Leo Lennox è un artista particolare, con una storia particolare che ama racontare nei pezzi che scrive, veri e propri “ready made” di una realtà che si fa canzone attraverso l’arma tagliente della parola.
Lennox affonda le radici della propria ispirazione nel rap, certamente, ma non è certo un caso che numerosi nomi noti del cantautorato nostrano abbiano a più riprese sottolineato come la canzone d’autore sembri oggi ritrovare la sua germinale forza espressiva e poetica proprio nelle rime dei rapper; “Diario”, in questo senso, assomiglia ad una confessione che sa di invettiva, e che segna ancor più il distacco minimo che intercorre tra le parti sopracitate, impegnandoci in un “aggiornamento” dei nostri strumenti critici utile a non vincolare ciò che è a ciò che appare.
Il rap, la canzone d’autore e la poesia vivono un rapporto di incelabile e reciproca appartenenza, e la nostra chiacchierata con Leo servirà di certo a convincervi che di fronte a voi non avete l’ennesimo stereotipo del genere più ascoltato dalla Gen Z in Italia ma un intelletto ben attivo e curioso, che farà parlare di sé.
Ciao Leo Lennox, partiamo da una domanda biografica. Dicci da dove vieni, qual’è stato il tuo percorso musicale fin qui e dove sei invece diretto da ora in poi.
Ciao Indielife! Grazie per l’opportunità. Sono nato nel 2000 in Umbria, da genitori pugliesi che hanno deciso di fare rientro in provincia di Bari quando avevo 8 anni. Il mio approccio con la musica nasce dalla mia esigenza di scrivere. Ho iniziato a comporre i primi testi all’età di 13 anni, un po’ per gioco e un po’ perché percepivo di dover mettere su carta i miei pensieri. Il rap mi è sembrato sin da subito il genere più immediato affinché le mie rime potessero arrivare all’orecchio dell’ascoltatore. Tuttavia il mio stile si sta evolvendo e abbraccia sonorità sempre più diverse tra loro che spero mi portino ad affermare una mia dimensione stilistica, contaminata dai generi che più mi stimolano.
Qual’è il primo ricordo che hai di te a contatto con la musica? Da dove nasce, il tuo rapporto con le sette note?
I primi ricordi che ho della musica sono strettamente legati ai miei genitori. Ricordo bene gli innumerevoli viaggi in macchina con in sottofondo la musica blues e jazz di Pino Daniele e Nina Simone, molto amati da mio padre, e i numerosi e affascinanti CD di Vinicio Capossela e Vasco Rossi, artisti preferiti di mia madre. Mi hanno sicuramente segnato, magari inconsciamente e credo che saranno per sempre una parte di me.
Hai da poco cominciato a lavorare con l’etichetta indipendente Revubs Dischi: cosa vuol dire oggi lavorare in un etichetta e rimanere, comunque, indipendenti? Come si rimane, secondo te, indie nei fatti e non nelle parole?
Oggigiorno essere indipendente può avere molteplici significati. Per me, sicuramente, è un’attitudine e un modo di approcciare la musica. Prima dell’entrata in Revubs Dischi, la mia etichetta, ho sempre concepito la musica e tutto ciò che ne consegue in maniera autonoma, seppur con l’aiuto dei miei producers e del mio piccolo team. Essere indie per me significa in primis avere una propria concezione dell’arte, dunque rimanere indie oggi è sicuramente sinonimo di una autonomia artistica e intellettuale.
Parliamo di “Diario”. Raccontacene la genesi.
“Diario” è un brano che nasce sul finire dell’estate scorsa. Era un momento di estrema instabilità per me, sia dal punto di vista artistico che personale. Quando V5K, il mio producer, mi ha inoltrato lo scheletro della produzione musicale ho subito sentito l’esigenza di raccontarmi in maniera molto profonda e di lasciare spazio ai miei pensieri. Ne è scaturito un brano estremamente intimo e genuino, ricco di quella naturalezza e spontaneità che trovi nelle pagine di un diario.
Sembra che la scrittura, per te, abbia un valore fortemente terapeutico, e che “Diario” sia una vera confessione rabbiosa, a denti stretti. Ci sbagliamo? Come vivi il tuo rapporto con la scrittura e sopratutto, quando capisci che la canzone che stai scrivendo sarà “quella giusta”?
Il mio rapporto con la scrittura è fortemente terapeutico. Mi piace definire la mia penna come l’unica “arma” di cui dispongo per proteggermi da tutto ciò che mi turba. Amo il rapporto di intimità che viene a crearsi tra me ed il foglio quando mi accingo a lasciare andare tutti i miei pensieri, senza filtri. È per questo motivo che non c’è mai una canzone giusta e sbagliata secondo me. L’unico scopo è quello di poter essere libero e poter parlare al mondo circostante, con la più totale sincerità e spontaneità. Spero che chi mi ascolta percepisca questo.
Lasciaci con un consiglio: un disco da ascoltare stasera, per scoprire qualcosa di nuovo.
Sono un grande ascoltatore di musica e mi piace spaziare tra vari generi. Il disco che mi piacerebbe consigliare in questo momento è sicuramente “Jeannine” del rapper francese Lomepal, un bellissimo viaggio musicale.