Qualche settimana fa, ho avuto la possibilità di ascoltare in anteprima il brano di un cantautore che non conoscevo, ma che in breve tempo mi avrebbe convinto che sì, se hai un brano sincero e urgente – uno di quelli, insomma, che spinge a tutto gas per farsi sentire e rompere muri di silenzio e distanze siderali – non esistono regole di mercato che tengano.
L’estate è una trappola in cui tanti artisti emergenti finiscono spesso con il cadere, ma non DANU: “è stato bello” poteva essere l’ennesima hit estiva, e invece si è rivelata dichiarazione d’amore (sotto forma di “post scriptum”, perché non è mai troppo tardi per amare) che si incastra tra la testa e il cuore, lasciando in bocca – e nei padiglioni auricolare – il sapore agrodolce del ricordo e dell’accettazione.
Insomma, visto il coraggio delle tempistiche (il brano è uscito il 3 agosto, in piena “fascia protetta” discografica) e la bontà della proposta non potevo esimermi – dopo aver plaudito l’artista – dal rivolgere qualche domanda “giusta” (o almeno, così spero) a DANU, che da qualche giorno trovate anche sulle principali playlist editoriali di Spotify.
Ciao Daniele, benvenuto su Indielife. Partiamo dalla domanda spaccaghiaccio: tre aggettivi che ti descrivono, e uno che invece non ti appartiene affatto.
Ciao! Credo di avere diverse sfaccettature molto diverse tra loro nella mia personalità. Tra gli aggettivi in cui mi identifico di più sono: spontaneo, emotivo e testardo. Quella in cui non mi identifico per niente è ‘’egoista’’, certe volte è un pregio, altre diventa un pò un difetto.
Da dove comincia il tuo rapporto con la musica? Leggiamo nelle tue note biografiche che hai studiato alla SAE di Milano, ma che il tuo avvicinamento alla “canzone” e alla scrittura sia stato quasi più una “necessità” che una scelta!
Amavo la musica già da piccolissimo, insieme a mio fratello ascoltavo spesso gli 883, Battisti, Vasco Rossi e Ligabue. A 15 anni ho toccato una chitarra per la prima volta ma semplicemente per accompagnarmi nel cantare le canzoni che mi piacevano in compagnia di amici, niente di più, non ho mai preso lezioni, e non sono un chitarrista.
Il mio vero rapporto con la musica è iniziato circa tre anni fa, quando dopo aver terminato una lunga relazione ho deciso di partire per Milano per studiare alla SAE appunto, anche se il percorso di studi è legato alla musica non c’entra niente con il mio iniziare a fare musica. È nato tutto dal periodo buio in cui mi sono trovato, solo in una città che non conoscevo e subito dopo aver perso una persona importante. Ho deciso di sfogare tutto scrivendo pensieri sulle note del cellulare, che poi sono diventate canzoni. Ho cercato quindi di cogliere il lato positivo.
Quattro singoli fin qui pubblicati, da totale indipendente. La prima domanda è: cosa significa essere indipendenti oggi? La parola in sé ormai risulta fin troppo abusata…
Essere totalmente indipendente significa doversi occupare a 360° di qualsiasi aspetto e scommettere su se stesso, perché non hai nessuno che investe per te. Questo ti prende molto più tempo e ti crea molte più ansie, ma allo stesso quando arrivano anche i primi piccoli risultati valgono il doppio perché sai che è tutto merito tuo.
Credo che rimarrò tale finché non troverò una realtà che creda al 100% in me e nelle mie canzoni!
E la seconda… esiste un “filo rosso” che collega le quattro canzoni? L’amore, in ogni caso, sembra essere la tematica centrale della tua produzione fin qui…
Tra le prime tre c’è sicuramente un filo comune anche sotto l’aspetto del sound, dove ho voluto inserire delle sonorità tipiche del pop americano elettronico dal mood vintage. Con l’ultima invece, essendo la canzone più intima e personale che ho scritto sono voluto rimanere su una ballad più classica. L’amore è inevitabilmente il tema rincorrente perché ho iniziato a scrivere canzoni dopo una delusione amorosa, devo ovviamente stare attento a non cadere nel banale e riuscire a creare una mia visione dell’amore.
Andiamo nello specifico: in pieno agosto, nel caldo torrido dell’estate pandemica, tiri fuori dal cilindro “è stato bello”. Cosa significa per te questo brano? Ci racconti come è stato prodotto?
È un po’ un azzardo far uscire una canzone ad Agosto, ma ho voluto agire di istinto non tenendo conto delle statistiche, un po’ come succede in amore, quando prendi una sbandata per una persona vai diritto per quella strada e non ascolti nessuno.
Questo brano ha un valore enorme per me, l’ho scritto la scorsa estate, già due anni dopo la fine della storia di cui parlo. Questo mi ha permesso di parlare di questa relazione sotto un’altra prospettiva, più matura.
Il brano poi è stato prodotto e finito ad inizio estate da Pietro Celona con l’aiuto di Federico Urgesi (in arte Itto) negli studi di NBmusic a Torino.
A volte, rendersi conto che qualcosa sia “finito” risulta necessario per accettare la bellezza del “ricordo”. Perché, secondo te, è così difficile riuscirsi a dire “è stato bello”, quando una storia finisce? Dopotutto, anche di questo sembra parlare il tuo quarto singolo.
Secondo me dipende tutto dal modo in cui finisce la relazione. Inizialmente sei invaso da pensieri contrastanti, compreso l’odio, come è successo a me, certe volte la delusione finale prevale su tutto ciò che c’è stato di bello prima, è comprensibile. Però prendersi del tempo per stare da soli ed elaborare il tutto ti permette di analizzare la relazione e concentrati su quello che è stato. Questa è una cosa che non tutti fanno, anzi, spesso ci buttiamo in nuove relazioni soltanto per scordare quella precedente, senza neanche darci il tempo di meditare. Per me non c’è cosa più sbagliata!
La cosa più bella che ti è successa negli ultimi mesi.
Una delle cose che mi ha dato più felicità è stato proprio vedere concretizzarsi questa canzone, ci tengo veramente tanto e dopo un anno vederla finalmente pronta per uscire è stata un’emozione fortissima.
Salutaci facendoci una promessa che sai già non manterrai!
Vi prometto che da ora in poi scriverò soltanto canzoni allegre! Ciao!