LO ZIO ARTHUR

Lo zio Arthur aveva un detto “Uccidili tutti e lascia che sia Dio a giudicarti” sfortunatamente una fredda mattina di dicembre lo fece davvero. Ma devo partire dall’inizio, altrimenti non capireste chi era lo zio Arthur.

Arthur Gein era il fratello di mia madre, nato e cresciuto a Plainfield in Wisconsin e non si è mai mosso da lì tranne quando lo Zio Sam lo chiamò per andare a fare la guerra in Europa. A sentire mia madre, non ebbe un’infanzia tranquilla.

Era il fratello maggiore e l’unico maschio, si subì tutti i rudi insegnamenti di mio nonno sul lavorare la terra e allevare il bestiame. Avevano una grande casa con molto terreno poco fuori la cittadina, passavano tutto il giorno a lavorare la terra ed accudire i tanti animali. La scuola era un peso che lo zio si lasciò a dieci anni, il nonno era convinto che non gli serviva a nulla. Lui era cresciuto senza ed era venuto su benissimo.

Fortunatamente la nonna riuscì ad imporsi sull’istruzione delle due bambine, la mamma e la zia. La mamma diventò chimica, mentre la zia riuscì a studiare letteratura ed ora è una scrittrice affermata e vive a New York. Ci manda sempre una copia dei suoi romanzi per posta, con tanto di dedica. Tutt’altra storia fu la crescita dello Zio. Il nonno lo svegliava alle cinque della mattina, aveva dei modi rudi e la totale mancanza d’affetto.

Lo buttava letteralmente giù dal letto, gli concedeva qualche fetta di bacon con uova e un succo d’arancio per colazione e poi se lo portava in mezzo ai campi. All’ora di pranzo, nelle giornate tranquille, aveva già arato non so quanti ettari di terreno e sistemato il bestiame. Gli animali del nonno consistevano in cento mucche da latte, cinquanta pecore e non so quanti altri piccoli animali come tacchini, conigli etc. Insomma un bel da fare per il nonno e per lo zio che non ebbe mai il tempo di farsi degli amici o uscire con delle ragazze quando entrò nell’adolescenza.

Non staccava mai, quel tipo di lavoro non aveva ferie o giorni di riposo e la sera era troppo stanco per fare qualsiasi cosa. L’unica attività che gli concedevano era la messa domenicale. La nonna li portava ogni domenica a messa, presso una chiesa luterana poco vicino al centro. Veniva anche il nonno, la religione era l’unico potere concesso a sua moglie, per tutto il resto era lui il capo e decideva lui. Il nonno aveva un corpo massiccio, il fisico piegato ed irrobustito da anni di lavoro e per finire il quadro, i modi rudi e la gentilezza sotto le scarpe.

Suo padre era partito a vent’anni da Dublino per rifarsi una vita in America e dopo anni di duro lavoro aveva comprato quel pezzo di terra nel Wisconsin dove costruì tutto. La nonna era cresciuta a Plaintfield, in una famiglia molto simile a quella che avrebbe creato con il nonno. Anche suo padre era padrone e quando la nonna conobbe e successivamente si sposò con il nonno, gli venne naturale assecondare tutte le richieste di suo marito e trasformarsi in una serva.

All’epoca le donne non avevano molti diritti, come non li avevano le persone di colore o altre etnie e piccole comunità. Ma dentro lo zio Arthur stava crescendo un pericoloso demone, il buio si stava impadronendo della sua mente provata dalla dura vita e la mancanza di affetto. La svolta in negativo venne quando lo zio uscì per la prima e l’ultima volta dal Wisconsin, aveva vent’anni e lo stato aveva bisogno di tutti i ragazzi maschi giovani perché si era cacciata in grosso pasticcio in Europa che noi tutti conosciamo, la Seconda Guerra Mondiale. Quello che vide lì, fece avanzare quel tremendo buio. Quando tornò, verso la fine del 1945, il suo comportamento peggiorò drasticamente. Divenne sempre più silenzioso e nel poco tempo libero, si isolava per molte ore. Scoprirono successivamente che il tempo in solitudine, lo passava a torturare dei poveri animali.

L’esercito gli diede due medaglie al valore per aver completato delle missioni pericolose e segretissime. Ma non menzionarono tutte le torture sadiche che lo zio praticava ai prigionieri per farli parlare. Non dissero nemmeno della luce nei suoi occhi sadici che aveva ogni volta che veniva chiamato per far parlare un prigioniero tedesco. Era il migliore nel suo campo. Sotto i suoi metodi, nessuno riusciva a resistere. Lui però li finiva sempre, anche dopo che avevano parlato e si divertiva a farlo nei modi più disparati. Godeva letteralmente nel sentire il dolore altrui.

Aveva scoperto completamente il vaso di pandora, il buio aveva preso completamente possesso della sua mente e non poteva più tornare indietro. Una fredda mattina di dicembre, verso la fine del ‘47, ci fu il capitolo finale. Quella mattina, la mamma e la zia erano fuori. Andavano al college e vivevano a circa cinquanta chilometri dalla loro casa. Avevano scelto entrambi lo stesso college, la zia frequentava la facoltà di letteratura, mentre la mamma aveva scelto quella di chimica. Rispetto alla zia Jennifer, la mamma era da sempre più brava con i numeri.

Lo zio Arthur, che non aveva una carriera scolastica a cui pensare, aveva sempre le stesse giornate davanti ai suoi occhi. Quella mattina mancavano esattamente quindici giorni al natale, il nonno tormentava ancora di più lo zio. Faceva freddo, la neve era già alta un metro per le strade e gli animali soffrivano il doppio. Ogni bestia che moriva di freddo, erano soldi che il nonno perdeva. Anche se Arthur era ormai grande, il nonno continuava a tormentarlo ed a picchiarlo con bastoni, quando lo vedeva fare qualcosa di sbagliato.

Non ricordo molto bene qual è stato il fattore scatenante, i racconti della mamma e della zia su quel giorno, sono molto confusi e dispersivi. Si nascondono entrambe dietro al fatto che non c’erano ma la realtà è che tutta la famiglia si vergogna di quello che è successo. Secondo i dati in mio possesso, cioè secondo i racconti dei vicini di Plaifield che hanno risposto alle mie lettere, il nonno vide fare allo zio un movimento totalmente sbagliato che portò alla morte di un vitello. Quel vitello morto scatenò la rabbia del nonno che inveii contro lo zio nel peggiore dei modi. Parolacce mai dette prima, schiaffi e percosse con tutti gli oggetti che aveva a portata di mano, si abbatterono contro Arthur che non si ribellò mai.

La nonna, sentendo il trambusto, uscì di casa per calmare suo marito che, malato di cuore, poteva subire un coccolone da un momento all’altro. Quella del cuore fu una scusa per difendere il suo povero figlio maschio. Stranamente il nonno ascoltò i consigli di sua moglie, ordinò allo zio di tagliare un po’ di legna e andò dentro per riposarsi qualche minuto sulla poltrona in salotto.

Arthur si recò dritto dietro alla casa dove c’era la montagna di legna da spaccare. Non disse nulla per tutto il tempo, com’era nel suo stile ma a differenza degli altri anni, aveva uno sguardo diverso. Aspettò che il nonno si addormentasse sulla poltrona, la nonna era uscita per fare delle commissioni e lo salutò portandogli una tazza di caffè.

