Breve introduzione
Valerio Buchicchio, in arte Buva, è un’artista pugliese, che ho ascoltato qualche anno fa in un piccolo locale romano. Devo dire che son rimasta particolarmente colpita dalla sua voce, dai suoi brani e dai testi ricchi di giochi di parole, con riferimenti musicali anacronistici, a volte, che danno ritmo e senso anche a quei modi di dire che normalmente si considerano banali. Erano i brani del suo penultimo album Vado di fretta quelli che ho sentito “dal vivo” qualche anno fa.
A distanza di 4/5 anni da quella serata sono qui a parlare di Valerio Buchicchio all’uscita dell’album Quarantena (2020), da lui considerato il disco d’esordio “Pubblicarlo per me è stato un po’ come alzare timidamente la mano e chiedere parola in aula universitaria stracolma di gente” dice Valerio. Nei brani dell’album Quarantena ci son riferimenti a grandi artisti e citazioni letterarie importanti che scivolano e armoniose si legano a parole “leggere” o luoghi comuni.
Concludo questa introduzione citando un brano dell’artista: “Danza con me su questa pista vuota” e scopriamo insieme chi è Buva.
Buva come hai scelto il tuo nome d’arte?
Il nome Buva nasce semplicemente unendo le iniziali del mio cognome (Buchicchio) e del mio nome (Valerio). Ma per quanto sia un nome molto semplice, non posso dire lo stesso per la sua genesi. Ricordo bene quando ho dovuto giocoforza inventarmelo, perché non ritenevo di avere un cognome propriamente “musicale” e di impatto immediato. Era il 2014 e partecipavo, per la prima volta da solista, ad un concorso per cantautori. Il brainstorming fu davvero impegnativo, tanto che posso affermare che probabilmente sia più facile scrivere canzoni che inventarsi nomi d’arte. Poi alla fine la soluzione, all’apparenza più banale, era quella più convincente ed era a portata di mano. Un po’ come aprire il frigo e inventarsi la cena con le rimanenze!
Qual è il genere musicale a cui ti senti più vicino?
Non è facile darsi un genere di riferimento, soprattutto quando credi nella grande opportunità di cambiare che la musica ti offre ogni giorno. Ma se dovessi fare una metafora immobiliare… la mia musica è tipo una villetta indipendente in Via dei Cantautori, che si affaccia da un lato sulla strada del pop, dall’altro su quella della musica d’autore. E questo mi dà sostanzialmente la possibilità di cercare le mie parole in profondità, quelle vere che aspirano ad un significato, e di alleggerirne il peso con una musica, intesa dapprima come composizione e poi come produzione, di più facile fruizione.
Che tipo di influenze (musicali, letterarie…) sono alla base dei tuoi brani?
Le mie influenze musicali? Sempre se mi è concesso utilizzare una metafora (giuro che è l’ultima volta)… mi sento come l’imbucato ad una festa piena di artisti immensi. C’è Battisti che è sicuramente il padrone di casa, poi Dalla che fa meravigliosamente bisboccia, De Gregori con la sua eleganza e un whisky in mano, Fabi in un angolo a sussurrare emozioni, Bersani con i suoi trucchi di magia… e tanti altri ancora. Io resto in silenzio, li osservo e cerco di imparare. Le influenze letterarie invece non sono così definite. Mi piace prendere spunto da diversi mondi. Dalla poesia (ultimamente leggo molto Prèvert) sicuramente mi piace raccogliere il ritmo delle parole, la metrica e le infinite suggestioni che suggerisce. Ma amo molto anche i romanzi gialli (Sherlock Holmes di Doyle su tutti) e se ci penso la canzone è un po’ come la scena di un crimine… mai trascurare i dettagli nell’attesa del colpo di scena inatteso, perché la prevedibilità è un dirupo da evitare a tutti i costi.
Nei tuoi testi racconti la tua terra d’origine?
