APICE: la punta dell’iceberg

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Lo ammetto. Sono vecchio. Ripetitivo e noioso. Purtroppo mi sento come catapultato in un pianeta che non mi si è mai cucito addosso. La lingua italiana è piena di parole belle, buone per farsi accarezzare, trasportare verso il mare aperto, dondolando dolcemente senza necessariamente avere una destinazione precisa. La pace dei sensi forse. Con il passare del tempo abbiamo ridotto, tagliato, accorciato. Tolto spazio al significato e aperto completamente al significante. Abbiamo riempito la canzone nostrana di citazionismi. Medicinali, nomi cose è città alla rinfusa, cose futili e banali. Soprammobili.

Ok ma arriva al punto!

Si sto facendo tutto questo preambolo perché sono un nostalgico. Non riesco a togliere dalla bacheca De Gregori, Dalla, Battisti e compagnia cantautore. E si che la musica cambia, deve cambiare, parallelamente all’umanità. Così mi metto alla ricerca di roba nuova che si avvicini minimamente a certi testi, a certi arrangiamenti, alla musica suonata. Oramai sono anni che ripeto questo mantra giornalmente, aprendo le varie scatole magiche piene di Hit, bombe a mano, tormentoni, tric e trac. Non trovo niente o meglio quasi nulla. Perciò mando in loop le mie solite Playlist da boomer. A proposito, potete ascoltarne una proprio qui! Che ci volete fare? Mio nonno diceva ( o forse il nonno di qualcun altro ) “Diffida da chi non abbraccia il cambiamento“. Vorrà dire che comincerò a diffidare di me stesso. Poco male.

Di chi stai parlando?

Perciò, ora arrivo al punto promesso, da tre anni a questa parte, gira che ti rigira, il cantautore più concreto della scena musicale italiana è sempre e solo Apice. La prima volta che ho ascoltato il suo disco mi sono lasciato rapire dal suo timbro ed ho pensato che somiglia molto a Ron. Non che sia un grande fan di Rosalino ma penso sia un complimento. Anche se so perfettamente quanto si arrabbiano gli artisti quando in prima battuta sentono dire “mi ricorda questo o quello“. Per fortuna di Ron c’è solo una vaga somiglianza nel timbro.

Poesia e prosa.

Saper utilizzare il vocabolario italiano è come avere la valigetta di Biden con i codici nucleari. Detieni un potere incommensurabile. Sto parlando di Apice che, come un prestigiatore, con dimestichezza innata, ti sorprende lasciandoti a bocca aperta mentre scivoli nel fiume di concetti che, in un qualche modo, senti tuoi. Come se stesse parlando dei tuoi drammi. Pur essendo anagraficamente giovane, sembra avere dentro un mondo infinito di storie e vissuto che, come faceva il mitico Faber, amalgama perfettamente con la musica. Come se fossero una cosa sola.

L’ultima uscita in termini di tempo è di qualità ineccepibile, un Lato A e Lato B dove gira tutto intorno alla poesia. Non solo per le title track. Ascoltarlo in versione live è come sentire un cd. Questo denota grandi capacità artistiche. Due brani che immagino suonati in uno stadio, magari tutti con gli accendini (non con i cellulari come accade ormai da tempo), un pianoforte al centro e luci soffuse. Tutti a dondolare cantando con i brividi sulla pelle, quelli veri, che li senti fisicamente. Questo ovviamente è uno scenario che gli auguro.

Insomma Apice incarna esattamente il cantautore italiano in questi tempi super Pop. Non che il Pop sia satana. Per carità. E smettiamola di chiamarlo Indie. Per cortesia. Credo che La Clinica Dischi abbia l’asso nella manica per i prossimi dieci anni e credo anche che lo sappiano benissimo. E’ talmente raro ormai trovare un cantautore che cantautora (scusatemi) che, nonostante le mie approfondite ricerche quotidiane, si possono contare sulle dita di una mano.

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