La prima volta che leggi un libro di David Foster Wallace è meglio che ti tieni saldamente incollato alla poltrona perché l’immediata, chiarissima, sensazione è quella di avere a che fare con una testa che viaggia ai mille all’ora. Quando poi il libro che leggi è un saggio sulle origini sociali del rap – Il Rap spiegato ai bianchi – scritto con l’amico storico, questa sensazione si amplifica e non ti abbandona neanche quando spegni la luce e cerchi di dormire.

Perché due bianchi scrivono “una cosa sul rap”?
Siamo nel luglio del 1989, “l’estate più sanguinosa nella storia di Boston“. I due in questione sono David Foster Wallace, appunto, e Mark Costello. Due amici della middle class, studenti di Harward, che si ritrovano a condividere un appartamento a Boston e che, in modo del tutto non scontato, entrano in contatto con l’universo della musica Rap. “Il più “prestigioso” locale hip hop della città era una scalcinata ex pista da roller derby degli anni Trenta che portava il nome di Chez Voo Disco Rink. Il roller derby, il francese maccheronico, il riferimento alla disco: che tutta questa stramberia avesse un gran potenziale era abbastanza evidente“.
Il potere de-formante della musica rap
Il Rap è una musica di de-formazione: se è roba tua, se ti appartiene, la prima volta che lo ascolti la tua vita prende un’altra piega, si de-forma, non sei più uguale e te stesso. A me il Rap ha fatto capire il valore della parola come strategia di affermazione, la proprietà di linguaggio come arma di rivoluzione.
Per questi due il Rap è stato novità e sconvolgimento, trasporto e rivoluzione, attrazione per qualcosa che sembrava lontano anni luce. Scriverci un saggio, su tutto questo, era abbastanza necessario.

Immagine tratta da: https://it.wikipedia.org/wiki/Schoolly_D
Il Rap: metafora di una cultura sottomessa
Il titolo del libro “Il Rap spiegato ai bianchi” ci mette davanti ad una prima grande consapevolezza: i contenuti di questo movimento, la sua arroganza, la sua sfrontatezza, non sono sempre empaticamente accessibili a tutti. “Il rap sa bene che i suoi testi (…) sono un gradino al di sopra del funk e del punk. Questa musica conosce la sua forza di impatto, lo straordinario valore e fascino che ha per i neri, e quindi la sua posizione di estraneità all’interno della cultura bianca tradizionale“.
Gli avvenimenti della storia, e più che mai di questi giorni, ci dimostrano che la vita vissuta ai margini è una ferita sempre aperta, un taglio netto tra chi può e chi non può. Il rap parte dall’esperienza, dalla vita per come è e in questa autenticità è riuscito nel fantastico, meraviglioso, lungimirante intento di passare dall’altra parte, diventando verbo anche dei bianchi: “I testi dei rapper hardcore sono perfettamente consapevoli di parlare di/per le vite e gli atteggiamenti veri di persone riconoscibili come tali (…). L’ideologia nasce sempre da un episodio o da una condizione ben precisa, e la rabbia, dunque, da una causa, la minaccia da qualche forma di provocazione riconoscibile“.
Un genio della parola troppo grande per questi tempi troppo piccoli
Non è un caso che Wallace sia rimasto colpito dal rap e che abbia coinvolto il suo migliore amico in questa impresa alternativa e irriverente. La sua sensibilità, la costante ricerca, il suo giocare a matrioska con gli argomenti per sviscerarne il nocciolo, rappresentano tentativi di comprendere l’animo umano e le eterne contraddizioni che caratterizzano il suo relazionarsi con il mondo. A partire dall’attrazione per una musica che non sembra rappresentarci.
David Foster Wallace è scomparso nel 2008 lasciando un patrimonio letterario di inestimabile bellezza e vastità che vi invito a leggere e divorare.

Immagine tratta da: http://www.minimaetmoralia.it/wp/rircordando-david-foster-wallace/
Lo sguardo sul rap
Quello che mi colpisce di più di questo libro, oltre al ritmo della scrittura e alla facilità con cui le parole si inseguono, è lo sguardo. La capacità di analizzare l’attrazione incomprensibile verso qualcosa che non rientra nella nostra valigia di realtà ed esperienza…e di farci i conti. Fare i conti con una complessità di cui la nostra generazione è spettatrice e, almeno in parte, artefice.
Il risultato è la presentazione dell’essenza del rap, le cui provocazioni (che vanno dalla campionatura all’ostentazione di stili di vita devianti) non sono altro che il tentativo di riconnettersi con lo strato più puro della nostra umanità.
Foto di copertina OpenClipart-Vectors da Pixabay