Maneskin: ma davvero suonano rock?

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L’adolescente medio dispone di un discreto potere d’acquisto, che spesso è sinonimo di frenesia consumistica. E così l’industria inizia ad assoggettarlo, creando prodotti per lui. La questione riguarda anche l’industria musicale.

Ho appena descritto brevemente uno scenario valido nel 1955, quando sono appena apparsi i 45 giri e la stampa musicale non fa altro che parlare di un fenomeno che si chiama rock. Si tratta di una musica capace di scuotere gli animi in rivolta. È una musica che esprime fantasia e libertà post-bellica.

Non voglio tediarvi con la storia dunque torno nel presente.

Sanremo 2021, vincono i Maneskin.

Il brano che porta la band alla vittoria si intitola “Zitti e buoni”. Radiofonico, oserei dire.

Ma non posso tacere che affermazioni tipo “Ha vinto il rock” o “Questa è la rivoluzione” mi rammaricano.

Vi spiego perché credo che il rock, la rivoluzione, per me hanno altri significati.

Il rock nel senso più puro del termine sta tornando alle origini, ovvero alle difficoltà a essere preso sul serio.

In che senso? Il rock è sovversione, è novità, è esigenza di raccontare il principio di distinzione. Il rock va di pari passo con la rivoluzione, dove per rivoluzione si intende uno sconvolgimento che attanaglia la cultura in vari aspetti.

Ma quindi che c’è che non va?

Potenzialmente tutto, evidentemente niente.

Definire rock una band emersa grazie a un talent, che “vince” in un contesto televisivo, non fa altro che rendere sempre più palese la ferocia che anima il mercato discografico attuale.

I Maneskin suonano bene, questo è certo. Ma è l’artificio della posa, la parossistica ostentazione dell’erotico e il voler sacrificare tutto questo negli ingranaggi dell’industria televisiva, che stridono.

Va detto che mai come quest’anno Sanremo 2021 è stata un’occasione di intrattenimento e musica quasi necessaria. I Maneskin hanno vinto con testo “Fuori di testa” ma in un contesto contestabile.

Allora parliamo di pop, se proprio vogliamo riferirci a quel qualcosa che tenta ancora di definirsi rock.

Sicuramente ritrovarsi nel tritacarne mediatico all’età delle promesse del pop italiano quali sono i Maneskin sia alquanto sfidante. Sempre pronti a essere vivisezionati e a dover ottemperare al bisogno/compito di raccontare il disagio giovanile. Una poetica immemore di sé stessa, che si può scorgere persino dallo smalto rigorosamente nero sberciato.

I Maneskin non sono fatti per stare zitti e buoni, ma il rock, secondo me, è un’altra cosa.

Leggi anche: Ciò che Sanremo non è: il Punk

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