In volo con ali aperte su Aliperti e sulla sua personale idea di “Vintage”

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Consiglio, in controtendenza con gli usi e i costumi occidentali, di approcciare alla lettura di questo articolo partendo dal fondo, dall’ultima domanda che ho avuto occasione di porre ad Aliperti, giovanissimo cantautore classe 2000 che di strada, fin qui, ne ha già fatta eccome (in anticipo sui tempi di un mondo che, comunque, non smette di correre come un pazzo) e sembra non intenzionato affatto né a fermarsi, né a dimenticarsi di quali siano i punti di partenza di un bolide dal retrogusto decisamente “vintage”.

E giuro che non era mia intenzione fare alcun gioco di parole con il titolo del suo nuovo singolo per Formica Dischi che, tuttavia, pare essere esempio più che azzeccato per raccontare la fattura e statura di un progetto capace di coniugare passato e contemporaneità nell’abbraccio efficace e rivolto al futuro di una canzone che attraversa le epoche e, guardando al concept scelto dall’artista per le copertine dei suoi ultimi singoli, anche le generazioni: in frontespizio di “Vintage”, c’è una foto Kodak d’altri tempi, che ritrae il fratello di Daniele e allo stesso tempo richiama ad un velo di nostalgia che il brano non perde, anzi, ne fa valore e colonna portante del sound, a cavallo fra mainstream e rock anni Settanta.

Insomma, Aliperti è uno “dritto” che merita di essere scoperto: il margine di miglioramento, manco a dirvelo, è ampissimo proprio in virtù di un potenziale che, ne sono sicuro, intuirete al primo “play”. Io, intanto, mi ci sono fatto due chiacchiere “propedeutiche” all’ascolto che vi lascio qui, per ingolosirvi un altro po’ a trattare bene le vostre orecchie.

Benvenuto su Indielife, Daniele! Partiamo dall’oggi, anzi, dal domani: esce il tuo nuovo singolo, quarto estratto dall’album di prossima pubblicazione. insomma, ci siamo! Cosa ti aspetti dal tuo disco d’esordio? Ha preso, infine, la forma che volevi ai tuoi primissimi inizi? Oppure senti che abbia preso direzioni diverse?

Ciao ragazzi!
Il disco che uscirà costituirà un punto importante della mia vita. Mi piace pensare le canzoni come tasselli di un puzzle che sarà poi rappresentato dall’album stesso.
La direzione rispecchia quella ideata inizialmente anche perché la maggior parte dei pezzi li avevo già scritti quando ho deciso di metterlo insieme e raccontarci qualcosa di più grande.

“Vintage” conferma la tua attitudine per la “hit”, confermata anche dal placet che Spotify ha dato alla tua musica inserendoti nelle sue playlist editoriali. Ecco, fermiamoci un attimo qui: cosa ne pensi del “fenomeno playlist”? Oggi entrare in un catalogo ufficiale sembra essere diventato l’unico obbiettivo di tanti…

Le playlist sono vetrine utili e sicuramente da non sottovalutare, ma non penso che siano indispensabili per emergere. Secondo me è facile fare confusione sul valore dei numeri, mi spiego: se l’obiettivo di entrare in una playlist di traduce con quello di far arrivare la propria musica a chi non la conosce, allora sicuramente il catalogo ufficiale può darti una spinta, ma non si deve confondere questo con l’idea che centinaia di migliaia di streams significhino avere “successo”.

La verità secondo me resta nei concerti, preferirei avere pochissimi ascolti ma tante persone alle mie serate che il contrario.

Il tuo piglio “pop” non sminuisce la profondità dei tuoi testi, sia chiaro: si nota un certo tipo di scuola autorale che, a suo modo, rimane legata ad una certa ricerca di significato; ad esempio, da “Vintage” emergono dei soffusissimi ricordi di scene famigliari, di momenti che richiamano la tua infanzia. Ma tu ti senti cantautore? Cosa credi significhi, oggi, essere “cantautori”?

Io musicalmente mi sento molto libero. Le mie pubblicazioni hanno una direzione cantautorale praticamente esplicita, anche dal punto di vista del sound. Se poi con cantautorato si intende una ricerca al livello di testo, credo che allora mi sentirei di appartenere a quella categoria anche se facessi un disco rock.

Non è assolutamente indispensabile, ma mi piace cercare il peso e la dimensione delle parole che personalmente mi emoziona di più.

Il ciliegio, le caramelle, le foto color seppia, la copertina iconica. Elementi che richiamano una tua idea di “vintage”, anche nel modo di raccontare un’amore che prende diverse vie. Cosa significa per te “vintage”? Tu ti senti un po’ “vintage”?

Io amo il vintage! La novità spesso è un nuovo punto di vista. La ricerca forzata di qualcosa di ossessivamente diverso da tutto ciò che è già esistito è una costrizione poco artistica.
Una fotografia di trent’anni fa si può vedere in tanti modi, può essere un vecchio pezzo di carta, oppure un istante senza tempo. “Vintage” riabilita il valore di tutto ciò che è vissuto, che magari è anche un po’ consumato ma arricchito dal tempo.

Consigliaci tre dischi “vintage” che dobbiamo rispolverare dalla teca dei capolavori.

“The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars” (David Bowie) – “Please please me” (Beatles)
– “The dark side of the moon” (Pink Floyd).

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