La marea che si alza e porta alla luce fondali e profondità perdute, che credevamo disperse nel naufragio di una contemporaneità sempre più avvezza a farci ancorare a cose piccole, e pesanti, che non possono far altro che predicare superficialità e, al contempo, trascinarci a fondo: “The Moon and The Tide”, il secondo singolo estratto dal futuro disco di Carla Grimaldi, rappresenta l’antidoto efficace a ricacciare negli abissi la sensazione che non valga più la pena sondare, ogni weekend, le profondità del Nuovo Pop, e in un certo senso restituisce la conferma che spesso i peggiori limiti vincolanti diventano quelli che noi stessi ci poniamo davanti agli occhi.
Carla non fa “pop”, infatti, nel senso più “convenzionale” del termine, niente canzonette da playlist, nessun ritornello da hit-parade che faccia scaldare i culi più di quanto non riesca a fare con i cervelli: il pop di Carla si aggrappa alla natura primigenia, molecolare dell’idea di “popolare” e collettivo, alla melodia vista come strumento capace di veicolare un messaggio che non deve obbligatoriamente appesantirsi di parole (più o meno utili) per poter raccontare qualcosa, ma che invece può “accontentarsi” della potenza del suono, della natura evocativa della musica.
L’armonia, qui, si fa scrittura di “immagini” che derivano dall’accostamento di mondi sonori, timbri ricercati, ritmiche che salgono cavalcando i flutti di un moto perenne e costante, che cresce e decresce similmente alle maree: la luna che determina la direzione della corrente è il violino, che sbuca dalle trame compassate create dall’elettronica di Massimo De Vita e si fa traino di una climax che cresce, de-cresce e ricresce ancora.
Forse, riuscendo a restituire all’ascoltatore la potenza di una visione che a parole, così vien da pensare, avrebbe rischiato di vedere depotenziata l’emotività della sua essenza.