra ti dovrò baciare

e un giorno se n’è andato e non ritorna più
all’improvviso una fotografia
degli ombrelloni chiusi
il sole, il mare blu
prendevo quel silenzio per magia
tu stringimi se puoi.

tu
ti fidi di me
lascia che il tempo
scriva di noi
e non mi importa
se il sole ci dovrà scottare
torniamo a casa
vuoi che non sappia cucinare?

e un giorno se n’è andato e non ritorna più
all’improvviso una fotografia
degli ombrelloni chiusi
il sole, il mare blu
prendevo quel silenzio per magia
tu stringimi se vuoi
ancora un’altra volta
che male non fai.”

Chi sono i Malamore?

Come la canzone Malamore, è così che Osvaldo, Matteo, Daniele e Giacomo decidono di chiamare il loro progetto iniziato nel 2018, conosciuto finora come Osvaldo.

I quattro ragazzi salentini si sono fatti conoscere precedentemente con i brani Marie e Tramonti sul mare, i quali hanno permesso alla band di portare in giro la propria musica fino ad oggi.

Le loro influenze provengono dall’amore per il cantautorato italiano, con un occhio rivolto alla sperimentazione di nuove sonorità. Nel 2018 hanno vinyo il contest Frequenze Mediterranee a Matera, nel 2019 li vincitono il ArtRockMuseum, a Bologna.

I membri di Malamore sono: Osvaldo Greco (voce e chitarra) Matteo Spano (batteria) Daniele Spano (tastiere) Giacomo Spedicato (chitarra e basso.

Aspettando il nuovo album dei Malamore, non dimenticate di leggere il nostro articolo dedicato ai dieci artisti indie del momento.

Vegas Jones – La bella musica, di nome e di fatto

Vegas Jones, con “la bella musica” suona adulto e consapevole, e con le sue doti è venuto fuori un disco di qualità.

Già dalla traccia che apre il disco “DM” assaporiamo un Vegas più maturo, sembra quasi voler rimarcare il suo personale senso profondo a questa musica da lui interpretata.

Il tema del riscatto è forte in tutta “La bella musica”, ma forse ancor più rivelante è il rapporto stretto che ha con i suoi fans, a cui addirittura attribuisce la maggior fonte di ispirazione per i suoi testi.

Per alcuni sei il consumatore
Per me sei l’ispirazione

La bella vita

Forse la traccia più profonda e introspettiva di tutto il disco. Parla di sé Vegas e sembra farlo con il cuore in mano, senza retoriche o ipocrisia; senza restare imbrigliato in rigide regole di genere o di tendenza.

Un solo feat, ma di livello

Basta dare un occhio alla tracklist di “La bella musica” per notare la quasi totale assenza di featuring. In quel “quasi” però c’è racchiuso uno dei pilastri di questo genere; In Presidenziale, Vegas e Fabri Fibra si incontrano, e ne viene fuori un piccolo capolavoro.

Da Cinisello direzione le stelle…

Vegas Jones con “La bella musica” ha dato prova di un importante balzo di livello, fatto senza snaturarsi neanche un poco. Ormai il genere ci ha abituato a varie storie di riscatto e rivalsa, ma raramente ho ascoltato artisti parlarne con così tanta sincerità, e questa è secondo me la marcia in più nella Benz di Vegas.

La sua tecnica, i suoi testi mai banali e la vicinanza con i suoi ascoltatori rendono questo artista uno dei più longevi e promettenti per i decenni a venire.

Intanto lo cito salutandovi;

Immagina quel palazzone anni indietro
C’è chi l’ha visto che era un buco a terra
Chi l’ha seguito dalle fondamenta
Ora tutti lo vedono grattare il cielo