Era il momento perfetto per attuare il suo diabolico piano. Si portò l’accetta nella mano sinistra, era mancino e su quel braccio aveva più forza, entrò in casa senza fare rumore e si fermò qualche secondo proprio dietro al nonno che russava rumorosamente. La testa, in gran parte nuda per via della calvizie, attirò l’attenzione dello zio per qualche minuto. Un sorriso sadico si disegnò sul volto provato da anni di soprusi, poi le mani si mossero con l’accetta ben ferma e un colpo secco divise in due la testa del nonno. Il sangue e altro materiale organico schizzò fino al soffitto, lo zio iniziò a ridere senza smettere nemmeno un momento.

Aveva avuto la sua vendetta, dopo anni passati peggio che in carcere, aveva eliminato la persona che gli aveva rovinato la vita. Ma questo non bastò ad Arthur che in preda ad un euforica pazzia, prese il fucile da caccia del nonno, un numero enorme di cartucce e si recò con la macchina nella piazza centrale di Plainfield.

Lì c’era un edificio più grande degli altri che ospitava un supermercato e l’emporio del vecchio David, amico del nonno e di tutta la famiglia. Salì sul tetto usando le scale antincendio e iniziò a sparare a tutti i passanti che in quel periodo camminavano per le strade della città, in preda allo shopping natalizio. Si scatenò il panico immediatamente, prima dell’arrivo delle forze dell’ordine lo zio uccise venti persone nei primi venti minuti.

Non so quanti poliziotti ci vollero per fermarlo, aveva una buona mira e sotto il suo fucile ci finirono anche quattro o cinque di loro. Alla fine venne colpito da un tiratore scelto della Guardia Nazionale. La tragedia finì su tutti i giornali statali e su qualcuno nazionale, la cittadina divenne famosa e tutt’ora molti turisti si recano lì per guardare da vicino la terrazza dove mio zio sparò. Perché ho deciso di scrivere questa storia? Perché per me lo zio Arthur è un idolo.

Sono un pazzo? Sì probabilmente. Mia mamma ha sempre capito che in me scorrevano i geni malati dello zio, fin da bambino mi ha fatto visitare dai migliori medici e mi ha rinchiuso in diversi istituti dopo che, per gioco, all’età di dieci anni ho tagliato la pancia ad un mio compagno di classe. Per sua fortuna non è morto, la maestra intervenne in tempo. Entrò di corsa in bagno dopo aver sentito le urla strazianti del mio amico.

Alla domanda “perché lo hai fatto?” risposi semplicemente che volevo studiare il corpo umano da vicino. Ma ora nell’istituto psichiatrico dove vivo, si è scatenata una rivolta ed io ho deciso di raccontare questa storia per emulare il mio eroe. Fuori c’è un gran trambusto, io sono salito sul tetto, il sole è alto ed è una giornata primaverile. Ho preso questo quaderno ed una penna dall’ufficio del direttore ed ho iniziato a scrivere.

Sotto di me ci sono molte persone, parecchi giornalisti locali e qualche parente preoccupato. Ho sempre avuto il sogno di eguagliare lo zio Arthur, volevo renderlo fiero ma non sapevo come fare. Negli istituti come questo siamo perennemente sotto osservazione ed è difficile attuare qualsiasi piano. Così mi ci è voluto molto tempo ed ho dovuto pianificare tutto.

La parte più difficile è stata rimediare un’arma da fuoco, l’occasione è avvenuta quando il mio compagno di cella mi ha detto che il nostro direttore è appassionato di caccia ed ha una collezione di fucili nella sua casa, proprio di fronte all’istituto di cui è anche il proprietario. Non restava che alimentare la rabbia degli ospiti fino all’epilogo di oggi, quando ho finto di essere stato aggredito da un’inserviente senza motivo.

Erano mesi che facevo circolare le voci che ci picchiavano senza ragione e soprattutto che volevano venderci ad una società che sarebbe stata peggio del nostro direttore. Feci leva sui nostri diritti e altre stronzate simili, siamo tutti pazzi qui dentro ma non del tutto scemi. Approfittai del casino e mi recai, senza essere visto da nessuno, nell’ufficio del direttore dove presi le chiavi per aprire la bacheca con tutti i fucili che teneva in garage.

Ora sono arrivato alla fine del piccolo quaderno, spero di aver illuminato la memoria di mio zio con questo racconto e di renderlo orgoglioso con quello che sto per fare. Ho già caricato il fucile con le cartucce che di solito si usano per gli uccelli migratori, penso che il primo a cadere sarà quel giornalista ciccione che sta mangiando avidamente il suo sandwich mentre tutt’intorno a lui si sta scatenando il finimondo. Ci vediamo all’inferno ciccione!

Clementi Simone

Immagini prese da Google Immagini

Chiara Bincoletto “Meglio di te” il nuovo singolo

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Vivere è un conflitto continuo tra il desiderio e la paura. Sarebbe comodo potersi staccare dalla propria vita quando si presentano situazioni complicate, ma la verità è che il tempo che trascorriamo è fatto di emozioni, sia quelle che definiamo positive che quelle negative. E’ importante riuscire a scovare le piccole sfumature di bellezza che ci passano davanti, così da poter sopravvivere a tutto. In fondo, nessuno può vivere la tua vita meglio di te.

Chiara ha iniziato a cantare a 12 anni .
Nel 2013/2014 ha frequentato la scuola di canto: Art Music School .
Nel 2014 partecipa con la band Funky breakfast al Festival di Castrocaro Terme Band, 1^ classificati.
Negli anni 2014/15/16 ospite alla manifestazione benefica in favore dell’Istituto Ramazzini di bologna, “Agosto con Noi” organizzato da Umberta Conti a Ozzano dell’Emila (BO).
Nell’ anno 2014 ha partecipato al talent : “Italian got talents” partecipando alla puntata televisiva.
Nel 2015 ha vinto il concorso “Rotary club” a Bologna, arrivando 1^ classificata.
Nel 2015 ha partecipato al concorso “talenti di Bologna” al teatro Manzoni di Bologna, arrivando 1^ classificata.
Nel 2015 si esibisce con la band Funky breakfast al concorso “Badford theatre” di Londra
Nel 2016 ha partecipo al concorso “Sing & Saund” Lidi Ferraresi, vincendo la finalissima a Comacchio.
Nel 2016/2017 è arrivata in semifinale al “Festival di Castrocaro terme”.
Nel 2017 ha partecipato al concorso di “Faenza Pop Festival” classificandosi 1^ assoluta e premio della critica.
Nel 2017 al concorso ha partecipato “Summer Festival” a Lido di Classe, arrivando 1^ classificata nelle cover e premio della critica.
Nell’anno 2017 al concorso ha partecipato “ Notte di note italiane” al Teatro Masini di Faenza, classificandosi 1^ assoluta.
Dal 2017 è ospite fissa allo spettacolo “Cuore di Vinile” organizzato da Marcello Romeo, Marco Belluzzo e Gianluca Naldi , regista Nino Campisi ( noto collaboratore di Lucio Dalla) al Teatro del Navile di Bologna.
Nel 2018 pubblica con la PMS Studio il suo primo singolo che la vede autrice del testo, “Per ricordarmi ancora di te”
Dopo una pubblicazione sulla piattaforma di streaming gratuita Soundcloud, il 20 gennaio 2020 esce su tutti i digital stores il nuovo singolo “Chiedo alle stelle”
Il 23 Maggio 2020 esce “Troppo Tardi” scritta dal cantautore Marcello Romeo. “Troppo Tardi” è un brano pop dallo stampo cantautorale italiano, interpretato dalla bellissima voce di Chiara Bincoletto.
L’8 Novembre dalla collaborazione con l’artista Davide Pagnini, Chiara pubblica “Meglio di te”

Un té con Cardo

Di Cardo, abbiamo già avuto modo di parlare altrove. Ora, in pieno tea-time, è il momento di parlare con Cardo del suo nuovo singolo per Dischi Rurali, “Presto lo vedrai”:

Cardo, subito una domanda a caldo utile a capire come stai: un pensiero sul mondo della musica e della cultura, all’alba di quello che sembra poter essere l’inizio di un nuovo incubo da DPCM. 

