Le stratificazioni di Pietro Ruffo – Parte I

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Guerra e libertà

Pietro Ruffo è un artista romano il cui metodo di lavoro caratterizzato dalla stratificazione è stato influenzato dalla storia millenaria della sua città natale.
Roma, chiamata non a caso anche ‘città eterna’, ha avuto infatti un ruolo di spicco in periodi molto lontani e differenti tra loro: è stata Caput Mundi all’epoca dell’Impero Romano, sede della cristianità cattolica dal Medioevo, dimora delle grandi famiglie italiane in età barocca e capitale d’Italia dal 1871. Tutto ciò si è tradotto visivamente in una compresenza di stili architettonico-urbanistici diversi.

Pietro Ruffo ha trasposto su carta tale sovrapposizione stilistica sia disegnando su sfondi non vuoti, sia rialzando a vari livelli parti delle sue opere.
Questo secondo metodo è minuzioso e quasi chirurgico in quanto l’artista dapprima intaglia un foglio di carta, poi fissa ciascun ritaglio con spilli alle estremità e infine li solleva ad altezze diverse aiutandosi con delle pinze. Ne derivano composizioni stratificate in cui spesso ciascun livello ha una propria lettura visiva.

Una serie in cui la sovrapposizione ha anche lo scopo di ricreare la reale conformazione di una zona arborea è De Hortus. Il titolo deriva dall’orto botanico di Amsterdam nel quale le Compagnie delle Indie olandesi piantarono specie esotiche provenienti dai loro domini coloniali.
Nei Paesi Bassi, così come in tutti gli altri stati colonizzatori, l’introduzione di nuove piante in patria era un simbolo di potere nei confronti dei popoli assoggettati e anche della natura stessa che, nelle serre, poteva sopravvivere seppur lontana dal proprio habitat.

Pietro Ruffo ha posto sotto teche di vetro le sue composizioni circolari per alludere alle serre e alla vegetazione in esse contenuta. In tal modo mostra sottilmente come l’uomo si arroghi il diritto di dominare non solo sui suoi simili ma addirittura sul mondo vegetale che espone e protegge come un raro trofeo nonostante lo deturpi quotidianamente.

La texture della serie De Hortus è stata applicata dall’artista all’opera SPAD SVII perché ricorda i disegni mimetici utilizzati in guerra. Si tratta infatti della riproduzione in scala 1:1 dell’omonimo caccia francese utilizzato durante la Prima guerra mondiale. Questo velivolo però, di bellico ha solo il rimando al suo uso da parte dell’uomo in quanto Pietro Ruffo lo ha volutamente realizzato in legno e carta intelaiata per ‘alleggerirlo’ del suo peso effettivo e simbolico e renderlo invece leggiadro come la libertà di volare.

In Youth of the Hills l’artista ha riprodotto in dimensioni reali anche un altro mezzo di trasporto militare: un carro armato tedesco della Seconda guerra mondiale. La struttura è, in questo caso, coperta di fogli con preghiere ebraiche da ognuno dei quali è ottenuto un insetto, il cervo volante.
Siccome per gli ebrei le preghiere sono sacre e i supporti su cui sono scritte non possono essere distrutti, Ruffo ha dovuto ricorrere alla tecnica del kirigami per creare i coleotteri. Ciò gli ha permesso di intagliare i fogli piegandone i pezzi senza doverli staccare e formando così le sagome tridimensionali volute.
In quest’opera i livelli di lettura sono molteplici: dalla contrapposizione tra l’esercito nazista e il popolo ebreo o tra la distruttività di un carro armato e la fragilità della carta, alla simbologia del cervo-volante che allude alla stratificazione nel territorio1.

L’approccio che l’artista ha nei confronti della guerra non è mai diretto in quanto egli non l’ha vissuta in prima persona e, anche quando tratta temi a lui contemporanei come la Primavera araba, li astrae dalla loro specificità considerandoli negli aspetti generici.