Mi è capitato di scrivere alcuni brani pensando alla mia terra d’origine (Sud ad es.). La fortuna di un cantautore è quella di poter accendere spesso la sua “cinepresa” su mondi immaginari. Ma raccontare il reale, quello che ci circonda, è un dovere, una grande opportunità che non si può trascurare. Sono un ragazzo che viene da un paese di provincia pugliese e vivo costantemente le contraddizioni di un territorio tanto incantevole quanto spietato. É quasi inevitabile che parte delle mie ispirazioni nascano da qui e di questo sono davvero contento.
Cosa significa per te il tuo ultimo album Quarantena?
Quarantena è il mio disco d’esordio. Pubblicarlo per me è stato un po’ come alzare timidamente la mano e chiedere parola in aula universitaria stracolma di gente. Il mercato discografico oggi è a dir poco saturo di proposte e le aspettative all’inizio non sono le migliori, soprattutto quando sei un artista totalmente indipendente. Ma ho voluto comunque provarci, lavorare duro per dire la mia, mosso da una passione smisurata per questo lavoro. E devo dire che sono stato ripagato alla grande, perché il mio album è arrivato inaspettatamente nella cinquina finalista alle Targhe Tenco 2020 ed è risultato il 4° miglior disco d’esordio del 2020 per il Forum del Giornalismo Musicale. Un bel modo di iniziare no?
Cos’è cambiato nel tuo modo di fare musica da Vado di fretta a Quarantena?
La differenza sostanziale è una maggiore consapevolezza. Vado di fretta è l’espressione più ingenua e forse anche più autentica del mio mondo, spontanea e poco ragionata. Con Quarantena invece ho fatto uno step successivo. Avevo sin da subito chiara la direzione da prendere e sicuramente ho aggiunto a quella spontaneità un pizzico di mestiere in più, sia a livello di scrittura che di produzione. L’arte credo che sia una specie di nave su cui a poppa svetta maestoso al timone un marinaio navigato e a prua un bambino spensierato che guida nella direzione opposta (lo so è un’altra metafora, perdonatemi…).
Ti sei esibito in streaming in questo anno difficile per il mondo dello spettacolo? nei tuoi canali o in altri
Si certo. Ho preso parte ad alcune iniziative in streaming durante l’ultimo anno. Ma ad essere sincero non mi è piaciuto tanto. Questa pandemia ha spezzato il legame sacro che c’è tra il pubblico e noi cantautori. Non basta ascoltare e assistere ad una performance su un display, così come suonare/cantare davanti ad una videocamera, per godere pienamente di un concerto. Abbiamo tutti bisogno di tornare al più presto a suonare live, per guardarci da vicino, per ascoltare un applauso, timido o scrosciante che sia. Abbiamo tutti un’estrema necessità di abbandonare il virtuale per tornare a vivere davvero.
Come stai affrontando la sfida Musicultura 2021? Che tipo di brani hai proposto all’attenzione della giuria?
Musicultura arriva come una manna dal cielo. Aldilà delle dinamiche del concorso che ovviamente vedranno alcuni vincere altri perdere, per me quello che conta ora è innanzitutto riassaporare le emozioni di un palco vero. Farlo poi all’interno di un contest così importante come questo, rende il tutto ancora più bello e meritevole di essere vissuto appieno. Sono molto orgoglioso di essere tra i 63 semifinalisti selezionati. So che all’inizio eravamo più di 1000 e questo dato ovviamente non può che gratificarmi e rafforzare in me la convinzione del percorso intrapreso. Alla giuria ho proposto alcune canzoni di Quarantena più alcuni inediti facenti parte di un progetto che molto probabilmente darà vita ad un nuovo disco più in là. Non vedo l’ora di farveli ascoltare!
Ultima domanda: ci sono degli artisti con cui vorresti collaborare? Chi?
Assolutamente sì! Uno si tutti… Samuele Bersani. Sogno un giorno di poter scrivere qualcosa con lui. Per me è uno dei più grandi in assoluto. E poi mi piacerebbe molto anche collaborare con Dimartino e Colapesce. Mi sento molto vicino al loro modo di concepire musica e adoro la loro profonda leggerezza. O leggera profondità.