Vedo una pianura arida, non uno scenario da deserto del Sahara ma uno scenario più da Savana dove ogni tanto spunta qualche arbusto nel bel mezzo di una prateria stepposa. Non mi aspetto niente in ogni caso. Sicuramente non è un momento facile e credo che prima della prossima estate suonare sarà molto difficile.

Ti avevamo lasciato quest’estate con il provocatorio “Se insisti te lo do”; oggi, invece, sembri tornare a casa recuperando un sound più vicino ad “Unità”, il tuo secondo singolo con Dischi Rurali. Se dovessi tracciare un fil rouge a collegare le tue ultime quattro pubblicazioni, quale sarebbe? Qual’è il punto comune che collega le varie sfere del cielo di Cardo?

Abbiamo irriverenza e romanticismo. Il fil rouge è il mio stile cult-pop che accomuna il sound, le immagini e l’anima dei brani. Le stesse copertine dei singoli sono pensate in funzione di questa suggestione. L’immaginario e il sound dei brani  evoca uno stile cult che si origina dagli anni 70 e sfocia anche nei ’90, anni che hanno attinto molto dai precedenti Settanta.

“Presto lo vedrai”, come spesso accade nella tua produzione, parla d’amore. Sei d’accordo con Brunori, che sostiene che solo d’amore si può cantare, perché “di che altro vuoi parlare”?

Abbastanza d’accordo, più che altro direi che si può parlare quasi esclusivamente di emozioni. L’amore può trasfigurare anche in rabbia, menefreghismo e irriverenza come nel caso di “Presto lo vedrai”. Credo che comunque in generale parliamo essenzialmente di emozioni che possono essere di ogni tipo.

Ci racconti qualche anneddoto legato al brano? Come nasce, “Presto lo vedrai”? Ti ricordi il momento in cui hai cominciato a scrivere i primi versi?

Il brano si lega ad una storia d’amore, a fatti risalenti a due anni fa. Una storia d’amore che vedevo un po’ come un film horror, di quelli in cui il cattivo sembra morto ma poi nella scena finale ci lascia il dubbio che possa ritornare per un prossimo episodio. I cult dell’horror come “Nightmare”, “Venerdì 13” per esempio.  L’ho scritto verso la fine dell’estate scorsa quando vivevo a Bologna. Ricordo che faceva molto caldo, bevevo molti amari e avevo la mia chitarra acustica.

Tral l’altro, un particolare (importantissimo) del tuo modo di fare musica sta nel ricerca un sound che sia vero, suonat. Possiamo dire che la tua è una sorta di battaglia etica, in un certo senso, contro la logica delle produzioni di plastica, dei sample di Logic? 

Sì, per questo disco volevo un effetto molto reale di tutto, volevo sentire l’anima delle cose e quindi l’anima dei suoni. Per questo  insieme a Federico Carillo con il quale ho curato la produzione abbiamo deciso di seguire questa linea reale e per certi versi intimista e introspettiva.

Intanto, insieme a te sta crescendo anche Dischi Rurali, etichetta indipendente e quasi “neonata” che nell’ultimo anno ha aggiunto al suo roster progetti sempre più convincenti. La parola “rurale”, in un certo senso, è quella che mi colpisce di più: in che modo ti senti “rurale”?

Io mi sento rurale nel senso di vero, reale come intenzione e senza troppi artifici. Ricerco la realtà e cerco di restituirla filtrata dal mio punto di vista. La ruralità oggi è una grande qualità e in un mondo di finzione e di prodotti artificiali le mie canzoni hanno la genuinità, sono biologiche, “paesane”.

Hai dato un nome ben preciso, al tuo genere: Cult Pop. Ma cosa significa e come si fa ad essere cult pop, oggi?

Sì è una poetica di cui senza presunzione posso dire di aver creato e dato vita a quello che è il genere cult-pop (almeno in Italia). Mi ispiro a tutto ciò che può essere accostato a qualcosa di cult sia nella forma che nella sostanza, quindi anche molto a serie tv, film cult e alle musiche che hanno accompagnato questi film. Ma in genere anche un oggetto o una semplice immagine può evocare e darci la sensazione di trovarci di fronte a qualcosa che è stato culto. Le mie canzoni restituiscono questa sensazione. Il cult è una suggestione, una sfumatura anche difficile da cogliere nella musica. Il disco che uscirà all’inizio del prossimo anno sarà il “manifesto” di questo genere che ho definito cult pop.

Lasciaci consigliandoci un film da vedere stasera e un disco da ascoltare domani mattina, per inaugurare la giornata. 

Per stasera “They live (essi vivono)” di John Carpenter, regista che è mia fonte di ispirazione. Per iniziare la giornata invece “1999” di Prince.

Intanto, noi di Indielife, come film da guardare ora, vi lasciamo “Presto lo vedrai”, il nuovo video musicale di Cardo:

“Le poesie vanno cercate sotto la sabbia” – Le rose e il deserto (Intervista)

Si chiama Le rose e il deserto ed è il progetto solista di Luca Cassano, cantautore calabrese trapiantato a Milano.

La sua musica è un viaggio introspettivo, un modo per guardarsi dentro, per trovare il coraggio di affrontare la vita, con le sue difficoltà e le sue paure.

Le rose e il deserto

L’ultimo EP di Le rose e il deserto si intitola Io non sono sabbia ed è stato rilasciato per PFMusic il 19 giugno 2020. L’album è nato dalla collaborazione con le Manifatture Morselli Recording di Modena, dove l’EP è stato arrangiato e registrato.

Sono cinque i brani che compongono Io non sono sabbia. Al suo interno i testi, di stampo cantautoriale, sono accompagnati da una musica che unisce le influenze pop all’elettronica.

Così, noi di Indielife abbiamo deciso di fare due chiacchiere con Luca.

  • Ciao! Ci racconti un po’ di te? Cosa dovrebbe assolutamente sapere di te chi non ti conosce?

Come dicono spesso De Gregori e Niccolò Fabi, il cantautore è diverso dall’uomo (sorride, ndr). Anche a me piace mantenere “nascosta” la mia vita privata. Mi piace che chi mi ascolta mi conosca attraverso le mie canzoni. Posso però svelarvi che mi piacciono la poesia, la montagna ed il caffè…

  • Il tuo EP si intitola Io non sono sabbia. Un nome molto interessante, ce ne parli? Com’è nato?

E’ una storia fatta di provocazione, gioco, sensi di colpa e presa di distanze (sorride, ndr). Tutto è nato dalla prima traccia dell’EP: “Sabbia”, appunto. L’ho scritta durante l’estate 2019 mentre ascoltavo a ripetizione il disco del Jova Beach Party. Dal campeggio in cui mi trovavo ne ho fatto una registrazione ukulele e voce col telefono per mandarla al produttore dell’EP (Stefano Morselli, delle Manifatture Morselli Recording di Modena). E gli ho detto: “Vorrei che questa canzone avesse un sound elettro-pop, un po’ Jovanotti, un po’ Lo stato sociale”.

Per me è stata una provocazione ed un gioco. Io vengo da ascolti cantautorali, e le mie canzoni, quando sono sul palco, hanno arrangiamenti molto scarni, lontanissimo dal pop (figuriamoci dall’elettro-pop). Dopo soli due giorni Stefano mi mandò una prima bozza di “Sabbia” (di fatto molto simile alla versione finale). Ne fummo entrambi esaltati, e da qui decidemmo di fare un EP con quel sound.