Nella serie Arab Spring ha estrapolato singole parole dai manifesti dei movimenti di protesta delle nazioni arabe coinvolte. Termini quali sangue, lotta, unirsi e libertà sono scritti all’interno di un decoro geometrico ripreso da un pavimento dell’Alhambra di Granada. Tale motivo ornamentale somiglia ad una rete che racchiude le parole isolandole e al contempo collegandole tra loro. Questa scelta, unita all’apposizione del decoro su carte geografiche, rappresenta la diffusione a livello globale di messaggi universali tramite una rete virtuale quale Internet che può mettere in comunicazione popoli, culture e ideologie diverse.

È proprio nella serie Arab Spring che il tema della lotta si lega a quello della libertà, libertà di protesta.
Pietro Ruffo affronta questo argomento anche in Soyez realiste demandez l’impossible2 e in Tidal wave3.
Nella prima opera sono presenti rimandi alla Rivoluzione francese del 1848 e ai moti del Maggio francese del 1968 mentre nella seconda è mostrata una delle manifestazioni contro il cambiamento climatico.

Il concetto di libertà è protagonista nell’opera Isaiah Berlin and the Six Enemies of Human Liberty. Si tratta di una serie di ritratti di sei filosofi settecenteschi e di uno contemporaneo che ne ha analizzato il pensiero definendoli “nemici della libertà umana”. Costui è Isaiah Berlin, il teorico delle due concezioni di libertà: quella negativa (libertà da qualcosa o qualcuno) e quella positiva (libertà di scelta e di autogoverno). Entrambe le libertà derivano, per lui, da teorie sostanzialmente valide che però sono state applicate in modo distorto portando addirittura a regimi totalitari o dittatoriali.

Pietro Ruffo intaglia ciascun ritratto con sagome di libellule rialzate e piegate tridimensionalmente. Questi animali sono un simbolo di libertà ma, l’averli fissati con spilli come farebbe un entomologo, rappresenta, per l’artista, le costrizioni e la volontà di classificazione.

Il concetto di libertà non può essere definito univocamente; è per questo che Ruffo ha realizzato l’installazione Atlas of the Various Freedoms in cui, su una mappa del mondo, ha disegnato i volti di quaranta pensatori. Ciascun ritratto è accompagnato dalla registrazione audio dell’intervista fatta dall’artista a ogni filosofo su tale tema.

Il poeta libanese Khalil Gibran, ne Il profeta, afferma che la prima libertà da ricercare sia quella interiore; perciò, nella sua Liberty House, Pietro Ruffo ha inserito degli specchi affinché gli spettatori potessero riflettere sia sulle parole di Gibran alle pareti, sia su se stessi guardando il proprio riflesso sul soffitto.

L’artista affronta nelle sue opere anche altre importanti tematiche della contemporaneità, perciò, se i suoi lavori analizzati in questo articolo vi hanno incuriosito, il 24 maggio verrà pubblicata la seconda parte.

Link utili: sito dell’artista
pagina Instagram dell’artista

For the English version: Pietro Ruffo’s Layerings

Photo courtesy dell’artista


1 Il cervo volante è un coleottero che, per proteggersi dal caldo, nelle zone mediorientali vive prevalentemente sotto uno strato di sabbia.

2 In Soyez realiste demandez l’impossible sovrappone in posizione rialzata rispetto ai ritratti dei personaggi dell’opera rossiniana Il viaggio a Reims dei manifesti di propaganda del Maggio francese. Anche il rosone (simile a quello della cattedrale dell’opera di Rossini) è costituito da figure tratte da manifesti del ’68.
Il riferimento alla Rivoluzione del 1848, invece, è da rintracciarsi nella storia di quest’opera buffa che fu originariamente composta, con intento celebrativo, per l’incoronazione di Carlo X a re di Francia, ma fu poi modificata e rimessa in scena, proprio nel 1848, per celebrare le barricate rivoluzionarie.

3 Fa parte della serie Azulejos e mostra su tre pareti delle scene il cui filo conduttore è l’acqua e il suo legame con le problematiche contemporanee. In particolare, i ragazzi che protestano per i cambiamenti climatici si trovano nella terza parete.

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