Raesta è un cantautore di origine pugliese, ma residente a Roma, che ha pubblicato da pochissimo “Fuoco di Paglia”. Anticipato dal singolo “Ehi Monsieur”, il nuovo ep concentra in cinque tracce un fresco talento di scrittura pop originale e attenta alla realtà contemporanea. Ecco la nostra intervista con lui.
Ciao, ci racconti il tuo progetto musicale e come sei arrivato fin qui?
Ciao, dopo due anni in duo, nei i Raestavinvè, con un album, un ep e tanti concerti, questo progetto si pone come espressione delle mie tendenze musicali, senza filtri e senza troppi compromessi. Dentro c’è la mia vita e cosa amo musicalmente parlando. Dopo un periodo che mi ha portato tanti bei risultati, tante collaborazioni come quella con Francesco Di Bella e la francese Clio, ho sentito il bisogno di rallentare la produzione a quattro mani con l’amico e cantautore Vincenzo Vescera, ed iniziare a trovare una dimensione più intima ed pubblico che amasse ciò che faccio.
“Fuoco di paglia” è il tuo nuovo ep: che cosa contiene e come mai si chiama così?
L’EP contiene cinque pezzi, (inizialmente dovevano essere quattro poi abbiamo aggiunto “pop corn”) cinque momenti, cinque riflessioni per me important. Sono tutti pezzi abbastanza autobiografici: “Andrea” esiste, ed è un mio carissimo amico di Roma, i “Ragazzi Marsigliesi” non sono la nota band criminale, ma un gruppo di amici francesi all’interno del quale ho conosciuto mia moglie, “E se fossi tu” parla dei miei fantasmi, dei pensieri ricorrenti di un paio di anni fa e del mio bisogno di prendere una pausa dal duo. E così via. Credo siano cinque pezzi che in primis mi descrivono molto bene in ciò che sono oggi come artista e come persona. Il nome viene da una frase che mi è stata detta ai tempi della scuola media da un professore, e che ha minato la mia autostima ma che mi ha dato sempre la voglia di fare di più…Una sorta di mantra negativo che ho voluto esorcizzare.
Qual è stata la canzone più complicata da scrivere?
La maggior parte dei pezzi sono scritti di getto. Su altri pezzi, non contenuti nell’album ho avuto più problemi. Forse “Pop corn” perché è molto personale, e in parte difficile. E’ una sorta di confessione. Un brano che qualche anno fa non avrei avuto il coraggio di scrivere. Però sono contento di averlo fatto e che in realtà si poggia su una melodia molto mesta che avevo in testa da almeno una decina di anni e che attendeva il giusto testo per uscire. Quando scrivi in italiano, nella tua lingua, ti senti più nudo, scoperto e più alla mercé di ciò che pensa la gente. Oggi ho il coraggio di farlo.
Chi sono i tuoi idoli musicali?
Se parliamo di idoli non posso non citare i Radiohead e Thom Yorke in particolare. E’ l’artista che da sempre mi ha affascinato e che ho sempre sentito in qualche modo in linea con i miei pensieri: canta i turbamenti, le paranoie che riguardano questi nostri anni. E’ da sempre abbastanza attento anche alla sofferenza fisica avendo lui avuto in primis un’infanzia un po’ segnata da problematiche di salute riguardanti i suoi occhi. In più è uno sperimentatore. E musicalmente nulla di cio’ che ha fatto mi ha annoiato o deluso. Poi l’immenso De Andrè che ugualmente ha sperimentato e ha avuto un occhio molto umano nel mondo della sua poetica. Questi due i nomi che possono assurgere a quel tipo di appellativo per me.
Che progetti hai per il 2024?
Sicuramente gettare le basi per un percorso che porti il progetto in più realtà possibili. Che mi faccia incontrare gente realmente disposta ad ascoltare. Magari trovare sempre date in band e magari terminare l’opera creando un album. Chissà…