E’ stata una bella avventura e siamo stati tutti molto soddisfatti del risultato finale. Poi però una parte di me, forse quella più seriosa, più conservatrice, si è un po’ pentita. Mi sembrava di tradire le mie radici, per questo la presa di distanze dichiarata già dal titolo. Io, per l’appunto, non sono sabbia, ho poco a che fare con questo… Si lo so, fa molto strano che un cantautore prenda le distanze dal suo disco d’esordio (che è anche il suo unico disco, per ora) prima ancora di pubblicarlo (ride, ndr).

  • – “Un terzo” è il brano che personalmente mi è piaciuto di più. Ha un ritmo allegro che però è legato a un testo molto malinconico e profondo. Pensi di essere riuscito “a mettere insieme i tuoi pezzi”, come dici nella canzone?

Hai colto l’essenza di “Un terzo“. E’ un canzone che parla di paure. Quando la introduco sul palco (ed è la canzone con cui apro tutti i miei concerti) dico sempre che è una canzone che parla di piccole e grandi paure metropolitane, per uno come me, nato in Calabria e trapiantato a Milano. Però si, abbiamo cercato di alleggerire il messaggio del testo con un arrangiamento allegro, quasi estivo (Stefano Morselli, durante le registrazioni diceva sempre “Questo è un pezzo da suonare sulla spiaggia”). Se sono riuscito a mettere insieme i miei pezzi? Beh, ci sto provando, con la colla più dolce, ma è operazione difficile assai. I pezzi sono tanti e spesso sparsi in giro per la vita.

  • La tua musica e i tuoi testi sembrano un po’ una terapia. Le tue canzoni raccontano la tua storia, ma l’ascoltatore secondo me riesce a ritrovarsi nei tuoi brani ed ecco che queste canzoni diventano un po’ la storia di tutti. C’è qualche cantante o gruppo musicale in cui tu ti sei rifugiato durante qualche momento (bello o difficile) della tua vita? 

E’ un gran bel complimento quello che mi hai fatto. Penso che una canzone, sebbene nasca, ovviamente, dall’esperienza personale di chi la scrive, sia una canzone valida solo se riesce a muovere emozioni in chi l’ascolta. Se questo non avviene, tanto valeva lasciare la canzone chiusa in un taccuino, e leggersela ogni tanto in privato. Per quanto riguarda i miei ascolti “terapeutici” per brevità te ne cito tre: l’infinito, Principe, Francesco De Gregori, qualsiasi disco va bene, a qualsiasi ora, sia prima che dopo i pasti. Poi una band portoghese, purtroppo inattiva da molto, i Deolinda, con il disco “Dois selos e um carimbo” ed infine una band napoletana, La maschera, con il disco “’O vicolo ‘e l’allerìa”.

Grazie mille!

Abbiamo inserito “Sabbia” di Le rose e il deserto nella nostra playlist Spotify dedicata agli artisti emergenti.

I Fanoya e il concetto di metropoli logorante

I Fanoya sono un duo indie-pop composto da Giacinto Brienza e Leone Tiso. Il loro nuovo singolo s’ intitola “Fette Biscottate” e racconta di uno stile di vita che, ambientato in una metropoli travolgente come Milano, può risultare logorante. Il brano nasconde riferimenti alle scelte difficili mai intraprese per la troppa paura e le cose mai dette. “Fette biscottate” è uno scenario completo di abitudini e rimorsi, dalle sonorità orecchiabili.

Abbiamo intervistato i Fanoya.

I Fanoya sono un duo tendenzialmente indie pop, ma voi vi rivedete in questo genere?

Diciamo che la parola indie è un po’ abusata o forse anche un po’ ingannevole. Si potrebbe dire che l’indie è il nuovo pop. Ecco, noi ci sentiamo pop.

Il vostro nuovo singolo “Fette biscottate” racconta di scelte che a volte si rivelano logoranti. Da cosa è nata l’ispirazione per questo brano?

Il brano è nato in modo spontaneo, naturale. Noi viviamo a Milano. Questo brano racconta di una donna che vive a Milano, in una realtà fatta quasi esclusivamente di lavoro, centri commerciali e dove smebra non esistere una via di fuga da una prigione che lei stessa si è creata.

Com’è andata la fase di produzione?

La fase di produzione è avvenuta durante il lock-down, un periodo in cui di certo non è mancato il tempo per scrivere nuova musica con più calma. Io e Leo ci scambiavano note vocali, da cui poi è nato il brano.

Siete un duo pugliese. Quanto la puglia ha influenzato il vostro modo di fare musica?

Tantissimo. Fino ai diciannove anni siamo stati lì. La Puglia è come un palcoscenico a cielo aperto, ogni scorcio è caratteristico. E poi passare da un paesino pugliese a Milano può generare un impatto forte, però ci siamo abituati. Siamo comunque molto legati alla Puglia.

Posso sapere un particolare del vostro prossimo lavoro?

Dovrebbero uscire altri singoli e agli inizi del 2021 uscirà il nostro nuovo disco (Covid permettendo). Si chiamerà Le previsioni del tempo

Grazie!

Leggi anche l’intervista a Tiso!

Cardo, presto lo vedremo

Cardo non è uno qualsiasi: spalle rese robuste da anni di live attraverso l’esperienza con i Botanici prima (di cui Mirko è stato per anni autore e frontman) e da solista poi (“Un amaro, grazie” ha raccolto l’entusiasmo di pubblico e critica, confermando Cardo tra i nomi da seguire della nuova scena cantautorale) hanno reso autonoma la penna beneventana, che dal 2019 ha inaugurato una nuova coraggiosa strada aperta insieme al trattore discografico di Dischi Rurali, realtà indipendente che negli ultimi mesi ha fatto parlare di sé come baluardo di resistenza etico-musicale alla livella omologatrice del mercato.

Dopo un percorso fatto – fin qui – di singoli al fulmicotone, Cardo riesce nell’impresa di alzare ancor di più l’asticella attraverso “Presto lo vedrai”, hit d’altri tempi, cult nel senso più originale del termine: la tradizione si fa cool nella misura in cui si intreccia con la circolarità storico-generazionale di una nuova orda di eterni post-adolescenti sbandati dall’opulenza in declino di un sistema che produce sovrabbondanza, sì, ma bulimica e malata; proprio come negli anni Ottanta.

In questo senso, il tanto celebrato e sdoganato ritorno degli Ottanta sembra non essere più confinato ad un’influenza di pertinenza unicamente estetica, ma appare la chiave di lettura più utile a lasciar emergere il disagio di una generazione impigrita vicina, nelle sue nuove avanguardie stilistiche, alla detonazione punk da una parte, alla retorica kitsch paninara dall’altra; accanto ai CCCP e ai Disciplinatha, era Vasco – a dispetto dei più puzzini radical chic – ad urlare il forte senso di “social disease” sotteso nella filosofia della “vita spericolata” che, in un modo o nell’altro, il rocker modenese condivideva con le contemporanee compagini più “politiche”.

Ecco perché, in un certo modo, trovo tremendamente sensate e attuali (e quasi storicamente legittimato) le reminiscenze vascorossiane di Cardo, che torna a cantare le conseguenze dell’amore nel modo più romantico possibile, nell’era del torpiloquio trap e della sintassi elittica del nuovo pop: c’è la vita di paese, la rarefazione del rapporto nell’era delle distanze emotive – più che logistiche -, la ricerca di un posto dove stare per non sentirci soli e nudi di fronte al dolore del quotidiano.

