Seguiamo gli Smokin’ Velvet più o meno da – possiamo dirlo? – sempre.
Nel senso che c’eravamo al loro esordio, li abbiamo seguiti nella release dei loro singoli e, all’uscita del loro disco d’esordio, ci siamo fatti trovare pronti con il bottone “play” in mano alla mezzanotte del venerdì: sì, la nostra è una fissazione ma avvalorata da una qualità nella quale in Italia pare davvero difficile imbattersi.
Invece, una volta che inciampi negli Smokin diventa complesso pensare di farne a meno: la scuola è quella dell’hip hop, la parola d’ordine è indipendenza (i due si fanno davvero tutto da soli, grafiche comprese), l’obbiettivo è la genuinità di un racconto personale, la penna assomiglia ad una spada che sa carezzare nei momenti giusti e il groove, beh, quello è la dinamite che fa saltare in aria il banco fin da primo ascolto.
Potevamo, alla luce di ciò, non interessarci a fare due chiacchiere con i ragazzacci? Ovviamente no: gli abbiamo chiesto di loro, della pubblicazione di “Jalapeño”, il loro disco d’esordio, ma sopratutto di come resistere alla giungla del mercato contemporaneo rimanendo con quell’autenticità, addosso, che ti sanno dare solo le cose “giuste”, vere e belle.
Ciao Smokin Velvet, è un piacere poter raccontare insieme il primo atto “conclusivo” (ma solo per ora) di un progetto che noi di Indielife abbiamo guardato da molto vicino, e con molto interesse. Allora, che valore ha per voi questo giorno? Da quanto lo aspettavate?
(Dreabb) Quando iniziai a lavorare a questo progetto non mi aspettavo niente di tutto questo, era una collaborazione che sapevo poteva portare buoni frutti se coltivata nel giusto modo e così è stato fatto, dalla realizzazione alla presentazione. E mi posso ritenere molto soddisfatto vedendo quanta strada abbiamo fatto e super contento per quanto potremo spingerci avanti ancora.
(Deep Sheet) Io sono dal canto mio emozionato e ancora in qualche modo incredulo. Condivido a pieno Dreabb, quando abbiamo iniziato non pensavo neanche ad un risultato concreto… e invece in questi 2 anni siamo cresciuti tantissimo sia personalmente che tecnicamente, molte volte le cose vanno di pari passo, non vedevamo l’ora infatti. Ma ancora di più siamo presi bene da cosa verrà fuori in futuro.
Guardando indietro, mi viene da chiedervi quali siano i più impegnativi ostacoli da superare per un emergente che si avvicina al proprio esordio discografico?
(Dreabb) Ci sono una serie di pratiche da tenere conto una volta finito di realizzare un disco, in particolare durante la promozione, che possono prenderti in contropiede se si è alle prime esperienze nel settore.
(Deep Sheet) Ci sono tantissimi aspetti e tempistiche che quando ti approcci seriamente alla musica non hai idea che esistano, o che dai per scontato. È un vero e proprio lavoro, anche molto duro e per il quale servono costanza, dedizione ma sopratutto sacrifici che da fuori non si vedono. Passano solo i video, i palchi e lo studio, ma quello è solo l’inizio, soprattutto se ti autoproduci completamente.
Due singoli, e poi la pubblicazione di un lavoro che sin dal titolo annuncia una buona dose di “piccantezza”. Perché proprio “Jalapeño”? Cosa significa per voi, questo titolo?
(Dreabb) Ad album finito cercavamo un titolo adatto, e ci siamo accorti che chiamarlo come la prima traccia era già esplicativo di per sé.
(Deep Sheet) Jalapeño è un concentrato di piccantezza in un involucro piccolo e all’apparenza innocuo, insomma un piccolo frutto incazzatissimo. Questo nome è uscito per caso a Dreabb in chat, nell’agosto del 2021, ci stavamo scervellando da un po, ma è la semplicità, l’istinto che premia sempre.
Certo, avevate già fatto capire alla scena di possedere un lato molto “caustico” nei vostri singoli. Quali sono le principali influenze, i “santi” che hanno guidato la vostra produzione di “Jalapeño”?
(Dreabb) Sul lato della produzione mostri sacri come MF Doom, Nujabes Kendrick Lamar, Tyler the Creator, Kanye West sono state figure di riferimento per costruire il sound, di riflesso queste influenze si sentono anche nelle parti vocali di Deep Sheet.
(Deep Sheet) Quoto Dreabb, ma c’è anche molto di più dietro. Ovvio le vere influenze non si dicono mai, se no che gusto c’è? (ride)
E poi c’è “Gricia”, che è forse la canzone più romantica del disco… come vivete il vostro aspetto più “sentimentale”? Siete dei romanticoni, in realtà!
(Dreabb) Io sono sicuramente sentimentale, è un aspetto che bisogna imparare a gestire nel proprio carattere, poi lungi da me raccontare quello che ho fatto lo scorso weekend (ride).
(Deep Sheet) Io riesco davvero ad esprimere il mio romanticismo solo con una canzone come questa, che a ben sentire di fatto parla di complessi più che di amore, o meglio parla di come sia difficile amare, di come sia difficile entrare in vera sintonia con l’altro. Ma alla fine sì, un po’ tutti i rapper lo sono, quasi tutti lo siamo. Ah, io sono un disastro a gestire i miei lati più teneri.
E ora? Ci sono progetti in vista, live in programma?
(Dreabb) Stiamo lavorando ad un live con una formazione allargata, completa di batterista e bassista. Che fate? Non venite a vederci?