Akes, con “Anima digitale” punto dritto al Matrix

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Anima digitale” è il nuovo album di Akes pubblicato lo scorso 1 febbraio e disponibile in tutte le piattaforme distribuito da Artist First.

I suoni di questo disco orchestrati da numerosi produttori (Dr. Wesh, Vince Lion, Cirielli, Ancora by 94hermanos, Erika Greys & Mario Bross Team, Fabiano Rivolta) sono il risultato di una complessa fusione di generi. Le linee vocali affondano le radici nel passato rap di Akes, ma da quello stile urban si è evoluto mescolando liriche cantate con barre rappate.

“Anima digitale” è un concpet album che conclude un ciclo di singoli e videoclip inaugurato lo scorso anno, dove l’artista ha anticipato al pubblico una serie di tematiche e sonorità, che ora nel disco si completano e acquistano un significato compiuto.

“Anima digitale” è un disco molto sperimentale e che segna il passaggio nella tua produzione dal rap all’elettronica. Come definisci questo ibrido e da cosa è dettato questo mutamento?

Mi ricollego al discorso ibrido perché l’album che a 13 anni mi ha fatto appassionare al mondo della musica è proprio “Hybrid theory” dei Linkin Park. Più che mutamento lo definirei un ritorno alle origini, molti mixtape che ho pubblicato in passato avevano sonorità elettroniche, e anche il mio album “Amore 2.0” del 2019 aveva lanciato questa wave futuristica, che poi ho compreso meglio fosse il mio mondo nel 2021 con l’album “Revolution”. Quindi riassumendo è dettato dai miei gusti personali e dalle mie sensazioni.

Chi ha realizzato la copertina e quali concetti hai voluto trasmettere con questa?

La copertina è stata realizzata in parte dalla disegnatrice Annalisa Cappelli in arte Magicdraw, che mi ha dipinto per ben sei ore di seguito trasformandomi in un androide nero dai circuiti blu. Poi per la parte grafica digitale koverdesignstudio si è occupato degli effetti. Il messaggio che ho voluto trasmettere è l’imballaggio virtuale che tutti stiamo subendo, nella copertina ho gli occhi chiusi e sono disteso su una lastra, come se fossi un corpo robot senza vita, ma l’immagine residua (la mia anima appunto) trascende questa morte celebrale ed esce fuori, come si può notare nell’immagine sfocata accanto alla mia figura in copertina.

Dai suoni si passa ai testi che ci indirizzano verso il futuro, visto però non con ottimismo. Come mai?

La mia è una previsione, se andiamo avanti con questo eccessivo controllo la popolazione ribelle potrebbe risentirne sempre di più. Tra i più giovani c’è ancora una porzione di divergenti, ed è a questi che mi rivolgo, non credo di essere solo e la mia inversione di tendenza forse un giorno potrebbe diventare la tendenza. Perciò non ho intenzione di assecondare positivamente la società odierna se non mi ci rispecchio e di conseguenza nemmeno la direzione che sta prendendo.

Nel brano “Shuttle” canti che il sistema depotenzia e che la scelta è il più grande dei poteri. Che rapporto hai con le autorità e come giudichi le imposizioni sanitarie che abbiamo ricevuto causa pandemia?

Nonostante io non sia un criminale ho sempre avuto un rapporto avverso con le autorità fin dai tempi dei graffiti, per me alcune regole rappresentano l’assurdo, soprattutto in questo periodo pandemico. Al di là del concetto no vax, che penso sia una generalizzazione, trovo terrificante che non ci sia libertà nel poter girare da soli senza mascherina, o nel dividere la popolazione in chi possiede un QR code e in chi no.

In “Sci-fi” emerge prepotentemente il sound house, come è il tuo rapporto con il mondo dei club?

Fino a prima della pandemia ho sempre frequentato discoteche anche per capire meglio il trend della pista, perciò con Erika Greys (DJ psy trance) ho pensato a un pezzo da suonare in giro per il futuro, ci avevo già provato con il brano “Dejavu prodotto da Alessandro Gemelli. “Sci-fi” è una sorta di pt.2 di quel brano.

In “Brainlink” è evidente la critica nei confronti di alcune dinamiche della società odierna. Ci racconti meglio?

In “Brainink” mi sono concentrato molto su delle figure stereotipate, l’app che vuole i nostri dati, la segregazione negli uffici, la vita sempre linkata e l’ossessione per i soldi. È uno dei primi brani che ho scritto, difatti è molto diretto e spontaneo, senza troppe riflessioni ma solo sensazioni di pancia.

In “Virtual Feeling” canti che siamo manovrati senza fili. Che rapporto hai con i social e pensi che i sentimenti siano più difficili da esprimersi a causa della tecnologia?

Negli ultimi due anni utilizzo i social solo per lavorare, non posto più la quotidianità perché voglio che il mio pubblico riceva solo le info più importanti e visto che in passato utilizzavo anche io le app di incontri so che inferno c’è dietro a questo meccanismo. Ormai non ci si incontra quasi più, ci si scambiano foto hot e si passa ad un’altra chat, è l’annientamento dei sentimenti e già dall’album groupies mi lamentavo di certe dinamiche. “Mi piace non significa mi piaci”.

Tre brani di altri che hanno, anche solo indirettamente, influenzato il disco?

“1X1” dei Bring Me the Horizon, “Killa Cocain” di Droplex e “Monster” di Ruelle.

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