Il tutto, presentato in una salsa AOR tutta all’italiana, che lascia spazio all’infuriare della musica vera perché suonata, con tanto di solo finale di sax che ha l’odore della sensualità esplosiva di un pezzo che rimane fortemente ammiccante, nel denunciare il dramma della perdita: l’inciampo, se osservato dal giusto punto di vista, può essere l’occasione migliore per rialzarsi e ripartire, e “Presto lo vedrai” non smette di confermare la sensazione che Cardo sia sempre più lanciato verso un primo disco completo che sembra avere già i numeri per poter diventare cult.

Noi, quanto meno, glielo auguriamo.

GREY RELIGION” Prende forma”

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Nicholas Russo, in arte Grey Religion, è un beatmaker, produttore, rapper e cantante emiliano.

Bambino un po’ solitario e fuori dagli schemi, ha sempre preferito passare le sue giornate suonando, piuttosto che dedicarsi al gioco. Infatti già all’età di 6 anni intraprende il percorso da musicista, studiando chitarra elettrica e ad 11 anni forma due band, con le quali suona nei locali e partecipa a diversi talent di zona. Dopo il liceo si iscrive al conservatorio ed inizia a studiare chitarra elettrica, frequentando corsi di steimberg cubase e produzione mixing e mastering. Realizza poi un suo studio di registrazione in casa, cominciando ad autoprodursi e dando vita a  diversi progetti, a partire dal dark conscious fino ad arrivare al pop acustico. 

Nel 2019 pubblica il suo primo album, dal titolo ‘Muoio in poesie’.

Inoltre, tramite il concorso Tour Music Fest, ha l’opportunità di frequentare la scuola di Mogol, dove studia canto e scrittura.

Nello stesso anno entra a far parte dell’etichetta indipendente PMS Studio, iniziando così a pubblicare svariati video musicali.

Ora presenta al pubblico ‘Prende forma’, l’ultimo lavoro, scritto in un momento molto strano e particolare della sua vita.

Lo stesso artista racconta “Erano le tre di notte e non riuscivo a dormire, poiché la testa era affollata di pensieri che mi tormentavano. Ho quindi deciso di recarmi nel mio home studio e prendere in mano la chitarra. Così è iniziata la composizione di questa canzone… In certi momenti, scrivere è l’unica cosa che mi aiuta, permettendomi di esprimere i sentimenti che provo e comunicare tutte le mie emozioni. Dopo essere rimasti intrappolati nella mia mente per tanto tempo, i pensieri prendono forma.”.

Aggiunge poi “Spesso nella quotidianità siamo così presi dagli impegni che non troviamo il tempo per capire quanto sia prezioso ogni attimo della nostra esistenza e quanto sia importante godersi le persone che amiamo.”. 

Il brano porta il messaggio che bisogna lottare per raggiungere i propri obiettivi ma vuole anche far riflettere sul fatto che, quando si cade, non bisogna dare corpo all’anima ma l’anima al corpo, cercando un nuovo pretesto per superare la giornata e andare avanti.

“È qui che lascio la voce

è qui che il mio cuore si muove

è qui che la luce si accende 

è qui che ritorna il sole”

Grey, con la sua voce roca e profonda ma dolcissima, riesce a fare percepire all’ascoltatore la profondità delle emozioni provate.

La base delicata, costituita da poche essenziali note, aiuta a conferire al brano una sensazione di intima armonia.

La copertina riporta l’immagine di un uomo, nascosto da una felpa con cappuccio e quasi in totale oscurità, poiché dà le spalle ad una lampadina che emana una forte luce aranciata, unico punto luminoso nella stanza buia.

Il videoclip, che apre e chiude con il mare al tramonto, alterna scene in cui si vedono un lungo ponte sul fiume, una stanza buia ed un bosco luminoso. Quest’ultimo luogo è l’unico in cui troviamo un’altra presenza, oltre al cantante, ovvero una fanciulla dai lunghi capelli biondi che, avvolta da un abito di colore fucsia, si muove in maniera sinuosa e sensuale. Alcune parole del testo compaiono poi qua e là.

Grey Religione, con ‘Prende forma’, ci regala un brano fresco e giovane, decisamente alternativo e denso di pathos!

Stefania Castino

HER DEM AMADE ME – Siamo sempre pronte, siamo sempre pronti

Uscirà il 4 dicembre 2020 “HER DEM AMADE ME – Siamo sempre pronte, siamo sempre pronti”, la raccolta realizzata in memoria di LORENZO ORSETTI, ragazzo fiorentino morto in Siria per mano dell’ISIS il 18 marzo 2019, all’età di 33 anni.

“Her dem amade me” è un progetto curato da Lucio Leoni, prodotto da Blackcandy Produzioni in collaborazione con Arci Firenze, Associazione Lorenzo Orso Tekoşer, UIKI Onlus, WJAR- Weqfa Jina Azad a Rojava e Bao Publishing.

Si tratta di una raccolta fondi, i cui proventi saranno interamente devoluti al centro Alan’s Rainbow di Kobane per dotarlo di un ambulatorio pediatrico che sarà intitolato a Lorenzo Orsetti Tekoşer, partigiano internazionalista.

Il disco è pre-ordinabile al link a partire dal 5 novembre 2020: www.blackcandyrecords.bigcartel.com/product/her-dem-amade-me

Un doppio cd con i brani di 24 Grana, Serena Altavilla, Assalti Frontali, Angela Baraldi, Cesare Basile, Paolo Benvegnù, Giorgio Canali, Pierpaolo Capovilla, Marco Colonna, Vittorio Continelli, Max Collini, Cristiano Crisci, Dagger Moth, Ginevra Di Marco, Er Tempesta, Giancane, La Rappresentate di Lista, Lucio Leoni, Malasuerte, Mokadelic, Nummiriun, Rita Lilith Oberti, Marco Parente, Carmelo Pipitone, Rapper C J  A SAP, Marina Rei, Roncea, Rossofuoco, Tre Allegri Ragazzi Morti, Giovanni Truppi, Margherita Vicario. Inoltre contiene anche il contributo artistico di Zerocalcare, che ha fornito le illustrazioni presenti nel booklet, tratte dal suo fumetto “Macelli”.

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Ugo Monestier, cambierò il mondo con l’EcoTrap

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Ugo Monestier ha 21 anni, ha partecipato ai Fridays For Future, è iscritto ai Verdi ed ha deciso di fare della sua musica lo strumento di lotta ai cambiamenti climatici. Un’artista simbolo della GenZ, vive tra un futuro incerto e un presente in balia di una pandemia mondiale che priva di molte opportunità e la potenza dei mezzi di comunicazione tra le proprie mani.

In questa intervista il cantautore di Varese, ci parlerà dei suoi brani e del neonato concetto di EcoTrap.

Intervista

Quando è nata la tua voglio di fare musica?

È nata nell’estate del 2019. Ho avuto l’idea di iniziare questo tipo di percorso ecologico-Trap.

Cosa vuol dire Ecotrap?
EcoTrap significa evolversi, raggiungere uno scopo nobile ed edificante per tutti. Nasce dopo l’essersi stufato del “vuoto contenutistico” dei testi trap, ma anche dall’amore per il genere stesso, e quindi dal voler modificarne i connotati principali. Ripartendo dai temi. Significa portare nella musica questa tematica scottante, cosicché i Millenials possano iniziare a conoscerla, e a rendersi responsabili da un punto di vista politico e civico.

In “Stato di Natura” dici che noi siamo “la mosca bianca schiacciata sul finestrino”. A chi ti rifersici?

