Le scoperte (belle) di Niveo “sui sedili della metro”

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Ma se vi dicessero che la pandemia “ha fatto anche cose buone”, per esempio far scoprire nuove passioni a chi ne aveva altre (o magari, non ne aveva proprio), sviluppare predisposizioni che, per tutta la vita, uno dice “potrei, vorrei, farei” ma poi non ha mai tempo di incoraggiare, se vi dicessero che tutto questo, alla fine, ha lasciato che a sopravvivere fossero le cose per le quali proviamo davvero “urgenza” e “necessità” (due parole, queste, che oggi hanno il peso specifico della rivoluzione, in un contesto affastellato di eterni ritorni dell’uguale)?

Ecco, Niveo è uno di quei talenti che forse, senza lo stop forzato e drammatico di un’epidemia, non avrebbe scoperto di esserlo, un talento. Canzoni nate nella furia buia e rabbiosa di una cameretta chiusa dall’interno, mentre fuori il mondo si ferma e s’insinua fra le quattro mura delle case di tutti, e lo fa in quel modo appunto “strisciante” che finisce con il metterti nella condizione, in un modo o nell’altro, di dovertelo “immaginare”, il mondo che sta fuori.

E’ così che nascono le cose belle, quelle inaspettate: come fiori nel cemento, come uccelli che nella tempesta amano fare nidi. Perché il vento, la pioggia, le bufere servono spesso a temprare la voglia di vivere, e di resistere, di ciò che rimane perché è sempre stato lì, anche se non ce n’eravamo accorti.

E allora benvenuto Niveo, non c’era modo migliore di accoglierti in questa folle famiglia di sognatori disperati se non facendoti qualche domanda, per scoprire quale fiamma brucia nel petto di chi, finalmente, pubblica la sua prima canzone.

Ciao Niveo, benvenuto sulle nostre colonne. Allora, per te si tratta di un esordio e anche il modo in cui ti sei avvicinato alla musica, in qualche modo, merita di essere raccontato. Hai scoperto, infatti, solo pochissimo tempo fa la tua “inclinazione” musicale, proprio durante la pandemia… ci vuoi raccontare?

Certo! A 15 anni iniziai a suonare l’ukulele per accompagnarmi mentre cantavo le mie canzoni preferite; un anno dopo siamo entrati in quarantena e per la prima volta ho sentito il bisogno di voler mettere per scritto i miei sentimenti e le mie sensazioni, così comprai la prima chitarra che mi piacque e inizia a scrivere le mie prime canzoni sopra quei quattro accordi di chitarra che avevo appena imparato.

Notai subito che ciò che scrivevo, se pur in maniera acerba, aveva potenziale, da lì nacque lo voglia di farmi sentire e di condividere la mia musica.

Quindi, insomma, se per tanti la pandemia è stato freno quasi fatale per te è stata una spinta importante verso la consapevolezza. Ma prima di “scoprire” la musica, chi era Niveo?

Niveo era un semplice ragazzino che amava la musica ma che si imbarazzava tantissimo a cantare davanti a qualcuno. 

Quella dell’imbarazzo è stata una barriera difficile da abbattere, ma con il tempo ce l’ho fatta, fino ad arrivare adesso a fare concerti, suonare ai festival e per strada davanti a gente che non ti ha mai visto, è sempre un emozione unica.

Eccoci quindi arrivare a “Sui sedili della metro”: senti, rivelaci qual’è la frase più bella che ti è capitato di leggere sui sedili della metropolitana, o di un treno, o di un autobus, o su un muro per strada… spesso, è proprio per caso che ci si imbatte in perle di poesia “urbana”!

Che bella domanda! La frase più bella che ho letto in un contesto del genere è stata questa: ‘l’arte sopravviverà’, secondo me ha un significato bellissimo, come se quello che faccio potesse diventare un puntino indelebile nel mondo.

Come nasce il brano? Con chi hai lavorato in studio? Parlaci un po’, insomma, della produzione del brano.

L’idea iniziale del brano, che era completamente diversa da come la sentiamo adesso, è nata nel mio letto di notte come molte mie canzoni; il giorno dopo sono andato in studio è ho fatto sentire quella piccola bozza di canzone al mio produttore di Formica Dischi ovvero Fabio Zini, e insieme a lui abbiamo deciso di stravolgere quella bozza completamente fino ad ottenere questa canzone come prodotto finale.

Mentre la scrivevamo avevamo l’obbiettivo di fare una canzone che potesse rimanere in testa e che potesse essere cantata a squarciagola con i propri amici.

Che rapporto hai con la scrittura? Voglio dire, quale pensi sia il motivo che ti porta, ad un certo punto, a scrivere una canzone?

Quasi tutte le emozioni che provo mi portano ad un certo punto a prendere la chitarra in mano e parlare di quello che ho in testa: non so quale sia il motivo, forse la voglia di spiegarmi o di farmi sentire, oppure il bisogno di sfogarsi riguardo a sensazioni che opprimiamo in noi stessi, questi sono i motivi per cui la notte, invece che dormire, mi siedo sul letto e con molta delicatezza inizio a scrivere canzoni, cercando di non svegliare la mia famiglia nel bel mezzo della notte.

Senti, dacci tre consigli musicali utili a farci capire chi è Niveo: tre dischi, o tre canzoni, che hanno segnato il tuo modo di vedere la musica.

Inizio con ‘Stay’ di Post Malone, una delle canzoni che ho ascoltato di più in tutta la mia vita, un brano quasi solo chitarra e voce che racchiude una bomba di sentimenti assurda; continuo con ‘avrei voluto dirti’ di Ariete, che collego tanto alle prime emozioni che mi hanno spinto a scrivere le primissime canzoni e concludo con un disco chiamato ‘Love Is Not dying’ di Jeremy Zucker, nonché il mio album preferito in assoluto.

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