Kashmere, per me, non è proprio un nome nuovo.
E’ da diverso tempo, in realtà, che sento parlare del progetto del ragazzo toscano, cresciuto musicalmente a due passi da casa mia e ora in volo verso il successo (almeno, non resta che augurarglielo) con un boeing che parte da Lugano, attuale residenza del giovanissimo cantautore classe 2000; ne sento parlare da tempo, dicevo, perché la provincia è quel posto meraviglioso dove tutti sanno tutto di tutti, ma sopratutto perché in provincia le anime belle fanno quello che possono per tutelare la propria bellezza, e spesso si ritrovano a fare cose insieme.
Ecco allora rispuntare fuori il nome di Leo Caleo, vecchia conoscenza del nostro magazine e produttore artistico – insieme a Giacomo Loré dei Téracomera, altro progetto che è passato dalle nostre colonne e che ho già avuto il piacere di raccontarvi – del brano d’esordio di Luigi; ecco che riemerge l’eco di Carrara, città strana e meravigliosa che sta diventando, negli ultimi tempi, epicentro di un movimento culturale da non perdere di vista; ecco, insomma, rifiorire il giardino della provincia che vale, e che prova a far di tutto affinché i suoi non rimangano fiori di periferia.
Io, da ligure scrupoloso, non perdo d’occhio ciò che succede ad un palmo dal mio naso, e di certo non potevo farmi scappare dalle mani la possibilità di dar voce ad un progetto in cui ho il dovere di credere non solo per un fatto di vicinanza territoriale (anche perché il tipico campanilismo spezzino lascerebbe poco margine a belle – e giuste – parole di elogio per i vicini toscani) quanto piuttosto di onestà intellettuale verso il ruolo che, nel mio piccolo, ho provato a cucirmi addosso: quello di supportare l’emergenza (in emergenza) che vale, per credere in una scena che ora più che mai ha bisogno di rigenerare i propri linguaggi.
Ciao Luigi, bentrovato sulle colonne di Indielife. Ti presenti al mondo come Kashmere, ma ci sono delle cose in cui i due, Luigi e Kashmere, sono diametralmente opposti? Oppure c’è una totale coincidenza di “intenti” tra le parti?
Ciao Indielife! Grazie mille, è un piacere!
Luigi e Kashmere sono molto simili per certi aspetti, anche se Luigi, essendo molto morigerato, invidia spesso Kashmere per la sua sfrontatezza. D’altronde, Kashmere è un artista, Luigi uno studente di Filosofia! Però vanno molto d’accordo. È la musica che li unisce profondamente.
Partiamo dall’inizio, da ciò che ti ha portato a confrontarti con la musica. Come nasce Kashmere, e come si evolve nel tempo fino all’esordio di oggi?
Kashmere nasce diversi anni fa, ma Luigi gli ha dato il tempo di maturare come meritava, aspettando il momento più opportuno per uscire allo scoperto. Durante questo periodo di attesa, Kashmere ha sperimentato, si è arricchito tramite la conoscenza di numerosi artisti, fino a trovare la giusta squadra con cui iniziare questo percorso. Più precisamente, Kashmere inizia a cantare e suonare la chitarra a 9 anni, perlopiù da autodidatta, incominciando a scrivere i suoi brani solamente a 15 anni, finché non incontra Giacomo Loré del G.L.ab Studio, trovando un amico e un professionista con cui poter gettare le basi del progetto che adesso, finalmente, con l’aggiunta di altre persone nel team, inizia a prendere forma.
“James Brown” mette in luce quello che dalle tue note bio sembra essere sempre stato il terreno di pertinenza di un progetto cresciuto con calma, che però ha sempre tenuto fede alla propria vena soul/funky. Ma da cosa nasce, questa passione per il funk?
La passione per il Funk nasce anche grazie a mio padre. È stato lui il primo ad avvicinarmi a questo genere musicale, facendomi ascoltare Michael Jackson. Ricordo ancora la prima volta che accese lo stereo e partì “Thriller”. Rimasi folgorato. Da quel momento dentro di me si è accesa una fiamma che non riesce più a spegnersi e, anzi, aumenta sempre più d’intensità. D’altronde, il Funk non è solo un genere musicale, ma una vera e propria attitudine. Quella di chi riesce ad essere positivo nonostante le avversità, di chi comprende l’importanza della spensieratezza, di chi considera la leggerezza, piuttosto che superficialità, un vero e proprio punto di forza. Non che io riesca a fare tutto questo, ma ci provo sempre con tutto me stesso, e voglio cercare di trasmettere questa “funky attitude” attraverso la mia musica.
In “James Brown” racconti la necessità di fuga che solo chi si è trovato all’interno di un “circolo vizioso” emotivo può aver provato. Ecco, tu sei uno che molla alle prime difficoltà, affidandoti all’intuito, oppure alla fine ti trovi spesso a difendere “postazioni” ormai perdute?
Studiando filosofia, sebbene sia una persona di base molto istintiva, mi trovo spesso a rimuginare e a riflettere anche troppo, cercando lo stesso di recuperare, come dite voi, casi già persi in partenza. Come si può evincere dal brano, del resto, parlo di due persone che, nonostante il “disastro”, rimangono appese ad un filo, sono diventate “funamboli” professionisti, visto che ormai, per entrambe, “ballare al buio è un’abitudine”. In fondo, mollare non è mai facile, e io non ne sono mai stato capace.
In studio, hai lavorato anche con Leo Caleo, vecchia conoscenza di questo magazine. Ecco, ti faccio una domanda più “particolare”: le collaborazioni fra artisti, ovviamente, finiscono spesso con il creare scambi di cui l’intera proposta riesce poi a godere. Esiste oggi, secondo te, una scena sotterranea che sta premendo per esplodere? Ti senti di appartenere a “qualcosa”, in questo senso?
Leo è un artista con la A maiuscola e un amico da tenersi stretto. Con persone come lui non si può che collaborare volentieri. Non so se esiste concretamente questa “scena sotterranea” a cui accennate, ma sicuramente esistono molti artisti indipendenti, come me, che si impegnano molto per cercare di emergere e fare ascoltare la propria musica ad un pubblico più ampio. C’è tanta voglia di far vedere di cosa siamo capaci. Credo che ci sia tanta musica di qualità che meriterebbe di ampliare i propri orizzonti.
Quali sono i tre dischi che, secondo te, hanno più influenzato il tuo modo di vedere la musica.
“Thriller” di Michael Jackson, “Random Access Memories” dei Daft Punk e “24k Magic” di Bruno Mars rappresentano molto bene le funky vibrations da dove provengo. Aggiungerei anche diversi brani dal repertorio di The Weeknd ma mi taccio, altrimenti non la finisco più. Devo contenere lo studente di filosofia che è in me. Grazie Indielife!