In “Stato di natura”, noi, genere umano, siamo la mosca e il gigante verde è il pianeta terra.
Significa che, solamente noi possiamo modificare il corso della storia ed evitare la catastrofe, in quanto il pianeta in sé, non si interessa di tale missione, e ci schiaccerà se continuiamo ad inquinare.

Una versione di Stato di Natura è stata pubblicata feat il grandissimo scrittore Roberto Piumini, ecco la sua strofa:

“E negli umani ancora credo, seppur storditi
Che sulla luna siamo andati
Chiedilo a Siri
Io ci credo nella Luna
E nemmeno la paura
Ci fermerà dal convivere
Nati dalla Terra
Lei ci accomuna
E ci dobbiamo vivere”.

In “Social Boom” fai un’intro di denuncia di questa situazione. Secondo te i boomer potranno mai capire il peso della battaglia per il pianeta che la tua generazione sta portando avanti?

In Social Boom, mi rivolgo con il discorso introduttivo proprio ai ventenni, dal momento che la classe politica è in mano agli ultra-60enni. L’incomunicabilità generazionale è la critica che fiorisce dal primo discorso, e poi nella canzone stessa vi è un’esportazione al pubblico ad agire, al mettersi in gioco, a “salire sul palco”, smettendo di subire passivamente la storia, ma di cambiarla con le proprie idee.

“Liberi” è un brano che parla della pandemia, cosa ti ha spinto ha scriverlo?

Liberi è una canzone sul Coronavirus, però visto da un’ottica completamente diversa dagli altri arstisti trap e rap. Tutti hanno guardato dal punto di vista distopico l’argomento e non da un punto di vista della libertà. In un’epoca di grave epidemia che stavamo vivendo ad aprile e a maggio, e come quella che adesso ci troviamo ad affrontare, non ci si aspetta una canzone sulla libertà e sulla voglia di tornarci, pochi sono stati a farlo veramente. Il 22 aprile tra i primi ho pubblicato questa canzone, che è un inno alla libertà più pura, come Freedom di Pharrel Williams, una grande canzone sulla libertà. Per libertà si intende la libertà da tutti i vincoli che il Coronavirus ci ha imposto; ovvero la condizione per cui un individuo può decidere di pensare, esprimersi e agire senza nessuna costrizione legata al Coronavirus. Quindi immaginarsi quale sarà il mondo post-Coronavirus.

Dove troviamo questo brano?

Liberi è stato uno dei primi brani pubblicati come video musicale solamente su Instagram (IGTV). Un esperimento di comunicazione fatto sapendo che quello è l’intermediario comunicativo più potente oggi. Ogni artista lo usa come uno degli intermediari per la propria, musica, che si trova anche su altre piattaforme come Spotify o Apple Music e moltre altre, ma io in particolare ho usato l’intermediario stesso come mezzo finale della pubblicazione del mio pezzo (Liberi): una tendenza che ho anticipato e che da quest’estate è diventata per gli artisti più comune. Questo mi he permesso di arrivare fino a 7000 visualizazzioni che sono davvero molte per un post su IGTV.

Trovate il brano “Liberi” qui?https://www.instagram.com/tv/B_SHBtbiEat

Qual è il futuro dell’EcoTrap?

Ecotrap è un’alleanza coraggiosa, una sintesi dovuta, lo sviluppo che sentivo necessario. Sono io l’ideatore del neologismo, l’artefice dell’intreccio fra le parole Eco e Trap. Estensione di cultura, o sottocategoria, poco importa come la si vede, EcoTrap esiste ora come esisterà domani. In quest’ottica si muoveranno i miei pensieri all’interno della canzone.

Ugo Monestier

Potete seguire Ugo Monestier sul suo canale Youtube: https://www.youtube.com/channel/UCu4hdTpBckY4d2cv9q5NRHQ e sulla sua pagina Instagram: https://www.instagram.com/ugomonestier/

Il giovane Ugo Monestier è una promessa della musica Trap, parte da temi importanti per esprimere l’urlo della sua generazione, quella sia dell’incertezza, ma anche dell’irrefrenabile voglia di comunicare se stessi.

IL PIACERE DI CUCINARE

<< Dovevamo girare a destra più di un’ora fa, al bivio dove ti avevo detto io!>>

Carl cercò di non ascoltarla. Aveva ragione e quando sapeva di averlo, praticamente sempre nella sua testa, non mollava la preda. Come uno di quei coccodrilli che giravano tra le acque della Florida.

Avevano deciso questa piccola vacanza per festeggiare venticinque anni di matrimonio. Avevano una vita piena e un figlio maschio adolescente che li aveva supplicati di lasciarlo da solo. Inizialmente volevano portarlo con sé, ma Carl aveva fatto notare a sua moglie che da soli avrebbero avuto quel prezioso tempo libero necessario a rispolverare vecchie abitudini che da tempo non facevano. Jennifer aveva intuito ridendo maliziosamente ed avevano deciso di lasciarlo a casa.

Ma non da solo, avevano chiamato il nonno, il padre di Carl, che viveva a pochi chilometri da loro. Carl e Jennifer erano entrambi cresciuti a Bangor. Il papa di Carl, Stephen, aveva un piccolo negozio di antiquariato mentre la mamma, faceva la segretaria. Jennifer invece era di buona famiglia, il papà era un grande dirigente di una banca. Pur essendo vissuti nella stessa città, i due ragazzi s’incontrarono e s’innamorarono al collage. Frequentarono entrambi l’università del Maine, Carl era appassionato di numeri e si laureò in matematica e fisica, Jennifer amava i libri e si specializzò nella letteratura americana ed italiana.

Diventarono professori nella stessa università che li aveva accolti da studenti e decisero di trasferirsi, dopo il matrimonio, ad Old Town. Gli piaceva viaggiare ed approfittavano sempre dei momenti liberi per partire e vedere nuovi posti. Durante il viaggio di nozze, avevano visitato gran parte dei paesi del sud America e per ultimo, prima di tornare alle loro vite, si erano fermati in Florida.

Dopo tanti anni, avevano deciso di tornarci per esplorare quella parte di stato che non avevano fatto in tempo a visitare tanti anni prima. Era come una seconda luna di miele. L’idea aveva funzionato alla grande, durante il viaggio non avevano litigato per niente, ed avevano ritrovato un’intimità che credevano persa. La sera prima, in un piccolo motel, l’avevano fatto tre volte, una rarità che non accadeva mai nella loro stanza ad Old Town.

Ma ora le carte in tavole erano cambiate. Era sera, il sole stava calando e Carl si era perso tra le stradine sconosciute della Florida. Il suo orgoglio di maschio ed esperto conoscitore del mondo era duramente sotto attacco, cercò di distrarsi alzando la radio. Trasmettevano del buon country-rock, che un po’ soffocava la voce di Jennifer visibilmente arrabbiata.

<< Non mi rispondi neanche? Sai che ho ragione, lo sai. Ora dimmi dove stiamo andando Colombo? Dimmi dove passeremo la notte, tra un po’ è buio ed io inizio ad avere fame>>

La sua voce era come un martello pneumatico che riecheggiava nel silenzio della palude. Come mille aghi che venivano infilzati nel cervello di Carl. Pensò a quella mattina presto, Jennifer urlava di piacere e lo faceva sentire un Dio. Sembravano passati anni e invece era solamente qualche ora. Adesso lei urlava di rabbia, lui non era affatto un Dio e sentiva che stava per esplodere.

Continuò a guardare davanti a sé, la strada si estendeva per molti chilometri, solitaria e senza far capire dove li avrebbe portati.

<<Secondo me dobbiamo tornare indietro è l’unica soluzione. Poi al bivio gireremo dove ti ho detto io e speriamo di trovare qualcosa dove passare la notte in mezzo a questo inferno>>

lui continuò ad ignorarla, stava contando mentalmente per restare calmo. Nel frattempo la loro auto macinava chilometri nel bel mezzo del nulla.

Quella strada, quella scelta sbagliata, a lui iniziava a piacergli. In un certo senso lo calmava, almeno in parte, e gli dava quel senso d’avventura perso ormai chissà da quanto. Ma questo lei non lo capiva, non voleva capirlo. Amava i viaggi comodi, gli alberghi che l’accoglievano come una regina e i posti affollati di gente. Tutto il contrario di lui.

Ma forse era anche questo il bello dell’amore.

<< Allora vuoi ascoltarmi una buona volta? O pensi di poter fare quello che ti pare perché sei riuscito a scoparmi per tre volte? >>

Carl freno di botto, lo stridio delle gomme bloccare sull’asfalto entrò nelle loro orecchie e fece male per un paio di secondi. Spense la radio e si girò a guardarla con due occhi iniettati di sangue. Lei si mise paura, poi la calma tornò lentamente a farlo ragionare. Quella che aveva davanti era pur sempre la donna che amava da quasi trent’anni.

L’amore della sua vita e la madre si suo figlio, rimaneva un gatto attaccato ai testicoli, ma era pur sempre l’amore della sua vita.

<< Ascoltami bene Jennifer, probabilmente ai ragione o probabilmente no. Non so dove stiamo andando, lo so, ma stiamo pur sempre in America non su Marte. Sono le sei e mezza, ho fame e sono stanco anch’io ma tornare indietro e ripercorre tutto per poi girare al bivio non mi sembra una buona idea. Ci metteremmo una vita senza ottenere né un pasto caldo né un letto dove riposarci. Secondo questa mappa dovrebbe esserci un paesino a nemmeno un’ora di macchina da qui. Percorriamo ancora qualche chilometro e vediamo se lo troviamo. Se non troviamo nulla in mezz’ora, nemmeno un cartello, ti prometto che girerò la macchina e torneremo indietro ok? >>.

Gli occhi di Carl erano cambiati e Jennifer si tranquillizzò molto. Si rese conto che aveva esagerato, come al solito non aveva tenuto a freno la lingua. Ma era orgogliosa e non ammetteva i propri errori, almeno non a parole. Gli accarezzò la mano dolcemente e si limitò ad annuire.

<< Ok caro, facciamo come dici tu>>

Quello era il suo modo di chiedere scusa. Carl la baciò sulla bocca, innestò la marcia e ripartì verso l’ignoto. La radio continuava a sputare country locale, entrambi apprezzavano. Jennifer si guardò intorno, cercando di rilassarsi il più possibile con il paesaggio circostante. Cercò di nuovo la sua mano, la trovò e la strinse forte.

Percorsero qualche chilometro quando sulla destra apparve un cartello vecchio che recitava la scritta “IL PIACERE DI CUCINARE”, le poche luci che lo circondavano erano quasi tutte fulminate. Indicava di girare a destra dopo pochi metri, verso quella che si sarebbe rivelata come una stradina di campagna non molto sterrata.

Carl fermò di nuovo la macchina, prima di girare.

<< Che ne pensi tesoro? >>

<< Penso che sia una manna dal cielo. Direi di andare in questo posto e vedere di cosa si tratta. Se siamo sfortunati, mangeremo solo un boccone e poi ci rimettiamo in macchina. Se invece ha anche delle camere, allora la fortuna si è accorta di noi e ci riposiamo fino a domani mattina. Magari i proprietari riescono ad indicarci la strada migliore, conoscono meglio la zona>>

<< Mi hai convinto tesoro, credo tu abbia ragione. Incrociamo le dita e speriamo di trovare un letto, oltre che ad un pasto caldo. Sono anche curioso di assaggiare le specialità della casa>>

La macchina arrancò verso la strada sterrata in leggera salita. Percorsero circa cinque chilometri in mezzo alla natura selvaggia, la strada era sempre meno battuta e con molti sassi nel mezzo. Carl fece fatica a guidare tra gli ostacoli improvvisi che trovava lungo il percorso. Le preghiere dei due innamorati vennero accolte, davanti a loro c’era un locale con la stessa insegna che avevano visto lungo la strada provinciale.

Era un edificio vecchio ma molto grande, di quelli che venivano costruiti dai proprietari terrieri prima o dopo la guerra civile. Il tutto faceva ben sperare in una camera oltre al pasto caldo. Parcheggiarono davanti al grande edificio, intorno non c’era nulla ma solo terreni coltivati a perdita d’occhio. Sembrava essere tornati indietro nel tempo di paio di secoli.

<< Non ci sono macchine tesoro, siamo gli unici clienti?>>

<< Non devono fare molti affari effettivamente da queste parti. Forse il grosso del loro commercio non è il bed and breakfast, ma la vendita di ortaggi e frutta al dettaglio o in qualche mercato qui vicino>>

Quel pensiero tranquillizzò un po’ la mente turbata di lei, quel posto sperduto nel nulla l’aveva messa in allarme, ma forse aveva ragione Carl. Spesso giudichiamo quello che non conosciamo perché abbiamo paura dell’ignoto.

<< Non ci avevo pensato, effettivamente ci sono molti terreni coltivati qui intorno. Andiamo ho una fame boia!>>

<< Come vuole lei, mia Regina>> Carl prese la mano gli regalò un bel sorriso e suonò il campanello. Anche il suono era antico, di altri tempi. Non attesero molto, circa dieci minuti prima di vedere una simpatica signora in carne aprire la porta un po’ stupita per la visita improvvisa.

<< Buonasera signori, come posso esservi utile? >> il tono cordiale e le frasi di circostanza, erano accompagnate da un grande sorriso e da un simpatico accento del sud. Carl amava l’accento del sud, gli ricordava i film western che vedeva da ragazzo nei cinema pomeridiani.

<< Buonasera Signora, ci scusi l’orario. Ci siamo persi l’ungo la provinciale ed abbiamo visto il cartello. Vorremmo fermarci a cena e se ha delle stanze, anche per la notte. Domani mattina presto toglieremmo il disturbo >>

<< Certamente, siete venuti nel posto giusto. Abbiamo tutto l’occorrente per riempire i vostri stomaci con ottimo cibo e letti caldi per far riposare le vostre stanche ossa>>

Jennifer sorrise divertita a quel modo di parlare.

La signora apprezzò il sorriso prendendolo come un complimento e si presentò.

<<Piacere mi chiamo Cynthia Clark, prego entrate, così vi presento mio marito Peter>>

<< Piacere nostro Signora Clark, noi siamo Carl e Jennifer Smith>>

Stretta cordiale e decisa che durò pochi secondi, poi Cynthia si scostò dalla porta, entrò all’interno e fece strada. L’ambiente era diviso in due da una grande scala posta al centro che portava alle camere nei piani superiori. A destra si vedeva la porta che introduceva la grande sala da pranzo.

Sulla sinistra c’era il bancone della reception, un piccolo salotto con divani ed una libreria. Poco vicino un corridoio dove sicuramente si arrivava agli alloggi dei proprietari e la cucina.

<< Peter, Peter, muotivi esci fuori. Abbiamo ospiti>> le grida erano rivolte proprio verso il corridoio. L’ambiente non era molto illuminato ma era pur sempre accogliente, a modo suo. Cynthia teneva fede al detto che voleva la gente del Sud molto ospitale. Indossava un lungo vestito ed un grembiule, tipico della signora che passa molto del suo tempo in cucina.

Dal corridoio, con passo lento e le scarpe che strusciavano lungo il pavimento lucidato, avanzò un signore sulla sessantina. Era molto secco e con il fisico provato da molti anni di duro lavoro. La pelle rossa e cotta di chi passa molte ore sotto il sole cocente della Florida. Alzò gli occhi azzurri ed iniziò a studiare i nuovi ospiti. Forse era il suo modo di fare o semplicemente non ci vedeva bene. Andò dietro al bancone e prese gli occhi spessi come fondi di bottiglia. Era decisamente la vista il problema. Con gli occhiali, Peter sorrise cordialmente ai nuovi arrivati e gli strinse la mano.

<< Benvenuti nella nostra umile dimora Signori. Io mi chiamo Peter Clark>>

<< Grazie signor Clark, ci sta salvando letteralmente. Non sappiamo dove porta questa strada, non siamo di qui e credo ci siamo persi>>

<< Meglio per me direi>> la battuta venne accompagnata da una fragorosa risata.

<< Scherzo ovviamente. Tranquilli a tutto c’è rimedio, dove siete diretti? >>

<< Proprio questo è il problema, siamo in viaggio di piacere e non abbiamo una vera e propria tabella di marcia. Abbiamo visitato la Florida durante il nostro viaggio di nozze e abbiamo deciso di conoscere quella parte di stato che non siamo riusciti a vedere anni fa. Quest’anno è il nostro venticinquesimo anniversario>>

<< Allora è ancora più facile. Domani proseguite per la provinciale che stavate percorrendo per altri trenta chilometri. Troverete una piccola e graziosa città di nome Key Town, vi consiglio di fermarvi a vedere il mercato giornaliero che viene svolto nella piazza principale. Dopo aver visitato il mercato, proseguite lungo la strada e dopo la cittadina troverete le indicazioni per l’autostrada che vi porterà in ogni direzione>>

<<Grazie Signor Clark, è stato molto gentile>>

<< Si figuri, è un piacere essere d’aiuto in qualche modo. Ora lasciatemi i vostri documenti e sedetevi in sala da pranzo. Mia moglie arriverà subito con la cena. Io intanto svolgo le normali faccende burocratiche>> i due innamorati eseguirono gli ordini, sempre più contenti che la serata si era sistemata. Svanita la preoccupazione iniziale, sia Carl che Jennifer, iniziarono a guardarsi in modo malizioso. Avrebbero finito in fretta al cena, portato in camera una bottiglia di ottimo vino e festeggiato per bene il loro anniversario. Cynthia venne al tavolo con un grande vassoio.

<< La specialità della casa qui è la carne. Mi sono permessa di prepararvi dei piatti con la nostra specialità. Vederete, non per vantarmi, ma una carne così non la mangerete in nessuno altro posto. Vi ho preparato il nostro tipico arrosto con patate e carote. L’arrosto lo preparo io personalmente.>>

<< Penso che in questo momento, potremmo mangiare anche il tavolo signora>>

<<Lasciate perdere i tavoli e assaggiate questa prelibatezza. Intanto vi vado a prendere una bottiglia di vino, sempre fatto con i nostri vigneti>>

Carl e Jenniffer assaggiarono entrambi il cibo che avevano davanti, il gusto era diverso ma squisito. Aveva ragione la proprietaria, una carne così non l’avevano mai mangiata.

<< Ma come fa a farlo così buono signora? >> azzardò Jennifer mentre Cynthia apriva la bottiglia e ne versava il contenuto nei bicchieri.

<< Non posso svelarvi i miei segreti, non le pare? >>

<< Ci ho provato, mi scusi>>

Risero tutti, Carl e Jennifer si portarono alle labbra i bicchieri colmi di vino e dedicarono il primo brindisi a quella simpatica coppia che gli aveva salvato la serata. Cynthia ringraziò con un accenno della testa e si allontanò, lasciando da soli i due innamorati. Era stata giovane anche lei e conosceva bene serate come quella.

La cena durò in tutto una mezz’oretta. Dopo l’arrosto si concessero anche il dolce della casa, la torta di mele più buona del mondo a loro giudizio. Finirono tutta la prima bottiglia e ne ordinarono una seconda che si portarono in camera. Cynthia li vide allontanarsi verso le camere con un passo traballante, ridendo maliziosamente tra di loro. Nel suo sguardo c’era un po’ d’invidia, per lei e per il vecchio Peter, erano finiti quei tempi.

Ora si doveva accontentare di un bacetto sulle labbra ogni tanto durante il giorno e prima di addormentarsi la sera.

Dalla stanza numero 207, l’unica occupata quella sera, venivano i rumori tipici di chi stava degnamente festeggiando il proprio anniversario di matrimonio. Verso l’una di notte però tutto taceva. La notte aveva inghiottito nel suo torpore anche gli ospiti innamorati. Quello era il momento giusto. Cynthia, come sempre vigile e attenta, svegliò suo marito che dormiva profondamente al suo fianco.

<< Svegliati Peter, è il momento >>

<< Uffa, ma dobbiamo farlo tutte le volte? Per una volta non possiamo rinunciare? Sono stanco e vecchio>>

<< Non dire scemenze e prendi il fucile piuttosto. La nostra tradizione culinaria dipende proprio da questo>>

Peter si alzò malvolentieri e prese il fucile da caccia nell’armadio. Si recarono nella stana di Carl e Jennifer in punta di piedi, aprirono con la porta con la loro chiave speciale. Il legno vecchio cigolò nella notte ma i due innamorati non si accorsero di nulla. La seconda bottiglia di vino era completamente vuota e loro, dopo una notte movimentata, dormivano pesantemente.

Li trovarono nudi, uno abbracciato all’altro e con uno strano sorriso in volto. Peter prese il fucile e con mano tremante iniziò a mirare. Ma si vedeva che aveva difficoltà a premere il grilletto. Cynthia lo sapeva e strappò il fucile dalle mani del marito.

<< Dammi qui, faccio io! Ti sei rammollito con gli anni Peter!>>

<< Sicuramente sarà come dici tu, ma ancora mi chiedo come fai a dormire la notte. Io non ci riesco, non ci sono mai riuscito>>

Se ne andò senza attendere la risposta. Prese la sua pipa dalla tasca della giacca da notte e si mise fuori a fumare. La notte era calda e silenziosa. Peter dondolava nella sua sedia a dondolo, davanti al portico. Cynthia nel frattempo aveva portato i cadaveri in cantina dove li stava sezionando per prendere le parti migliori per poi portarle in cucina.

Quelle, mischiate alle parti di due uomini d’affari del South Carolina, arrivati la settimana scorsa, sarebbero diventati l’arrosto per i prossimi clienti. La specialità della casa, arrosto di carne umana. Peter era stufo di tutto questo e voleva da tempo farla finita ma c’erano due cose che lo fermavano: il profondo amore per sua moglie e la preoccupazione di lasciarla da sola e soprattutto, come ogni uomo del Sud che si rispettava, era molto religioso e il suicidio non era contemplato.

Sicuramente sarebbe finito all’inferno per quello che faceva nella sua proprietà insieme a sua moglie, ma prendere la corsia preferenziale era da stupidi.

Sentì Cynthia rientrare in camera e chiamarlo da lontano, avrebbe finito di fumare la pipa e dopo il bacio sulla bocca per la buona notte a sua moglie, si sarebbe addormentato sperando che fosse la sua ultima notte sulla terra.

Clementi Simone

Immagini prese da Google Immagini